dance for three - 5
Eccoci
qua. Come sempre, arrivata alla fine di un’avventura, mi prende
quel vago senso di malinconia, inevitabile quando si trae soddisfazione
da un lavoro. Succede anche a voi? Eggià…
Stavolta
non risponderò una per una alle recensioni che mi avete lasciato
(oddio, siete stati troooooopppppoooo buoni!!!!), non per pigrizia, ma
solo perché molti dei vostri dubbi saranno chiariti da questo
ultimo capitolo e poi perché non saprei davvero che dire per
rispondere ai vostri (per me esagerati) complimenti. Vi posso solo
dire: GRAZIE!!!!!!!
Per
me è un soddisfazione enorme, credetemi, enorme, essere riuscita
con questa storia senza troppe pretese a conquistare se non il
rispetto, per lo meno la stima di persone come voi. Grazie ancora! Mi
avete davvero commossa!
Cosa
altro dire? Non sono proprio soddisfattissima dell’epilogo, a voi
il giudizio. Spero che gradirete questo finale leggermente melenso.
Aspetto i vostri commenti e… tra qualche giorno controllate il
capitolo, perché penso che aggiungerò la risposta alle
recensioni finali in una postilla.
Grazie ancora a tutti, di cuore. Un bacio
Sara
5 - Salva l’ultimo ballo per me
Un paio d’ore
dopo, quando la cena era finita ed il ballo era nel vivo, Riza si
avvicinò al tavolo delle bevande. Anthony era andato in bagno e
lei ne approfittava per rinfrescarsi la gola.
“Complimenti, è un bellissimo vestito.” Le disse una voce ben conosciuta.
La donna si
voltò, per trovarsi davanti il colonnello che le sorrideva con
gentilezza. Lei abbassò gli occhi imbarazzata, cercando qualcosa
da guardare che non fosse il bellissimo uomo che aveva davanti. Averlo
di fronte, negli ultimi tempi, le dava una gran pena al cuore.
“Grazie…” Mormorò quindi.
“Sono belli
anche i fiori.” Continuò Roy, indicando il piccolo bouquet
di rose bianche bordate d’azzurro. “Glieli ha presi il
Maggiore Paul?”
“Certo.” Rispose Riza, osservando i fiori. “S’intonano col vestito…”
Vorrei che tu t’intonassi con me, come una volta… pensava lui, nel frattempo, con una certa tristezza. Non possiamo più ignorare questa cosa tra noi, Riza…
“Amelia è
deliziosa, stasera, davvero molto carina.” Riprese la ragazza,
lanciando un’occhiata alla segretaria, che conversava con alcune
persone dall’altra parte della sala.
“Già…”
Fece lui, seguendo il suo sguardo, ma tornò subito a guardare
lei. “È una donna molto intelligente e dolce,
l’avevo sottovalutata.”
“Lei sottovaluta sempre le donne, Signore.” Intervenne Riza con un sorriso.
Gli occhi di Roy si
fecero improvvisamente seri, fissandola. Erano scuri e profondi, pieni
di pensieri ed emozioni come non li vedeva dai tempi di Ishbal. Le si
svuotò lo stomaco davanti a quelle profondità e si
sentì scivolare via.
“Non ho mai sottovalutato lei, Tenente.” Le disse con un fremito nella voce.
Riza scosse il capo,
cercando di respingere quella nuova intromissione nella sua anima. Non
credeva che Roy fosse consapevole di quanto riusciva ad andare a fondo
dentro di lei, ma le faceva male e non poteva permetterglielo.
“Roy, io…” Balbettò la ragazza abbassando gli occhi.
“Io devo…” Tentò lui.
“Riza, tutto a posto?” Domandò una voce maschile alle loro spalle.
Si voltarono per
vedere il maggiore Paul che arrivava. Si portò accanto al
tenente e le circondò la vita con un braccio. Mustang
seguì con disapprovazione il gesto, poi alzò uno sguardo
ostile su Anthony, che rispose con aria seria.
“Allora, tutto bene?” Chiese ancora una volta Anthony, rivolgendosi di nuovo alla donna.
Lei lo guardò,
distogliendo finalmente gli occhi da Roy. “Sì, certo, ci
stavamo solo… salutando.” Rispose infine, incrociando
nuovamente lo sguardo dell’uomo dai capelli neri.
“Beh, buonasera,
Colonnello.” Salutò quindi il maggiore, poi si girò
verso Riza. “Che ne dici, balliamo?” Lei stentò un
attimo prima di voltare il capo, ma poi annuì sorridendo.
“Credo che anche lei dovrebbe invitare la sua dama,
Colonnello.”
A quell’invito,
Roy spostò gli occhi da quelli di Riza, tornati ancora su di
lui, a quelli di Anthony. “Stia certo che lo farò.”
Gli rispose duro.
“A più
tardi, Signore.” Soffiò Anthony, trascinando via la donna.
Ma questo non impedì un ulteriore capitolo del gioco di sguardi
tra lei e Roy. Un altro triste capitolo.
