Betrothed

di LindaBaggins
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Betrothed


1. UNA PROPOSTA INASPETTATA

«No. No. NO! Non se ne parla. Tutto, tutto ma non questo
Thorin, figlio di Thràin, principe dei Nani e futuro erede del reame di Erebor, si allontanò bruscamente dal grande tavolo di pietra della Sala del Consiglio e iniziò a misurare la sala a grandi passi nervosi, lo sguardo simile a quello di una bestia rinchiusa in una gabbia. Era ancora vestito con i suoi abiti da lavoro, le maniche della camicia arrotolate fin sopra gli avambracci muscolosi: suo padre l’aveva convocato così d’urgenza che, arrivando dalla fucina, non aveva avuto tempo di andare ad indossare qualcosa di più appropriato.
Per fortuna, non si trattava di una riunione plenaria del consiglio reale, ma di un incontro privato tra lui e suo padre. Almeno su questo, Thràin era stato corretto, bisognava concederglielo. Parlare di questioni tanto private davanti a tutti non era poi così insolito, ma Thràin sembrava conoscere abbastanza suo figlio da intuire che fare subito di un argomento del genere una questione di stato non avrebbe contribuito affatto a renderlo più conciliante. Questo, tuttavia, non aveva impedito a Thorin di dare in escandescenze quando suo padre gli aveva rivelato il motivo per cui l’aveva fatto accorrere tanto di fretta dalla forgia. Stavano affrontando quella conversazione già da parecchio tempo, e le loro capacità di intesa sull’argomento si erano finora rivelate piuttosto scarse.«Thorin, figlio mio, per l’ennesima volta, ti imploro di essere ragionevole.»
Thràin, figlio di Thror il Re sotto la Montagna, lo fissava con aria grave da sotto le cespugliose sopracciglia castano rossicce, mentre, sul tavolo, un possente pugno chiuso ricoperto da una peluria dello stesso colore, si contraeva ritmicamente facendo sbiancare le nocche. Un vizio che Thorin, sebbene di temperamento collerico come tutti i maschi della sua famiglia, non aveva ereditato. Al contrario di suo padre, lui tendeva a lasciar sfogare la rabbia, piuttosto che a inibirla.
«Ragionevole? Ragionevole, dici? Stiamo parlando di sacrificare la mia libertà, e tu mi chiedi di essere ragionevole
«Non rendere tutto più drammatico del necessario, Thorin» disse suo padre alzando gli occhi al cielo. «Ti sto chiedendo di prendere moglie, non di mettere tutte e dieci le dita sotto una delle presse della fucina.»
«Forse preferirei la seconda alternativa» ribattè Thorin, lanciandogli un’occhiata velenosa. Suo padre sospirò profondamente e si massaggiò l’attaccatura del naso fra gli occhi, cercando di mantenere la calma. Questo non servì affatto a rabbonire Thorin, che continuò ad andare avanti e indietro di fronte al tavolo lanciandogli furiose occhiate di sfida. Avrebbe dato chissà cosa per essere di nuovo giù alla forgia! Quando lavorava il metallo, battendo il martello sull’incudine finchè il suo mondo non si restringeva a quel piccolo pezzo di materiale incandescente e nelle sue orecchie risuonava solo il canto dell’acciaio, era in pace con se stesso. Si sentiva completo.
«Thorin» scandì lentamente Thràin guardandolo con espressione seria, le labbra sottili piegate all’ingiù. Thorin interruppe la sua nervosa marcia su e giù per la stanza e, sebbene con riluttanza, si voltò a fissarlo a sua volta, le braccia possenti incrociate sul petto. Quando suo padre assumeva quel cipiglio e cominciava a parlare lentamente, non era mai un buon segno. Significava che dovevi tacere, interrompere qualsiasi cosa tu stessi facendo in quel momento e ascoltarlo come se al mondo esisteste solamente tu e lui. Significava che quello che stava per dirti era di importanza vitale, e che non dovevi perderti nemmeno una parola. E non c’era nano, nel grande e prospero regno di Erebor, che non avesse imparato a riconoscere quell’espressione e a comportarsi di conseguenza.  Thràin aveva evidentemente ereditato quella maestosa autorevolezza da re Thròr, e tutti erano concordi nel sostenere che anche Thorin, benché ancora così giovane, potesse vantare lo stesso carisma e la stessa capacità di zittire le persone con il solo sguardo.
