28. CON LA SPADA E
CON IL SANGUE
It’s something inside
Wounds are bleeding in my hands
Turning blind
– Fragile,
Lacuna Coil –
Come
sempre, Lucius si muoveva
indisturbato per il palazzo, rapido e sicuro come si muoveva nella sua
stessa
casa. Salì rampe di scalini, attraversò corridoi,
varcò porte, seguendo un
tragitto che sembrava dettato dal puro istinto. Regan lo seguiva
silenziosa,
covando interrogativi e riflessioni che non si azzardava a esternare.
Vedere
Lucius preoccupato era una cosa rara, e dunque un ottimo motivo per
preoccuparsi
di conseguenza. Ormai era pronta a tutto: dopo aver saputo del destino
subito
dai suoi genitori, non poteva esserci niente di peggio.
Giunsero
in un atrio immenso e
luminoso dai soffitti altissimi; Lucius si fermò davanti a
un gigantesco
portone a due battenti sorvegliato da due guardie. Una delle due si
fece avanti
e lo pregò di attendere.
–
Sarete immediatamente
annunciati a Lady Leljen. –
–
Annunciati? – fece Lucius,
basito, mentre la guardia, dopo aver
bussato, oltrepassava la porta e se la richiudeva alle spalle.
– Da quando in
qua io devo essere annunciato?
Che cosa diavolo sta
succedendo? –
–
Milady non è sola – si permise
di giustificare l’altra guardia. Non era più
giovane di Lucius, eppure esitava
a guardarlo negli occhi, come se ne fosse intimidito. – Lei e
il suo ospite
hanno pregato di non essere disturbati. –
Era
possibile vedere il
disappunto di Lucius crescere attraverso l’indurirsi della
sua espressione,
nella vena che prese a pulsargli sulla tempia. Chiaramente non era
abituato a
essere trattato in quel modo.
Come un ospite indesiderato.
Quando
la prima guardia tornò,
lasciò la porta aperta e si fece da parte con un goffo
inchino frettoloso.
–
Potete entrare. –
–
Grazie – rispose Lucius,
brusco, ed era palese che con quel tono intendesse piuttosto dire
“Naturale che
posso entrare!”.
La
stanza oltre la porta era
pressoché identica all’atrio, alta e spaziosa, con
un grande tavolo rotondo al
centro, ingombro di carte e oggetti dall’aria curiosa. Soile
era lì, in piedi,
china con su qualcosa.
Non
era vestita come al solito.
Adesso, più che una regina, sembrava una versione
più sobria ed elegante di
Angina: pantaloni di cuoio nero aderivano alle gambe snelle fino a
scomparire
all’interno degli stivali stretti da fibbie di metallo. Una
veste di semplice
lana bianca spuntava appena dal corsetto le serrava il busto,
impreziosito
dagli stessi decori che riprendeva la robusta cintura che le cingeva i
fianchi.
Ad essa era assicurata una spada nera dall’elaborata elsa
d’argento. Era lunga
e sottile e, attraversata dalla luce, mandava affascinanti bagliori
violacei
sul tappeto che copriva del pavimento.
Vetro Eterno di Asante.
C’era
un uomo con lei, anch’egli
in vesti militari, e Regan notò subito che era molto
avvenente: gli occhi
allungati e la mascella scolpita gli conferivano un’aura
altera, tenebrosa, su
certe espressioni.
Soile
sollevò la testa e si
voltò. Aveva un’aria terribilmente stanca: i
capelli tirati indietro e legati
in una coda alta e impeccabile facevano risaltare ancora di
più le iridi cristalline
sull’incarnato di porcellana. In quello sguardo esausto Regan
scorse una
tensione che non le piacque, e che non piacque nemmeno a Lucius.
–
Lui che diavolo ci fa qui? –
sibilò a mezza voce, con la faccia di chi stava guardando la
cosa più riprovevole
del mondo.
Mentre
si avvicinavano, Regan
poté notare che lo sconosciuto portava al collo, assieme
alla Stella, un anello
di quelli che contraddistinguevano i Coordinatori.
L’attenzione
di Soile si spostò
per un istante su Regan, tornando immediatamente verso Lucius, il quale
rispose
con un cenno così impercettibile che era difficile dire se
fosse stato reale o
meno. Il Coordinatore Blackthorne, in effetti, non parve avvedersene.
Era
ancora impegnato a fissare Lucius dal basso verso l’alto,
grondante di
superiorità, come se avesse avuto davanti un insetto
sgradevole ma preferisse
non calpestarlo per non sporcarsi le scarpe.
–
Lady Leljen – salutò Lucius,
insolitamente cerimonioso. Poi il suo sguardo si spostò
sull’uomo, velandosi di
astio a stento trattenuto. – Coordinatore Blackthorne.
–
L’uomo
gli rivolse un sorriso
colmo di arroganza, gli occhi ambrati freddi e distaccati. La sua
presenza
imponente pareva distendersi ed allargarsi fino a dominare tutto
l’ambiente
attorno a sé, prendendo possesso di spazi, oggetti e persone.
Soprattutto persone.
–
Lucius – disse, mellifluo. –
Siamo onorati della tua presenza. Se tu ti fossi fatto vivo qualche ora
fa, ci
saresti potuto essere di grande aiuto. –
Se
quell’affermazione aveva
sorpreso o imbarazzato Lucius, lui non lo diede a vedere.
–
Ho avuto una faccenda piuttosto
importante da sbrigare. – dichiarò, sfiorando
Soile con un’occhiata eloquente.
Blackthorne,
intanto, benché lei
facesse del suo meglio per rimanere alle spalle di Lucius, si era messo
a
studiare Regan con un certo interesse.
–
Tu devi essere la piccola Regan
Edelberg, dico bene? –
Lei
annuì, colta alla sprovvista.
–
Ho frequentato la Domus Aurea
assieme a tuo padre. Aveva del talento, nonostante tutto. Ma vedo che
tu,
almeno nell’aspetto, hai preso da tua madre. Mi dispiace per
il destino che
hanno incontrato. –
Gli
occhi dell’uomo erano
penetranti, ipnotici, e la sua voce avvolgente. Non c’era
menzogna nella sua
voce.
–
Devo implorare milady di
concedermi qualche minuto della sua attenzione – si intromise
Lucius. – In
privato – aggiunse dopo una brevissima pausa.
Soile
soppesò rapidamente la
questione. Sembrava che Lucius, semplicemente guardandola, potesse
comunicarle
qualunque cosa.
–
Radislav – esordì lei dopo
qualche attimo. – Vorresti scusarmi per un minuto? –
La
richiesta fece contrarre
lievemente la mandibola squadrata dell’uomo, il quale
chinò però il capo con
garbo e fece un passo indietro per lasciarla passare. Non era difficile
vedere
quel gesto per quello che era: viscido servilismo travestito da
galanteria.
Soile
fece cenno a Lucius e Regan
si seguirla in una stanza attigua e chiuse la porta.
Era
un piccolo studio, arredato
solo con un divano e una scrivania, dietro alla quale era stato appeso
un
ritratto di proporzioni reali: un uomo e una donna posavano fieri
assieme a una
bambina dai bellissimi capelli biondi. C’era qualcosa di
innaturale nel modo in
cui la donna reggeva il grande mazzo di fiori tra le braccia eleganti.
