Più
stringeva quel corpo flessuoso a sé, più sentiva
la sua
anima lacerarsi sotto gli artigli del peccato.
Un
simile legame non sarebbe mai stato accettato. I
comandamenti dell’Ordine lo condannavano,
l’opinione pubblica nemmeno lo
contemplava, la morale ne provava repulsione.
Ma
né i giuramenti pronunciati tanti anni prima, né
il
popolo della Cattedrale, nemmeno il pudore incrinarono la sua
determinazione.
Quel
peccato era suo, e solo a lui spettava la scelta. E lui
aveva deciso di macchiarsi di quella colpa. Si sarebbe sporcato
l’anima fino
all’ultima bolgia infernale, se necessario, pur di poter
abbracciare ancora
quel demone.
Lo
sentì tremare contro il suo petto, e lo strinse
più forte
quando tentò di divincolarsi.
Un
essere umano non avrebbe dovuto amare un discendente di
Lucifero. Specialmente un Esorcista.
Rimosse
perfino quel pensiero facendo scivolare le dita
sullo sterno, dove il cuore caldo del diavolo batteva ad un ritmo
accelerato. Era
sicuro che, dei tanti amanti che aveva avuto durante la sua lunga vita,
fossero
stati in pochi ad emozionare tanto le sue membra demoniache.
Il
suo respiro si confuse al profumo inebriante del satanasso
quando poggiò le labbra sul declivio del suo collo sottile.
Era
sbagliato, era peccato.
Ed era così dolce immergersi in quella colpa.
«Deimos…»
lo chiamò, la bocca che accarezzava la pelle
scoperta del demone.
Anche
quella domanda, non avrebbe mai dovuto pronunciarla.
Ma ormai aveva scelto di scendere fino alla fine quella scalinata verso
la
dannazione.
Radunò
il fiato necessario e si sporse verso l’orecchio del diavolo
per sussurrarvi:
«Deimos,
tu mi ami, non è così?»
Capitolo
Uno
Grandi Saggi e
Grandi Stregoni
Vide
tutta la prima fila di scolari trasalire di fronte al
suo sguardo scarlatto.
Trattenne
un sospiro a forza, spingendo gli occhiali sul
naso.
Si
chiedeva perché il Monsignore continuasse a scegliere lui
come insegnante di storia per i bambini del primo anno. Più
erano piccoli, più
erano impressionabili: gli alunni di fronte a lui erano oltremodo
sconvolti dal
colore dei suoi occhi.
Tentò
di essere il più delicato possibile nell’aprire il
tomo di storia: se avesse mosso l’aria con troppa forza,
qualche piccoletto
avrebbe rischiato di morire di spavento.
Forse
il Monsignore voleva temprarli fin dalla più tenera
età. O forse si divertiva a vedere il più
spavaldo dei suoi Esorcisti essere
costretto a passare un’intera ora con lo sguardo abbassato.
«Sapete
tutti perché viviamo nelle Cattedrali, e perché
temiamo allo stesso modo angeli e demoni?»
domandò, tentando di moderare il
tono baritonale della sua voce. Con scarsi risultati: la prima bancata
arretrò
verso la seconda, tanto che le sedie cozzarono contro i banchi
retrostanti.
Una
mano paffuta dall’infanzia si sollevò ciarliera.
«Maestro,
ma gli angeli non dovrebbero essere buoni?» trillò
il bambino.
Lastar
chiuse il libro di testo, causando una mezza sincope
agli studenti più vicini. Tutti gli anni c’era
almeno un alunno che faceva
quella domanda.
«Hai
detto giusto. Dovrebbero» poggiò il tomo
scolastico
sulla cattedra e si voltò verso la lavagna alle sue spalle.
Afferrò il gesso e
cominciò a scrivere sulla superficie nera.
«Come
saprete, all’inizio il mondo era popolato solo da
esseri umani. Tra questi, vi erano alcuni uomini particolarmente
portati per la
magia bianca o per le scienze oscure» i nomi dei due
allineamenti, Grandi Saggi
e Grandi Stregoni, vennero vergati nella grafia graffiante
dell’Esorcista. «Il
loro potere era enorme. Nessuno di noi, nato in quest’epoca,
può immaginare
quanto fosse smisurato.»
Gli
allievi trattennero il respiro fino all’ultima fila e
Lastar proseguì:
«Per
incrementare ulteriormente il loro potenziale, i Grandi
Saggi decisero di espellere la propria parte negativa, e i Grandi
Stregoni la
loro parte positiva, diventando così l’Archetipo
degli angeli e dei demoni
odierni.»
«Il
cosa?»
Quello
fu il terzo sospiro che trattenne, dall’inizio della
mattina. Dimenticava sempre quanto fosse limitato il vocabolario dei
bambini di
quell’età. Avrebbe dovuto essere il più
elementare possibile.
Scrocchiò
le dita, seminando il panico nella prima fila. La
muscolatura tonica del suo corpo e l’ossatura robusta
sembravano create apposta
per sostenere pesanti pestaggi, o per infliggerli. Alcuni alunni
sentivano già
le guance bruciare per gli schiaffi, ma il loro agghiacciante maestro
si limitò
ad appoggiare le dita sgranchite sulla cattedra.