«Tu sei il mio primogenito» riprese Thràin dopo qualche secondo di silenzio, quando fu sicuro di avere tutta l’attenzione di suo figlio. «Sei colui che avrà la responsabilità di guidare la nostra gente dopo che io e tuo nonno ce ne andremo nelle grandi aule di pietra per ricongiungerci con i nostri antenati. »
«Ne sono ben consapevole» replicò Thorin rigidamente. «E l’ultima cosa che desidero, è deludervi. Ma, se mi è concesso difendermi, posso dire che mi sembra di essermi comportato in modo né più né meno che esemplare, fino ad ora. Mi sono distinto nel combattimento e nel comando, ho partecipato come consigliere a tutte le consulte reali, e sto sviluppando ottime capacità nel mestiere per eccellenza della nostra stirpe, la lavorazione di pietre e metalli. Non ho forse soddisfatto le vostre aspettative?»
Thràin scossa la testa, l’espressione del viso sensibilmente addolcita. «Non intendevo dire questo. Figlio mio, tu sei andato ben oltre le aspettative mie e di tuo nonno, e non passa giorno senza che tu ci riempia di orgoglio.»
Le sopracciglia di Thorin si distesero leggermente, e l’ombra di un sorriso si affacciò tra le sue labbra.
«Ma è proprio perché abbiamo una così alta opinione di te e riponiamo in te tutte le nostre speranze, che ti chiedo di ascoltare quello che ho da dirti» continuò Thràin. «Thorin, io so quanto tu ami fare quello che fai. Combattere, prendere decisioni, lavorare nella forgia… sei nato per tutto questo, e non potrebbe essere altrimenti: sei un figlio di Durin, orgoglioso e fiero come tutti i tuoi antenati. Ma un re, un futuro re, a volte deve saper sacrificare parte della sua libertà per il bene comune.»
Thorin, senza ancora riuscire a vedere il legame tra quelle parole (seppur affascinanti e cariche di significato) e l’argomento principale della loro discussione, inarcò un sopracciglio con aria interrogativa. «E tutto ciò che connessione dovrebbe avere con il dovere per forza prendere moglie? Se si tratta di assicurare la discendenza della nostra famiglia, credo che su quel versante siamo ben coperti: Frerin e Dìs sono entrambi sposati, e sicuramente tra non molto avrai una schiera di nipotini pronti a saltarti sulle ginocchia e tirarti la barba.»
«Se è per quello, stando ai rumori che si sentono di notte, pare che tua sorella non stia perdendo tempo con quel Dhor…Khor…com’è che si chiama suo marito?»
Thorin stirò le labbra in un sorriso ironico, scuotendo la testa. «Si chiama Bohr, e sei stato tu a insistere perché lo sposasse.»
«Sì, beh…Dhor, Bhor…fa lo stesso» disse Thràin, agitando una mano vicino alla testa come per scacciare una mosca. «In ogni modo, non è la discendenza il punto della questione. Il punto è che Erebor diventa ogni giorno più isolata, Thorin. La Montagna Solitaria è separata dal resto della Terra di Mezzo da una vasta pianura e da una foresta interminabile, e gli unici su cui possiamo fare affidamento come alleati e con cui possiamo intrattenere scambi commerciali sono un pugno di Uomini di Dale a sud, e, a est, i nostri parenti dei Colli Ferrosi. Con i quali, come ben sai, esistono vecchi screzi e contrasti che il tempo non ha ancora cancellato del tutto.»
Thorin, che aveva ascoltato l’intero discorso con le braccia conserte e gli occhi chiari ridotti a due fessure circospette, fece passare un paio di secondi prima di rispondere. Credeva di sapere dove voleva arrivare suo padre, e la conclusione non gli piaceva per niente.
«Fammi capire» disse lentamente. «Quindi, quello a cui stai pensando sarebbe…un matrimonio di convenienza?»
