Finalmente
il mio turno di lavoro è finito e posso uscire da
quell’inferno che è la miniera. Sento le ferite
della fustigazione tirarmi la pelle, provocandomi fitte dolorose, che
si uniscono all’indolenzimento dei muscoli provati dalle
lunghe ore di sforzo, dopo la pausa obbligata dovuta alla mia
convalescenza e alla chiusura delle miniere. Sospiro di sollievo,
quando l’aria fredda della sera mi sferza il volto, portando
con sé il familiare odore del bosco.
Osservo il cielo, che sta perdendo quella tipica
sfumatura arancione del tramonto per tingersi del nero della notte, e
mi dirigo verso casa. Come attratto da un antico richiamo, mi avvicino
alla recinzione in fondo al Prato. Rimango immobile, osservando la
sagoma scura delle montagne che si estendono al di là dei
boschi nei quali ero solito cacciare. Il desiderio di eludere il filo
spinato è prepotente, ma le ferite lasciate dalla frusta del
pacificatore sembrano avermi messo in testa un minimo di buon senso e
mi fanno desistere; o forse, è la certezza di non trovare un
bottino soddisfacente, unita alla paura di dover riversare tutto il
peso della sopravvivenza della mia famiglia sulle spalle di Rory, che
mi trattiene dal violare un divieto di cui per anni mi sono fatto
beffe.
Col cuore pesante, e la mente affollata da troppi pensieri, mi
allontano dalla recinzione; ma, invece di tornare verso casa, mi dirigo
verso il centro cittadino. Non so per quale motivo mi sono spinto sin
qui, forse per osservare le modifiche che il nuovo capo dei
pacificatori ha messo in atto, per assicurarsi un maggiore controllo
sugli abitanti del nostro distretto. Osservo con astio
l’imponente palco per le fustigazioni che sorge dove durante
le mietiture un altro palco, ugualmente inviso, terrorizza tutti i
ragazzi dai dodici ai diciotto anni e le loro famiglie.
Sebbene l’anno scorso sia stata la mia ultima mietitura e non
posso più essere estratto per partecipare agli Hunger Games,
l’idea che tra qualche mese sarò costretto
nuovamente a vedere quell’assurda donna di Capitol City
immergere le sue mani perfettamente curate nelle bocce contenenti i
nomi di ragazzi troppo giovani, che hanno come unica colpa quella di
essere dell’età giusta per i Giochi, mi raggela il
sangue nelle vene. La paura che provo in questo momento è
completamente diversa da quella che mi ha accompagnato negli ultimi
sette anni; se possibile, è ancora più forte,
impregnata del senso d’impotenza dato dalla consapevolezza
che Rory dovrà affrontare la sua prima mietitura da solo,
senza nessuno che possa offrirsi per lui, nel caso il suo nome venga
estratto. Per la prima volta, desidero di poter essere ancora
sorteggiabile, per garantire a mio fratello la sicurezza di non morire
a dodici anni, ma mi rendo conto di quanto assurdi siano i miei stessi
pensieri: se al posto di Prim, l’anno scorso, fosse stato
estratto mio fratello, io mi sarei realmente offerto al suo posto come
ha fatto Katniss? La risposta, che fino all’anno scorso
sarebbe stata scontata, tarda ad arrivare, e la mente si concentra
sull’unica persona che sto cercando di dimenticare.
Tutto questo è assurdo! Solo pochi mesi fa ero stato io a
proporle di fuggire, e adesso mi ritrovo a fingere che la sua proposta
sia irrealizzabile, solo a causa della gelosia che provo verso quello
che presto diventerà suo marito.
Volto lo sguardo verso la panetteria dei genitori di Peeta, e lo vedo
uscire con le braccia cariche di pacchetti che, quasi sicuramente,
finiranno sulla tavola di Katniss. Decisamente questa non è
la mia giornata fortunata, ma sembra che il ragazzo sia troppo
concentrato ad evitare i lastroni di ghiaccio per prestare attenzione a
me, che posso finalmente tornare verso casa. Durante il tragitto, vedo
le poche persone ancora in strada osservarmi e scuotere il capo, prima
di girare la testa dall’altra parte, come se fino a un paio
di settimane fa non avessero mai fatto a gara per aggiudicarsi una
coscia dei tacchini che io e Katniss portavamo al Forno; ma si sa,
l’animo della gente è codardo e opportunista: e
adesso, più di prima, conviene condannare le azioni illegali
che assicuravano una buona cena.