–
Non possiamo parlarne adesso –
premise subito Lucius. Una nota di alterazione gli aveva fatto vibrare
la voce.
– Non con Radislav di là ad aspettare come un
avvoltoio. –
–
Sai perché è qui? –
–
Ho un certo numero di ipotesi,
una meno piacevole dell’altra. –
–
Una pattuglia dei suoi ha
notato dei movimenti e attività sospetti nei pressi delle
Cinque Torri. C’è una
possibilità che Desmond si sia stabilito lì,
adesso. –
–
Desmond è l’ultimo dei nostri
problemi, credimi. –
Silenzio.
Lucius
colse l’occasione per
incalzare:
–
Dobbiamo andare alla Domus a
prendere Shin, e faresti bene a convocare anche Persefone, e
probabilmente
anche la Somma Geira. E ci serve un posto di massima discrezione in cui
poter
andare a parlare. –
Soile
si fece preoccupata, ma non
si scompose:
–
Persefone non è in condizioni
di lasciare il suo palazzo – replicò, asciutta.
– Suo figlio è nato stanotte. –
Non
ci furono reazioni da parte
di Lucius. Era così serio che Regan arrivò a
dubitare che fosse davvero lui.
–
Non possiamo aspettare. –
affermò, e i suoi occhi la fissavano così
intensamente da far pensare che lei
potesse avvertirne il tocco sul viso.
–
Soile – Lucius si avvicinò di
un passo. Le dita della sua mano di contrassero lentamente, come se si
stesse
trattenendo dall’andare oltre. – Fidati di me.
–
Una
richiesta o una preghiera.
Qualunque cosa fosse, funzionò. In qualche modo, Soile
appariva quasi
vulnerabile, in presenza di Lucius. Regan ne prese coscienza con amara
rassegnazione, senza stupirsene poi tanto. Stava cominciando a farci
l’abitudine e la sensazione pungente allo stomaco non
accennava a diminuire, ma
ormai aveva capito che Soile era veramente inarrivabile, persino per
Lucius.
Soprattutto per Lucius.
Poteva
anche essere ingenua, ma
non era una sciocca: lui guardava Soile come se al mondo non esistesse
altro;
Soile guardava lui come una falena guardava il fuoco, attratta da una
trappola
letale. E a volte Regan pensava che lui fosse pienamente consapevole
dell’ascendente che aveva su di lei, e altre volte, invece,
gli leggeva
un’arrendevolezza disperata in volto che stonava con la
tenacia ferrea del suo
carattere.
Alla
fine, Soile si lasciò
persuadere:
–
D’accordo. Va’ a chiamare Shin,
io andrò da Persefone e vedrò cosa posso fare.
Dammi solo il tempo di congedare
Radislav senza essere troppo scortese. Ci vediamo al Tempio della Luna.
–
Ritornarono
all’altra stanza.
Blackthorne era intento a studiare un cartina, o così voleva
fingere, perché i
suoi occhi erano completamente fissi e li alzò solo quando
Lucius gli passò
oltre.
C’era
tutta una storia sepolta
sotto quegli atteggiamenti, sotto l’ipocrisia dalla
formalità dell’uno e
dell’altro, ma ancora una volta Regan sapeva non era
né il momento né il luogo
per discuterne. E i sospesi tra lei e Lucius, giorno dopo giorno,
aumentavano
senza avere risposte.
–
Allora arrivederci, milady – enunciò
Lucius, congedandosi. – Vi ringrazio per il tempo che mi
avete concesso.
Coordinatore Blackthorne, scusate ancora il disturbo. –
Soile
ricambiò con un vago cenno,
quasi altezzoso, che Blakthorne, alle sue spalle, accolse con un ghigno
di
compiacimento.
Lucius
sembrava tutt’altro che
lieto di lasciare i due di nuovo soli, ma uscì senza
esitazioni. Portò via
Regan in fretta. La sua andatura sembrava bruciare e lasciare una scia
di
irritazione nei bianchi corridoi silenziosi.
–
Dove hai intenzione di trascinarmi,
adesso? – volle sapere lei, mentre si allontanavano. Almeno
quello pretendeva
di saperlo.
–
Andiamo a Medilana, alla Domus
Aurea – fu la secca risposta.
–
A fare cosa? –
–
Non hai sentito? Dobbiamo
andare a chiamare Shin. –
–
Ma io credevo che non avesse
alcun bisogno di frequentare l’Accademia... –
–
Non la frequenta, infatti.
–
L’odore
era quello stantio dei
luoghi antichi rimasti troppo a lungo sigillati in sé
stessi, custodi di
vibrazioni e pensieri che si erano nutriti solo dei loro stessi echi,
senza
crescere né mutare, solo divorandosi l’un altro e
rigenerandosi sempre
identici.
Le
voci che quell’antro aveva
udito erano cambiate nei secoli, ma le loro parole era come scritte
nell’aria,
e forse l’aria stessa, quella notte, si stupì di
ciò a cui assistette.
–
Confratelli e consorelle, non
avrei voluto arrivare a questo. L’attuale stato delle cose si
è spinto oltre il
tollerabile e i rischi crescono ogni momento. Un tempo disponevamo di
un’abile
Liberatrice che avrebbe reso tutto molto più semplice, ma ad
oggi ci vediamo
costretti a ricorrere a misure drastiche per poter finalmente portare a
termine
il nostro compito e così ripristinare il giusto ordine delle
cose, per il bene
della Madre e di tutte le sue creature. –
L’ardore
nelle parole stentoree
del Priore possedeva i riflessi fiammeggianti di una follia trascinata
dalla
rabbia.
Arith
ascoltava, sentendosi piccolo
e insignificante nel suo seggio millenario, in mezzo a quattro compagni
che
avevano il doppio della sua età e il triplo della sua
esperienza, e si chiedeva
come ormai potessero riuscire a riprendersi la ragazzina senza esporsi.
Dianthe
aveva appreso da fonti sicure che Luciferus era riuscito a risalire
alle
origini della ragazza e a restituirla alla sua legittima famiglia. Il
che non
sarebbe stato un ostacolo, se solo la legittima famiglia in questione
non fosse
stata una delle più in vista del Mondo Occulto.
–
Come tutti voi sapete, il
nostro Ordine vanta di una segretezza lunga centinaia di anni,
poiché il nostro
operato non è atto a perseguire gloria e potere, ma auspica
la ricerca di un
bene superiore che noi soli siamo in grado di garantire.
Trentatré anni fa uno
di noi tradì il proprio voto in nome di una visionaria
superstizione, e ciò per
cui noi esistiamo non poté essere compiuto. Ora abbiamo
finalmente la
possibilità di rimediare e ripristinare così il
giusto equilibrio delle cose.
Mai, da che fu creato il Primo, la situazione è mai stata
tanto ardua e
delicata come lo è ora per noi, ma questo non ci
fermerà. È nostro dovere eliminare
ciò che deve essere eliminato, cancellare ogni traccia di
noi e della nostra
missione, e pagheremo con la vita, se necessario. Senza di noi, sarebbe
il
caos. –
E
forse non c’era una smodata
ricerca di gloria e potere, nelle azioni perpetrate nei secoli dai
Veglianti,
ma non si poteva non scorgere l’arroganza in frasi come
quell’ultima
pronunciata dal Priore Genesis.