«In buona sostanza, sì. Abbiamo bisogno di amici che possano aiutarci nel momento del bisogno, e di persone che comprino le armi, gli utensili e i gioielli che produciamo. Conosci la…considerazione che tuo nonno ha per l’oro. Lo contrarierebbe molto sapere che, man mano che il tempo passa, le nostre entrate si assottigliano sempre di più, e…»
«Quella di Thròr per le ricchezze non è soltanto considerazione, e lo sai bene» lo interruppe freddamente Thorin, a cui non era sfuggita la breve esitazione nella voce di suo padre prima di pronunciare quella parola. «Ormai passa più tempo nella camera del tesoro che in superficie, a occuparsi delle questioni del regno. La gente sta iniziando a mormorare cose riguardo alla sua testa che mi fanno rabbrividire al solo pensiero, e francamente anche io…»
«In ogni modo, questo è soltanto uno dei motivi che hanno spinto a pensare a questa soluzione» tagliò corto Thràin senza lasciarlo finire, ansioso di deviare la discussione verso lidi più rassicuranti. Thorin sapeva che, per suo padre, la faccenda della saluta mentale di suo nonno era un argomento tabù, e poteva comprendere il suo dolore nel parlarne. Ma non avrebbero potuto evitare la questione per sempre: l’insana ossessione del re per il tesoro della stirpe di Durin era diventata talmente palese che, ormai, nessuno dei nani di Erebor ne era più all’oscuro. Inoltre, era risaputo che la loro razza fosse particolarmente soggetta alla seduzione delle ricchezze e dell’oro: nel migliore dei casi, essa aveva portato alcuni membri della stirpe nanica a schierarsi con le forze oscure unicamente per assicurarsi la loro parte di bottino; nel peggiore dei casi, aveva deformato le loro menti fino a portarli alla pazzia. E nessuno poteva sapere se anche lui e suo padre, in quanto nelle loro vene scorreva lo stesso sangue del re, fossero ugualmente predisposti a lasciarsi irretire a tal punto da perdere la ragione…
«Un’alleanza porterebbe benefici considerevoli per quanto riguarda rifornimenti di cibo e di materiali che in queste zone sono difficili da trovare» continuava intanto Thràin. «E inoltre ci garantirebbe aiuto e protezione in caso di incursioni degli Orchi dalle Montagne Grigie. I pochi di noi che vivono ancora da quelle parti dicono che quelle immonde creature diventano ogni giorno più numerose, e che sembrano in grande fermento. Non mi stupirebbe se stessero pianificando una qualche incursione verso sud» concluse con una smorfia di disgusto.
«Quindi, in poche parole» disse Thorin, che ne aveva avuto abbastanza di tutti quei ragionamenti e voleva giungere più in fretta possibile al punto della questione «quello che mi proponi è un matrimonio con una delle figlie delle nostre cugine che vivono nei Colli Ferrosi, così da mettere da parte le divergenze che ci hanno diviso e rafforzare i legami di sangue e la nostra alleanza.» Fulminò il padre con uno sguardo sarcastico: «Mi biasimi per non esserne entusiasta? Le poche volte in cui le ho incontrate, ho rischiato di scambiarle per i loro fratelli, tanto erano lunghi i loro baffi, e la cosa peggiore è che non mi si sono staccate di dosso per tutta la sera!»
«Oh, i baffi di un paio di loro non mi sembravano poi così lunghi!» ridacchiò Thràin.
«Parla per te! Dwalin, a un certo punto, si è visto costretto a fare loro i suoi complimenti per il fatto di riuscire ad avere in faccia molti più peli di lui, e per fortuna aveva la scusa di essere ubriaco! E comunque, io non ho nessuna intenzione di avere una femmina alle calcagna per il resto della mia vita! Le uniche cose che voglio attaccate alle mie brache sono una spada e un martello da lavoro!»
Thràin lo lasciò finire il suo sfogo, fissandolo con i piccoli occhi scuri socchiusi e le punte delle tozze dita unite davanti al naso. Quando finalmente Thorin ebbe concluso, allontanandosi dal tavolo con un gesto rabbioso, il padre abbassò le mani e disse lentamente: «Forse dovresti ascoltare quello che ho da dirti, prima di rispondere da solo alle tue stesse domande.»
