MY MINI LITTLE PONY
TUTTA COLPA DI SUNNY MUFFINS
~ by teiresias
Con un gesto veloce, il detective Shaw si accese
la prima sigaretta della giornata, inspirando la prima boccata di nicotina e risputandola fuori: la nuvola di fumo si perse nell'atmosfera sempre poco pulita
che aleggiava intorno a lui, segno che il dipartimento spendeva soldi inutili
per imprese di pulizie che non facevano il loro lavoro. Era ovvio che poi tutti si
lamentassero che mancavano i fondi, finché c'erano coglioni che sprecavano
dollari in quel modo.
Finché li spendevano per quelle stronzate, voleva vedere chi dei suoi colleghi
avesse il coraggio di dire che lavorare per la polizia era il sogno di un'intera
esistenza.
Calci nel culo e poche storie, era la sua personale filosofia di vita: disgraziatamente,
non la condividevano né il suo capo, che quel giorno gli aveva assegnato una
nota di demerito per un vecchio caso, né la sua ex moglie, pronta come un'arpia
quel giorno stesso a spillargli i soldi che sarebbero dovuti servire a mantenere il
loro figlio ormai diciottenne, e che invece spendeva lei per i cavoli suoi.
Comprensibile dunque che, sceso presso i suoi colleghi d'indagine, quella
mattina fosse
altamente incazzato.
La sua entrata fu accompagnata da quel silenzio di tomba che era stato un po' la
colonna sonora dei suoi vent'anni di lavoro, e dagli sguardi di uomini che lo
scrutavano attentamente per comprendere di che umore fosse quel giorno e decidere se azzardarsi a parlargli, o evitare anche solo di
intavolare una banale discussione sulle condizioni meteorologiche; decisero che era meglio
utilizzare la seconda opzione.
Troppo incazzato con se stesso per godere del potere che aveva sui suoi
subordinati, l'uomo si avvicinò alla prima recluta che gli capitò sotto tiro,
visibilmente tesa non appena si rese conto che era stata scelta come vittima
sacrificale, mentre gli altri si scostavano discretamente da lui come se fosse
stato un malato
terminale di AIDS (tra parentesi, lui odiava i froci): la sua corporatura
robusta, i pochi capelli rimasti a mettere in mostra la pelata come un trofeo, la pancia prominente che usciva dai pantaloni, i vestiti spiegazzati da
tipico uomo americano che senza una donna non è in grado neppure di piegarsi i
calzini, e lo sguardo furioso da pitbull in attesa del minimo cenno di debolezza
per attaccare qualcuno fecero scattare sull'attenti il povero ragazzo. Gli parve anche di
sentire un rutto e una scoreggia.
Pessima scelta.
Lui odiava chi ruttava e scoreggiava senza il suo permesso.
E proprio per questo, non aveva intenzione di rendergli la vita più facile o
mostrarsi più dolce di quanto in realtà non fosse: cioè per niente.
- Allora, spiegami un po' in cosa cazzo consiste il caso Barney - proruppe con
un grugnito.
Il ragazzo deglutì, vedendo i suoi amici che lo fissavano terrorizzati, e prese
gli appunti: gli occorsero tre tentativi, prima di riuscire a parlare in tono
normale. - A...Ecco...signor Shaw...qu...questa... -
- Ragazzo, o ti fai passare quella fottutissima balbuzie da solo, o farò in
modo che i calci in culo che ti darò fra due secondi siano sufficienti a
rimetterti in sesto -
Come risposta, l'altro cominciò a sudare, e mollò un altro rutto.
Gli fece segno di girarsi.
Fu sufficiente a farlo parlare senza respirare.
- Signore, questa mattina una pattuglia della polizia è stata avvertita di
rumori sospetti in una casa fuori città, e ha trovato...beh...è stato scoperto
un omicidio -
Shaw socchiuse gli occhi, cercando di soffermare la sua mente sulla parola
"omicido".
Detestava dover lavorare di mattina presto a casi tanto petulanti, ma siccome in
vent'anni era stato talmente stronzo con i capi da non meritare mai una
promozione, ne avrebbe avuto fino alla morte: in questo modo, ovviamente,
accumulava altro rancore contro quegli stronzi che ce l'avevano con lui, che di
conseguenza lo punivano ancora di più. Un fottutissimo giro vizioso da cui era
impossibile uscire senza fare la prima mossa.
Cosa che certamente lui non aveva intenzione di fare.
- Spiegati meglio - fu il suo brusco complimento per essere riuscito a terminare la
frase senza un balbettio.
Un po' più rincuorato, la recluta si permise di riprendere fiato e riguardare gli
appunti. - Sembra che, verso le 3 e mezzo del mattino, siano stati uditi dei
rumori simili a un litigio nella casa dei Barney, appena fuori dal centro
cittadino: hanno un piccolo podere con giardino. Beh, quando gli agenti Trent
e Barker sono arrivati sul posto, hanno trovato un vero massacro - Impallidendo
visibilmente, tirò fuori una decina di fotografie, che gli porse liberandosene
con una nota di sollievo; Shaw le fissò impassibile, bestemmiando fra sé sul
fatto che la sigaretta stava già per finire. - Non ci sono segni di lotta, o di
effrazione. Hanno trovato il signore e la signora Barney, di quaranta e
trentotto anni, fatti a pezzi nel salotto della loro casa, presumibilmente con
un'accetta poi ritrovata nelle vicinanze. Hanno seguito le tracce di sangue che
portavano al
retro, e hanno scoperto che anche il piccolo cavallo che tenevano per la figlia
è stato ucciso brutalmente... -
Bla, bla, bla. Per quanto lo riguardava, del caso non gliene poteva importare
niente: stava già pensando a come spiegare alla sua ex moglie che non aveva
più intenzione di pagarla e che aveva deciso di assumere un avvocato per
sputtanarla davanti a tutti, da quella gran troia che era, altro che allegra
famigliola squartata nella notte.
Senza chiedere, prese il resto dei documenti in malo modo, prima di parlare. -
Testimoni? -
- C'è la figlia di otto anni, Michelle, che si trovava nella sua camera da
letto. Sembra che non abbia sentito nulla, quindi l'abbiamo mandata all'ospedale
per delle analisi, perché c'è il dubbio che sia stata drogata -
Ok, un altro caso rognoso per il detective Rick Shaw: c'era da farci su una
bella sit
com televisiva, di quelle che censurano le sparatorie e i morti ammazzati con
luci soffuse e cambi di inquadratura. Davvero una prospettiva di lavoro
splendida, se soltanto avesse avuto trent'anni in meno e la faccia da finocchio
come quelle che si vedono sulle copertine di quelle riviste maschili sempre più gay.