Stanco e ancora irritato varco la soglia di casa, dove
mia madre è intenta a riporre negli scaffali quasi
completamente vuoti della credenza alcune lattine. Appena mi vede il
suo sguardo si rabbuia e ordina a Vick e Posy di andare
nell’altra stanza. Non riesco a capire il suo comportamento,
poi la mia attenzione viene nuovamente attratta dalla piccola scorta
che fa bella mostra di sé sulla mensola.
“Capitol si è accorta che il Giorno dei Doni ci ha
mandato cibo avariato e ha voluto rimediare?” domando
ingenuamente, quasi volessi veramente credere alle mie stesse
parole.
“No”. La voce di mia madre è poco
più di un sussurro e la vedo scambiarsi uno sguardo con mio
fratello. Mi avvicino a lei e gentilmente le tolgo dalle mani il
barattolo che ancora non ha sistemato. Osservo la latta, troppo
familiare per far parte dei doni che Capitol City regala per un anno al
distretto dal quale proviene il vincitore dell’ultima
edizione degli Hunger Games, e la consapevolezza si fa strada dentro me
seguita dalle parole di mia madre che fugano ogni possibile
dubbio.
“Rory ha preso le tessere”.
Rimango senza fiato, colpito dall’improvviso dolore che
quelle poche parole hanno il potere di provocarmi. Mi volto di scatto
verso mio fratello.
“Ti avevo detto di non farlo”. Il mio tono di voce
è basso, ma è evidente che non riesco a gestire
la rabbia che mi sta divorando.
“Gale, per favore” mia madre cerca di farmi
ragionare, ma in questo momento non sono in grado di riflettere
lucidamente.
“Posy è ancora sotto le cure della signora
Everdeen, e il cibo scarseggiava. Che cosa potevo fare?” La
logica delle sue parole, unita alla nota d’impotenza nella
voce di mio fratello mi fanno esplodere.
“Sai bene che la madre di Katniss ci avrebbe aiutato anche
senza ottenere un profitto immediato, soprattutto adesso che
può permetterselo. Non avresti dovuto prendere quelle
maledette tessere!” urlo, fuori di me dalla
rabbia.
“Da quando accetti di essere in debito con qualcuno? Proprio
tu, che rifiutavi perfino che Katniss portasse la cacciagione a casa al
posto tuo, mentre tu eri in miniera!”. Mio fratello ha
ragione, ma questo non fa altro che peggiorare la situazione. Rimango
in silenzio, per evitare di pronunciare frasi delle quali mi pentirei
subito dopo, ma Rory fraintende il mio silenzio e rincara la
dose.
“Come credi che possiamo sopravvivere solo col tuo lavoro in
miniera, senza quelle tessere? Soprattutto adesso che mamma ha perso i
clienti a causa della tua fustigazione!”.
“Certo, perché adesso è colpa mia se
quando quella maledetta porta si è aperta non è
comparso quello schifoso di Craig, ma un nuovo capo dei
pacificatori!” sbraito, ma so che tutta
quest’assurda situazione è anche colpa mia, se
solo fossi stato più prudente, adesso non avrei la schiena
ricoperta di cicatrici rosse. Vedo mia madre ammonirci entrambi con lo
sguardo, ma l’occhiata che mi scocca Rory è
più forte del disgusto che provo nel litigare con mio
fratello, un ragazzino di appena dodici anni.
“Preferisco morire di fame, piuttosto che sapere che tu hai
dovuto prendere delle tessere!” urlo ancora, sbattendo il
barattolo di latta sul tavolo, ammaccandolo.
“Il vero problema è che non sopporti di non
riuscire a mantenerci tutti da solo, e non vuoi aiuto”
ribatte Rory. Le sue parole mi pungono nel mio orgoglio già
ferito.
