La
palude dell'Eden
Dal
Diario di Yuki
Non
so da dove cominciare! Mi sento così in colpa... e non so se
esiste
un modo per rimediare al guaio che ho combinato. No, non io in
verità... Tutto è iniziato a causa di Tadashi e
della sua
imprudenza, ma una parte della responsabilità è
anche mia e non
posso certo far finta di niente.
Non
avrei abbandonato la nave se non fosse stato per corrergli dietro e
cercare di salvargli la pelle. Ma chi ci ha salvato alla fine
è
stato il capitano. Ed è lui che ci ha rimesso più
di tutti. Non ho
ancora avuto il coraggio di andare a trovarlo in infermeria per
vedere come sta! Del resto, le ultime notizie non sono confortanti.
Sono
uscita con un Lupo Spaziale per raggiungere Tadashi e riportarlo
indietro dopo che si era gettato all’inseguimento di una
mazoniana
che fuggiva dal combattimento. Avevamo sbaragliato senza problemi la
pattuglia di cui faceva parte e forse lei cercava soltanto di
mettersi in salvo. O forse voleva attirarci in una trappola. In ogni
caso, Tadashi c’è caduto in pieno e l’ha
inseguita senza farsi
pregare due volte fino al pianeta Eden.
A
dispetto del nome, si tratta di un luogo molto pericoloso e pieno di
insidie naturali... e soprannaturali!Il capitano lo sapeva e ha
inutilmente richiamato indietro Tadashi. Ma questi non ha voluto
ascoltarlo... o forse non lo ha nemmeno sentito. Sembra che le
comunicazioni siano molto disturbate, se non impossibili, una volta
che si entra nella zona d’influenza del pianeta.
Ah,
ma anch’io non avrei dovuto disubbidire al capitano per
raggiungere
Tadashi! Se l’avessi fatto, adesso non saremmo in questa
situazione...
Con
il mio gesto l’ho costretto a venire a salvarci tutti e due:
deve
essersi preoccupato... e arrabbiato quando dall’hangar gli
hanno
comunicato che un altro Lupo Spaziale stava abbandonando
l’Arcadia
e che a bordo c’ero io. Che vergogna... la sua brava Yuki che
gli
disubbidisce come l’ultimo dei suoi sottoposti!
Il
capitano dev’essere uscito subito dopo di me
perché mi ha
raggiunta quando ero penetrata da poco nell’atmosfera di
Eden.
Giusto in tempo per vedere il caccia nemico che mi attaccava alla
sprovvista, e che si era levato in volo da una radura che mi ero
lasciata alle spalle, nascosta dalla selvaggia vegetazione del luogo.
Il
capitano non ha fatto in tempo a sparare per primo e così
sono stata
colpita: il Lupo Spaziale ha virato improvvisamente a destra,
perdendo quota quando l’ala è saltata. Ho cercato
di tenerlo su il
più a lungo possibile e devo dire che sono stata brava
(anche se è
una magra consolazione in mezzo a tutto questo casino): sono riuscita
ad atterrare dignitosamente in uno spiazzo erboso, nonostante le
condizioni del velivolo.
Nel
cielo sopra di me ho visto tracce di altri colpi sparati e ricevuti e
poi la navetta mazoniana che precipitava lontano da noi.
Ero
spaventata, ma non per me e nemmeno per il capitano: non avevo visto
alcuna traccia di Tadashi nei paraggi e questo mi angosciava. Forse
le mazoniane lo avevano già catturato?
Poi
il Lupo del capitano ha sorvolato la mia zona, passando oltre.
All’inizio credevo non mi avesse vista, ma subito dopo ho
immaginato che fosse perché il punto dove mi trovavo non era
sufficientemente ampio per tutte e due le navette e lui non sarebbe
mai riuscito ad atterrare. Poiché non potevo sapere dove
avrebbe
trovato posto per planare, decisi di aspettare all’interno
dell’abitacolo del mio Lupo. Sapevo che sarebbe stato lui a
venirmi
incontro e se avessi cercato di raggiungerlo io avremmo rischiato di
non trovarci mai, dato che ci era impossibile comunicare, sia con le
trasmittenti delle navette che con quelle inserite nei caschi delle
tute spaziali.
Sembra
che mi stia giustificando, ma non è così: so di
aver fatto la cosa
giusta. L’unico errore è stato aver preso
l’iniziativa senza
consultare il capitano, uscendo da sola alla ricerca di Daiba. Ma
anche adesso, nonostante tutto quello che è successo, forse
rifarei
la stessa scelta... oh, non lo so... è che Tadashi rischiava
troppo,
là fuori da solo, perché lo abbandonassi a se
stesso.
Il
capitano mi ha raggiunta presto: l’ho visto arrivare con il
suo
consueto passo cadenzato e tranquillo. La sua sola vista mi trasmette
sempre un senso di sicurezza ed era stato così anche in
mezzo a
quell’inferno verde.
“Mi
dispiace, capitano!” è stata la prima cosa che gli
ho detto,quando
ci siamo trovati faccia a faccia.