Il colonnello Mustang
prese con rabbia un bicchiere di champagne e lo bevve tutto in un
fiato. Aveva ragione Paul, perché diavolo continuava a perdere
tempo? Era meglio che ballasse con Amelia e la finisse di pensare a
Riza. Sì, ma come faceva se lei c’era? Non solo fisicamente, nella sala da ballo, ma nella sua mente, nel suo cuore. Riza esisteva,
solida, viva. E sentiva che, se l’avesse persa, i fantasmi
annidati nella sua anima sarebbero tornati fuori e, senza di lei, come
avrebbe fatto a respingerli?
A distrarlo dai suoi
pensieri fu una figuretta rosa che si avvicinò leggermente
traballante al tavolo e afferrò veloce un bicchiere di champagne
alla fragola. Roy la guardò preoccupato. Era,
all’apparenza, allegra, ma la sua gaiezza era senz’altro
dovuta all’alcool, perché i suoi occhi non erano proprio
vivaci. L’uomo le scostò delicatamente una ciocca di
lunghi capelli biondi dalla spalla e ci posò sopra una mano
calda.
“Winry…” Chiamò piano; la ragazzina sussultò appena, volandosi.
“Oh, Colonnello,
buonasera!” Salutò quindi, con allegria etilica. “Ha
sentito quant’è buono questo coso alla fragola?”
“Winry, quanti
ne hai bevuti di quelli?” Le domandò con tono paterno, non
poteva permettere che quella ragazzina si ubriacasse.
“Eh…
ecco… due o tre…” Balbettò incerta lei.
“…forse… cinque…” Roy roteò gli
occhi, era già bella che partita, questi adolescenti!
“Tesoro…”
Riprese gentile l’uomo, sfilandole il bicchiere di mano, Winry lo
guardò male. “…adesso è meglio se vai a
prendere una boccata d’aria…”
“No!” Si
oppose la ragazza, stringendo i pugni. “Lo so io cosa è
meglio!” Dichiarò quindi, mentre lui la fissava
sbalordito. “Sarà meglio che quell’idiota patentato
di Edward Elric si decida ad invitarmi a ballare, sennò…
sennò… Questo è un ballo, no? E allora
perché io non ballo, eh? E dove cavolo si è ficcato quel
coniglio di Ed?! Si può sapere?!”
Ah, ecco qual era il
problema! Quando beccava Acciaio gli faceva un culo come una rosa!
Mollare quella povera ragazzina da sola, in balia dello champagne alla
fragola! Senza contare che, vestita a quel modo, era davvero deliziosa
e, in quello stato, poteva fare brutti incontri. Si guardò
intorno e, per fortuna, vide Shieska a qualche metro da loro.
“Aspetta qui,
cara, che vado a cercarlo.” Le disse, tenendola delicatamente per
le spalle. “Adesso ti porto da Shieska e andate un po’
fuori sul balcone, ok?” Winry annuì. “A Ed ci penso
io…” Lei annuì ancora, con sguardo fiducioso e Roy
l’accompagnò dall’altra ragazza.
Affidata Winry
all’amica, finalmente poté dedicarsi ad Amelia, che, dopo
aver seguito la scena, lo aspettava con un sorriso. Era vero, aveva
proprio sottovalutato quella ragazza, era una che capiva le cose e non
era giusto che la trascurasse così.
“Tutto a posto?” Gli domandò lei, quando l’uomo la raggiunse.
“Sì, ha solo bevuto un po’ troppo.”
“Oh, poverina…”
“Balliamo?”
Le propose però lui, distraendola dall’osservazione di
Winry e Shieska. Amelia annuì sorridendo, gli porse la mano e si
fece portare al centro della sala.
Passò circa
un’ora, durante la quale si susseguirono balli e pause. Edward
non si fece vivo, almeno sulla pista. Il colonnello, però, si
era praticamente dimenticato della vicenda, poiché ogni volta
che alzava gli occhi sugli altri ballerini, si trovava ad incrociare
quelli di Riza, la qualche, ovviamente, li chinava subito quando si
accorgeva che lui la guardava.
La faccenda
andò avanti per un po’ e la donna, infine, si
stancò. Era spossante dover evitare quegl’occhi e aveva
paura che Anthony se ne accorgesse. Approfittò di una pausa per
dire al suo accompagnatore che andava alla toilette e si
allontanò veloce.
Il colonnello Mustang,
in quel momento, si era fermato per bere ed era accanto al solito
tavolo con Amelia. Quando vide Riza staccarsi dal maggiore e prendere
la via per i bagni, pensò che doveva approfittarne,
c’erano cose che voleva chiarire in tutti i modi. Stava per dire
alla sua dama che andava in bagno, ma si rese conto che non poteva
mollarla di nuovo.
“Colonnello…”
Lo chiamò qualcuno alle sue spalle; si girò e vide Havoc.
Ah, per una volta il sottotenente giungeva a proposito! “Il
Comandante…”
“Jean Havoc!” L’interruppe però il suo superiore, stupendolo.
“Sì?” Fece il ragazzo perplesso; Roy lo prese per un braccio, portandolo accanto a se.
“Sottotenente Jean Havoc le presento la signorina Amelia Rose.” Fece il colonnello con un sorriso.