–
Pazienza e cautela saranno le
nostre armi primarie. Ci affideremo alle informazioni che avremo la
possibilità
di raccogliere su quanti più fronti possibili – e
con lo sguardo il Priore
toccò Dianthe e Arith. – E ci muoveremo di
conseguenza. Era dall’alba dei tempi
che il nostro Ordine non aveva a che fare con un’Incarnazione
di età così
matura e dovremo pertanto adattare i nostri antichi piani
all’attuale
situazione. –
Arith
si domandò cosa fosse
peggio: se dover uccidere un infante ancora in fasce senza alcuna
coscienza
degli eventi oppure una persona adulta perfettamente in grado di capire
che la
sua ora era giunta, e senza un motivo comprensibile.
–
Non ci saranno più mosse
azzardate né intenti disperati, d’ora innanzi
– riprese Genesis, e sembrava un
ammonimento, più che una mera dichiarazione. –
Portiamo a termine il nostro
compito, e ci saranno nuove pagine da scrivere nella storia
dell’Ordine dei
Veglianti. –
Acqua.
Fu la prima cosa che
percepì, anche se aveva gli occhi ancora serrati. Forte,
intensa presenza di
acqua attorno a sé. Si sentiva anche nell’aria,
che era pregna di quell’odore
umido ma limpido tipico dei laghi, dei grandi fiumi che scorrevano
lenti.
E
c’era acqua, infatti, tutto
attorno a lei, ovunque si volgesse. Acqua di un blu così
profondo e pastoso da
stemperarsi fino al nero allontanandosi dalle rive sassose.
Regan
era ancora aggrappata con
le unghie al petto di Lucius quando si accorse che erano apparsi nel
bel mezzo
di un bosco che si spalancava direttamente su un ponte di pietra lungo
e
sottile che
attraversava un lago di
discrete proporzioni, al centro del quale, a pelo d’acqua,
sorgeva quella
appariva come una piccola arena. Ancora dietro, al capo opposto del
lago, uno
strapiombo di rocce saliva per decine e decine di braccia stagliandosi
contro
il cielo grigio, ed era proprio sul ciglio della parete che si ergeva
un’altra
costruzione. Era bizzarra a causa dei contrasti architettonici delle
varie
parti che la costituivano: una buona metà del palazzo era
sviluppata in linee
solide ma leggere, arcate a ogiva e colonne inserite in ogni dove a
slanciare
verso l’alto la mole possente. Il lato ovest, invece, era
fatto di una pietra
più grezza e di un colore più caldo, che si
andava a incastrare nel resto
dell’edificio lungo un perimetro fortemente irregolare.
Era
come se fossero state prese
le basi in rovina di un edificio molto antico e sopra di esse fosse
stato
edificato qualcosa di completamente nuovo, senza tenere minimamente
conto dello
stile originale.
Accanto
a lei, Lucius rise.
–
Via, non fare quella faccia.
Non è esattamente un esemplare di armonia edilizia, ma ha il
suo fascino, non
trovi? Ogni elemento discordante rappresenta una fiera ricostruzione a
testa
alta. In tanti hanno provato a demolire definitivamente la Domus Aurea,
ma
nessuno c’è mai riuscito, e lo sai
perché? –
–
Perché? –
Si
fermarono all’inizio del
ponte. Diverse decine di piedi avanti a loro, una massiccia grata di
ferro
chiudeva il passaggio dove un ponte levatoio collegava
l’altra estremità del
ponte di pietra direttamente all’arena.
–
Perché la Domus Aurea non è
quell’ammasso di pietre che vedi. È tutta la gente
che c’è dentro. –
–
Anche le persone si possono
abbattere. –
Sembrò
un’obiezione sensata,
almeno finché Lucius non sorrise con quel suo fare saccente
e superiore che,
immancabilmente, riusciva a esasperarla ogni volta.
–
Per questo esistono maestri e
discepoli. La Domus Aurea era, è e sempre sarà,
perché è ormai quasi un
millennio che il sapere che custodisce viene trasmesso di generazione
in
generazione dai suoi stessi allievi, che di volta in volta divengono
maestri.
L’immortalità non è
un’utopia: chi trasmette sé stesso agli altri
affinché essi
lo trasmettano a loro volta non è solo immortale, ma
rivivrà all’infinito in
gesti e parole di persone sempre nuove. Il trucco sta nel rendersi
indimenticabili, e molti, purtroppo, ricorrono a metodi estremi.
–
–
E tu non punti all’immortalità?
–
Lucius
parve divertito da
quell’idea.
–
Non mi importa granché di quel
che sarà ricordato di me, una volta morto. –
Scrollò le spalle, del tutto
indifferente verso l’argomento. – Probabilmente
vivrò più a lungo di altri
nella memoria della gente, ma se devo essere sincero non ho mai
compreso le
febbrili manie di grandezza di certi soggetti. Il bello della vita sono
le
piccole cose, quelle che quasi tutti danno per scontate. –
Una
bagliore di remoto desiderio
gli faceva brillare gli occhi di una contraddittoria luce malinconica.
Mentre
attraversavano il lago,
Regan si guardava intorno avida, risalendo con lo sguardo la rupe scura
che
incombeva sulla selva sottostante come un silente guardiano di pietra.
Chiunque
si fosse affacciato a una delle decine di finestre
dell’Accademia e avesse
guardato giù, avrebbe avuto una perfetta visuale di tutto il
lago e dei suoi
immediati dintorni, un panorama che lei avrebbe adorato poter rimirare
da
quella prospettiva di favore.
–
Là dentro si tengono gli
allenamenti pratici degli allievi dei livelli superiori – le
disse Lucius,
accennando all’arena.
Una
volta sotto alla grata, Regan
notò che c’era una sfera di vetro opaco grande
poco meno della testa di una
persona sospesa all’interno del quadrato centrale del
reticolo. Appena Lucius
si avvicinò, la sfera emise una debole luce azzurrina. Un
momento dopo, la
grata di stava sollevando.
Anche
se non sapeva esattamente
cosa avesse determinato il loro diritto a entrare, Regan era ormai
abbastanza
ferrata da poterlo immaginare, e aveva il netto sospetto che
c’entrasse la
Stella che Lucius indossava. A onor del vero, le sembrava una misura di
sicurezza già eccessiva: chi poteva mai essere interessato a
penetrare in un
luogo di allenamento per apprendisti?
–
Questo ingresso in realtà
sarebbe un’uscita di emergenza – le
rivelò Lucius, mentre sbucavano sotto a un
porticato. – Al capo opposto dell’arena
c’è il passaggio che conduce dritto su
all’Accademia. Centinaia e centinaia di gradini scavati a
spirale nella roccia…
un bell’esercizio da fare quasi quotidianamente, non trovi?
–
Regan,
che di resistenza allo
sforzo fisico ne aveva ben poca, non poté che concordare.
Il
porticato era ovale, seguiva
all’interno lo stesso schema che la struttura aveva
all’esterno, e da lì dei
gradoni di pietra bianca conducevano verso l’area centrale
dell’arena, uno
spazio grande a sufficienza per poter contenere un intero quartiere
medio di
Kauneus. C’erano fuochi vivaci ad ardere in grossi bacili di
ferro, sparsi
tutto attorno al perimetro, e dovevano servire più che altro
a riscaldare, dato
che di luce ce n’era in abbondanza. Ed era proprio
là in mezzo che un ragazza
dalla lunga treccia scura stava fronteggiando nientemeno che Shin. Un
uomo
dall’aria austera li osservava da poco lontano, mentre
più in là, seduti su tre
file di gradoni, una dozzina di altri ragazzi – tutti demoni
– stava a guardare
con estremo interesse. C’era anche una donna ad assistere, in
piedi accanto a
uno dei bacili di ferro. Probabilmente, a giudicare
dall’abbigliamento quasi
militaresco, un’altra insegnante, e Regan doveva averla
già vista, perché le
era familiare.