“Come fai a non capire che quelle tessere sono un biglietto
di sola andata per l’arena? Ti rendi conto che alla fine, se
riuscirai a sopravvivere alle prime sei mietiture, il tuo nome
sarà in quella boccia per quarantadue volte, invece di
sette?” urlo ancora, incapace di
contenermi.
“Cosa cambia? L’anno scorso Prim è stata
estratta con una sola nomina; mentre tu, con le tue quarantadue, hai
smesso di essere sorteggiabile. Chi tra i due rischiava di
più?” mi domanda, con aria di
sfida.
“Non venire a dare lezioni di matematica a me!”
esplodo, battendo i pugni sul tavolo. Subito, una fitta di dolore mi
attraversa la schiena ma non me ne curo. Mio fratello e mia madre
sobbalzano, ma Rory sostiene senza esitazioni il mio sguardo. Talmente
preso dalla lite, non mi sono neppure accorto che Vick e Posy sono
sulla porta della cucina e ci osservano, sicuramente attratti da tutte
le nostre urla. Improvvisamente, la scarica di adrenalina svanisce ed
io devo fare forza sulle braccia per non accasciarmi sul tavolo. Sento
la delicata mano di mia madre appoggiarsi sulla mia spalla e la sua
voce chiamarmi pacatamente, mentre io mi sforzo di non sottrarmi
bruscamente al suo tocco, come un animale selvatico ferito.
Senza dire una parola mi dirigo nella camera che divido
con gli altri miei fratelli; per il momento è
l’unico luogo in cui posso rimanere da solo con i miei
pensieri, almeno sino a quando non sarà ora di dormire.
Sfinito, mi siedo sul letto, appoggio i gomiti sulle ginocchia e
nascondo il volto tra le mani. Mi sento un mostro per come mi sono
comportato con Rory, in fondo lui non ha fatto altro che imitare quello
che ho fatto io per sette anni. Percepisco i rumori provenienti dalla
cucina, dove mia madre sta finendo di preparare la cena e i miei tre
fratelli la stanno aiutando ad apparecchiare la tavola.
L’odore della zuppa è invitante, ma il mio
orgoglio ferito m’impone di rimanere rinchiuso nella mia
camera. Sento la voce di mia madre chiamarmi, ma non le rispondo,
troppo codardo per mangiare allo stesso tavolo di Rory.
Rimango immobile con la testa tra le mani –
l’unica posizione in cui mi sembra di riuscire a trovare
sollievo dalle ferite che potrebbero essersi riaperte –
ascoltando i rumori che provengono dalla cucina. Il silenzio del pasto
è intermezzato solo dai cucchiai che raschiano il fondo
delle scodelle, poi il rumore dei piatti nel lavello mi suggerisce che
la cena è finita e che presto dovrò fare
nuovamente i conti con la scelta di mio fratello. Non sono ancora
pronto per questo, ma non ho alternative.
Qualcuno bussa alla porta, non ho voglia di essere
disturbato, ma sono sicuro che prima riaffronterò Rory,
prima potrò porre fine a quest’assurda
situazione.
“Avanti” mormoro tra i denti, mentre la porta si
apre. Alzo appena la testa, contrariato dal fatto che chiunque stia
entrando non abbia aspettato la mia risposta.
“Mamma …” mormoro con affetto, vedendola
entrare con il vassoio dove è appoggiata una scodella di
zuppa e una caraffa d’acqua.
“Non sei sceso a cena, così ho pensato di
portartela in camera” mi spiega, quasi fosse la cosa
più naturale del mondo. Io annuisco, stendendo le mie labbra
in un mezzo sorriso, come segno di gradimento per le sue attenzioni.
Lei appoggia il vassoio sul piccolo comodino, mi siede accanto e mi
passa la scodella ancora tiepida.
“Non sarà più calda come la nostra, ma
almeno non è completamente fredda” si limita a
dire.
“Grazie” taglio corto, avventandomi sulla scodella.
Non mi ero accorto di quanto fossi affamato e in pochi minuti trangugio
tutto il contenuto, senza curarmi dei modi. Lei mi osserva in silenzio
finché non finisco la mia cena. Rimaniamo entrambi zitti,
timorosi che ogni parola potrebbe interrompere la quiete che si
è creata dopo la discussione di oggi.