Thorin, ancora in preda alla rabbia, si voltò a guardarlo con aria diffidente. Non aveva ascoltato abbastanza, per quel giorno? Suo padre non poteva semplicemente ammettere di avere fallito per l’ennesima volta nel tentativo di convincerlo a fare come voleva lui e lasciarlo tornare ad occupazioni sicuramente più costruttive per tutti loro?
«La richiesta che ho ricevuto» cominciò a spiegare Thràin «non proviene dai Colli Ferrosi né da nessuna delle comunità di Nani sparse in questa zona.»
«La richiesta che hai…vuoi dire che non è stata una tua idea?» chiese Thorin, sempre più confuso.
«In effetti non lo è stata, ma i vantaggi che ne potevano provenire mi sono apparsi subito molto chiari, e non ho esitato a rispondere che l’avrei tenuta in altissima considerazione.»
«Ma allora…chi diavolo è che dovrei sposare, si può sapere?»
Thràin si alzò e, le mani giunte dietro l’ampia schiena, cominciò a passeggiare su e giù per la sala, sebbene non con la stizza con cui il figlio aveva fatto la stessa cosa fino ad un momento prima.
«La ragazza che mi è stata proposta per diventare tua moglie» disse scandendo le parole una a una. «E’ la figlia del governatore di Dale.»
Thorin non reagì subito all’affermazione di suo padre. Rimase per diversi secondi a fissarlo come se improvvisamente ogni barlume di buon senso fosse evaporato dal suo cervello,  le braccia abbandonate lungo i fianchi e la bocca semiaperta.
«Scusa, hai appena detto la figlia del governatore di Dale? Intendi dire che mi stai proponendo di unirmi in matrimonio con un’umana
Doveva aver capito male. Doveva aver sicuramente capito male, perché era una cosa che non aveva alcun senso. A meno di non dover iniziare a pensare che il male di suo nonno fosse davvero ereditario e che anche suo padre stesse iniziando anzitempo a perdere la ragione…
«Elinor non è umana» puntualizzò Thràin. «Perlomeno, non del tutto. La madre di suo padre, infatti, ha sposato un nano, quindi la ragazza ha effettivamente il sangue di Durin nelle vene.»
«Avere un quarto di sangue nano equivale a dire di non avere affatto sangue nano» replicò Thorin seccamente.
«Non ne sarei così sicuro, figliolo. Saresti sorpreso di vedere come il nostro seme sia forte e di come le caratteristiche della nostra stirpe riescano a perdurare anche dopo generazioni e generazioni. In effetti, a quanto pare, la famiglia del Governatore di Dale gode da sempre del dono della lunga vita proprio della nostra razza, e pare che anche la ragazza lo abbia ereditato. Quindi non c’è pericolo che, una volta sposati, possa morire in breve tempo e vanificare tutti i benefici che il vostro matrimonio potrebbe portare.»
Thorin sentiva che, finalmente, erano arrivati al punto della questione.
«E quali sarebbero questi benefici?» chiese in tono scettico, incrociando di nuovo le braccia sul petto.
Suo padre si fermò per fissarlo negli occhi, e non ci fu dubbio che quello che Thràin stava per dire fosse di rilevanza fondamentale.
«Come sai, Esgaroth e i villaggi vicini intrattengono fitti scambi commerciali con gli Elfi Silvani di BoscoVerde*, e Eevar di Dale è in ottimi rapporti di amicizia con re Thranduil. Non a caso, sua figlia ha vissuto per molti anni nel Reame Boscoso, dove ha imparato le loro usanze e la loro lingua. Un matrimonio tra te ed Elinor ci garantirebbe, tramite il Governatore, un’alleanza sicura con gli Elfi.»
Il cervello di Thorin lavorava a pieno regime, cercando con tutto l’impegno possibile di figurarsi lo scenario di amicizia e armonia tra Nani ed Elfi che suo padre gli aveva appena suggerito, ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a concepire niente che vi andasse anche solo vagamente vicino.