Mentre il ragazzo continuava a parlare imperterrito, Shaw uscì dalla stanza e
andò dal suo capo per sapere come aveva intenzione di farlo muovere per quella
volta: udì chiaramente che, non appena la porta si richiuse dietro di lui, ritornò
la solita, gioiosa atmosfera da omicidio plurimo.
- Insomma, capo, mi stai dicendo che devo
interrogare questa Michelle? - chiese sgarbatamente, buttando a terra la cicca
ancora fumante e riaccendendone un'altra: ormai il capo della polizia si era
arreso a combattere le Lucky Strike di Shaw, e non faceva più nulla per
impedirgli di abusarne, nonostante all'interno dell'ufficio campeggiasse a
lettere cubitali il divieto a non fumare. Forse sperava che un giorno crollasse
a terra, strozzato da un cancro ai polmoni, e in realtà era ben felice che si
spianasse in anticipo la strada fino alla tomba.
Il capo Garresh, due metri di altezza per cento chili di peso, annuì in silenzio: in vent'anni
Shaw non lo aveva mai visto alzare la voce, né prendersela con qualcuno. Per quel
compito c'erano i suoi sgherri. Era convinto che quello fosse un comportamento da
codardi, perché un capo deve essere disposto a sporcarsi le mani
all'occorrenza e non lasciare il lavoro ad altri.
Era sottinteso che odiava Garresh, ma siccome era il suo superiore
cercava, per quanto possibile nella sua natura, di non attaccare briga.
Fece una risata roca, volutamente antipatica. - No, cazzo, vuoi dirmi che una
bambina di otto anni potrebbe sapere qualcosa di questo? E' una fottutissima
mocciosa. Chi ti dice che potrebbe aiutarci? -
- Adesso è di ritorno dall'ospedale, ed è molto scossa - Lo fulminò con lo
sguardo. - Mi aspetto che utilizziate la massima cura nel parlarle, visto che non
le abbiamo detto nulla dei... -
Un attimo! Aveva detto voi? - Che è questa stronzata del voi? Non
vorrai dirmi che me la devo sbattere con qualche stronzetto ansioso di farmi le
scarpe? -
La risposta fu un fascicolo gettato sulla scrivania, che il detective Shaw
degnò di uno sguardo disgustato per puro masochismo. - Albert Meyers. E'
arrivato nella nostra sezione da appena un paio di mesi, ed è un ragazzo in
gamba. Ho bisogno di qualcuno che gli dia un'occhiata e gli spieghi un po' il
mestiere -
- Non contare su di me -
- Sei l'unico rimasto - Lo fissò in cagnesco, convinto che il suo volto rubizzo
e panciuto lo rendesse più spaventoso, mentre in realtà lo mostravano solo per
l'obeso codardo che era. - Altro da dire? -
La risposta fu una sonora bestemmia.
La verità era che mancavano i grandi uomini di
una volta: la generazione di ragazzini che popolava la stazione di polizia era
di quelli cresciuti con stronzate come le Barbie Zoccole e Sailor Moon, riducendosi come
suo figlio a vestirsi da donna quando nessuno poteva vederli. Rick Shaw era
convinto che un bambino dovesse crescere con sani modelli, non con tutte quelle
puttanate e quelle pubblicità idiote che passavano in televisione; il mondo
avrebbe sicuramente avuto meno ricchioni e meno puttane, se tutti avessero seguito il
suo esempio.
Uscendo dall'ufficio, lo stesso poliziotto che aveva tartassato prima si
avvicinò timidamente, a occhi bassi: Shaw notò solo in quel momento che non
poteva avere più di venticinque anni e che era vestito perfettamente. I casi
erano due: o aveva già avuto la splendida idea di mettere incinta una donna, o
a casa mammina si premurava di stirargli le camicie e preparargli il caffè la
mattina prima di andare al lavoro, in un fioccare di "tesoro" e
"il mio ragazzo".
Ovviamente, detestava le allegre famigliole come quelle.
- Signor Shaw... - disse con voce flebile la recluta, alzando il dito come un
piccolo scolaretto.
L'uomo lo squadrò da capo a piedi, prima di rispondergli sgarbatamente. - Che
cazzo vuoi? -
- Signore, credo che il signor Garresh le abbia parlato di me...sono il
detective Meyers -
Perfetto. Lo aveva già inquadrato e aveva capito che quel ragazzo non sarebbe
durato a lungo lì dentro: oh, sì, e se si fosse dimostrato troppo duro di
comprendonio, gli avrebbe dimostrato lui che non c'è posto nella polizia per i
ragazzi perfettini usciti dall'università con il massimo dei voti. Perciò,
ignorandolo palesemente, si diresse verso la sala d'aspetto al piano di sotto,
seguito a ruota da quella sorta di cagnolino servizievole con la giacca sulle
spalle e gli appunti in mano.
Arrivato a destinazione, era già sicuro che quel caso lo avrebbe obbligato a
sedute speciali davanti alla televisione a bucarsi con stronzate horror come
i film di Carpenter, condite da fiumi di birra, per poter estrarre dalla sua
testa a viva forza quell'indagine.
Il mostro era lì, ignaro del loro arrivo, seduto su una sedia troppo grande per
lui al punto che i piedi spaventosamente minuscoli e più simili alle zampette
di una gallina monca dondolavano come quelli di un impiccato: la semplice vista
delle calzette bianche e delle scarpette di un colore rosato simile alle chiazze
di sangue rappreso lo fece rabbrividire, ma a vincerlo fu il disgusto, non appena
risalì al resto del corpo. Al vestitino di raso bianco e rosa pallido (disumano)
che stava a indicare a quali orribili pratiche esso fosse solito dedicarsi, alle
braccine rachitiche che spuntavano dalle maniche a sbuffo, al corpicino che
dondolava al minimo movimento, ottimo per trarre in inganno le sue prede, al
nastro sempre di colore rosa che teneva indietro i capelli rossi e perfettamente
acconciati come quelli di una parrucca spaventosamente finta, ovviamente, che
lasciava la libertà di vomitare davanti al visetto angelico e modellato su
ceramica e tutte quelle altre stronzate lì che la rendevano ancora più
orribile.