Lo sguardo dei due
giovani s’incontrò. Lei sorrise e chinò gli occhi,
arrossendo appena. Lui si grattò la nuca imbarazzato. Era un
buon inizio, pensò Mustang.
“Posso lasciarvi
un attimo da soli?” Fece l’uomo, ponendosi tra i due e
tenendoli entrambi per un braccio, come ad unirli. “Dovrei andare
alla toilette.”
“Ma prego…” Mormorò Amelia.
“Faccia pure…” L’assecondò Havoc.
“Bene!” Esclamò soddisfatto Roy, prima di lasciarli e incamminarsi un po’ troppo velocemente.
Dopo qualche secondo
d’imbarazzo e risatine nervose, Amelia alzò gli occhi in
quelli di Jean. Era carino. Begl’occhi blu. Magari aveva
un’aria un po’ imbranata, però…
“Così lei collabora col Colonnello Mustang…” Buttò lì, per intavolare una conversazione.
“Eh, sì…” Rispose Jean, cui mancava disperatamente una sigaretta.
“È una
persona speciale, eh?” Lui annuì non proprio convinto.
“Com’è lavorare con lui?” Gli chiese quindi.
“È… ecco, è… avventuroso…”
“Addirittura…”
Roy era di fronte
all’elegante porta imbottita che conduceva al corridoio dei
bagni, indeciso. Quando allungò la mano per afferrare la
maniglia, la porta, con un soffio, si aprì verso l’interno
e Riza uscì fuori a testa bassa.
La donna alzò
gli occhi e si trovò davanti il volto leggermente sorpreso
dell’uomo. Non riuscì ad evitarsi un forte tuffo al cuore
e, nel tentativo di impedire una conversazione come la precedente,
abbassò di nuovo il capo e fece per superare Mustang.
“Riza,
aspetta!” La richiamò però lui, allungandosi nel
tentativo di afferrarla; non ci riuscì, ma la ragazza si
voltò, colpita dalla confidenza in quelle parole.
“Che cosa vuole,
Colonnello?” Gli domandò quindi e quella nota di
disperazione nella sua voce non sfuggì all’uomo.
“Perché?” Le chiese Roy, avvicinandosi con sguardo tormentato.
“Perché
cosa?” L’interrogò lei, mentre sentiva un improvviso
tremito che risalendo dalle mani le invadeva tutto il corpo.
“Perché sei venuta al ballo con lui?” Le porse la domanda, fermandosi proprio davanti a lei.
Erano uno davanti
all’altra, a solo un paio passi di distanza. Riza sentiva il
calore emanare dal corpo di Roy, il suo respiro la raggiungeva,
provocandole profondo disagio ed emozione. Lui la guardava
negl’occhi, avvertiva il profumo dei suoi capelli sciolti, quasi
gli sembrava di sentire il battito accelerato del suo cuore. O forse
era il proprio, che gli rombava in petto.
“Perché
lui me lo ha chiesto prima…” Rispose infine la donna,
ostentando una freddezza che non possedeva in quel momento. Perché tu non me lo hai chiesto prima…
“Questo non
conta!” Esclamò Mustang, battendo un pugno sul muro
accanto a lei; cosa che li avvicinò ancora di più.
“Non
conta?” Replicò la donna. “Non conta? Solo quello
che vuoi tu conta, è vero?” Lui, che non si aspettava
quella reazione, spalancò gli occhi e si scostò di un
passo.
“Che vuoi dire…” Mormorò confuso.
“Voglio
dire… perché sarei dovuta venire con te, sempre che tu ti
fossi deciso a chiedermelo prima o poi, per starmene lì, in un
angolo, con la mia uniforme, a guardarti ballare con
un’altra!” Riza gli gridò questo con rabbia, mentre
i suoi occhi diventavano lucidi.
Roy, sempre più
perplesso e addolorato, la guardava aggrottando la fronte, rendendosi
conto di non conoscere affatto quella donna che proclamava di amare,
che lei gli aveva sempre nascosto una parte importate della sua anima.
E lui voleva sapere ogni cosa, voleva scoprire i suoi lati oscuri, come
lei conosceva i suoi.
“Riza,
io…” Riprese con rammarico. “…io non volevo
che mi accompagnassi come Luogotenente, volevo… volevo che tu
fossi la mia dama, che indossassi questo vestito per me…”
Le confessò, per una volta sincero.
La donna, indignata,
si sottrasse a lui con un movimento fluido, dandogli le spalle. Non
poteva permettersi di fargli vedere le proprie lacrime, quelle che
versava per lui.
“Avresti dovuto
chiedermelo prima.” Gli rimproverò dura. “Sarebbe
bastato un giorno… sarebbero bastate poche ore…”
“Riza…” Tentò l’uomo, allungando una mano, ma lei si girò di scatto.
“No.”
S’impose, negando col capo. “Adesso è troppo tardi,
Roy.” Lui si sentì gelare da quelle parole. “Se non
sbaglio c’è qualcuno che ti aspetta di là e…
aspettano anche me.”
Mustang sospirò
e rilasciò le braccia lungo i fianchi. Aveva ragione, era tardi.
E c’erano troppe cose tra di loro. Se questa conversazione
continuava rischiava di perderla per sempre.