“Come stai?” La sua domanda mi sorprende, mi
aspettavo una sua ramanzina, non di certo una domanda così
diretta.
“Mi sento uno schifo – ammetto, espirando
profondamente – mi dispiace aver litigato in quel modo con
Rory, ma l’idea che lui possa essere
sorteggiato perché ha preso delle tessere mi manda in
bestia”.
“So cosa vuol dire osservare le mietiture sentendosi
impotenti” mi confida mia madre, accarezzandomi i capelli
ribelli, come faceva quando ero piccolo. Mi abbandono completamente
alle sue carezze, appoggiando la testa sulla sua
spalla.
“Questo per te sarà l’ottavo anno
consecutivo” sorrido mestamente, ma la mia voce si spezza
trasformando la mia frase ironica in un mezzo singulto. Lei non
risponde, limitandosi a prendere un profondo respiro e ad annuire con
la testa.
“Sai, a volte vorrei che tu non fossi stato obbligato a
crescere così in fretta. Ti sei caricato sulle spalle un
peso troppo gravoso da portare da solo, senza contare che era un peso
non tuo. E adesso non vuoi condividerlo con tuo fratello. Credimi,
siete molto più simili di quanto tu non possa
immaginare”. Le parole di mia madre mi rincuorano e mi
rattristano al tempo stesso. Mi sento svuotato, questa conversazione ha
prosciugato le mie ultime forze, e mia madre sembra averlo capito. Si
alza, e dopo avermi dato un ultimo bacio, esce dalla stanza, portando
con sé il vassoio e la scodella vuota.
È ormai sera tardi, quando Rory entra in camera facendo
attenzione a non svegliarmi, ma io lo sto aspettando da quando mia
madre mi ha lasciato solo con i miei pensieri.
“Ehi, Rory” bisbiglio, avvicinandomi a lui e
sedendomi sul suo letto. Lui non mi risponde, evidentemente
è ancora arrabbiato per la mia reazione e non posso che
dargli ragione.
“Mi dispiace per prima, non avrei dovuto prendermela con te.
Non è colpa tua se sei stato costretto a iscriverti per le
tessere” gli dico posandogli una mano sulla spalla,
scuotendolo leggermente avanti e indietro".
“Finalmente ci sei arrivato!” esclama Rory, ancora
freddo, ma nella sua voce riconosco l’ombra furtiva di un
sorriso, poi mi abbraccia, nascondendo il volto nella maglia che uso
come pigiama.
“Gale, ho paura” ammette, cercando di non scoppiare
a piangere. Lo stringo più forte a me, tentando di
rassicurarlo, ma cosa posso dire a un fratello dodicenne che mette in
pericolo la sua vita per aiutarmi?
“Lo so” riesco solo a mormorare, poi, mi limito a
tenerlo stretto a me, finché non si addormenta e lo metto
sotto le coperte.
Dicono che la prima notte dopo aver preso le tessere si sogni di essere
estratti per partecipare agli Hunger Games e si vedano tutti i modi
più crudeli e dolorosi nei quali si possa essere uccisi. A
me è capitato, e forse capiterà anche a Rory, ma
se davvero è in corso una ribellione,
c’è ancora una possibilità che si possa
mettere fine alla terribile macchina degli Hunger Games. Ed io ho
deciso che non mi arrenderò finché questa
possibilità non sarà reale.
Note dell'autrice:
che dire, era un paio di giorni che stavo rimuginando su come Gale
avesse reagito alla scoperta che suo fratello si fosse iscritto per
ottenere tessere in cambio di una piccola fornitura extra di
cibo, così ho provato a buttare giù la mia idea
ed è nata questa one-shot, spero vi sia piaciuta (sempre che
qualcuno abbia avuto la pazienza di leggere fino a qui). Buon 2013 a
tutti!
nica.
Storia partecipante ai seguenti contest: "Smorfia e cabala" di
Giacopinza17, "Second Chance - Storie edite che non hanno avuto il
successo che meritavano" di (SummerRain) e "La notte degli Oscar"
indetto su Writers
Arena Rewind.
I personaggi non mi appartengono.
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