«In
altre parole, un Grande Stregone espelle la sua parte
buona; quindi abbiamo un corpo totalmente malvagio e uno spirito senza
corpo
totalmente benefico.»
«Quindi
si forma un demone» concluse una bambina dai codini
dorati.
«No»
la contraddisse Lastar «Si formano un demone e un
angelo.»
«Ma
uno spirito non si tocca» protestò un bimbetto con
la
faccia tempestata di lentiggini. «Gli angeli
sì.»
Quello
fu il quarto sospiro soffocato. Doveva
essere elementare con
le spiegazioni.
«Lo
spirito da solo aveva abbastanza energia da riuscire a
diventare materiale nonostante fosse staccato dal corpo» i
suoi occhi
inquietanti si incupirono. «Era questo che intendevo, quando
vi ho detto che
noi non possiamo nemmeno immaginare quanto
fossero potenti.»
Si
voltò di nuovo verso la lavagna e puntò il gesso
sulla
scritta “Grandi Saggi”.
«Gli
angeli sono i Grandi Saggi del passato depurati dalla
loro parte malvagia…» spostò il gesso
sull’altra iscrizione: «Ma altri sono
stati generati dall’anima pura che i Grandi Stregoni hanno
espulso. Per questo
parliamo di due categorie di angeli e demoni: gli Archetipi e gli
Apocrifi.»
Spostò
di nuovo il gesso sulla prima scritta e poi sulla
seconda, spiegando:
«Gli
Archetipi sono i Grandi Saggi, che diventarono angeli dopo
la depurazione dell’anima. Gli Apocrifi, invece, sono la
parte buona espulsa
dai Grandi Stregoni. La stessa cosa vale per i demoni.»
«Quindi
i demoni Archetipi sono i Grandi Stregoni e i demoni
Apocrifi sono le emanazioni malvagie dei Grandi Saggi?» il
viso rotondo del
bambino si illuminò in un sorriso, quando il maestro
annuì.
«Il
primo angelo Archetipo fu il Grande Saggio Gabriel, che
emanò Satana. Il primo demone Archetipo fu Lucifero, che
emanò Michael. In
totale, abbiamo dieci angeli e dieci demoni Archetipi. Ma vi
spiegherò la
genealogia durante la prossima lezione.»
Lastar
tamburellò le dita sul testo scolastico: era il
momento di affrontare la parte più spinosa
dell’argomento.
«Gli
esseri umani sono stati creati come una comunione tra luce
ed ombra. In ciascuno di noi albergano sia il bene, sia il male. Siamo
stati
creati così, e così dobbiamo rimanere per
mantenere l’equilibrio. Nessuno può
opporsi a questa legge. Né noi, né i Grandi del
passato.»
Gli
alunni si scambiarono bisbigli perplessi, e Lastar alzò
appena la voce per ottenere di nuovo il silenzio.
«La
parte di estremo bene e quella di estremo male anelavano
la metà da cui erano state separate. Inoltre, vivendo a
contatto con gli umani,
i pensieri malvagi degli uomini indebolivano gli angeli, e le azioni
benevole
fiaccavano i demoni.»
«Come
è possibile?»
«Perché
non possedevano più la metà che avrebbe mitigato
quell’influenza:
ad un essere di sola luce basta una minima ombra per sbiadire,
così come
all’ombra più totale è sufficiente un
barlume di chiarore per scolorirsi» i
volti smarriti dei suoi scolari lo convinsero ad essere più
semplice: «Noi
possiamo resistere alle tentazioni dei demoni perché abbiamo
una parte malvagia
che li capisce e una buona che li rifiuta. Ma un essere totalmente puro
non ha
più la metà necessaria a comprendere il male, per
cui ne viene stravolto.»
Quinto
sospiro, questa volta di sollievo, quando i suoi
alunni parvero comprendere.
«Il
problema era sorto con gli umani, per cui sarebbe stato
risolto con gli umani» predicò grave Lastar.
Sperava che il suo linguaggio non
risultasse troppo tagliente per orecchie così ingenue, ma
non conosceva altro
modo esprimersi: «Gli angeli iniziarono a mangiare la parte
più corruttibile
degli uomini, ossia la carne, per bilanciare la loro energia
immacolata; i
demoni, al contrario, presero a cibarsi della parte più
pura, cioè l’anima, per
stemperare il loro spirito oscuro. In questo modo, la loro energia
interna
riuscì a stabilizzarsi. Tuttavia…»
rimase qualche secondo in silenzio, quindi
proseguì: «Il loro potere, con il raggiungimento
di un nuovo equilibrio,
ottenne un nuovo vigore. Per questo gli angeli e i demoni divennero
ingordi di
quel nuovo cibo.»
L’orrore
sgranò gli occhi e impietrì le membra dei suoi
piccoli ascoltatori, ma ciò non gli impedì di
seguitare:
«Gli
umani furono così cacciati sia dagli angeli che dai
demoni e, dopo il massacro dei Trent’anni di Sangue, gli
uomini si rifugiarono
nelle roccaforti degli Esorcisti per ottenere aiuto e
protezione.»
«È
per questo che non ci sono uomini al di fuori delle
Cattedrali?» petulò un bambino dalla terza fila.