“Buonasera, Colonnello.” Lo salutò Riza, prima d’incamminarsi verso la sala.
Roy, nonostante quello
che si era detto fino ad un attimo prima, non riuscì a
trattenersi e, stavolta, fece un lungo passo verso di lei e la prese
per un polso obbligandola a voltarsi. Nella furia del gesto,
l’uomo afferrò anche il bouquet, che si disfece. I fiori
si ruppero ed i petali bianchi piovvero a terra in un triste valzer.
Entrambi li seguirono
con lo sguardo mentre cadevano, poi alzarono il capo e si guardarono.
Avevano tutti e due gli occhi lucidi. L’espressione di Riza era
triste e arrabbiata, quella di Roy rammaricata e confusa. La donna
sfilò la mano dalla presa di lui.
“Scusa…” Sussurrò il colonnello.
“Lascia stare…” Replicò lei scuotendo la testa, poi si allontanò senza dire altro.
Roy restò
qualche minuto in quel corridoio semibuio a commiserarsi, guardando i
petali bianchi sparsi sulla moquette scura. Ogni cosa che faceva
sembrava portarlo più lontano da Riza, si sentiva smarrito.
Temeva non ci fosse modo di rimediare.
La porta dietro di
lui, ad un tratto, soffiò di nuovo, aprendosi. Mustang si
voltò e vide Edward uscire con espressione, strano per lui,
timorosa. Si guardarono negl’occhi per un attimo, poi abbassarono
subito il capo, entrambi imbarazzati.
“Hai sentito
tutto?” Domandò il colonnello, mettendosi dritto e
dignitoso come un vero soldato deve sempre essere, soprattutto nei
momenti di difficoltà.
“Sì…” Ammise Ed sconsolato.
“Bene.” Annuì un compito Roy, guardando da tutt’altra parte.
“Mi
dispiace…” Affermò tristemente il giovane
alchimista, sembrando veramente addolorato. “È una brutta
situazione.”
“Hm…”
Fece l’uomo con un’alzata di spalle. “Mi ci sono
cacciato da solo, quindi penso che dovrò tentare di uscirne allo
stesso modo.”
“Davvero, sono molto dispiaciuto.” Rincarò il ragazzo.
“Ti ringrazio
per la solidarietà, Acciaio, ma preferirei tentare di sollevarmi
da questo lago di letame in solitudine.” Replicò amaro il
colonnello.
“Beh, allora, se
è così… la lascio…” Dichiarò
mesto Ed, superando Roy con un’ultima occhiata preoccupata.
L’imbarazzo, comunque, lo vinse ed evitò di guardarlo
ancora.
“Ah,
Edward.” Lo richiamò però il superiore,
sorprendendolo, perché non lo chiamava quasi mai per nome.
“Sì?” L’interrò il ragazzo, dopo essersi girato verso di lui.
“Non essere
stupido come me.” Gli consigliò, facendogli aggrottare le
sopracciglia. “C’è una ragazza molto carina, di
là, con grandi occhioni blu e un bel vestito, ha bevuto un
po’ troppo, ma credo che se tu la invitassi a ballare ne sarebbe
molto felice.”
Edward spalancò
la bocca in un sospiro colpevole, poi ripensò al modo indegno in
cui aveva abbandonato Winry e chinò gli occhi.
“Grazie, Colonnello.” Disse infine, consapevole delle sue colpe e pronto a rimediare.
“Di nulla,
Acciaio.” Incassò l’uomo, con un cenno umile.
“Fatti valere, non prendere esempio da me, se te la lasci
scappare, poi te ne pentirai.”
Il ragazzo
annuì, guardandolo entrare dalla porta dei bagni con aria
abbattuta, ma pur sempre rivestito del suo contegno da militare. Ed,
quindi, prese un lungo respiro. Basta errori, per quella sera, si
disse, prendendo spedito il corridoio che conduceva in sala.
Il colonnello Mustang
tornò in sala quasi mezz’ora dopo averla lasciata. Era
rimasto in bagno a riflettere, guardandosi allo specchio e dandosi
dello stupido. La situazione sulla pista da ballo si era, nel
frattempo, evoluta.
Edward e Winry
ballavano piano, al ritmo di una musica ormai lenta e dolce, che si
accordava con la stanchezza degli utenti e dei ballerini a fine serata.
Lui era un po’ più basso e la ragazza, per poggiare il
capo sulla sua spalla, si doveva piegare un modo un po’ strano,
ma dal sorriso sulle sue labbra si sarebbe detto che non le costava
troppo. Erano proprio una bella coppia, pensò Roy.
Spostando lo sguardo,
il colonnello incontrò un’altra coppia, a dire il vero un
po’ più impacciata, ma altrettanto carina. Havoc e Amelia
erano un po’ più spostati verso le grandi finestre e
tentavano di ballare, pestandosi reciprocamente i piedi ad ogni passo,
tra scuse e sorrisi. Si erano proprio trovati, quei due, lo sapeva che
sarebbero andati d’accordo.
Roy sbuffò un
sorriso. “Sembra che qualcosa di buono, alla fine, stasera
l’ho fatto…” Commentò scuotendo il capo.
Non vide Riza. A dire
il vero non la cercò nemmeno. Non voleva vederla con lui.