–
Ma cosa…? –
–
Shin ha poteri unici al mondo –
la precedette Lucius sottovoce. – Saltuariamente aiuta il
Maestro Hyades ad
addestrare le nuove leve. I risultati sono sorprendenti. –
Regan
era senza parole.
–
Non me l’hai mai detto… –
Non
aveva mai nemmeno avuto modo
di vedere Shin combattere. Le volte che c’era stato anche lui
a difenderla, lei
era stata così impegnata a farsi scudo di lui e Lucius che a
stento aveva
capito cosa stesse succedendo, e comunque per lo più si era
trattato di duelli
a colpi di spada, molto meno impegnativi di quello attualmente in
corso. Lucius
glielo aveva ripetuto più volte: sfruttare il potere
interiore richiedeva un
grande dispendio di energie e occorreva una padronanza
pressoché perfetta di sé
per non rimanere sfiniti dopo pochi minuti di combattimento. Regan, che
nemmeno
dimostrava di saper entrare in contatto con il proprio potere, si
sarebbe
dovuta esercitare per anni, prima di concludere qualcosa di
soddisfacente.
–
Shin non ama parlare di
qualunque cosa lo renda diverso da chiunque altro. –
Insomma, non ama parlare di nulla che lo riguardi.
Solo
ora Regan capiva veramente
cosa avesse voluto dire Lucius quando lo aveva definito “un
angelo un po’
speciale”. Gli allievi presenti erano tutti più
maturi di lui, eppure i loro
volti ritraevano un aperto contrasto tra ammirazione e spiccata gelosia.
Shin
era agile, rapidissimo nei
riflessi quanto nei movimenti, e la sua capacità di
attaccare e difendersi,
prevedendo ogni contrattacco, era straordinaria. Senza contare che con
un
minimo sforzo era in grado di bloccare anche l’offensiva
più feroce.
La
ragazza provò a scagliargli
contro un turbine di fuoco, ma Shin portò le mani in avanti
di scatto e si fece
scudo con la propria energia. Le fiamme andarono così a
estinguersi nel nulla e
allo stesso tempo la ragazza fu scagliata all’indietro,
rovinò a terra e
scivolò dolorosamente lungo le lastre di inclemente granito.
Solo quando si
rialzò a fatica, mediamente ammaccata, Regan si accorse che
era Lisandra.
Shin
fu da lei in poche falcate.
Si chinò per sincerarsi che stesse bene.
Regan
non poteva sentire cosa si
stessero dicendo, ma vedeva le loro espressioni. Un’altra
persona, dopo una
tale umiliazione, si sarebbe rialzata da sé e nemmeno
avrebbe guardato in
faccia il vincitore. Lisandra non lo fece. Accettò invece la
mano che Shin le
offriva con un sorriso un po’ colpevole e si
lasciò aiutare a rimettersi in
piedi. Anche se quella che era appena stata sconfitta era lei, i suoi
compagni
esibivano tutti lo stesso cipiglio alterato.
–
Credono tutti che lui sia qui
solo per metterli in ridicolo e farsi notare –
commentò acremente Lucius,
storcendo la bocca. – Suppongo sia più semplice
prendersela con qualcuno, se ti
convinci che è una pessima persona. –
Il
suo sguardo severo gravava sul
gruppo di ragazzi radunati sui gradoni, e su uno di loro in
particolare:
Anneli. Anche lei, come i suoi compagni, riservava a Shin occhiate che,
se non
proprio odio, trasmettevano una buona antipatia.
–
Aspettami qui e non farti
vedere. La tua presenza solleverebbe troppe domande a cui ora non ho il
tempo
di rispondere. –
Lucius
la spinse dietro una delle
colonne del porticato, in un angolo buio, e con uno sguardo
significativo le
raccomandò di non disobbedirgli.
Regan
se ne rimase nel suo
nascondiglio zitta e buona, cincischiando con le pieghe della gonna per
resistere alla tentazione di sbirciare cosa stesse succedendo oltre il
marmo di
cui si faceva scudo. Fu guardando in alto, annoiata, che
notò che c’erano delle
parole scolpite sotto al capitello di ciascuna colonna, ed erano le
stesse per
tutti: Gladio et Sanguine.
–
Buongiorno, Lady Edelberg. –
Regan
riabbassò lo sguardo,
richiamata non tanto dalle parole udite, ma dalla voce in
sé. Shin era davanti
a lei, un po’ scarmigliato, con la camicia sgualcita,
arrotolata fino ai
gomiti, e la fronte umida di sudore. Aveva una cintura di cuoio in
mano, da cui
pendeva una spada infoderata.
Era
come una Myrka: pericolo
travestito da insospettabile grazia.
Gli
sorrise.
–
Se non avessi riconosciuto la
tua voce, non avrei mai capito che stavi parlando con me. –
–
Ci dovrai pur fare l’abitudine.
–
–
Ti ho visto combattere – disse
lei, per cambiare discorso. – Sei straordinario. –
Lui
sorrise.
–
In senso più letterale di
quanto vorrei. –
Chi
non lo conosceva avrebbe detto
che lo fece con modestia. Regan, però, sapeva che era un
sorriso rivolto con
forzata rassegnazione verso un talento innato di cui, potendo
scegliere,
avrebbe volentieri fatto a meno.
Ma
il punto era questo: non c’era
alcuna possibilità di scelta. Che fossero accettate o
rinnegate, certe cose
accadevano e basta, e nessuno chiedeva il permesso. Quando la vita ti
si
riversava addosso, tutto ciò che c’era da fare era
tendere le braccia e lottare
per sostenerla, oppure, in alternativa, arrendersi e restarne
schiacciati.
Regan,
dopo infinite riflessioni,
ancora non aveva capito quale dei due casi fosse il suo.
–
Lucius ha detto di aspettarlo
all’uscita. Ci raggiungerà subito. –
Vedere
Shin in uno stato meno che
perfetto era strano, come vedere un granello di polvere
nell’immacolato ordine
del laboratorio di Venena. Così era più difficile
scambiarlo per una ragazza,
se non altro.
– Che cosa
significa quella frase scolpita su
tutte le colonne? – gli chiese Regan, mentre lui fissava la
cintura attorno ai
fianchi asciutti.
Lui
si volse indietro, verso il
porticato, come se non ricordasse bene e dovesse verificare.
–
Con la Spada e con il Sangue. La si
trova ovunque, entro le mura
della Domus. È il suo motto, il principio fondamentale su
cui si fonda. –
Incrociò
lo sguardo vacuo di
Regan, allora rise e aggiunse:
–
Chi aspira a portare una Stella
deve essere pronto a colpire ed essere colpito, ferire ed essere
ferito… –
Lasciò
il sospeso l’ultima parte,
troncando in un punto in cui non era complicato inserire la legittima
conclusione.
Uccidere ed essere ucciso.