Lui
non ha detto niente. Non mi ha rimproverata,non mi ha scusata...
Ha
risposto solo: “Seguimi, Yuki”.
E
questo mi ha fatto sentire ancora più in colpa.
Io
ho ubbidito e sono andata dietro a lui a testa bassa, come un
cucciolo che viene ricondotto alla tana dopo essere sfuggito alla
sorveglianza degli adulti.
Non
ho però abbassato la guardia: sarebbe stato da stupidi,
lì in
mezzo. Dentro di me potevo sentirla pulsare la certezza che fra
quegli alberi possenti, ricoperti di muschio e liane d’ogni
specie,
si nascondevano le nostre nemiche. E non sbagliavo.
L’assalto
è stato furioso e fulmineo, come è nello stile
delle mazoniane. Ben
presto ci ritrovammo in una situazione simile a quella che Harlock
aveva già dovuto affrontare con Tadashi nella foresta
amazzonica.
Solo che questi erano soldati ben addestrati, nulla a che vedere con
le selvagge driadi della foresta sudamericana.
Ci
hanno attaccato da tutti i fronti: con il vantaggio di trovarsi in un
ambiente a loro tanto affine credo sia stato molto semplice
accerchiarci, cercando di ucciderci come topi in trappola.
Nascosti
dietro ripari di fortuna, talvolta schiena contro schiena e sempre in
movimento nel tentativo di avvicinarci il più possibile al
Lupo
Spaziale, io e il capitano abbiamo dato battaglia alle serve di
Raflesia,difendendoci l’un l’altra.
In
quel momento avrei dato la mia stessa vita per lui: se era
lì con
me, completamente circondato da mazoniane pronte a tutto pur di
ucciderlo, era colpa mia e per nulla al mondo avrei permesso che
fosse lui a pagare per la mia scelta avventata.
Avrei
dovuto immaginare che un simile pensiero occupava anche la sua mente.
Harlock non ha mai permesso che a qualcuno dei suoi uomini accadesse
qualcosa quando era in suo potere impedirlo. Avrei dovuto rendermi
conto che con la sua pistola e la sua mira infallibile copriva anche
parte dei miei bersagli... accorgermi che in più di
un’occasione
mi faceva scudo con il suo corpo!
E’
una ferita da niente... Solo un graffio, ha detto lui. Sufficiente
però per lacerare la spessa tuta sul braccio destro e
procurargli
un’emorragia di una certa entità. Sufficiente
perché le
misteriose sostanze contaminanti di Eden penetrassero dentro il suo
corpo quando abbiamo attraversato la Palude...
Tutto
è accaduto durante il nostro tentativo di allontanarci dalle
mazoniane e di raggiungere il caccia. Non potevamo badare molto alla
strada da percorrere e inoltre il fatto di non conoscere il campo di
battaglia non ci aiutava di certo ad evitare i luoghi più
insidiosi.
Per questo motivo siamo stati costretti ad addentrarci nella
Palude... Un luogo fetido dal quale si levano miasmi verdastri che
solo i filtri sofisticati del nostro casco ci permettevano di non
respirare.
E’
stato lì che Harlock ha iniziato a sentirsi male.
I
misteriosi agenti contaminanti della palude devono essere entrati in
contatto con il suo sangue attraverso la ferita aperta,che non era
stato possibile fasciare. Spruzzi e schizzi si sono alzati in gran
quantità durante la nostra fuga attraverso quel luogo
maledetto e la
mia tuta integra mi ha protetta perfettamente, ma lui...
C’eravamo
lasciati indietro la palude da alcuni minuti quando il capitano
è
caduto a terra in ginocchio, ansimante. Già da un
po’ lo avevo
distanziato nella corsa, ma non pensavo che la causa potesse essere
diversa dall’emorragia provocata dalla ferita.
La
prima volta si è rialzato da solo, allontanando la mano con
cui
cercavo di aiutarlo a risollevarsi. Credo abbia dovuto fare forza
contro se stesso per trovare le energie necessarie a rimettersi in
piedi... non l’avevo mai visto così pallido! Aveva
fretta che ci
rimettessimo in marcia per non perdere il piccolo vantaggio
accumulato sui nostri inseguitori.
Ma
siamo riusciti a fare solo poche centinaia di metri prima che lui si
sentisse male di nuovo. L’ho visto cadere e sono tornata
subito sui
miei passi, decisa a sorreggerlo con le mie spalle se fosse stato
necessario. Non avrei ammesso alcun rifiuto, perché dentro
di me già
temevo che mi ordinasse di andare avanti da sola. L’avrebbe
fatto,
ne sono sicura, è tipico del suo cuore generoso. Lo avrebbe
fatto,
se solo ne fosse stato in grado.
Quando
mi sono chinata su di lui, Harlock ansimava in preda a forti dolori:
le braccia strette al petto, gli occhi serrati, sembrava quasi
insensibile ad ogni mia parola, ad ogni mio richiamo, ad ogni
tentativo di farlo rialzare per aiutarlo a fuggire via con me.