Pensò di andare via, ma poi si diresse verso la sala del
banchetto e sedette ad un tavolo vuoto. La bottiglia di champagne, per
fortuna, non era vuota. Per l’ennesima volta, nella sua vita,
pensò di tendere pericolosamente all’alcool…
Era passata
mezzanotte, quando Anthony e Riza decisero di andare via. L’uomo
sembrava particolarmente stanco e annoiato e lei, dopo lo scontro con
Roy non era certo dell’umore migliore.
I due ufficiali,
allora, ritirarono i soprabiti al guardaroba e si diressero al
parcheggio. La notte era umida e fredda, non c’era la luna e una
nebbia fine e bianca aveva cominciato ad alzarsi dai canali.
Il maggiore Paul
precedeva il tenente Hawkeye e lei si domandava il perché di
quell’atteggiamento; lui, difatti, non era mai stato un tipo
distaccato, ma quella sera sembrava distratto, pensieroso.
Giunti nel parcheggio,
Riza lo vide fermarsi e lei fece altrettanto. Tra le auto parcheggiate
s’intrufolava già la lieve nebbia. La donna
rabbrividì, guardando le ampie spalle contratte del suo
accompagnatore.
“Che cosa facciamo, adesso?” Le domandò l’uomo senza voltarsi.
“Non capisco, Anthony…” Mormorò perplessa lei. “Andiamo a casa?”
“E, stasera, mi farai salire?” Replicò Paul, girandosi verso Riza.
La donna si
gelò sul posto, lo guardò negl’occhi confusa, poi
prese un lungo respiro. “Anthony io… ecco,
io…” Balbettò quindi.
“Tranquilla.” Fece lui scrollando il capo, con espressione arresa ed un sorriso triste. “Lo so.”
“Che cosa vuoi dire?” L’interrogò la donna, insospettita.
“Andiamo…”
Rispose lui, levando per un attimo gli occhi al cielo, per poi
riposarli su di lei. “Non sono stupido, tu stasera hai parlato
con me, cenato con me, ma avevi la testa altrove. Ballavi con me, ma
desideravi le braccia di un altro.” Riza non poté che
restare in silenzio, fissandolo attonita. “Non mi hai detto cosa
è successo ai tuoi fiori.” Riprese lui poi, indicando il
polso ormai sguarnito della donna.
Anche lei lo
guardò, sollevandolo appena, quindi cercò di nuovo gli
occhi di Anthony. “Solo un incidente…”
“Sì, un
tamponamento col Colonnello Mustang…” Affermò
ironico il maggiore; lei, a quella parole, trasalì. “Cosa
vi siete detti?” Le chiese poi, con garbo.
“Niente di particolare.” Rispose Riza, cercando di tornare lucida.
“Non credo, o non saresti così turbata.” Soggiunse l’uomo.
“Ti garantisco che tra me ed il Colonnello non c’è niente.” Si sentì di precisare la donna.
“Di concreto,
forse no.” Ribatté lui, mentre si girava verso destra,
mettendosi ad osservare il canale che scorreva vicino al parcheggio.
“Ma non è me che stai rassicurando con questa
frase.” Aggiunse definitivo, lanciandole un’eloquente
occhiata.
Trascorse qualche
minuto di silenzio. Anthony continuava a guardare il buio nebbioso di
quella notte. Riza, invece, avvertiva il freddo entrarle nelle ossa.
Non si era mai sentita messa in difficoltà come quella sera. Lei
era sempre stata una donna forte, indipendente, che prendeva le
decisioni da sola, senza bisogno di troppi consigli; le sue uniche
incertezze, i soli logoranti dubbi, glieli aveva sempre regalati il suo
rapporto con Roy Mustang. Riza era una donna troppo razionale e
intelligente, però, per permettersi di cedere ai suoi sentimenti
verso di lui, troppo ligia al dovere per compromettergli la carriera.
La sua, di carriera, al limite, poteva anche essere sacrificata, ma non
quella del suo superiore.
Ma Riza, fino a quella
sera, non aveva mai avuto la consapevolezza che sarebbe bastata una sua
sola parola, per far esplodere la passione. Quella notte gli occhi di
Roy non avevano mentito guardandola, non si erano nascosti dietro al
dovere e al grado e lei non si era mai sentita così debole,
così pronta a cedere. Povero Anthony!
“Sai…”
Fece l’uomo, rompendo finalmente il silenzio. “…sono
sempre stato un rubacuori, io, fin dai tempi della scuola.” Le
raccontò senza guardarla. “Mi piace corteggiare le donne,
vedere l’effetto che gli faccio.” Continuò, mentre
tornava a girarsi verso di lei. “Ma non pensavo di andare tanto
lontano da casa e trovare una donna che lo rubava a me, il
cuore.” Confessò sincero.
“Oh, Anthony…” Mormorò rammaricata lei; il maggiore si avvicinò.
“Forse, per via
della mia condotta col genere femminile, avevo delle colpe da scontare,
altrimenti non capisco perché mi sia innamorato della donna di
un altro…” Affermò mesto.
“Io non
sono… la donna di nessuno…” Tentò il tenente
in un moto d’orgoglio. Lui sorrise benevolo.