–
Tu sai per quale motivo siete
venuti fin qui a chiamarmi? – chiese Shin, abbassando la voce
accigliato. – È
successo qualcosa? –
–
Ho provato a chiedergli
qualcosa, ma non mi ha voluto rispondere. Sai come fa lui…
– Regan fece una
smorfia seccata. – “Non
ora, cerbiattina.”
– borbottò, imitando il tono evasivo di Lucius.
– Ma dev’essere qualcosa di
serio. Siamo stati anche al palazzo di Kauneus, prima. Lady Leljen ha
detto che
ci attenderà al Tempio della Luna. –
Era
sicura che le pupille si
fossero ridotte dallo stupore nella densa oscurità degli
occhi di Shin. Uno
stupore che lei vide chiaramente, benché fosse impossibile
scorgerne alcun
sintomo.
Lui,
comunque, stava guardando
lei, attentamente, e con lo sguardo sembrava chiederle se andasse tutto
bene.
Non
ci fu bisogno di chiedersi
perché.
Sapevano
tutti e due che era lei
il centro comune attorno a cui ruotavano tutte le domande che ancora
non
avevano avuto una risposta, e Regan ricordava molto bene la
conversazione che
aveva origliato a casa di Malice. Qualunque cosa Lucius avesse tanta
fretta di
discutere in presenza di personaggi tanto eminenti, c’erano
ottima probabilità
che riguardasse lei.
Ci
era voluto più del previsto a
liberarsi dalle chiacchiere e dalla curiosità degli allievi
e dalla petulanza
delle ragazze, e ancora di più per sedare
l’inarrestabile vena civettuola di
Madame Vane, molto più ciarliera del solito, ma alla fine la
classe si era
congedata e diretta a risalire all’Accademia, in anticipo di
pochi minuti per
l’apertura del refettorio. Era già quasi
mezzogiorno.
Lucius
sospirò. Non gli
dispiaceva essere guardato come un esempio dagli allievi della Domus,
ma si
sentiva sempre un impostore a sorridere davanti al loro rispetto e alla
loro
ammirazione, perché era convinzione comune che lui si fosse
guadagnato fama e
stima con l’impegno e un innato talento, e magari non era
nemmeno del tutto una
bugia, ma se tutta quella gente avesse saputo dove lui in
realtà avesse
imparato tutto ciò che sapeva – e come,
soprattutto – il loro atteggiamento sarebbe stato ben diverso.
Aveva
fretta di arrivare al
Tempio e mettere Regan al sicuro, così da poter affrontare
un discorso che
avrebbe richiesto calma, attenzione e in particolar modo discrezione.
Ma prima di
ogni altra cosa avrebbe dovuto parlarne con Regan. Era di lei che si
trattava,
in fin dei conti.
Raggiunse
Regan e Shin alla grata
che conduceva all’esterno. Sarebbe stato infinitamente
più comodo salire fino
all’Accademia e sfruttare il suo Portale per raggiungere
perlomeno Almaris, il
villaggio più prossimo al Tempio, ma preferiva non farsi
vedere da troppe
persone, quindi se ne sarebbero andati cos com’erano
arrivati: svanendo e
riapparendo altrove. Sarebbe stato faticoso, ma ne valeva la pena.
–
Scusa se sono piombato qui in
questo modo – disse a Shin mentre uscivano sul ponte e la
grata si riabbassava
dietro di loro. – La faccenda ha una certa urgenza.
–
–
La sessione era quasi al
termine, comunque. Ti hanno fatto domande scomode? –
–
Solo adulazioni e frivolezze.
Immagino che sia una delle massime aspirazioni di ciascuno di loro
essere al
mio posto. –
Shin
e Regan si scambiarono
un’occhiata, ma non dissero nulla. Il suo tono infastidito
suggeriva che era
meglio lasciar cadere il discorso.
Non
erano solo le adulazione e le
frivolezze a infastidirlo. Per la verità, quello era il lato
della medaglia che
lo lasciava del tutto indifferente.
Ciò
che lo irritava – e offendeva
– era che gran parte dell’ammirazione che gli
allievi maschi della Domus Aurea
nutrivano per lui era dovuta a pettegolezzi senza capo né
coda secondo i quali
ci fosse qualche tipo di coinvolgimento romantico tra lui e Soile, che
da
sempre lo aveva tenuto come suo protetto. Peccato solo che tale onore
non fosse
dovuto ad alcuno dei motivi che si vociferavano, ma al meno poetico
fatto che
lei lo aveva strappato alla pena di morte, dieci anni prima, e si era
presa
l’impegno di occuparsi personalmente della sua rieducazione.
Lavorando per la
Lega, Lucius, segretamente, pagava ogni giorno un po’ del suo
debito verso la
Giustizia, all’insaputa di tutti, ma avrebbe preferito che la
gente sapesse la
triste verità, piuttosto che vederlo come un arrampicatore
sociale.
Non
era per sé, tuttavia, che gli
dispiaceva, ma per la reputazione di Soile.
Qualunque
persona con un minimo
di buonsenso e realismo, comunque, non avrebbe mai nemmeno sfiorato
l’assurdo
pensiero che una dama come lei potesse provare qualsiasi tipo di
interesse
verso di lui. Soile gli era affezionata, questo era innegabile, ma solo
perché
era stato una missione, per lei, riabilitarlo e trovargli un posto
dignitoso
all’interno della società. E c’era
riuscita, andando anche oltre ogni
aspettativa, perché le conoscenze che lui aveva del lato
oscuro delle Sette
Terre e che aveva messo a disposizione della Lega si era rivelato un
lasciapassare per la stima e il rispetto di molte delle grandi
personalità
dell’ambiente, nonché al di fuori di esso.
–
Sbrighiamoci, ora. Ci siamo già
attardati fin troppo. –
Avevano
oltrepassato la metà del
ponte quando Regan avvertì qualcosa. Cosa, non seppe
distinguerlo. Era come un
fremito nella terra, qualcosa che dalle profondità del lago
si stava propagando
fino a lei, strisciandole sulla pelle in un formicolio pruriginoso.
Stava
per succedere qualcosa.
–
Che cos’è? – fece appena in
tempo a chiedere, ma fu interrotta e sovrastata da un improvviso rombo
ovattato.
Il
cuore le balzò in gola.
Alle
sue spalle si era sollevato
una parete d’acqua spumosa alta quasi quanto le mura
dell’arena che si
stagliavano sullo sfondo. Sembrava di trovarsi di fronte a una cascata
al
contrario.
Fu
un attimo.
L’acqua
si abbatté sul ponte, una
frusta ruggente che scosse la pietra e la fece vacillare fino a far
perdere
l’equilibrio alle gambe di Regan, paralizzate non dalla
paura, ma da una
soverchiante fascinazione.
Un
paio di mani la afferrarono
con una violenza stranamente piena di gentilezza e si sentì
trascinare via
mentre l’impeto dell’acqua si precipitava impetuoso
verso di lei in un turbine
di vortici e candide schiume.
L’aria
fredda nei capelli,
l’assenza di terra sotto i piedi, i suoni lontani e inibiti
da un inspiegabile
senso di alienazione… era come volare.
–
Presto! – tuonò la voce di
Lucius. Pochi passi avanti, correva verso la terraferma, senza smettere
di
guardarsi indietro, e solo allora Regan realizzò che era
stato Shin a
raccattarla come un fantoccio di stracci e salvarla da
un’imminente morte
certa.