Sentì l'immediato bisogno di un'overdose di insulina alla sua sola vista, e capì
subito che quella cosa non era assolutamente normale: cos'è, il
colpevole si era costituito e nessuno glielo aveva detto? Con un brivido di puro
disgusto, Shaw ricacciò indietro il vomito e si fece avanti.
- Michelle Barney? - chiese a fatica, trattenendo i conati.
La piccola creatura si voltò verso di lui con due occhi cisposi e irrealmente
grandi da Bambi con la congiuntivite e scoprì la fila di piccole zanne bianche
sotto le labbra arricciate, come a fiutare quello che le stava intorno.
Oh. Mio. Dio.
- Dove sono la mia mamma e il mio papà? - E ovviamente, anche la sua voce era
stridula e petulante come quella di un gatto morente.
Rick Shaw, più di ogni altra cosa, aborriva i bambini.
E per questo, non appena fu davanti a quell'orrore, impallidì e si tirò
indietro, agguantando per il colletto il suo fedele cagnolino e lanciandolo
praticamente verso il piccolo predatore, sibilandogli: - Fai tu - Magari
quell'idiota credeva anche che lui lo avesse fatto per compassione, o perché
era stato toccato dalla dolcezza di quella piccola innocente.
Quando fu a distanza di sicurezza, si permise perfino di ascoltare il dialogo
spaventoso che aveva luogo.
Albert Meyers. - Ciao, Michelle. Io mi chiamo Albert, e sono un poliziotto -
Il mostro. Occhi umidi, labbro tremante e vocina sottile da attrice di
soap-opera buona solo a scoparsi i produttori. - Signore...cosa ci faccio qui? -
Il pirla di Meyers, abbassandosi alla sua visuale: un errore che a molti suoi
colleghi era già costata la vita. - Michelle, i tuoi genitori sono...partiti, e hanno detto che
dobbiamo occuparci di te... -
La tragedia. La piccola strega si mise a piangere. Una sirena ambulante che
ispirava i sentimenti più disgustosi nei cuori di tutti, che si fermarono a
guardare lei, e poi lui come se fosse stato il motivo di tutto ciò; Rick Shaw
l'avrebbe fatta piangere per molto più, ecco cosa non sapevano quei piccoli e
insulsi colleghi, perché non avrebbe mai rischiato di vomitare in pubblico come
un debole. - Mamma! Papà! N...non...sarebbero mai... -
Poteva non cascarci il suo cagnolino? Ovviamente no. - Michelle, può
succedere...sono cose che i grandi fanno... -
Altre sirene. Altre occhiate. Ne aveva già piene le palle.
- Mammaaaaaaaaaaaa!!! -
Stoccata finale. Dai, Meyers, signor massimo dei voti e lode all'università, falla
tacere! - Michelle, sai cosa facciamo noi adesso? Andiamo a cercarli. Li
andremo a chiamare e gli diremo che ti mancano tantissimo, e allora torneranno
da te. Va bene? -
- Sigh...sigh... - Oh, no, ti prego, non ancora l'espressione da trota appena
pescata.
- Sono partiti stanotte, tesoro. Potresti dirci se hai sentito qualcosa? -
Le passarono un fazzoletto, facendogli scatenare un'altra ondata di brividi: il
rumore di quel naso smoccolato lo fece saltare su due piedi, lasciandolo
orripilato. E il fatto che il suo collega rimettesse il quadro di stoffa nella
tasca lo convinse pienamente che non gli avrebbe più preso la mano finché non
si sarebbe fatto fare l'antirabbica. Quel giorno non sarebbe riuscito a
mangiarsi il tuo solito hot dog con doppia senape neanche se lo avessero legato
e costretto.
Di nuovo quegli occhi malati di congiuntivite. - Sniff...no...ieri sera sono
andata a letto, mi hanno raccontato la favola della buonanotte e mi sono
addormentata... -
- Che favola? - E quello che cazzo voleva dire?
- "Sunny Muffins e il mondo dei Giganti Birichini" -
- E' bella? -
- Oh, sì! E' la mia preferita! -
Era sufficiente. Rick Shaw si allontanò a passi barcollanti, e fece un cenno
per dire a qualcuno che avrebbe aspettato fuori, per poi chiudersi nel bagno e
vomitare tutta l'anima.
Rick Shaw, più di ogni altra cosa, aborriva i bambini.
Ma quel mostro era peggio di qualunque incubo.
Il piccolo Meyers rientrò nell'abitacolo con in
mano due panini fumanti accompagnati da altrettante lattine di birra fresca, e
il semplice odore gli ricordò che era meglio mangiare perché quella sera
sarebbe stato troppo occupato a prendersela con sua moglie per poterlo fare;
vinse il senso di nausea, e prese quello che gli veniva dato. Dopo il primo morso,
si scoprì incredibilmente affamato.
- Signore... -
- Che c'è? - grugnì scorbutico, sporcandosi la bocca di ketchup. Si guardò
nello specchietto, e si rese conto che con lo sguardo assatanato e la bocca
contornata di rosso sembrava uscito da un film di cannibali: si ripulì con una
manica della camicia. - E allora, che cazzo vuoi? -
Sembrava che non avesse più tanta paura, dopo tre ore a fare avanti e
indietro per interrogare e controllare gli ultimi movimenti della coppia; gliene
dava nota, era quello più resistente fra i (pochi) che si erano azzardati
ad accompagnarlo in qualche indagine. - Signor Shaw, perché se n'è andato
mentre stavo parlando con la bambina? Insomma, è il suo caso e... -
- Che cosa hai tirato fuori dal discorso? - lo interruppe, non affatto
desideroso di descrivergli le capovolte e i salti mortali che il suo stomaco
aveva compiuto nei quindici minuti d'inferno passati dentro il cesso puzzolente
della polizia. Mise in moto l'auto, e con una grattata mostruosa partì
sgommando per il centro cittadino, diretto verso la periferia dall'altra parte
della città. - Anche perché dobbiamo passare ancora dai suoi zii. Hanno detto
che volevano fare domanda di adozione, visto che la stanno ospitando loro, no? -
L'altro annuì, aprendo il blocco degli appunti come un fottutissimo
conferenziere: buttava male se a quel mondo i letterati diventavano poliziotti e
gli uomini di strada politici. Serviva una bella purga universale. - Sì,
signore -
- Per aver preso una decisione così in tronco, bisogna dire che ne avevano
intenzione da tempo -
- Sì, signore -
- Insomma, magari in quella famiglia c'era già da tempo sentore di guai -
- Sì, signore -
- Magari i genitori erano d'accordo -
- Sì, signore -
- La pargolina pure -
- Sì, signore -
- Tsk - borbottò lui - Fottuta puttanella -
Meyers si accigliò, conscio che non poteva rischiare troppo con le sue
affermazioni ma deciso a far valere la sua posizione. - Signore, non crede di stare esagerando? E' solo una
bambina. E ha appena perso i genitori! -
Perso nei suoi pensieri, Shaw non rispose, impegnato in una manovra piuttosto
impegnativa ai danni di un camion che gli bloccava la strada: stava ancora
pensando. - Fammi un favore, piantala di parlare e raccontami di questa cazzo di
discussione - Due ragazzotti di colore nelle ridicole divise da gangster di
strada seguaci di rapper fecero la loro comparsa. - Ma tu guarda che stronzi... -
- Beh, dai suoi discorsi non è saltato fuori nulla di interessante. Insomma, è
andata a letto come tutte le solite giornate: favola della buonanotte, bacio da
parte di entrambi i genitori, lucina accesa perché aveva paura del buio...tutto
normale e confermato dagli agenti - Adesso era apparsa una vecchietta: ma
perché tutti gli anziani arrivati a una certa età si rincoglioniscono? Shaw
pregò che a lui non succedesse mai di ritrovarsi a ottant'anni in balia di
giovinastri che non avrebbe potuto riempire di piombo perché già in pensione;
al contrario, avrebbe preferito una bella morte eroica sul lavoro.