“Oh, Riza, forse
ancora non te ne sei resa conto, ma è così.”
Dichiarò Anthony, dolce, ma con tono inconfutabile.
“Che cosa succede, ora?” Domandò infine la donna, dopo qualche attimo passato a guardarsi negl’occhi.
Anthony chinò
il capo, mantenendo il suo mesto sorriso. “Niente. Io riparto, la
settimana prossima torno a casa.” Le disse.
“Oh…” Commentò soltanto la donna.
“Vorrei,
però…” Riprese l’uomo, fissandola
intensamente. “…poter portare con me almeno un tuo
ricordo, un bacio.”
Riza sorrise e annuì. “Questo si può fare.”
Si avvicinarono, lui
le prese il viso tra le mani e carezzò le sue guance morbide con
i pollici, quindi si piegò su di lei, posando le proprie labbra
sulle sue, in un contatto soffice. Fu un bacio breve e dolce. Quando si
lasciarono lui guardò altrove e lei arrossì appena.
“Credi
che…” Mormorò quindi il maggiore, sempre con lo
sguardo rivolto alla notte. “Potresti tornare da sola? Io…
io preferirei andarmene…”
Riza sorrise
tristemente e abbassò il capo. Capiva il suo turbamento e si
sentiva anche un po’ in colpa, per non essere riuscita a
ricambiarlo.
“Stai tranquillo.” Lo rassicurò quindi. “Torno dentro e mi faccio chiamare un taxi.”
“Grazie.” Rispose immediato l’uomo, con un certo sollievo.
“Non
c’è proprio niente di cui devi ringraziarmi,
Anthony.” Replicò la donna, ancora imbarazzata da tutta la
situazione.
“Verrai a salutarmi?” Le chiese infine lui, prima di andarsene.
“Ci puoi contare.” Assicurò il tenente con un sorriso, lui annuì.
“Buonanotte, allora.” La salutò poi.
“Buonanotte.”
Rispose Riza, quindi lo guardò andare via velocemente, con un
ultimo cenno di saluto, prima di sparire tra la nebbia.
Riza, rimasta sola,
sospirò profondamente e poi si appoggiò di spalle contro
il fianco di un’automobile parcheggiata. Doveva ancora riordinare
le idee su quello che era successo. Rabbrividì per il freddo e
si strinse nella giacca bianca, che non si era infilata ma aveva sulle
spalle.
“Non posso
credere che l’abbia lasciata qui da sola.” Affermò
una voce familiare, con tono quasi scandalizzato.
Riza alzò gli
occhi e fece un breve sorriso a Roy che si stava avvicinando. Non
ripensò alla discussione che avevano avuto, perché le
faceva piacere che fosse arrivato.
“Mi creda, ha le
sue buone ragioni per farlo.” Replicò poi. “Ci
osservava da molto?” Gli chiese poi, memore delle esperienze
passate. Lui scrollò le spalle.
“So che i miei
precedenti non depongono a mio favore, ma, mi creda…”
Rispose il colonnello con un sorrisetto senza ironia.
“…sono uscito dalla sala soltanto un attimo fa, ho
visto… solo il bacio.”
Riza fece una smorfia buffa, levando gli occhi al cielo, mentre lui la raggiungeva, fermandosi a pochi passi da lei.
“Era un bacio d’addio.” Confessò la ragazza, guardando davanti a se.
Un bacio
d’addio? Roy non sapeva se esultare, ballare o che. Il primo
istinto sarebbe stato quello di abbracciarla e piangere dalla
felicità. Doveva controllarsi, però. Tossicchiò,
cercando di darsi un contegno. Ma cominciava a sperare che,
forse, i suoi timori fossero abbastanza infondati.
“È…
finita?” Domandò infine, con voce più stentata di
quanto avrebbe voluto. Riza gli dedicò un’occhiata
retorica.
“In
realtà… non credo che sia mai nemmeno iniziata.”
Affermò con un’alzata di sopracciglia.
Roy, sopraffatto
dall’emozione, con le gambe di ricotta e le mani che tremavano
affondate nelle tasche, non riuscì a fare altro che appoggiarsi
a sua volta contro la macchina, con un sospiro. Trascorsero qualche
minuto così, fianco a fianco, persi nella contemplazione del
vuoto.
“Mi deve
perdonare, Tenente.” Dichiarò ad un certo punto Mustang,
attirando l’attenzione della donna, che lo guardò.
“E per quale motivo, Signore?” Ribatté quindi, incuriosita.
“Perché sono un uomo complicato.” Rispose lui, alzando il viso verso il cielo scuro.
“È parte
del suo fascino.” Replicò però Riza, riportando i
suoi occhi su di se. “Se non lo fosse, non sarebbe più
lei.”
“Sì, ma la faccio soffrire.” Soggiunse Roy, fissandola negl’occhi con le sue iridi cupe come la notte.
“Io sto bene.” Annunciò però lei, con un sorriso. “Non sto soffrendo… adesso.”
Lo sguardo che si
scambiarono, fu sufficiente ad entrambi per capire che niente avrebbe
mai potuto alterare la magia tra di loro. Il parlarsi con gli occhi. Il
non aver bisogno di dire. L’Alchimia dell’Alchimista.