«Un’alleanza con gli Elfi…» rise scuotendo la testa, come se suo padre gli avesse appena raccontato l’ultima storiella divertente che aveva sentito in giro. «Padre, ti rendi conto di cosa stai dicendo? Nel migliore dei casi ci considerano delle creature rozze e ignoranti, nel peggiore come esseri meschini interessati soltanto alle ricchezze e che farebbero qualsiasi cosa, anche la più spregevole, per assicurarsele!  Quella loro stramaledetta superbia li fa sentire troppo superiori a noi anche solo per rivolgerci la parola! Fare amicizia con Thranduil, dici? Sarebbe più plausibile vedere il sole splendere di notte!»
Thrain fece qualche passo verso di lui, fissandolo severamente. Non c’era più traccia di affetto, adesso nei suoi occhi. Non era più un padre che parlava ad un figlio, ma un principe che parlava al suo erede.
«Se si è creato questo clima di inimicizia tra il popolo degli Elfi e il nostro popolo, la colpa non è da ricercarsi esclusivamente in una delle due parti, Thorin» disse, in un tono brusco che ammetteva poche possibilità di replica. «Gli Elfi sono altezzosi e sdegnosi, questo te lo concedo, ma, da parte loro, i Nani non hanno mai fatto nulla per tendere la mano e mostrare buone intenzioni. E in ogni caso, comunque ci considerino, gli Elfi sanno che la nostra gente non è di natura malvagia alla stregua degli orchi, e sono consapevoli del fatto che, nel momento del bisogno, possiamo essere combattenti fieri affidabili. Dobbiamo solo mostrarci ben disposti nei loro confronti, e non vedo motivo per cui dovrebbero rifiutarci un’alleanza. Il matrimonio tra te e la figlia di Eevar di Dale fornirebbe la mediazione perfetta per raggiungere questo scopo.»
Thorin, le folte sopracciglia scure aggrottate e un pugno premuto con fare meditabondo sulle labbra, trasse un profondo respiro vibrante di tensione e incertezza. Sapeva che suo padre avrebbe potuto avere ragione, e sapeva che, se il progetto si fosse realizzato, i benefici per Erebor avrebbero potuto essere tutt’altro che trascurabili. E tuttavia, non riusciva a convincersi del tutto riguardo ad una possibile amicizia con la gente di Thranduil: nel suo carattere, così scontroso, diffidente e suscettibile, c’era ben poco di quello di Thràin, irruento come il suo, ma molto più aperto, gioviale e fiducioso nelle qualità del prossimo. Thorin, in questo, assomigliava molto di più a suo nonno, il Re sotto la Montagna, e il giovane nano era sicuro che, se Thròr fosse stato lì in quel momento, avrebbe senza dubbio sostenuto il suo punto di vista. Ma Thròr non era lì, e anche se ci fosse stato, Thorin dubitava che l’inquietante ombra che ottenebrava la sua mente sarebbe stata in grado di lasciargli prendere una decisione dettata dalla saggezza e dal buon senso.
Thràin, nel frattempo, gli si era fatto più vicino, e gli aveva poggiato le mani sulle spalle. I suoi occhi, improvvisamente accesi di una luce vagamente implorante, cercarono quelli del figlio.
«Ho bisogno del tuo appoggio e della tua piena collaborazione in questo progetto, figlio mio. So quanto ti costerà una decisione simile, ma ho bisogno che tu mi dica che sposerai Elinor di Dale, per il bene del tuo popolo. Ho bisogno che tu non mi deluda.»
Thorin, incapace di sostenere il suo sguardo, chiuse gli occhi e sospirò di nuovo. Suo padre sapeva veramente cosa gli sarebbe costato prendere una decisione simile? Per quanto ne sapeva, lui aveva sposato sua madre per amore. Nessuno aveva dovuto costringerlo, perché lui non era come suo figlio, sempre così solitario e irascibile, devoto soltanto alla spada, alla forgia e al regno. Thorin non aveva mai sentito il bisogno di qualcos’altro, e non lo sentiva nemmeno adesso. Ma il suo dovere, quello sapeva di doverlo portare a termine. E sapeva che avrebbe preferito morire, piuttosto che vedere la delusione negli occhi di suo padre e di suo nonno. Perciò, di fronte a questa prospettiva, che cosa avrebbe potuto mai essere un matrimonio poco gradito?