Aveva
guardato l’acqua correrle
incontro, furiosa e minacciosa, inarrestabile, e ne era rimasta
incantata.
Non
aveva pensato per un solo
istante al pericolo. Non sapeva nuotare, ma non era parso importante
dinnanzi a
quel prodigio meraviglioso e terribile. Era sembrato ragionevole, in
quel
momento di follia, rischiare la vita per poter rimanere ad ammirare
così da
vicino un tale incanto.
Shin
la teneva stretta al proprio
fianco, un braccio a cingerle saldamente la vita. Era così
alto che c’era una
spanna di vuoto a separare le punte dei piedi di Regan dal suolo.
Corsero
a perdifiato fino al
punto in cui il ponte si fondeva nella riva terrosa. Dietro di loro, la
valanga
acquatica giunse ormai in sordina a lambire gli orli dei loro mantelli,
una
debole onda di risacca che si ritirò silenziosamente nel
lago, consumandosi in
un coro di increspature morenti. In fondo, dove si congiungeva
all’arena, una
parte del ponte era crollata.
Regan,
le cui unghie erano ancora
artigliate nella ruvida stoffa della camicia di Shin, batteva le
palpebre
sconvolta: improvvisamente com’era cominciato, tutto era
finto.
–
Che cosa diavolo era quello? –
ansimò Lucius. La sua mano sinistra indugiava accanto
all’elsa della spada,
pronta a scattare.
Shin
lasciò andare Regan e lo
imitò.
–
Qualunque cosa fosse, ha avuto
un tempismo a dir poco stupefacente. –
L’acqua
era tornata immobile, uno
specchio sul cielo grigio. La foresta taceva.
Si
udì una risata. Rauca,
sommessa, impossibile dire da dove provenisse.
E
poi se ne aggiunse un’altra, e
un’altra, e un’altra ancora. Una femminile,
stavolta.
Regan
sentì le dita di Shin
afferrarla per il polso al di sopra la manica.
Dalla
boscaglia emersero quattro
figure nere, i volti celate da maschere prive d’espressione.
Si avvicinarono a
passo sicuro, e di riflesso Lucius arretrò di qualche passo,
e Regan e Shin con
lui.
Quando
i quattro furono
abbastanza vicini, Regan riconobbe uno di loro: impossibile non
ricordare
quell’unico occhio cupo che la fissava al di là
della maschera.
–
Ma bene, chi si rivede – disse
il più alto degli uomini, presumibilmente il capo,
arrestandosi appena prima di
mettere piede sul ponte. – Che felice combinazione trovarvi
qui… –
L’ironia
rendeva la sua voce
ancora più raggelante di quanto già non facesse
l’effetto metallico dato dalla
maschera.
Shin
tenne Regan dietro di sé, e
con l’altra mano si preparò a sguainare la spada.
Lui e Lucius erano
concentrati, ma sui loro volti era facile leggere la stessa domanda che
anche
Regan si stava ponendo: come avevano fatto a trovarli?
Dal
palazzo di Kauneus erano
giunti direttamente alla Domus Aurea, e nessuno a parte Soile sapeva
che erano
diretti lì.
Forse
era stato qualcuno che li
aveva visti arrivare. Ma chi avrebbe potuto vederli, nel bel mezzo
della
foresta? C’era solo l’Accademia, nel raggio di
miglia.
–
Siamo un po’ stanchi di giocare
con voi – proseguì l’uomo, avanzando
lentamente, gli altri tre a seguirlo
mentre estraevano le spade. – Oserei dire che è
davvero un insperato colpo di
fortuna incontrarvi proprio qui, in un luogo che bandisce la magia.
–
Un
ghigno sgradevole gli deformò
le labbra, gli occhi intrisi dell’arroganza di chi sapeva di
avere il coltello
dalla parte del manico.
Lucius
imprecò a denti stretti.
Erano
due contro quattro, e c’era
Regan a cui badare.
Non
ce l’avrebbero mai fatta.
–
Spero di sopravvivere, giusto
per non privare tuo zio Tristan del piacere di uccidermi personalmente
per
averti trascinata in tutto questo. – sussurrò
Lucius, rivolto a Regan, la quale
non accennava a muovere un muscolo.
Il
lago, così come l’area
perimetrale dell’Accademia, era stato dotato di sigilli che
inibivano qualsiasi
tipo di potere. Era una misura di sicurezza che era stata presa dopo la
prima
distruzione dell’edificio, e da allora aveva svolto la sua
funzione in modo
eccellente. Al momento, però, più che un aiuto,
rappresentava una grossa
complicazione.
Shin
non era bravo con la spada,
una lacuna che era sempre stata egregiamente supplita da poteri di gran
lunga
superiori alla media, ma che adesso non gli sarebbero stati di alcuna
utilità.
–
Ve lo proporrò per l’ultima
volta: consegnateci la ragazza e tornatevene alla vostra vita di sempre
– disse
l’uomo in testa al gruppo, mentre i compagni lo superavano,
le spade sollevate
e pronte a colpire.
La
mano di Lucius si chiuse
attorno all’elsa appoggiata al suo fianco.
–
Sono davvero dolente, signori.
Vedete, ho sviluppato una certa simpatia per la mocciosa, e
benché lei non sia
propriamente quel che si definirebbe un soggetto di facile gestione, mi
vedo
costretto a declinare la vostra gentile proposta. –
Anche
attraverso la maschera, non
fu difficile vedere la calma dell’uomo che rapidamente mutava
in collera.
–
In tal caso, peggio per voi. –
Funzionò
come un imperativo di
attaccare.
Con
uno scatto rapidissimo, i tre
già armati si scagliarono su Lucius come se il loro unico
obiettivo fosse stato
eliminare lui. Allo stesso tempo, anche il loro capo si
armò; tra lui e Regan
restava soltanto Shin.
Sentiva
la paura di Regan, ed era
una paura che riguardava solo ed esclusivamente il rischio che stavano
correndo
lui e Lucius a causa sua. Di paura per sé stessa quasi non
sembrava in grado di
provarne.
Shin
si sentiva le mani gelate.
Con la sinistra tenne Regan dietro di sé e con la destra
trovò con fatica
l’elsa della propria spada. Sfilandola lentamente, si
domandò come mai gli
sembrasse improvvisamente così pesante.
Sentiva
in sottofondo il clangore
assordante delle lame che si scontravano, ma non osava spostare gli
occhi
dall’avversario che aveva di fronte.
–
Bene, bene, bene… siamo rimasti
noi. –
Shin
serrò le dita, e a un certo
punto non fu più in grado di distinguere l’elsa di
metallo dal polso di Regan.
Le stava sicuramente facendo male, ma non la sentì
lamentarsi.
–
Mi è stato riferito che non sei
un grande spadaccino, ragazzo. Un vero peccato. Di solito mi piace
misurarmi
con contendenti degni di me, ma per stavolta farò un
eccezione. –
Shin
si ritrovò a parare un
violento affondo senza quasi accorgersene. Se in tecnica lasciava a
desiderare,
almeno nei riflessi non aveva di che lamentarsi.
L’uomo
non indugiò un solo
istante e partì in un nuovo affondo, che Shin
riuscì a schivare per miracolo.
Saltò indietro e colpì di fendente, ma
l’altro lo evitò senza fatica.
Era
difficile muoversi con
qualcuno appresso.