Girò l'auto,
avvicinandosi.
- La mattina gli agenti sono saliti, e l'hanno trovata nella
stanza che dormiva, senza nessun indizio che potesse avere assistito
all'omicidio, e...signore, che sta facendo? -
Rick Shaw continuò ad avvicinarsi di soppiatto. - Tu continua a parlare -
- Dicevo, signore - disse il giovane Meyers, scuotendo la testa e chiedendosi
probabilmente cosa aveva fatto di male per meritarsi un simile superiore, lui
che era uscito dall'università con il massimo dei voti, convinto di ripulire il
mondo dalla merda con la forza della retorica, - che la bambina si è svegliata
alla presenza dei due poliziotti, senza sapere nulla. L'hanno fatta uscire senza
farla entrare nel salotto, dove si era consumato il crimine, e le hanno detto
che erano stati mandati dai genitori per prendersi cura di lei: un'idea
senz'altro utile, se posso permettermi -
- Come no, utilissima... - borbottò fra sé il detective, rilassandosi sul
sedile. Aveva capito che i due stronzetti dal cervello bacato avevano serie
intenzioni di derubare l'innocente e cogliona vecchietta, e ne era felice: era
un buon modo per distrarsi, a suo parere. Gli scocciava soltanto che ci fosse un'altra persona
a bordo, la quale probabilmente non sarebbe stata d'accordo con
i suoi "metodi" per rilassarsi.
- La bambina ha chiesto se stavano tutti bene, perché il giorno prima Sunny
Muffins era sembrato molto stanco e non pronto a fare un viaggio, e... -
L'auto inchiodò istantaneamente. Rick Shaw spuntò fuori dal finestrino,
gridando: - POLIZIA!!! - con tutto il fiato che aveva in corpo, e i due
delinquenti lo fissarono, le loro facce brufolose da sedicenni troppo spaventate
per reagire.
Meyers strillò di rimando un: - Signore, che cazzo sta facendo?! - prima
di gettarsi sotto il sedile con l'arma in mano, pronto a ripararsi da una
sparatoria; guardandolo con aria di compatimento, il detective parlò seccato.
- Dicevi, Meyers? Se era una cosa importante ripetila, perché altrimenti dovrai
aspettare dopo che avrò sbattuto dentro questi bastardi figli di puttana -
I due ragazzi, all'esterno, si erano messi a litigare, lanciandosi fra di loro
la borsetta della signora che poteva contenere al massimo trenta dollari,
bersagliati dalla vecchietta che si era tolta una scarpa dal tacco basso e
sanitario e stava dispendendo loro diversi lividi provocati dalla suola di
quelle calzature malefiche.
Il giovane deglutì, e tornò normale, non fosse stato per l'alone di sudore che
gli era spuntato sotto le ascelle e i capelli biondi freschi di parrucchiere che
puntavano da tutte le parti: tempo dieci anni, e sarebbero stati come i suoi. Ne
era sicuro. - Dicevo, signore, che la bambina ha chiesto come stavano i genitori
e il cavallino... -
- E come si chiamava questo animale? -
Uno dei ragazzi cadde a terra, inciampando nei pantaloni troppo grandi.
- Sunny Muffins -
- Intendevo il pony -
Sospirò. - Signore, il suo animaletto si chiamava Sunny Muffins, come quello
della favola che... -
Oh, merda.
Questa volta diede gas all'auto, e fece retromarcia per riprendere la strada:
cazzo, erano davvero nei guai.
Sentì una piccola botta sul parafanghi, seguita da una serie di improperi e di
urla di dolore, ma se ne fregò beatamente; in quel momento l'unica cosa che gli
importava, mentre sgommava sull'asfalto, era arrivare alla casa dei coniugi
Barney/2 in pochissimi minuti. L'auto si ribaltò quasi, ma resistette
all'impatto.
Attirato dalle urla, Meyers guardò verso l'esterno: il volto gli divenne
giallastro. - Signore!! - strillò con una vocetta molto simile a quella
del piccolo mostro. Indicò l'esterno. - Ha appena investito un ragazzo! -
- Lo so -
- Ma gli ha rotto una gamba! -
- Ah, giusto. Scusa - Fece ancora retromarcia, e udì nuovamente lo strillo del
piccolo stronzo, quasi coperto da quello del suo collega.
- MA E' IMPAZZITO, SIGNORE?! -
Finalmente in carreggiata, Rick Shaw estrasse la radio e avvertì una pattuglia
dell'accaduto; poi, si voltò verso la recluta, visibilmente sconvolta (gli
bastava
davvero poco per stare male, pensò stizzito).
- Senti, ragazzo, in questo modo avrà più tempo per rilassarsi a casa sua e
riflettere su cosa fare della sua miserabile vita.
Senza contare che una gamba non conta nulla per l'assicurazione, ma due sono un
ottimo affare -
Si gettò in strada.
- E adesso andiamo -
La casa era avvolta nel silenzio, e Shaw si vide
costretto a sputare per terra nel vialetto davanti alla casa: la bocca si era
subito riempita del sapore dolciastro della morte non appena era sceso dalla
macchina. E se le sue previsioni erano giuste, forse erano arrivati davvero
troppo tardi.