«Va bene, padre» mormorò, senza guardarlo. «Ci rifletterò su.»

Thorin uscì dalla Sala del Consiglio richiudendosi la porta alle spalle e imboccò il grande corridoio di pietra perso nei suoi pensieri, lo sguardo corrucciato fisso a terra e i suoi passi che risuonavano cupi fino all’alto soffitto ad arco.
La giornata non stava procedendo esattamente nel migliore dei modi… Un paio d’ore prima era entrato in quella stanza relativamente tranquillo, e adesso ne usciva sapendo che, con buone probabilità, tra poco tempo sarebbe stato sposato.
Sposato.
Si ripetè la parola nella mente, cercando di conciliare il concetto di matrimonio con l’immagine di se stesso, scontroso, trasandato e con il viso ancora annerito dal fumo della forgia. Scoprì che non funzionava granchè, e si passò stizzosamente una mano tra i lunghi capelli scuri e arruffati. Aveva l’impressione che la sua testa fosse sul punto di esplodere… Al momento, tutto quello che desiderava era che arrivasse presto la sera per andare a bersi un boccale di birra insieme a Dwalin, e dimenticare, almeno per qualche ora, che presto non sarebbe stato più un nano libero…
«Riunione concitata, figliolo?»
Una voce dal familiare timbro acuto e dal tono vagamente allusivo lo raggiunse mentre era quasi a metà del corridoio, facendolo fermare ed evocando un leggero sorriso sulle sue labbra tirate.
«Decisamente più di quanto mi aspettassi, in effetti» fu la sua risposta, pronunciata in tono ironico. «Ma posso dire di averne passate di peggiori.»
Si voltò, sapendo perfettamente chi gli sarebbe comparso davanti. Un nano basso e dalla corporatura massiccia, leggermente tendente alla pinguetudine e con una fluente barba grigia biforcuta, gli veniva incontro da uno dei corridoi secondari. Sulla sua larga faccia bonaria, dominata da un naso di dimensioni quantomeno importanti, i piccoli e vivaci occhi scuri brillavano di una luce maliziosa.
«Non avevo dubbi che tu riuscissi a uscirne indenne» disse Balin, figlio di Fundin, raggiungendolo e regalandogli un sorriso complice.
«Fino a qualche minuto fa, non ero del tuo stesso avviso» ammise Thorin, con un profondo sospiro che ebbe il benefico effetto di affievolire, seppur in minima parte, la tensione che aveva accumulato nelle ultime ore. «Sono sorpreso che tu non fossi presente, di solito mio padre e mio nonno si rifiutano di prendere una qualsiasi decisione importante senza prima aver ascoltato il tuo parere.»
«Thràin ha ritenuto che fosse giusto affrontare questa conversazione in privato, e non sarò io a mettere in discussione le sue scelte» rispose Balin, incamminandosi al suo fianco con le mani giunte dietro la schiena, trotterellando per riuscire a stare dietro alle falcate ben più lunghe di Thorin. «Allora,» esordì in tono casuale dopo qualche secondo di silenzio «a quanto pare ci sposiamo…non è così?»
Thorin gli rivolse un’occhiata che avrebbe dovuto fulminarlo, ma tutto quello che riuscì a ottenere fu di sogghignare e scuotere la testa. Balin e suo fratello Dwalin erano gli unici esseri viventi che avessero il potere di strappargli sempre e comunque un sorriso. «Hai sentito tutto, vero?»
«Beh, ammetterai che a volte è ben difficile non udire i tuoi toni soavi. Ti ho mai detto che, quando ti arrabbi, la tua voce somiglia terribilmente a quella di tuo nonno? In ogni modo, ho sentito quanto basta per rendermi conto di quale potesse essere il vostro argomento di conversazione.»
Thorin lo sbirciò di sottecchi. «E…la tua opinione in proposito?»