«E
che non si può uscire senza la scorta degli
Esorcisti?»
chiocciò un altro.
«Esatto.
Altrimenti finireste sbudellati.»
Provò
l’impulso di mordersi la lingua per quella frase
infelice: i bambini contorsero il viso in espressioni raccapriccianti,
come se
in aula ci fosse stato davvero un tizio che riversava le sue viscere
sul
pavimento. Lastar avrebbe voluto togliersi gli occhiali e massaggiarsi
le
tempie. Odiava quelle carinerie raggruppate sotto il nome di
“cortesia”:
preferiva l’azione e il linguaggio crudo degli scontri.
«Altrimenti
potrebbero succedervi delle brutte cose»
ridimensionò, per poi cambiare discorso: «Qualcuno
di voi ha delle domande?»
Una
mano si sollevò timida dalla penultima fila, e Lastar
concesse la parola al moccioso con un cenno del capo.
«I
demoni e gli angeli hanno dei capelli e degli occhi
strani, vero?»
La
mascella dell’Esorcista si contrasse come per un crampo
improvviso. Conosceva quella premessa, e indovinò la domanda
successiva prima
ancora che il piccoletto la ponesse:
«Lei
ha gli occhi rossi come un demone…»
Il
Monsignore lo aveva pregato di non essere dispotico con i
bambini. Ma lui lo aveva supplicato di non assegnargli anche
quell’anno la
prima lezione di storia a dei lattanti che ancora puzzavano di culla.
Il
ricordo delle sue vane implorazioni, assommato
all’irritazione per quella
domanda indiscreta, gli permise di non sentirsi troppo perfido nel
circumnavigare la cattedra per portarsi esattamente di fronte al suo
pubblico
infantile.
Trasse
un profondo respiro, ed issò sul naso le lenti da cui
si intravedevano i suoi tanto famigerati occhi purpurei.
Dal
giorno in cui era nato, la gente della Cattedrale non
aveva fatto altro che congetturare sulla natura delle sue iridi
scarlatte, e
spaventarsi per la preponderanza del colore rosso nella sua persona.
Gli
occhi sanguigni si iscrivevano nella cornice delle
ciglia cremisi, misero preludio della chioma dalla ribollente tinta
vermiglia.
Solo la pelle, il cui pallore era stato alimentato dalla vita trascorsa
nell’ombra
della cattedrale, stemperava quella profusione di toni lavici. Assieme
alla
tonaca del suo Ordine, nera come previsto dal regolamento, anche se
Lastar si
era permesso si apportare alcune migliorie per adattarla al suo stile
di vita.
Lasciò
che i suoi occhi amaranto si spostassero su ogni
singolo scolaro, prima di proferire, con un ghigno agghiacciante:
«Vi
state chiedendo se sono un Marauder?
No, non lo sono. Ho questi occhi perché mia madre fu
rapita da un demone, e stuprata per tutto il periodo della sua
prigionia.
Sapete che cosa è uno stupro o devo spiegarvelo?»
La
Cattedrale non seppe mai come quella conversazione
sarebbe potuta degenerare: l’ululato tenebroso della sirena
di allarme
riecheggiò sulle pareti in pietra dell’edificio,
rimbombando nei cuori della
gente.
Lastar
impiegò meno di un battito di ciglia per recuperare
la sua professionalità.
«Siamo
sotto attacco» annunciò alla terrorizzata
scolaresca.
«Uscite di qui e seguite le Sorelle. Vi porteranno ai rifugi.
Presto!» li
incalzò, vedendo che quelli non si muovevano, paralizzati
dal terrore.
Chi
piangendo e chi ricacciando orgogliosamente le lacrime,
i bambini sciamarono fuori, dove una suora la cui dolcezza era stata
irrigidita
dallo spavento li condusse rapida lungo i corridoi.
Lastar
rimase nella stanza e, assicuratosi di non essere
visto, cominciò ad estrarre le sue armi. Per non spaventare
la gente comune,
gli Esorcisti erano stati costretti ad inventarsi i trucchi
più fantasiosi per
essere equipaggiati senza darlo a vedere. Lui era stato particolarmente
pigro
con la creatività: aveva nascosto tutti i suoi attrezzi in
pesanti croci di
metallo, simbolo del suo Ordine.
La
grande croce d’oro che portava sulla schiena nascondeva
in realtà una spada, le due di argento fissate sugli stivali
neri si
trasformavano in pugnali ed il paio cucito sugli avambracci, se
adeguatamente
assemblato, si trasformava in una coppia di pistole. Senza contare il
gioiello
che pendeva al termine del suo rosario, la piccolissima croce
d’avorio che
sparava aghi avvelenati se si premeva sull’incrocio dei
bracci. Cy, il loro
scienziato, aveva superato se stesso nel creare armi adatte anche alla
vita
quotidiana nella Cattedrale.
«La
sirena di allarme ti ha interrotto. Da un lato sono
sollevato, dall’altro dispiaciuto» lo sorprese una
voce alla sua destra.
Lastar
non si voltò nemmeno, e continuò imperterrito a
sistemare il suo equipaggiamento.