Ad
un tratto ho sentito che sussurrava il mio nome. Una supplica. Ed ho
capito che mi invitava a scappare senza di lui.
“No”
gli ho risposto “No, non lo farò mai. Io resto qui
con voi! Resto
qui: la mia pistola basterà per tutti e due!”
Sapevo
bene che non poteva essere così, perché le
mazoniane erano ancora
troppe, nonostante nel primo scontro fossimo riusciti a ucciderne un
gran numero. Non avrei mai potuto eliminarle tutte da sola. Ma avrei
potuto fargli scudo con il mio corpo fino all’ultimo,se fosse
stato
necessario, e salvargli la vita. O morire con lui.
Ero
praticamente sopra di lui, la pistola spianata, tutti i sensi vigili
per captare ogni minimo rumore, ogni più debole movimento,
quando ho
sentito qualcosa che mi sfiorava una caviglia. Mi sono voltata, in
allarme: era il capitano. Mi aveva toccato le gambe con le dita
tremanti e ora mi fissava, il suo unico occhio sbarrato... Mi sono
chinata su di lui, senza sapere che fare, temendo il peggio.
“Fammi
rialzare...” mi ha sussurrato.
Ho
annuito, le mani febbrili che cercavano di afferrarlo sotto le
braccia per tirarlo su.
“Ci
penso io capitano, vi rialzo, vi porto via... adesso...”
“No”
ha detto lui, la voce roca che stentavo a riconoscere
“Voglio...
combattere...”
Avrei
dovuto immaginarlo!
Non
mi avrebbe mai lasciata da sola a battermi contro le mazoniane,
né
avrebbe accettato di concludere la sua vita come un coniglio in fuga.
Ho
dovuto fare come mi diceva... Anche se avrei preferito disubbidire ai
suoi ordini. Ma come potevo contrariarlo dopo che era stato proprio a
causa della mia insubordinazione che lui si era ritrovato in questa
situazione?
E
soprattutto, come potevo dirgli di no quando il suo sguardo mi
ordinava e supplicava allo stesso tempo di lasciargli decidere come
voleva morire?
Con
la sinistra premuta al centro del petto, seduto con una gamba distesa
a terra e l’altra raccolta, la destra che reggeva con
saldezza la
cosmo dragoon come se il resto del corpo non fosse in preda a spasmi
dolorosi, il capitano si preparava ad affrontare le mazoniane che ci
avevano praticamente raggiunti. Le potevamo avvertire mentre si
appostavano dietro agli alberi, in attesa che tutte le unità
da
combattimento fossero al loro posto prima di attaccare. O forse,
vedendoci ancora lì allo scoperto in attesa del loro arrivo,
erano
convinte che gli avessimo teso una trappola.
Sentivo
la schiena del capitano appoggiata alle mie gambe, rigida per
controllare i tremori che attraversavano ogni muscolo del suo corpo,
e la sua presenza vigile e calda bastava a infondermi una calma
innaturale. Avrei combattuto per lui, per riportarlo vivo
sull’Arcadia dove il dottor Zero avrebbe potuto curarlo.
Le
mazoniane erano tutte in postazione: riuscivo a cogliere i cenni e i
comandi che si scambiavano oltre il fogliame rigoglioso. Sapevo che
stavano per fare fuoco, ma noi eravamo pronti a riceverle.
La
salvezza giunse dal cielo, inaspettata, assieme al ringhio selvaggio
del motore del Lupo spaziale e a una raffica di colpi che falciarono
la prima linea di soldati, incendiarono gli alberi e sfiorarono le
nostre teste con un vento caldo. Non sono mai stata così
felice di
vedere Tadashi!
Fortunatamente,
riuscì ad atterrare poco lontano con la sua navetta, quando
ormai le
mazoniane non erano altre che torce vive che urlavano di dolore o
cumuli di cenere dispersi dal vento.
Assieme,
abbiamo portato a spalle il capitano fino al Lupo spaziale di Tadashi
e io sono ripartita da sola con quello di Harlock: Daiba lo aveva
visto dall’alto mentre sorvolava la foresta e mi ha scortata
fino a
lì. Nonostante fossimo riusciti a scampare
all’attacco delle
mazoniane, io non riuscivo a sentirmi sollevata, troppo in ansia per
le condizioni del nostro capitano... E avevo ragione, purtroppo!
Quando
siamo arrivati sull’Arcadia, Harlock aveva ormai perso
conoscenza.
Il dottor Zero l’ha fatto portare immediatamente in
infermeria...
Aveva già la febbre alta e il suo corpo era contratto da
spasimi
dolorosi.
Adesso
non so come stia: il dottore è sempre là con lui
e credo che abbia
anche ultimato tutte le analisi, ma non ci ha ancora detto che cosa
ha scoperto. O forse preferisce non farcelo sapere...
Mio
Dio, che angoscia! E se Harlock dovesse morire? Non potrei mai
perdonarmelo!
Io
vorrei solo che guarisse, qualsiasi siano le conseguenze della
contaminazione.
Mi
chiamano dall’infermeria: notizie del capitano! Devo correre!
Yuki
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