Prima di rispondere, Balin inarcò le sopracciglia e sbattè un paio di volte le palpebre, segno che ancora non si era fatto un’idea molto chiara sulla faccenda. «Thràin è saggio a guardare al futuro» si limitò a rispondere. «Non tutti i nani avrebbero avuto il coraggio di mettere da parte l’orgoglio e cercare un’intesa con gli Elfi come sta facendo lui. E Eevar di Dale, a quanto ho potuto vedere, è un uomo quadrato e affidabile. Forse non esattamente una cima, d’accordo, ma finora si è sempre dimostrato un leale amico di tuo padre e di tuo nonno.»
Seguirono alcuni lunghi secondi di silenzio, durante i quali Balin sembrò incerto su come proseguire.
«Mi sembra di capire che preferisci non sbilanciarti troppo» osservò Thorin, tornando a corrucciarsi. Mai, in tutta la sua vita, aveva avvertito come in quel momento la necessità di qualcuno che lo guidasse, che lo aiutasse a capire quale via doveva prendere. Eppure, persino con Balin, a cui non aveva mai nascosto il suo stato d’animo, trovava difficile esternare questi suoi pensieri. Lui era l’erede di Durin, e un giorno avrebbe guidato il popolo di Erebor al posto di suo padre e di suo nonno: non poteva permettersi di lasciarsi sopraffare dalla paura e dall’incertezza!
«Ci sono situazioni che svelano se stesse solo con il tempo» rispose Balin con un sospiro e un leggero sorriso. «E il massimo che possiamo fare è pazientare e attendere. Tu, piuttosto» disse, cambiando argomento «non mi sembri particolarmente entusiasta della decisione che hai preso.»
«In realtà, non sono affatto entusiasta della decisione che ho preso» ammise Thorin in un improvviso impeto di franchezza. Scoppiò in un’amara risata senza gioia: «Se qualcuno, questa mattina, mi avesse detto che prima del tramonto sarei stato promesso in matrimonio, probabilmente gli avrei riso in faccia.»
Balin gli posò una mano sul braccio e dette una leggera stretta solidale con le corte dita tozze. «Hai preso una decisione degna di un vero erede al trono, ragazzo mio. Non mi aspettavo niente di meno, da te. Thràin e il re devono essere molto fieri.»
Thorin inarcò le folte sopracciglia scure in un’espressione sufficientemente eloquente, che non ebbe bisogno di parole. Quella decisione (di cui ancora, per svariati motivi, non era del tutto convinto) era stata l’esito finale ed estremo di un’intera vita passata a cercare in tutti modi di dimostrarsi all’altezza del compito che, lo sapeva, un giorno sarebbe ricaduto sulle sue spalle. Dimostrargli gratitudine e apprezzamento gli sembrava il minimo che Thràin e Thròr potessero fare…
«Non so se possa esserti di qualche conforto» stava dicendo intanto Balin, osservandolo di sottecchi «ma dicono che la ragazza sia molto bella.»
Thorin sogghignò, ormai più che deciso a non voler guardare in nessun modo il lato positivo della cosa. «Nel senso che la sua barba è più corta del normale?»
«Oh, questo non saprei dirtelo. In pochi sanno che aspetto abbia, persino tra i suoi concittadini: è partita per il Reame Boscoso che era ancora una bambina, e sono passati quasi dieci anni, da allora…»
«Le femmine della nostra razza non sono note per la loro avvenenza, mastro Balin, e questa Elinor, a quanto pare, si fregia di appartenere alla nostra razza» osservò Thorin in tono ironico, varcando la soglia del portone che conduceva fuori dal corridoio e si affacciava su una triplica scalinata, la quale portava ai livelli inferiori.
«Beh…lo scopriremo presto, credo» disse Balin. «Sicuramente, tra non molto tempo sarete fatti incontrare.»
«Penso che mio padre mi debba almeno questo» disse Thorin, sarcastico. «Da che parte vai?»
«Di là» rispose Balin, indicando la rampa alla sua sinistra. «Il re mi ha fatto chiamare nella camera del tesoro.»