«Gli
avresti davvero spiegato cosa è uno stupro?»
insistette
l’altro.
L’Esorcista
si rialzò in uno sferragliare di armi: la temuta
lama Vampira scintillava sul suo torso, le mani stringevano ognuna una
pistola,
e l’elsa dei pugnali spuntava dall’orlo degli
stivali.
«I
bambini sono curiosi, e vogliono la verità»
sparò brutale
Lastar, imboccando l’uscita. «Che sappiano, allora.
Ma dovranno sapere tutto.»
«Alcuni
di loro non hanno nemmeno sei anni» protestò il
pedante interlocutore, tampinandolo nei passi e nelle parole.
«Allora
dovresti essere contento che io sia stato interrotto.»
«Ma
sarebbe stato divertente vederti spiegare ad una classe
inorridita quella cosa.»
Lastar
frenò di colpo per fissare il suo collega. Un paio di
occhi olivastri, inspiegabilmente striati di bianco, ricambiarono il
suo
sguardo, serafici e sornioni.
«Alexander
Holycross, di tutti i Messi Celesti, tu sei
certamente quello con il senso dell’umorismo più
perverso.»
«Hai
fatto fare la revisione settimanale a Cy?» l’altro
ignorò completamente l’insulto, un sorriso
luminoso come il sole onnipresente
sulla sua faccia.
«No»
rispose veloce Lastar, riprendendo il suo cammino.
Alexander lo seguì, reggendo il passo sostenuto
dell’Esorcista con una
tranquillità sconvolgente: riusciva a correre tenendo il
busto lievemente
inclinato in avanti come un adulto che parla con un pargolo, le braccia
perfettamente incrociate dietro la schiena nonostante i sobbalzi della
corsa.
«Male.
Che farai se una delle tue pistole dovesse
incepparsi?»
«Se
sei venuto per fare il menagramo, puoi anche sparire.»
«Mi
preoccupo per te.»
«Rovescia
le tue premure su qualcun altro.»
«Ad
esempio?»
«Ci
sono tante vecchiette, negli ospizi al primo piano. Vai
a parlare con loro, hanno un’ottantina di anni di aneddoti da
raccontarti.»
«E
questo che beneficio porterebbe?»
«A
te? Non ne ho idea. Ma mi libererebbe di una fonte di
stress per mezza giornata.»
«Ti
ricordo che sono un tuo superiore.»
«Mi
libererebbe di una blasonata
fonte di stress per mezza giornata» corresse sarcastico
Lastar.
«Qualcuno
si è svegliato dal lato sbagliato del letto,
questa mattina» Alexander scosse la testa, bonario.
«O sei ancora arrabbiato
per la domanda di quel bambino?»
«Perché
dovrei essere arrabbiato? Adoro quando mi si fa
notare che i miei occhi e i miei capelli sono strani.»
«Sono
sicuro che non intendeva offenderti.»
«Settecentoottantasette.»
«Cosa?»
«Il
numero delle volte in cui mi hanno fatto domande sul mio
aspetto.»
«Hai
tenuto il conto?» pur con il suo contegno raffinato,
Alexander non riuscì a dissimulare lo sbalordimento.
«Solo
negli ultimi dieci anni. Dici che è eccessivo?»
domandò senza un reale pentimento l’Esorcista.
«Lo
definirei piuttosto ossessivo» ribatté contenuto
il suo
superiore.
«Allora
metti un bavaglio ai cittadini della Cattedrale,
così non dovrò più contare.»
«Potresti
semplicemente smettere di tenere il conto.»
«E
semplificarti la vita in questo modo?»
Lastar
aveva ormai raggiunto la stretta scala a chiocciola
che l’avrebbe condotto sul terrazzo di osservazione. Si
voltò verso il Messo
Celeste con un piede sul primo scalino e dichiarò:
«Ti
annoieresti terribilmente, se non avessi più un
sottoposto paranoico di cui preoccuparti.»
«Sai
che è colpa tua se i miei capelli sono bianchi,
vero?»
lo sgridò amichevole l’altro.
«No,
la colpa è del fatto che sei nato più di
cinquecento
anni fa» Lastar si cimentò rapidamente in un
saluto marziale prima di sparire
sui gradini.
«No,
è colpa tua» insistette Alexander, quando
l’altro si fu
volatilizzato. «Un sottoposto più squilibrato non
esiste, in tutta la Cattedrale.»
***
Alexander
avrebbe dovuto vedere chi era
presente sul tetto, prima di assegnare a Lastar la corona
di folle della Cattedrale.
L’Esorcista
non ebbe tempo di salire l’ultimo gradino: un
peso morbido gli si avvinghiò alla schiena, e, se non fosse
stato così bene
allenato, probabilmente avrebbe perso l’equilibrio e si
sarebbe schiantato con
la faccia al suolo.
«Finalmente
sei arrivato» cinguettò una voce al suo
orecchio, prima che il timpano fosse assordato da un bacio.
Anche
questa volta, a Lastar non fu necessario guardare per
riconoscere il proprietario della voce.
«Deimos.
Scendi. Ora» sillabò, più minaccioso
che mai.