“Balliamo?” Propose allora Roy, scostandosi dall’automobile. Riza spalancò gli occhioni chiari.
“Ma, Signore, qui? In un parcheggio?!” Esclamò piuttosto allibita.
“Chi l’ha
detto che per ballare ci vogliono una sala e un’orchestra?”
Proclamò lui tutto entusiasta, porgendole la mano.
“Beh, per lo meno la musica ci vorrebbe…” Precisò lei, ancora scettica.
“Oh, andiamo!
Non sia così pragmatica!” Fece l’uomo, invitandola
con un gesto. “La senta nella sua mente, la musica.” Le
consigliò poi, con tono dolce e convincente.
E Riza, infine,
sconfitta da quel tenero attacco, allungò la mano, che fu subito
catturata da quella di Roy. Nello staccarsi dalla fiancata,
però, le scivolò la giacca dalle spalle; lei la vide
cadere e guardò l’uomo.
“Così ho
freddo.” Affermò e fece per riprenderla, ma lui
l’attirò a se, stringendole il braccio intorno alla vita.
“Lasci stare, la scaldo io…” Sussurrò poi, a pochi centimetri dal suo viso.
La donna sentì
veramente come un fuoco divampare dall’interno del proprio corpo
e si domandò fino a che punto si spingessero le prerogative del
Flame Alchemist…
Iniziarono a ballare
un valzer lento e, fin dai primi passi, si trovarono in perfetta
sincronia, come se la musica nelle loro menti fosse la stessa,
ritrovando quell’accordo che per troppo tempo era sembrato
perduto. Piroettarono quasi senza peso sull’asfalto, con la
nebbia che danzava con loro, tra i loro piedi, formando sinuosi vortici
attorno alle pieghe dell’abito di Riza. Per tutto il tempo non
smisero di guardarsi negl’occhi.
Si fermarono dopo un
tempo che non seppero quantificare. Entrambi avevano un leggero
fiatone. La ragazza rabbrividì, sentendo il sudore gelarle sulla
schiena.
“Sta tremando.” Costatò Roy osservandola.
“Fa
freddo…” Rispose lei, con un sorriso forzato, per
l’emozione ancora forte e viva, ma anche per la temperatura di
quella notte quasi invernale.
Il colonnello sorrise
appena, con dolcezza, poi si scostò dalla donna e, con un gesto
fluido, si tolse il cappotto e glielo depositò sulle spalle.
Riza se lo strinse subito addosso, ristorata. E poi, era una sensazione
bella non solo perché ne aveva bisogno. Quel soprabito era
caldo, portava il tepore del corpo di Roy, il suo profumo. L’uomo
le sorrise di nuovo e lei rispose nello stesso modo.
“La ringrazio.” Gli disse poi.
“Di nulla.” Rispose lui. “Riza, io…” Riprese poi, dopo qualche istante di reciproco imbarazzo.
“Sì?” L’incitò lei.
“Io…”
Era chiaramente titubante, guardava ovunque fuori che nella sua
direzione. “Riza, io volevo dirti tante cose,
stasera…” Affermò infine.
“Lo so.” Fece la ragazza comprensiva.
“Vorrei solo che
potessi capire.” Mormorò a voce bassa, chinando gli occhi
e parlandole con sincerità. “Vorrei che tu vedessi cosa
c’è oltre i miei doveri, i miei silenzi, i miei…
fantasmi.” Io lo vedo,
avrebbe voluto dire Riza, ma preferì continuare ad ascoltarlo.
“Non sai quanto è dura la battaglia, tutti i giorni, con i
sentimenti, i dubbi e le colpe…”
“La conosco bene, quella battaglia, Roy.” Lo rassicurò il suo tenente. Lui sorrise mesto.
“Voglio solo che
tu ci sia, per combatterla insieme a me.” Le confessò
infine. “Tu ci sarai, Riza?” Domandò poi,
supplichevole.
E Riza fece una cosa
che lui non si sarebbe mai aspettato da una donna, di solito,
controllata come lei. Si avvicinò cauta, tolse le braccia
candide da sotto il cappotto, gliele passò intorno al collo e,
dopo essersi sollevata appena sulle punte, lo baciò. Con
passione. A lungo. Roy, ad un certo punto, perse ogni controllo,
l’abbracciò con forza e affondò nella sua bocca con
la stessa determinazione di un naufrago che si aggrappa ad un pezzo di
legno per non affogare. Lei rispose con una tenerezza che non credeva
di possedere, realizzando che avrebbe dovuto farlo molto prima.
Perché era perfetto come nient’altro.
Quando finì,
tutti e due avevano respiro e battito accelerati; si guardarono
negl’occhi, sorpresi e felici. Riza sorrise dolcemente.
“Non sono mai andata via, Roy.” Gli disse quindi, rispondendo alla sua precedente domanda.
L’uomo, preso
dalla foga e dall’emozione del momento, l’afferrò
per le spalle. “Oh, io ti…”
Riza, però, si sottrasse alla sua presa con garbo, interrompendolo. “Mi accompagneresti a casa?”