Non
aveva scelta.
–
Stai indietro – ordinò a Regan,
dopo averla lasciata, pur con riluttanza.
Non
perse tempo ad assicurarsi
che lei gli avesse obbedito. Libero da impicci, balzò di
lato e bloccò
l’avversario appena prima che riuscisse a passargli oltre. Al
di là delle spade
incrociate all’altezza del viso, i loro occhi si incrociarono
per un momento.
–
Il tuo amico se la sta cavando
molto meglio di te, pare. Tenere testa da solo a tre nemici gli fa
onore. –
Stava
solo cercando di distrarlo,
e Shin non avrebbe abboccato, tanto più che era
perfettamente consapevole che,
diversamente da lui, Lucius fosse uno spadaccino esemplare.
–
Questo non è che uno dei tanti
motivi che fanno di lui un uomo degno di onore – rispose, e
con tutta la forza
che aveva in corpo – e fu appena sufficiente –
respinse l’avversario,
costringendolo a indietreggiare di un paio di passi, poi, ansante, si
preparò a
ricominciare.
Non
avrebbe resistito a lungo, di
questo passo. Era inferiore per stazza e abilità e
finché Lucius fosse stato
trattenuto, avrebbe dovuto cavarsela da solo.
Quei
quattro avevano anche avuto
la fortuna di scegliere di attaccare in un momento propizio: era
mezzogiorno, e
tutta l’Accademia doveva già essere riunita nel
refettorio per il pranzo.
Nessuno avrebbe notato quello che stava succedendo, nemmeno per sbaglio.
–
Shin… – pigolò Regan,
tentennante.
–
Resta dove sei – le impose lui,
distendendo un braccio all’indietro.
Il
tizio mascherato emise una
risata cavernosa.
–
Molto nobile da parte tua,
giovane angelo, ma la ragazzina oggi verrà con me, che ti
piaccia o no, e se tu
ci tieni tanto a farti ammazzare per lei, allora sarai accontentato.
–
Si
mosse velocemente, tanto che
Shin faticò a prevedere da quale parte avrebbe colpito.
Andò a istinto e riuscì
a bloccare la punta della lama appena prima che questa gli sferzasse la
gamba.
Ma si trattava di un’abile finta e una frazione di secondo
dopo la spada del
nemico era libera e stava sfrecciando verso di lui.
Non
avvertì subito il dolore.
Dapprima ci fu solo una bizzarra sensazione di freddo, poi di caldo
improvviso,
poi l’uomo ritrasse la spada, e solo allora il dolore
arrivò. Terribile ed
accecante, si diffuse per le membra di Shin senza lasciare modo al
cervello di
capire cosa fosse successo.
Guardò
giù, la vista annebbiata:
sul fianco sinistro una macchia di un rosso brillante si stava
allargando con
sorprendente rapidità sul bianco della camicia, e colava
giù, imperterrita,
gocciolando fino a terra.
Cadde
in avanti carponi, il
respiro mozzato dalle fitte lancinanti che si diradavano dalla ferita
ad ogni
battito del cuore impazzito.
–
SHIN!
–
Lo
strillo acuto di Regan si
mescolò con l’urlo possente di Lucius, ed entrambi
parvero provenire da un
altro mondo.
–
No! –
Nel
cielo, tutt’un tratto, si
levò uno stridio acutissimo. In alto, stagliata contro la
luce giallastra del
cielo nuvoloso, una sagoma indefinita stava precipitando a capofitto
verso la
terra, rapida come una freccia. Due vaste ali si spalancarono appena
prima che
la sagoma sfiorasse la testa di Regan.
Era
Libra.
Il
rapace si abbatté contro
l’aggressore con la furia incontrollata di una tempesta.
Regan
apparve accanto a Shin,
inginocchiata in una pozza di sangue che lui si stupì a
riconoscere come
proprio.
Possibile
che in pochi secondi ne
avesse già perso così tanto?
Tossì.
L’aria iniziava a mancare.
Con la Spada e con il Sangue.
Uccidere ed essere ucciso.
Era
stata una sua scelta.
Regan
capì di stare piangendo
solo quando vide le lacrime cadere sulle proprie mani, che sostenevano Shin senza
sapere cosa fare. La
camicia, la carne e il sangue erano tutt’uno a causa della
consistente
emorragia che sgorgava dal profondo squarcio che la spada affilata
aveva aperto
nel fianco di Shin.
La
lotta tra Libra e l’uomo
mascherato continuava. Regan era sicura che l’animale sarebbe
morto per
difendere il suo protetto. Il nemico cercò più
volte di colpirla, ma lei era
agile e aveva il vantaggio di potersi muovere nell’aria e
sottrarsi facilmente
ai suoi tentativi di offensiva. Il braccio dell’uomo era
pieno di graffi, la
stoffa strappata che pendeva a brandelli. Ma poi, con una mossa cieca,
il
piatto della spada riuscì a colpirla. Stordita, Libra cadde
a terra con un tonfo
sordo, agitandosi debolmente.
–
Forse ora potremo ragionare. –
L’uomo
si avvicinò a Regan
compiaciuto. Torreggiava su di lei, in mano la spada ancora macchiata
di rosso.
Non c’era l’ombra di sentimenti nei suoi occhi
metallici.
Aveva
fatto del male a Shin. Solo
per arrivare a lei, aveva ferito la persona più buona e pura
che lei avesse mai
incontrato. Per colpa sua Shin stava soffrendo, e la sua vita era in
pericolo.
L’odio
montò e crebbe a dismisura nel cuore di
Regan.
Strinse
i denti, la gola gonfia
di rabbia e le lacrime che le bagnavano il viso, inarrestabili. Lo
sguardo con
cui trafisse lo sconosciuto era veleno puro, e come tale lo
usò, augurandosi,
dentro di sé, che potesse contaminare, intossicare e
uccidere quell’essere che
le faceva venire la pelle d’oca dal disgusto.
Non
si aspettava certo che
avrebbe sortito l’effetto sperato.
Vide
con una strana, innaturale
lentezza l’espressione spavalda dell’uomo
affievolirsi e mutare in sconcerto.
–
REGAN!
–
Il
grido distante di Lucius si
perse in un’eco nella vallata.
Nel
medesimo istante, il rumore
assordante di una spada che crollava sulla pietra ferì da
vicino l’udito di
Regan. Di fronte a lei, il nemico aveva gli occhi sgranati, iniettati
di
sangue, e le mani strette attorno alla gola, mentre un rantolo
soffocato gli
vibrava tra le labbra.
Regan
non aveva idea di cosa
stesse accedendo. Pietrificata, in ginocchio accanto a Shin, rimase a
guardare
mentre l’uomo barcollava all’indietro, fissandola
come se avesse avuto davanti
il più terrificante dei mostri. Poi cadde, e non si mosse
più.
Shin
tremava come una foglia. Le
sue labbra erano bianche quasi quanto la sua carnagione.
Fa’ qualcosa!,
strepitò un brandello di buonsenso sgualcito
dall’ansia.
Regan
si guardò le mani
insanguinate, il respiro frammentato. Il sangue fluiva inarrestabile,
troppo
copioso, troppo in fretta.
Premi sulla ferita, arresta il flusso!
Non
era il taglio aperto a
spaventarla. Non provava repulsione né per quello,
né per l’intenso odore
ferroso che le riempiva i polmoni.