Si voltò verso Meyers, che sembrava essersi ripreso dopo lo spettacolo di
prima, che lo affiancò immediatamente, come se il suo istinto di poliziotto avesse parlato per lui: non l'avrebbe mai ammesso davanti ad anima viva, ma
quel ragazzo stava guadagnando grossi punti nella sua graduatoria.
Si chiuse il cappotto, nascondendo la pancia, e si voltò verso la recluta,
tirando fuori la pistola dalla fondina. - Ragazzo, spero che tu abbia la pistola
con te -
- Sì, signore... - disse l'altro, passandosi un dito nel colletto della camicia
grondante sudore. Si indicò il fianco sinistro. - Ma non vedo a cosa... -
- Caricala, e forse avremo qualche speranza -
Al silenzio fece seguire il rumore della sicura che veniva tolta: apparentemente
pronto a uccidere, Meyers fece lo stesso con la sua arma. Una nuova luce negli
occhi stava a indicare che probabilmente aveva capito e che era ansioso di
gettarsi nella mischia, altro che il suo strillo da femminuccia di prima.
Si fece più vicino, e gettò uno sguardo davanti a lui, verso l'edificio:
sembrava una copia della casa in cui era avvenuto l'omicidio, con la
sola differenza che non aveva un cortile esterno e una stalla. Al contrario,
l'esterno sembrava incredibilmente curato, mura dipinte di bianco e fiori vicino
all'uscio, un tappeto marrone con la scritta "Benvenuti" ad attenderli per
pulirsi i piedi.
Meyers deglutì. - Signore, è convinto che...che l'assassino voglia finire il
suo compito? E' per questo che siamo qui? -
- Già - replicò Shaw, tastando la durezza del caricatore di riserva nella
tasca dei pantaloni. Sperava di non averne bisogno. - Hai mai partecipato a una
sparatoria, Meyers? -
Il poliziotto si voltò verso di lui. - No, signore -
- Tu stai dietro a pararmi il culo. Se vengo preso, scappi fuori e chiami i
rinforzi. Chiaro? -
- Cristallino, signore -
- Bene - Sospirò. - E adesso entriamo -
- Signore...? -
- Che cazzo vuoi ancora? -
Erano davanti alla porta.
La recluta gli indicò il tappeto a terra, di un inquietante colore rosso scuro,
e con un gesto vi poggiò sopra una delle scarpe di marca che aveva ai piedi,
producendo un orribile rumore di risucchio: fu sufficiente perché il piede si bagnasse subito di rosso e il primo
gradino cominciasse a tingersi del colore del sangue. L'odore dolciastro della
morte si fece ancora più forte.
Il piccolo lago si avvicinò ai loro piedi.
- Signore, sappia che sono onorato di poter fare questo con lei - proruppe con
incredibile serietà il ragazzo.
L'altro lo guardò in cagnesco, poggiandosi una mano sotto la cintura. - Beh, io
no. Non portare sfiga, che non ho ancora intenzione di morire in mezzo a questa
merda -
Diede un potente calcio alla serratura, sperando che crollasse sotto il suo
peso.
Le sue preghiere furono esaudite.
La porta cadde come se fosse stata di cartapesta, il rumore dei cardini non oliati
venne amplificato attraverso le pareti della casa e un paio di viti schizzarono via
dal loro posto, finendo come cadaveri sul pavimento di legno: nessun segno di
vita. Nessuno si era precipitato come una furia per vedere che razza di
terrorista avesse fatto quell'entrata alla Chuck Norris. Nessuno aveva
strillato per la paura.
La casa era silenziosa come una stanza dell'obitorio.
Era un pessimo segno.
Senza far rumore, il detective Shaw fece un gesto al suo collega per indicargli
la strada che avrebbero seguito nella perquisizione: la casa era disposta su due
piani, quindi avrebbero salito le scale ed esplorato prima le zone superiori,
visto che la zona giorno dove si trovavano era apparentemente vuota.
Apparentemente.
Il suo collega annuì. Nel suo sguardo si leggeva tutta la determinazione nel
voler fermare un pazzo deciso a uccidere una innocente bambina. Si spostò
proprio dietro di lui, imitando i suoi passi come un'ombra, e avvicinò la
pistola al volto: era un pessimo errore, da vero principiante,e Shaw glielo fece
notare dandogli una ginocchiata nel fianco e facendogli vedere a gesti che la
canna doveva stare rivolta verso il basso.
Cominciavano malissimo.
L'uomo più anziano diede uno sguardo nuovamente verso l'alto, su per la tromba
delle scale di legno che si stagliavano minacciose sopra le loro teste, e fece
il primo passo: la scarpa non produsse particolari rumori, ma in compenso
lasciò una macabra orma di sangue rappreso sulla superficie liscia e lucida. Al
primo passo ne seguì un secondo.
Dopo un minuto, dietro di loro vi era come indizio
del passaggio una scia di piccole impronte che sembravano perfette per essere
calcate con il gesso: sperò vivamente che non ce ne fosse bisogno alla fine di
quella giornata, almeno finché non arrivò sull'ultimo gradino.
Si fermò.
Senza voltarsi, fece segno a Meyers, che ubbidiente si appiattì contro il muro, per
poi mollare un verso disgustato e ritrarsi verso la ringhiera.
Voltandosi, vide il motivo del suo turbamento, e rimase a bocca aperta.
Una chiazza di sangue di grandi dimensioni si stagliava sui mattoni a vista,
scivolando quasi sensuale sulle curve spigolose e gocciolando in piccoli rivoli
rossi fino al bordo delle scale: e non si stupì neanche quando, rendendosi
conto che non si erano accorti di nulla perché la zona era in ombra ed erano
stati attenti solo alle porte e non ai muri, vide poco sotto un ammasso di carne che doveva essere
appartenuto a qualcuno.
Le sue poche nozioni di anatomia imparate col mestiere gli dissero che
era un piede.
Troppo scosso per l'accaduto, Meyers scattò superandolo e gridando: - Polizia!
- su per le scale.
- Torna indietro, idiota! - gli sibilò contro, provando a fermarlo per un
braccio. Troppo agitato per ascoltare un consiglio che avrebbe potuto salvargli
la vita, il ragazzo gli diede una spinta per allontanarlo.
Cadendo per le scale, Shaw sbatté la testa.
L'ultima cosa che vide fu il riflesso della luce che si dibatteva sopra la pozza
di sangue dalla porta rimasta aperta.