L’espressione del giovane principe dei Nani si incupì all’istante, e ogni traccia di ironia scomparve dal suo volto. «Da quanto tempo è là sotto?»
«Ore, presumo» mormorò Balin, evitando di guardarlo. «Non sono nemmeno sicuro che sia salito per il pranzo…»
Un’acuminata freccia di dolore trafisse il petto di Thorin. Odiava vedere suo nonno in quello stato. Fisicamente, era ancora forte e possente come era sempre stato da quando Thorin aveva memoria, ma la sua mente, da molti mesi a quella parte, era concentrata fino all’ossessione su quell’unico punto fisso. Era difficile, dopo aver passato un’intera vita a desiderare di crescere il più in fretta possibile per diventare come lui – fiero, coraggioso, autorevole e giusto – vederlo ridursi giorno dopo giorno a un contenitore semivuoto.
«Mio padre non potrà evitare l’argomento per sempre» mormorò fra i denti, in un ringhio di disperata frustrazione. «Prima o poi dovremo affrontare il problema…»
Balin stirò le labbra in un mesto sorriso di comprensione e gli posò entrambe le mani sulle spalle. «Sì, dovrete farlo» concordò in tono affettuoso, più come un padre guarderebbe un figlio che come un suddito guarderebbe il suo futuro re. «Ma non stasera, Thorin. Oggi, credo che tu abbia fatto abbastanza per Erebor.»
Suo malgrado, Thorin non riuscì a trattenere un sorriso. Il suo cipiglio si spianò, i suoi occhi si illuminarono, e sul suo viso adombrato dalla tristezza sembrò tornare a splendere un pallido sole.
«Credo proprio che andrò a cercare tuo fratello» disse, congedandosi da Balin con una leggera pacca sulla spalla. «Situazioni come queste necessitano almeno di un boccale di birra.»

*BoscoVerde è il nome di Bosco Atro prima che esso diventasse (appunto) atro, cioè buio e dominato dall'influsso malvagio e dalle forze oscure del Negromante, avvenimento di cui iniziamo a vedere le avvisaglie ne Lo Hobbit.

 
ANGOLO AUTRICE: Dopo aver visto ben tre (ripeto, TRE) volte “Lo Hobbit” al cinema, il mio cervello non poteva non risentirne in qualche modo. Così, fomentata dal film, ma soprattutto dalla disarmante figosità di Thorin Scudodiquercia/Richard Armitage (e dal suo più che evidente bisogno di affetto), ho partorito il primo capitolo di questa FF. All’inizio non ero molto convinta di volerlo pubblicare, perché temevo di rendere Thorin troppo banale o smielato. Poi, però, mentre stavo per terminarlo, mi sono imbattuta in un’intervista a Richard Armitage in cui diceva che, parlando del personaggio di Thorin con Philippa Boyens (una delle sceneggiatrici de “Lo Hobbit”), hanno ipotizzato che una delle cause della sua burbera scontrosità potesse essere la presenza, nel suo passato, di “una principessa, o qualcuna a cui era promesso in matrimonio” che avrebbe perso con la caduta di Erebor. E dato che tutto ciò si adattava in modo quasi perfetto con ciò che io avevo ideato nella mia storia, mi sono convinta, e ho deciso di pubblicare. Spero di non essere linciata e di aggiornare più presto possibile!

P.S. Ho scoperto solo poco fa che, in realtà, Balin dovrebbe essere più giovane di Thorin di ben 17 anni. Non ci credevo, così sono andata a controllare nell’albero genealogico dei Nani del libro del Signore degli Anelli, ed effettivamente è così. Però, visto che per l’aspetto dei personaggi mi sono rifatta principalmente al film, e visto che mi piace l’idea che Balin rappresenti per Thorin una specie di secondo padre o di punto di riferimento, direi che ormai possiamo tenerci Balin così com’è, ovvero più vecchio di Thorin di svariate decadi. Questo per prevenire eventuali obiezioni dei tolkeniani più puristi;)

Scusate se mi sono dilungata, ma mi sembrava necessario chiarire un po’ di cose *va in un angolino e si punisce stirandosi le mani come Dobby*




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