Il
tono intimidatorio sortì l’effetto opposto sul
deviato
aggrappato alle sue spalle: le gambe dell’indesiderato si
strinsero attorno al
suo bacino, e un’unghia nera tracciò invisibili
ghirigori sulla sua gola.
«Hai
sempre una bella voce. Bassa e roca» si
complimentò
l’altro, facendo quasi le fusa mentre sfregava la guancia
contro quella
dell’Esorcista.
«Deimos,
se non scendi subito, ti sparo» lo avvertì Lastar
e, per evidenziare la sua minaccia, sollevò una delle due
pistole.
Uno
sbuffo gli appannò una lente degli occhiali, e
l’ospite
sgradito si tolse dalla sua schiena con una mossa agile.
«E
dire che ti stavo lusingando» si offese quello,
imbronciandosi con il viso e il corpo. «La prossima volta ti
dirò che sei
brutto e noioso.»
«Così
ti sparerò senza nemmeno avvisarti prima»
patteggiò
asciutto Lastar.
Gli
occhi del giovane si socchiusero furfanteschi, mentre un
ghigno ferino stendeva le labbra piene.
«Cosa
sentono le mie orecchie» teatralizzò,
avvicinandosi
all’Esorcista con un passo flessuoso. Fece scorrere la mano
all’interno del
braccio dell’altro, volutamente vicino al fianco, e
sussurrò: «Qualcuno è molto
vanitoso.»
«Sono
venuto qui perché è suonato
l’allarme» gli rese noto
Lastar.
«E
io perché volevo vederti» con un guizzo, il
ragazzo si
portò a sedere sulla balaustra, incurante dello strapiombo
sottostante. Puntò i
gomiti sulle ginocchia e adagiò il viso tra le mani,
focalizzandosi sul volto
dell’Esorcista. «E lo sto facendo»
flautò mellifluo, mentre lo sguardo
scivolava più in basso.
Lastar
sistemò gli occhiali, esasperato.
«Guardami,
se non puoi farne a meno. Io devo decidere con i
compagni il piano di battaglia… cosa
c’è, Deimos?» l’Esorcista
rilasciò il
fiato in un sospiro greve di nervosismo quando vide l’indice
del demone
svettare civettuolo.
«A
quali compagni ti riferisci, esattamente?» squillò
l’altro, dondolando le gambe con fare deliziato.
L’Esorcista
fu sul punto di assestargli una risposta
tagliente, quando la fondatezza della curiosità del
satanasso lo colpì. Si
voltò, e la sua visuale fu riempita soltanto dal nulla
presente sulla terrazza.
«Come
è possibile che non siano ancora arrivati?»
«Perché
io gli ho impedito di arrivare.»
La
testa di Lastar virò con uno scatto, come quelle dei
burattini difettosi.
«Tu
cosa?»
Tutto
il volto del ragazzo si incuneò in un sorriso, e le
sue dita sfarfallarono irrisorie nell’aria, simulando
l’invocazione di un
incantesimo.
«Magia»
sibilò. Incrociò le braccia sulla nuca e si
sporse
all’indietro con il busto, sull’orlo del
precipizio. «Ho sbarrato l’accesso a
tutti, all’infuori di te.
Sono venuto
qui per vedere te» gli
ricordò,
dondolandosi con spaventosa noncuranza. «Non volevo che la
mia visione fosse
disturbata dal brutto spettacolo dei tuoi colleghi.»
«Deimos,
della gente morirà se i miei compagni non arrivano
adesso!» Lastar non poté trattenersi
dall’urlare, e le montagne intorno gli
restituirono un’eco sferragliante della sua rabbia.
«Cosa
ti fa pensare che la cosa abbia una qualunque
rilevanza, per me?»
Gli
occhi del ragazzo, fino a quel momento quasi spalancati
per osservare meglio l’Esorcista, si strinsero in una fessura
da cui trapelava
unicamente una malsana scaltrezza.
«Tengo
a te, Lastar» ogni parola sibilata risuonò come le
note in un organo funereo. «Ma questo non significa che
soffrirei, se il resto
della Cattedrale venisse rasa al suolo. Gli umani non sono nemmeno
buoni da
mangiare, per me.»
Lastar
portò istintivamente le pistole in posizione di
difesa. La natura demoniaca del ragazzo emergeva da frasi di quel
genere, così
fredde e sprezzanti.
Deimos
era uno dei demoni di seconda generazione, nato
dall’unione tra Lucifero e Lilith, ed era stato insignito
alla nascita della
qualifica di demone del Peccato Irrazionale. Il suo aspetto fisico lo
testimoniava in ogni sua forma: nei pozzi di sangue delle iridi era
possibile
intravedere lo scatenato reame della pazzia, mentre le onde dei capelli
in cui
si intrecciavano il corvino e lo scarlatto ricordavano i più
antichi famigli
dei diavoli, i serpenti. Il corpo era un perfetto altare alla lussuria:
non vi
era una curva fuori posto, un muscolo fuori forma, un arto che non
fosse
perfettamente bilanciato. Nemmeno lo stravagante modo di vestire del
demone
riusciva a mascherare la sensualità del viso e del fisico:
bastava un’occhiata
alla sua figura sinuosa perché la sanità di ogni
uomo vacillasse.