Roy sapeva cosa aveva
fatto. Aveva bloccato una dichiarazione repentina, fatta
sull’onda emotiva di quel magico istante, di cui avrebbe potuto
pentirsi, anche se non lo credeva. Dio, se lo conosceva bene! La
ringraziò mentalmente, aveva ragione: i tempi non erano maturi.
Le sorrise.
“Volentieri.”
Accettò, quindi, porgendole il braccio; lei lo prese con un
sorriso e s’incamminarono verso l’auto del colonnello,
scambiandosi uno sguardo complice.
Forse non era il tempo
per le dichiarazioni, ma di certo lo era per qualcos’altro. Una
dolce promessa dietro ad uno sguardo. La promessa di esserci per
sempre.
Epilogo
Qualche settimana dopo, al quartier generale.
Era una mattina di
sole, nonostante l’inverno fosse infine arrivato a Central City.
Il colonnello Mustang stava ricevendo i rapporti dal tenente Hawkeye,
osservandola compiaciuto e non capendo o memorizzando un beato cavolo
di quello che diceva.
Oh, se era bella quel
giorno! Negli ultimi tempi si ritrovava a pensarlo più spesso
del solito. Forse perché lei sembrava diventata più
consapevole, più donna. Sorrise sornione, chiedendosene
retoricamente il perché.
Si scambiarono,
infine, uno sguardo pieno di sottintesi, ma tenero e intimo, mentre lei
gli porgeva un ultimo foglio, spingendolo verso di lui con le sue dita
candide, che Roy avrebbe solo voluto prendere e baciare.
“E poi ci sarebbe questo, da firmare.” Gli disse con un sorriso.
Il colonnello prese la
scheda con nonchalance, rispondendo al sorriso, poi abbassò gli
occhi per leggerla. In un attimo la sua espressione si trasformò.
“Che cos’è?!” Domandò allarmato, alzando subito gli occhi su Riza.
“Il modulo
d’iscrizione alla Maratona di Central City.” Spiegò
tranquilla la donna, continuando a sorridere.
“Ehhhhh?!” Sbottò lui incredulo.
“Per gli
allenamenti possiamo cominciare domattina alle quattro.”
Affermò poi, distrattamente, il tenente, mettendosi a spulciare
una cartellina.
“Alle quattro?!” Esclamò Roy, strabuzzando gli occhi.
“Va bene.”
Soggiunse Riza comprensiva, con un sorriso materno, lui si fece
speranzoso. “Alle quattro e mezzo.” Concesse, con
l’espressione che diventava improvvisamente cinica.
“Ergh…” Si lamentò il colonnello, crollando sui rapporti da firmare.
“Su, su, non
faccia così!” L’incitò lei, mentre usciva
dalla sua stanza. “Ci aspetta molto lavoro, se vogliamo
vincere!”
Roy, quando la voce di
Riza si fu spenta nell’altra camera, sospirò sconsolato,
posando il mento sulla mano sollevata. Sapeva che lei, prima o poi,
gliel’avrebbe fatta pagare. Doveva averla fatta penare parecchio,
con il suo comportamento tormentato e indeciso degli ultimi tempi, se
Riza era andata a ritirare fuori quel suo accenno alla Maratona, per
altro chiaramente sarcastico…
Il principio dello
scambio equivalente, forse, valeva anche in quella circostanza. Lui
aveva fatto soffrire Riza e lei si rivaleva facendogli correre una
maratona. Ma, allo stesso tempo, Roy aveva sofferto, moltissimo, ed ora
era ripagato con la più dolce delle monete…
E allora, forse,
poteva anche faticare un po’ e fare la gara, se poi, alla sera,
distrutto dalla fatica, avesse trovato una buona cena ed un bagno
caldo. Una bagno da fare in compagnia, magari…
“Allora, lo
firmi o no, quel modulo?” Gli domandò una voce dolce
all’orecchio; Roy sussultò alzando gli occhi. Riza era
tornata lì e gli sorrideva.
Il colonnello fece un
sorriso, poi afferrò la sua stilografica e, con un gesto fluido
e deciso, virò la sua firma in fondo all’iscrizione. Il
tenente scosse il capo e prese il foglio.
“Sei proprio uno
sciocco.” Gli disse quindi, con una dolcezza tale che non
sembrava proprio un insulto. Lui la guardò sorpreso, mentre
usciva dalla stanza, appallottolava il modulo e lo buttava nel cestino
della carta.
Roy si lasciò
andare contro la spalliera, ridendo piano e scuotendo la testa. Quella
donna non avrebbe mai finito di sorprenderlo! E l’amava per
questo.
Riza gli lanciò
un ultimo, dolcissimo sguardo sorridente. Roy rispose allo stesso modo.
Non c’era niente che valesse quanto lei. Era stato stupido a
pensare che qualcuno potesse portargliela via. Solo ora, che la sua
protettiva presenza gli era così vicina, capiva che niente e
nessuno avrebbe potuto privarlo del suo amore. E così sarebbe
stato per sempre.
Ti amo, Riza. E te lo dirò presto. E, stavolta, non mi fermerai… Pensò Roy sornione, rimettendosi a firmare carte, prima che il suo tenente tornasse armato…
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