Meyers non aveva mai chiesto nulla nella sua
vita, se non di poter fare qualcosa di utile per ricambiare il mondo di
averlo fatto nascere.
Colmò in pochi istanti i passi che il suo collega più anziano aveva fatto con
estenuante lentezza e si precipitò al piano di sopra: la parte più razionale
del suo cervello sapeva perfettamente che Shaw, per quanto stronzo con tutto
ciò che lo circondava, sapeva quello che faceva, ma il semplice pensiero che in
quella casa ci fosse un assassino e che, dai segni che avevano avuto modo di
vedere, questo non fosse certo riluttante a torturare altre persone innocenti
che non c'entravano nulla con quello che stava facendo, lo spronava a ragionare
in maniera tutt'altro che prudente, al punto da farlo accorrere senza la minima
protezione. Si fermò un attimo, giusto per rendersi conto che era senza
giubbotto antiproiettili e che aveva al massimo dieci colpi.
Per la prima volta si rese conto che forse, ma proprio forse, non aveva agito
nel modo più opportuno, anche se la sua testa era contornata da orrende visioni
di bambini mutilati e seviziati nei modi più orribili.
Prese un lungo respiro: la prima porta era a meno di un metro da lui.
Schiacciato contro il muro, attento a non fare mosse false, la aprì con un
delicato tocco della maniglia, cercando di non farla cigolare; scivolò
lentamente fino a gettare un occhio all'interno.
Il bagno. Pulito e lindo come ogni bagno.
Si rilassò un attimo, contento che una delle tre porte non contenesse una
sorpresa come in uno di quei quiz televisivi che hanno sempre qualcosa di macabro, e si avvicinò all'uscio opposto, appena socchiuso.
Alzò la pistola, puntata dritta sulla linea di tiro, e aprì la porta
toccandola con la punta delle scarpe.
L'odore di sangue lo accolse a braccia aperte, costringendolo ad arretrare
mentre i suoi sensi già protestavano prima di aver visto lo spettacolo che si
prospettava: con un incredibile sforzo di volontà, e trattenendo i conati
mentre si tappava il naso e la bocca con una mano, Meyers entrò nella stanza,
sempre più terrorizzato.
Non era la prima volta che vedeva una scena del crimine, come aveva creduto Shaw
nelle poche ore in cui si erano visti; era molto più esperto di quanto
sembrasse, visto che da ragazzo gli era capitato di fare da testimone in una
rissa fra suoi compagni ubriachi che era terminata in una lotta all'ultimo
sangue in cui uno aveva perso un occhio e l'altro era finito in coma. Certo, non
aveva mai partecipato a una sparatoria, o gli avevamo mai assegnato una missione
in solitario, ma un po' di esperienza l'aveva.
Ma non era certo pronto a quello che stava vedendo.
Doveva essere stata la signora Amanda Karlington, la zia di Michelle Barney,
almeno a giudicare dal vestito blu che a stento si intuiva sotto il sangue, ma
non si sarebbe affatto sbilanciato, senza contare che non gradiva il doversi
avvicinare per controllare meglio: giaceva riversa sul letto, il volto pacifico
con gli occhi azzurri spalancati verso il soffitto, la bocca atteggiata in un
sorriso tranquillo. Lo scempio che era stato compiuto sul suo corpo, mutilato
dei quattro arti e coperto di tagli visibili nei punti in cui gli indumenti
erano stati strappati da qualcosa di appuntito, era orribile: il copriletto verde
era diventato nero dopo aver assorbito tutto il liquido sanguigno, che in quel
momento usciva a piccoli rivoletti dai moncherini, e Meyers non voleva affatto
sperimentare la consistenza del materasso tanto zuppo.
Voleva vomitare.
Voleva scappare via.
Ma, cazzo, era un poliziotto, e per prima cosa doveva chiamare i rinforzi e
portare in salvo la piccola Michelle.
Si voltò verso l'uscio, e sentì dei piccoli passi per il corridoio seguiti da
una porta che si richiudeva rimbombando in risposta.
E dei lamenti.
Uscì ricordandosi che c'era un killer in giro per la casa, guardandosi
attentamente, e giunse davanti all'ultima stanza, quella in cui aveva appena
sentito i rumori di qualcuno che si nascondeva: decise di tentare.
- Michelle - chiamò con la voce più vellutata di cui fosse capace, la voce di
un uomo abituato a trattare con i bambini piccoli da anni. Poggiò una mano
sulla porta, preparandosi ad aprirla. - Michelle, sono io. Albert - specificò,
respirando forte. Intorno sembrava tutto tranquillo. - Ci siamo incontrati
stamattina, ricordi? -
Non sentì niente. Si preoccupò.
- Posso entrare? -
Un singhiozzo di bambino in risposta.
Convinto, l'uomo entrò in quella che doveva essere una cameretta per gli
ospiti, convinto di trovarvi un altro cadavere, teso come la corda di un violino
e ad armi spianate.
La piccola Michelle, chiusa in un angolo e coi vestiti in disordine, era in un
angolo a piangere: istantaneamente Meyers abbassò l'arma e la rimise nella
fondina dopo aver inserito la sicura con il gesto esperto di chi si allena tutti
i giorni a sparare. Si avvicinò lentamente, con tutta la grazia di cui era
capace, fino a portarsi al suo livello.
- Michelle, sono io. Mi riconosci? -
Alzando gli occhi, la bambina lo guardò attraverso il velo dei capelli rossi
che le ricadevano in volto, singhiozzando. - Zio... -
Deglutì. - Non...lo so. Tua zia è... -
Michelle abbassò lo sguardo.
Gli stava nascondendo qualcosa.
- Zio Mike è scappato prima che potessi finire -
Non fece in tempo a capire quello che aveva detto.
D'improvviso il rumore delle ossa che si spezzavano e il dolore che gli scorreva
come un fiume in corpo lo fecero gridare e cadere all'indietro, sul
pavimento. Le mani gli dolevano da matti.
Se le portò al volto, prima di rendersi conto che entrambe non c'erano più, e
al loro posto i tendini tagliati e le ossa sporgenti dalla carne sanguinolenta
lo salutavano grotteschi, muovendosi al minimo tocco e facendo cadere polvere di
osso a terra.
Sconvolto.
Guardò la bambina, in piedi, sporca di sangue, in mano un coltello elettrico da arrosti
che sfrigolava come in attesa di tagliare un altro po' di carne, mentre quella
che aveva già tagliato e che era rimasta attaccata alla lama seghettata cadeva
in piccoli schizzi di sangue seguendo un ampio cerchio, a seconda della forza
con cui veniva sbalzata.