In
fondo, era per quello che era stato concepito: diffondere
l’irrazionalità e i peccati ad essa connaturati.
Deimos
fu più lesto di una vipera, e Lastar non ebbe modo di
reagire tempestivamente: si allungò verso di lui,
stampandogli un bacio sulle
labbra, e ritornò nella sua posizione in un secondo, seduto
con le braccia
incrociate dietro la testa.
«Non
corrucciarti, o diventerai spiegazzato come un foglio
di pergamena tra meno di dieci anni» gli consigliò
Deimos, di nuovo un sorriso
disarmante in bella mostra sul viso.
«Non
avevi bisogno di baciarmi, per dirmelo» disapprovò
Lastar.
«Oh,
quello è un piccolo omaggio. Goditelo» Deimos gli
indirizzò un occhiolino malizioso, e ricominciò
ad altalenare nel vuoto.
«Comunque, noi due da soli siamo sufficienti. Sono una
ventina di demoni, di
classe inferiore.»
«Noi?»
scattò l’Esorcista.
«Ti
accompagno. Sono mesi che non mangio» si lagnò il
ragazzo. Al contrario degli altri demoni, Deimos non si nutriva
dell’anima
degli esseri umani: trovava più di buon gusto
l’essenza vitale dei suoi simili.
Non si poteva pretendere che l’incarnazione
dell’irrazionalità seguisse la
dieta ufficiale della sua razza.
L’ultimo
dondolio fu più forte dei precedenti, e Deimos si
sporse troppo oltre la balaustra.
Le
gambe e le braccia dell’Esorcista scattarono
automaticamente: afferrò il corpo sottile del demone prima
che andasse a
schiantarsi nell’abisso, e lo strinse a sé per
riportarlo sulla terra stabile.
Un’inspiegabile spinta lo rovesciò
all’indietro, e la sua nuca picchiò
rudemente contro la pavimentazione. Non ebbe tempo di imprecare,
impegnato a
risolvere un altro problema: era steso a terra, con un diavolo lascivo
che lo
inchiodava al suolo.
«Mi
chiedevo quanto tempo ancora avresti impiegato ad
accorgerti che ero in pericolo» si risentì
l’altro, adagiato sul torace
dell’uomo con la rilassatezza di un nobile sul suo triclinio.
Le
dita di Lastar si strinsero sulle pistole, che non aveva
abbandonato nonostante l’emergenza, in uno scatto di
irritazione.
«L’hai…
fatto di proposito?»
«Ho
anche spinto con i piedi contro la balaustra per farti
cadere, mio caro» confessò candido quello,
appoggiando il mento sui suoi
pettorali. «E ne è valsa la pena: questa visuale
è ottima.»
«Stanno
arrivando dei demoni…» ringhiò Lastar,
ma Deimos lo
interruppe con un cinguettio.
«E
tu hai il diavolo più bello di tutto il mondo conosciuto
sdraiato
addosso. Non ti senti privilegiato?»
La
canna della pistola si appuntò contro la sua fronte, e il
demone si rialzò visibilmente contrariato.
«Sai
cosa si dice degli uomini fissati con la lunghezza
delle armi?» lo canzonò, la momentanea
arrabbiatura subito sostituita dal
bizzarro buon umore.
«Non
lo voglio sapere» tagliò corto Lastar,
riequilibrando
gli occhiali sul naso. «I demoni si stanno
avvicinando.»
Il
corpo del diavolo si modellò contro il suo busto, la nuca
adagiata nell’incavo del collo, ed il ragazzo alzò
il viso affinché gli occhi
potessero legarsi a quelli dell’Esorcista, gemelli nella
tinta rubino.
«Allora
andiamo a dargli un caloroso
benvenuto» lo incitò, raggiungendo con un balzo a
piedi
uniti il parapetto.
«Hai
intenzione di sferrare un attacco frontale?» le
sopracciglia ramate si sollevarono dubbiose.
«L’attacco è la
miglior difesa» recitò baldanzoso Deimos,
eseguendo un complicato gioco di
equilibrio sulla balaustra.
«E
come conti di scendere, esattamente?» pretese di sapere
Lastar, incuriosito e spaventato dalla possibile risposta.
Deimos
compì una piroetta, che concluse incrociando le gambe
con un’eleganza in disarmonia con il suo carattere
irrefrenabile.
«Guarda
come sono vestito.»
«Deimos,
seriamente, non…»
«Guarda» comandò
il demone, sulle labbra il sorriso malevolo di un re pronto a far
tagliare la
testa ad un servo insolente.
Lastar
lasciò l’ennesimo sospiro libero di uscire.
L’abbigliamento del satanasso era quello cui era abituato:
stivali, pantaloni
di pelle e camicia sbottonata, tutto rigorosamente in nero, ad
eccezione del
filo cui erano appese stravaganti pezze colorate che il diavolo si
attorcigliava sempre attorno al busto. Solo un particolare non
rientrava nel
suo solito vestiario.
«Indossi
un mantello» notò, spazientito.
Un
turbine sorridente gli precipitò sul petto, e delle mani
irriverenti
gli scompigliarono i capelli.
«Bravo»
l’ultima sillaba non era ancora stata pronunciata, e
il demone aveva già fatto ritorno alla sua posizione
aggraziata sul parapetto.