Avrebbe
dovuto toccare la pelle
nuda di Shin.
Avrebbe
dovuto sentire di nuovo
quell’ondata di dolore puro che le spezzava il fiato in gola
e le toglieva la
vista.
Devi fare qualcosa, sciocca!
Libra
si era ripresa. Volò, un
po’ sghemba, fino a Regan e si appollaiò sul
parapetto del ponte con un verso
agitato.
Egan
era terrorizzata.
Non
era abituata a cavarsela da
sola.
C’era
stato Derian, una volta,
quando la sua vita era chiusa entri quattro pareti sterili, e lui le
aveva
insegnato il mondo, le aveva detto di farsi coraggio, che un giorno
sarebbe
finita. E poi era venuto Lucius, e lei si era completamente abbandonata
alla
sua guida. Lei si era messa nei guai, e lui e Shin la avevano salvata,
si era
persa, e l’avevano ritrovata.
Lei,
da sola, non sapeva fare
niente.
Shin
aveva gli occhi chiusi,
pallido come uno spettro, e la sua forza vitale stava sensibilmente
diminuendo.
Gli tenne un braccio attorno alle spalle per sorreggerlo e
avvicinò l’altra
alle sue labbra. Respirava ancora, ma molto debolmente.
Non
poteva lasciarlo morire così,
senza nemmeno tentare…
Presto!
Decise
che sarebbe stato più
semplice se non ci avesse pensato affatto.
Avvicinò
la mano libera alla
lesione e premette con tutta la forza di cui disponeva.
Sentì
il calore e la viscosità
del sangue solo per un infinitesimale frammento di attimo. Subito dopo
non ci
fu più altra percezione al di fuori dell’acuto
dolore che si impossessò di ogni
singola fibra del suo corpo.
Urlò,
dilaniata da mille fiamme
invisibili, mille aghi e mille lame. Il braccio le fremeva per lo
sforzo di
contrastare il male dilaniante.
Cercava
disperatamente di tenere
i palmi premuti sulla ferita, ignorando la tortura che da
ciò scaturiva, ma la
spaventava anche sentire le costole flettersi sotto la sua pressione.
Shin non
era robusto come Lucius, il suo corpo non aveva la stessa
solidità muscolosa, e
lei temeva di peggiorare la situazione.
Mi dispiace, singhiozzò tra
sé, sentendosi stupida e patetica per
la propria inettitudine.
Avrebbe
voluto potersi sdoppiare,
rimanere a occuparsi di Shin e intanto aiutare anche Lucius, in qualche
modo.
Ma era del tutto impotente e il dolore che scorreva invincibile dentro
di lei
le impediva di ragionare con lucidità.
Strinse
i denti, chiuse gli
occhi.
Libra
si agitava, strepitava,
batteva forsennatamente le ali, e guardava Regan come pregandola di non
lasciar
morire Shin.
–
Non posso fare niente, capisci?
Non so come fare… –
Libra
emise un fischio
assordante, lungo e rabbioso, grattando con gli artigli sulla dura
pietra.
–
Aiuta Lucius! Vai ad aiutare lui,
è l’unico che può fare qualcosa per
Shin! –
Regan
era stremata. Il dolore la
stava facendo impazzire.
La
vista si stava annebbiando e
la testa le vorticava, troppo leggera, o forse troppo pesante.
Gli
occhi le si stavano chiudendo
quando vide uno degli uomini mascherati abbandonare
l’invettiva contro Lucius e
trascinarsi verso di lei. Zoppicava, lasciandosi dietro una scia
scarlatta.
Libra
aveva obbedito ed era
accorsa in soccorso di Lucius, e non era la sola: anche Rok era apparso
da
chissà dove e si avventava senza pietà sulle
teste dei due tizi mascherati. E
c’era anche una terza presenza che prima Regan non aveva
notato: una macchia
tonda e rossiccia che si muoveva fulminea, quasi invisibile.
E
intanto, il terzo spadaccino
continuava ad avvicinarsi.
Fu
con una stretta al cuore e un
ultimo sprazzo di lucidità che lei lo riconobbe: era
l’uomo col cappellaccio
che l’aveva osservata a lungo alla Quercia
d’Argento, ormai diverse settimane prima.
–
Sbrigati! – urlò la voce di una
donna.
L’uomo
si fermò prima di arrivare
a Regan: si chinò ad afferrare il compagno che giaceva a
terra e iniziò a
trascinarlo via a fatica, fino a che non raggiunse la fine del ponte.
Regan
era sul punto di perdere i
sensi. Riuscì a vedere, con un singulto di disperazione,
Lucius che cadeva a
terra e i suoi due avversari che si precipitavano a raggiungere gli
altri due.
In un attimo, tutti e quattro svanirono nel nulla.
Regan
collassò, esausta, e riuscì
appena a udire la voce rassicurante di Lucius che la chiamava, e
chiamava Shin,
sempre più forte, eppure sempre più lontana.
Si
sentì sollevare di peso.
Parole incomprensibili le giunsero all’orecchio senza
riuscire a penetrare fino
alla mente.
Ne
distinse solo alcune, o forse
le immaginò, solo perché erano quelle che voleva
sentire:
–
È tutto a posto. Vi porto al
sicuro. –
------------------------------------------------------------------------------------------------------------
A/N:
ed eccomi, dopo un'eternità di assenza, durante la quale
praticamente vi sarete tutti scordati sia di me che della storia... ma
direi che me la sono cercata! Il fatto è che mi
è venuta un'idea per un altra storia e mi ci sono buttata a
capofitto, dato che come tematiche è sicuramente molto
più "commerciabile" (per usare un termine davvero orribile,
ma tant'è) rispetto a Century Child. Con questo non voglio
dire che mi ha anche solo sfiorata l'idea di abbandonare Century Child!
Anzi, il nuovo preogetto servirà proprio per aprire la
strada a queesto. Ovviamente la pubblicazione da parte di una casa
editrice vera e propria è assai distante, per ora, ma, come
si suol dire, mai smettere di sognare. Insomma, mentre mancano pochi
capitoli al termine del nuovo romanzo, mi sono data un po' da fare
anche su altri fornti: ho pubblicato Innocence in formato kindle su
Amazon (lo potete trovare QUI )
e chissà mai che negli abissi della rete non lo noti
qualcuno. Sto anche creando una pagina su Facebook (QUI),
dove posterò immagini e qualche estratto del libro, per
farlo conoscere un po' meglio. Siete tutti invitati a raggiungermi,
ovviamente! Nel frattempo, cercherò di portare a termine il
progetto che in questi ultimi mesi ha monopolizzato la mia attenzione e
i miei sforzi, sperando, con un po' di fortuna, di riuscire a farlo
arrivare su qualche scrivania che sia interessata a portarlo in
libreria. Magari una volta finito, come per Innocence,
proverò a postare qualche capitolo qui su EFP e vedere cosa
ne pensano i lettori! :)
Se nel frattempo Innocence fin qui vi è piaciuto (o non piaciuto, ovviamente!) e vi andasse di lasciare una recensione al libro su Amazon, ne sarei molto felice, mi aiutereste molto a promuoverlo un po'!
Per adesso un abbraccio grande a tutti e un grazie sconfinato per il
vostro supporto! Ci vediamo su Facebook, per domande, richieste o anche
solo due chiacchiere! Ciao!
|