Sorrideva, felice.
- Ma dopo andrò a preparare anche lui! -
Era felice come davanti a un giocattolo nuovo.
Prima che potesse riprendere a strillare di terrore, la piccola si gettò su di lui
brandendo la sua arma.
Quando si riprese, si rese conto che erano
passati più di cinque minuti.
Con un grugnito, Rick Shaw alzò la testa indolenzita, quasi intontita come non
gli era mai capitato dopo una botta come quella che aveva ricevuto. I casi erano
due: o a quarantotto anni era davvero troppo vecchio per quelle cose, oppure
c'era qualcosa di più.
Dovette optare per la seconda ipotesi quando si rese conto che era in mutande, aveva una corda a
tenergli fermi i piedi al divano, le mani avvolte nel nastro adesivo e che non
lontano c'era una boccetta che in passato doveva contenere dei sonniferi in
gocce e che era vuota.
Quanto cazzo era stato addormentato? Dalla finestra, ormai, non proveniva più
nessuna luce, a parte quelle lontane dei vicini ignari.
E soprattutto, dove diavolo era finito quell'idiota di Meyers? Sta' a vedere che
l'aveva lasciato lì come un idiota e aveva preso troppo alla lettera le sue
istruzioni: va bene che aveva detto di uscire e chiamare i rinforzi, ma sperava
che un minimo di aiuto potesse darglielo, che cazzo!
- Ecco! Ti sei svegliato! -
Oh, no. Non quella voce.
Con un terrore crescente a invadergli il corpo, mentre la pelle d'oca gli
ricopriva la cute come la superficie di una grattugia, il detective
alzò gli occhi, velati di sonno drogato, rabbia e disgusto.
L'essere si era rivelato in tutto il suo orrore, e adesso era lì, davanti a
lui, il vestitino terrificante imbrattato di sangue e quell'espressione di
grottesca gioia a contemplare il dono che si era appena presentato a casa sua:
batté le mani, facendo gocciolare il liquido nero a terra, un sorrisetto
maligno sulle labbra, facendo gridolini di gioia.
Rick Shaw capì perfettamente che Meyers non ce l'aveva fatta.
Ciononostante, e nonostante la nausea che montava e rischiava di fuoriuscire dal
suo corpo come un vomito indemoniato con il solo effetto di peggiorare la
situazione, non le diede soddisfazione e non parlò.
La puttanella inclinò la testa a sinistra, guardandolo attentamente, poi
scomparve per un paio di minuti, lasciandolo solo: quando tornò, reggeva in
mano un barattolo di vernice rosa e un pennello da muratore. Il vedere quegli
oggetti fece nascere immediatamente il sospetto al detective che era davvero
troppo vecchio se non si era subito accorto che in quella bambina c'era qualcosa
che non andava.
Come in tutti i bambini, d'altronde.
Lo aveva sempre saputo, da quando aveva
beccato suo figlio a emulare le guerriere Sailor Moon con addosso la gonna e la
biancheria di sua moglie, che nessun ragazzino prima dei quindici anni aveva le
rotelle a posto.
Ma questo, pensò mentre la carnefice gli passava il colore sulla faccia
e lasciava uno strato spesso e impossibile da togliere di vernice sulla sua
pelle piena di capillari rotti e ormai ingrigita dal fumo, era troppo.
Che razza di abominio avevano creato i suoi genitori?
Alla fine, l'orrore si allontanò per rimirarlo, e fece un verso per esprimere
la sua soddisfazione che era molto simile al rantolo di di condannato a morte
alla prima delle tre iniezioni letali.
- Ooooh! Sei davvero troppo carino!! -
Il detective Shaw, troppo furioso e disgustato per fare qualunque cosa, abbassò
lo sguardo. - Maledetta, piccola troia... - sibilò dolorante, sentendo la
vernice mettere in atto una qualche reazione allergica sulla sua epidermide.
Sembrava che gli stessero staccando la pelle con una paletta da dolci, e non si
stupì quasi nel vedere in certi punti dove c'erano vecchie ferite delle strisce
rosse che stavano a indicare che si erano riaperte.
La bambina si avvicinò. Si attaccò al suo collo, facendolo quasi soffocare per
il vomito che era ormai salito a bloccargli la trachea e i brividi che lo
scuotevano, e lo accarezzò con la stessa dolcezza di un gatto che gioca con un
topolino, sguainando le unghie. - Oh, Sunny Muffins! -
Eh? Come l'aveva chiamato?
La stretta fra i pochi capelli si fece tanto forte da strapparglieli, mentre la
voce riecheggiò macabra alzata di due ottave. - Sei il mio più grande
grande grande amico!! - Alla fine della frase, l'uomo era sicuro di essere
diventato sordo.
E, oltre il velo della vernice che gli era scesa sugli occhi e glieli stava
facendo lacrimare di sangue, decise di ribellarsi.
- Vaffanculo, stronzetta. Il mio nome è Rick Shaw! -
Lo schiocco sul suo naso fu talmente veloce e doloroso da strappargli un gemito
più di sorpresa, che di dolore: ma quando questo fu finito, e sentì il suo
respiro farsi più affannoso per la rottura del setto nasale, fu capace perfino di
vincere la nausea.
La nausea, il dolore e tutto quello che i bambini gli avevano causati in
vent'anni di vita.
Quella troia non avrebbe vinto; non contro di lui.
La frusta si arrotolò obbediente, seguendo i voleri della sua padrona,
lasciando una piccola scia rossa per terra: mosse un dito da una delle sue
zampette rachitiche in segno di diniego, e sorrise.
- No, no. Sunny Muffins -
Il secondo colpo volò sullo stesso bersaglio di prima, facendolo quasi svenire
per il dolore: quando rialzò lo sguardo, si chiese se per caso il suo naso non
stesse facendo bolle di sangue come nei film, pronte a scoppiare al minimo tocco.
Ringhiò in risposta. - Rick Shaw! -
Il volto mutò, rivelando la sua anima crudele, e la frusta volò nuovamente,
colpendo una spalla: lo squarcio si aprì in meno di un secondo, bruciando a
contatto con la vernice quasi corrosiva e lasciando scivolare via altro sangue
dal suo corpo.
- Il tuo nome...è Sunny Muffins! - replicò, caricando le ultime due parole con
una nuova frustata.
- Rick Shaw! -
Cinque. Sei. Sette.