«Quindi possiamo scendere volando.»
Una
vena pulsò per l’irritazione, gonfiando la tempia
dell’Esorcista. Deimos sorrise lezioso, mentre afferrava il
mantello e lo
faceva sventolare attorno al corpo.
«Perché
credi che tanti demoni usino questi brutti stracci
ammuffiti? Sono fatti di una sostanza particolare che reagisce con la
nostra
aura. E diventano delle ali.»
Il
viso dell’Esorcista si abbassò, e uno sguardo
torvo lo
raggiunse dalla sopra la cornice degli occhiali.
«Quindi
non saresti morto, se tu fossi caduto all’indietro.»
«Adoro
gli uomini perspicaci» lo adulò beffardo Deimos.
«Quindi
avrei potuto evitare di salvarti, prima» concluse
Lastar.
«Ma
ti saresti privato dell’esperienza di avere il demone
più bello del mondo premuto sul tuo petto» alcune
ciocche ondulate vennero
spinte ai lati del viso con un gesto vanitoso, accompagnando
l’auto
decantazione del demone.
Lastar
preferì non commentare quell’ultimo punto, e
poggiò
la canna della pistola contro la fronte: il gelo del metallo lo avrebbe
aiutato
a recuperare la sua freddezza.
«Puoi
portarmi giù con te?» le parole arrancarono a
fatica
tra i denti digrignati.
Il
viso di Deimos si aprì in un sogghigno diabolico, e le
sue braccia in un invito licenzioso.
«Con
enorme piacere,
mio adorato» lo corteggiò con
un tono di voce vellutato, ma l’Esorcista non si
lasciò fuorviare così
facilmente.
«Come
scendiamo?»
Deimos
scrollò le braccia aperte, in un impaziente
incitamento.
«Io
volo, tu ti aggrappi» chiarì.
Lastar
squadrò il demone in attesa, i suoi arti esili e il
suo mantello dai poteri prodigiosi. Tutto ciò costituiva una
garanzia davvero
effimera per convincerlo a buttarsi giù dall’alto
terrazzo della Cattedrale.
L’incoerenza del demone doveva averlo contagiato,
poiché si avvicinò a lui e
gli cinse il bacino sottile con le braccia, le mani ancora strette
sulle
pistole.
Il
ghigno di Deimos si ammorbidì in una malizia
fiammeggiante, e lo intrappolò con un’espressione
incendiaria negli occhi
mentre gli accarezzava il viso imbronciato.
«Finalmente
ti sei deciso» gioì lusingatore.
«Sei
sicuro di riuscire a portare anche me?» Lastar
stroncò
sul nascere quel nuovo tentativo adescatore del demone, e la vendetta
di Deimos
si sublimò in un bacio sulla sua fronte corrucciata.
«Fidati
di me, Lastar» sussurrò sull’attaccatura
dei capelli
di lava.
Gli
artigli del demone si conficcarono nelle sue spalle, per
trattenerlo al momento di spiccare il volo.
Le
pieghe del mantello turbinarono attorno a loro,
attorcigliate nella metamorfosi che le avrebbe trasformate in ali, ed
il vento
implacabile li frustò durante la loro caduta.
Lastar
serrò l’abbraccio attorno alla vita del demone e
nascose il viso nel suo petto. E non fu solo la paura del volo a
stringergli il
cuore.
***
«Oh,
sei nudo.»
«Ho
i calzoni.»
«Sei
quasi nudo.»
Un
viso adirato più rosso degli occhi gli scoccò
un’occhiata
assassina, prima di essere sfregato nell’asciugamano grezzo.
«Alexander,
hai fatto irruzione nel mio bagno per qualcosa
di utile o solo per constatare che mi spoglio quando mi lavo, come
tutti gli
esseri umani?» brontolò nella stoffa ruvida.
«Volevo
complimentarmi per la splendida vittoria riportata» si
congratulò il suo superiore, fermo sullo stipite della porta
come una statua
decorativa.
Il
viso emerse parzialmente dall’asciugamano, appuntandosi
sul catino sottostante.
Le
sue mani insanguinate avevano donato all’acqua un intenso
colore rosso cupo: il “vino della battaglia”, come
lo chiamavano i combattenti
più poetici. Non era stato sufficiente a ripulirlo del
tutto: alcuni grumi di
sangue erano rimasti incastrati sotto le unghie, e avrebbe dovuto
raschiarli
via con la lama di un pugnale. Perfino l’asciugamano si
rivelò arrossato dal lascito
dello scontro, come notò quando lo scostò dal
viso.
«Erano
deboli» minimizzò.
«Erano
più di venti. E li hai affrontati da solo.»
Il
tono con cui Alexander sottolineò il numero dei demoni
trafisse la sua schiena come una pioggia di aghi. Gettò
l’asciugamano in un
angolo del bagno e si voltò guerresco. Il suo superiore non
era un bambino al
suo primo giorno di scuola: era perfettamente in grado di confrontarsi
con le
creste più aspre del suo carattere.
«Pensi
anche tu che io sia un alleato dei demoni?» inveì,
il
collo teso e i muscoli delle braccia pronunciati per la rabbia.
«Per via dei
miei occhi? O dei capelli?»
Alexander
scosse la testa, ed il gesto disseminò una
tempesta di riflessi perlacei sui capelli bianchi.
«No.
Per via del ragazzo che hai portato nella Cattedrale.»
L’accusa
cadde come un macigno tra di loro, seppellendo il
dono della parola di entrambi.
Una
ciocca argentata venne spostata dietro l’orecchio, ed
Alexander continuò, cadenzato ma inflessibile:
«È
un giovane molto particolare. Non avevo mai visto il
piano sotterraneo in subbuglio come questa sera.»
«È
un ragazzo di bell’aspetto, come non se ne vedono
molti»
arginò Lastar. Cercò con una mano gli occhiali,
appoggiati da qualche parte sul
lavabo, e la seconda affermazione del Messo Celeste lo
schiaffeggiò sulla nuca:
«È
indubbiamente attraente. Ma sembra che basti soffermarsi
su di lui un solo istante per sentire le proprie inibizioni crollare.
È quasi…
satanico.»
Se
fosse stato una persona normale, avrebbe morso le labbra
e chiuso le mani a pugno per l’afflizione nel vedere il
più capace dei suoi
uomini ammutolito da chissà quali colpe inconfessate. Ma lui
era un Messo
Celeste, e non poteva permettersi simili manifestazioni emotive: il
tono fu
asciutto e severo per ammonire il suo sottoposto come era giusto che
fosse.
«Sei
il migliore Esorcista che abbia difeso questa
Cattedrale da secoli. Potrei garantirlo anche sotto
giuramento» un angolo della
sua bocca si tirò canzonatorio, ricordando quanto fossero
vere le sue parole:
aveva visto con i suoi occhi porre la prima pietra della fortezza, ed
era
ancora vivo per raccontarlo. «Hai la mia totale fiducia. Per
cui non ti porrò
domande a cui non vuoi o non puoi rispondere. Ma ti impongo di essere
prudente,
Lastar: è sulle spalle di Esorcisti come te che si fonda la
sicurezza di questa
cattedrale.»
Le
dita callose del giovane tamburellarono sulle stecche
degli occhiali, senza spezzare il silenzio con quel loro suono dimesso.
Fu
compito dell’Esorcista squarciarlo.
«Mi
ha aiutato durante la battaglia, oggi. Come ricompensa,
mi ha chiesto di passare una notte alla Cattedrale.»
Alexander
sollevò il mento, austero.
«Perché
hai acconsentito?»
«È
stato perquisito dalle guardie, ed è stato giudicato
innocuo» addusse come spiegazione.
«Normalmente,
non lo avresti nemmeno fatto avvicinare» le
vesti del Messo Celeste frusciarono quando questo si
inginocchiò di fronte a
lui per incrociare i loro sguardi dal basso.
«Perché hai acconsentito?»
ripetendo la domanda, Alexander ottenne finalmente una replica, sebbene
non
fosse quella che aveva auspicato:
«Questa
è una domanda a cui non voglio rispondere.»
Le
ciglia bianche si incontrarono una sola volta,
aristocratiche, e un’espressione inflessibile
seguitò l’indagine:
«Puoi
garantirmi che la sicurezza dei cittadini non verrà
intaccata?»
«Posso
garantirlo» assicurò Lastar.
Nonostante
l’età avanzata, le ginocchia non scricchiolarono,
permettendo al Messo Celeste di rialzarsi con un movimento fluido.
«Lascialo
tra la gente ancora qualche ora, se così desidera.
Poi fallo uscire o portalo nella tua camera e sorveglialo. È
un ordine»
terminò, per prevenire qualunque possibile replica.
Il
capo fiero di Lastar si chinò umilmente, un braccio
obliquo sul petto e l’altro piegato dietro la schiena nella
formale
dimostrazione di rispetto.
Nessuna
espressione visibile attraversò il viso di
Alexander, ma il suo tono vibrò di una preoccupazione
sotterranea:
«Sei
stranamente ubbidiente, quando si parla di quel
giovane. Stranamente silenzioso, stranamente guardingo» le
dita dell’uomo di
intrecciarono composte: «Spero che tu sappia cosa stai
facendo, Lastar.»
L’Esorcista
rimase immobile, mentre il suo superiore abbandonava
la stanza. Non si mosse finché anche l’ultima eco
dei passi del Messo Divino
non fu dissolta nei corridoi. Solo allora strinse le dita sul bordo del
catino,
la schiena piegata come per un aggressivo attacco di nausea.
Boccheggiò,
strozzato dai conati, e l’odore rugginoso del sangue gli
riempì il naso e i
polmoni, acuendo la sensazione di malessere.
«Sapere
quello che faccio?» ansò, scivolando sulla
superficie umida del lavabo. «Vorrei tanto, Alexander. Vorrei
tanto che fosse
così.»
…
questo è ciò che accade quando la Red decide di
scrivere una slash xD
E
poi decide di metterci gli angeli e i demoni XD
Vi
ringrazio per essere arrivati a leggere fin qui (e lodo il vostro
coraggio<3)<3
A
presto, se vorrete saperne di più sul destino di questi
amorevoli spostati<3
Red
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