Il mostro ora si mostrava davvero per quello che era, mentre lo guardava sotto
il sudario di sangue, il sorriso ancora più largo a mostrare le piccole zanne
appuntite.
Lo prese sulle labbra, spezzandole a metà: e questo sì, fece male.
- Sunny Muffins... - Altro colpo, seguito da altro sangue e altre urla. - Dimmi
il nome... - Si sporse in avanti.
Sorrise ancora, e notò che uno dei suoi denti si era macchiato del sangue che
stava schizzando tutto intorno a loro: la piccola richiuse le labbra, e quando
le riaprì, era scomparso. Il suo vestito era più rosa che bianco.
- Suuunny Muffinsssss... -
Adesso sì che respirava attraverso bolle di sangue e aria, ed era perfino cieco
da un occhio.
Schifosa. - Puttana! - ebbe finalmente la forza di urlarle contro, troppo preso
dalla nausea.
- Non ho finito... - Sciaff. - Continuerò fino alla fine... -
Sciaff. Sciaff. Sciaff. - ...dimmi il nome... -
Sciaff. Sciaff. - ...dimmi il nome... -
Sciaff. Sciaff. Sciaff. Sciaff. - Qual è il tuo nome?! -
Ecco, era al capolinea. Ancora poco, e sarebbe crollato davanti ai suoi occhi;
piuttosto la morte.
Piuttosto l'umiliazione.
Piuttosto.
- Dimmi il tuo nome...! -
- SUNNY MUFFINS!!! -
La frusta si bloccò a mezz'aria.
La bocca del mostro era aperta in una piccola O di meraviglia, stupita.
Si avvicinò lentamente, porgendogli un orecchio come per capire meglio. - Qual
è il tuo nome...? - chiese con una vocina carezzevole che istigò tutti i suoi
istinti omicidi e i più orripilanti bisogni di un cesso per vomitare.
No, ti prego, no!
- I...il... - cercò di dire, trattenendo i conati. E' quasi finita, coraggio. -
Il mio nome...è...Sunny...Muffins... -
Crollò a terra, troppo debole anche solo per respirare.
- Ooooh, Sunny Muffins! -
Si avvicinò. Oddio, no. Non quello.
No, il colpo di grazia, no!
Avvicinandosi, la piccola sussurrò teneramente: - Ti voglio bene! - come una
piccola amante focosa, prima di ricoprirgli la faccia ormai piena di piaghe e
sangue di piccoli bacetti bavosi e schioccanti.
Fortunatamente, trotterellò via canticchiando Sunny Muffins, Sunny Muffins
il grande orsetto amico di tutti
prima che lui potesse finalmente vomitare tutto quello che gli era rimasto in
corpo: libero da quel peso, si gettò a terra, troppo terrorizzato da
quell'incubo.
Quando si sarebbe potuto svegliare? Poteva davvero essere così orribile
la realtà, oppure era semplicemente finito dentro uno show idiota che rideva delle sue
disgrazie?
L'occhio sano gli cadde verso sinistra.
Un uomo, tinto di viola scuro e con la testa rasata, restava mogio e in
silenzio, le orecchie tese ad aspettare il ritorno del mostro, per poi guardarlo
sospirando, ormai rassegnato.
- E tu chi cazzo sei? - chiese Sunny Muffins, prendendo fiato e respirando il
suo stesso alito fetido, mentre lo squadrava e gli sembrava di ricordare il suo
volto. Qualche altra vittima della piccola killer?
Aveva importanza, ormai, arrivati a quel punto?
L'uomo sospirò, rivelando nello scuotere la testa un trattamento molto simile a
quello cui era appena stato sottoposto l'ex detective e un orecchio mozzato che
penzolava inerte, attaccato alla pelle da pochi millimetri di cane, ora valvola di sfogo per
una bambina omicida che aveva deciso di trasportare i suoi sogni malati in
realtà. - Horny Flakes, sembrerebbe -
- E che cazzo di fai qui? -
La testa rasata si mosse di nuovo, rassegnata. - Sono il compagno di giochi di
Sunny Muffins -
Si accigliò.
- E chi cazzo è Sunny Muffins? - pensò.
Tutta colpa di quella stronzata di fiaba, dopotutto. Che fine avevano fatto i
sette nani della sua infanzia? E la Bella Addormentata?
...un momento, chi gli
diceva che sarebbe stato meglio finire con le gambe segate a imitare Brontolo,
piuttosto che una sorta di orsetto monco tinto di rosa?
Horny Flakes guardò verso la porta, sentendo i passi felpati del mostro
avvicinarsi: il suo sguardo rivelava il fatto che si era arreso, e che per
lui ormai quella fiaba, per quanto orribile, era la realtà.
- Presto potrà scoprirlo di persona -
La porta si richiuse dietro la loro carceriera.
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Nota dell'autore
Ok, fa schifo come esperimento, ma l'idea mi ha colpito come un fulmine a
ciel sereno e non ho resistito: e la cosa più incredibile è stata che l'ho
scritta nel giro di un pomeriggio (e si vede, ma questa è una cosa a parte...),
un miracolo per i miei standard. Ecco a voi la dimostrazione che Robot Chicken
può nuocere molto gravemente alla salute...
L'ispirazione mi è venuta guardando l'11esimo episodio della seconda serie, lo
spezzone dedicato ai "My Little Pony": seriamente parlando, se volete
cercare qualcosa di davvero idiota e non vi offende la violenza esagerata, le
stronzate più assurde e le prese in giro più orribili contro ogni argomento
scottante come la religione e il razzismo, guardatevi questa serie, è una delle
cose migliori in circolo sul web ultimamente!
Detto questo, vi saluto con la promessa che fra poco (per chi già mi conosce)
tornerò ad aggiornare la mia storia di "Les Sept Vieillards": non
sperate in un'altra puntata come questa se non fra molto, molto, molto, molto
tempo (vi vedo giù tirare un sospiro di sollievo, infatti. Bravi, continuate
così e vivrete a lungo).
Almeno finché non mi sarò laureato.
Ora potete anche tirare un sospiro di sollievo, chiudere questa pagina e
mandarmi a quel paese per aver rovinato la sezione più seria di tutto l'EFPFanfictions...
Nota: seguendo il consiglio di ReaderNotViewer, ho riguardato la storia,
accorgendomi che la prima stesura era piena di errori. Mi dispiace moltissimo di
non essermene accorto prima, spero che la correzione sia stata fatta a dovere;
in caso contrario, avvertitemi pure.
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