-Guerrilla
Tactics-
Dopo aver spiegato ai presenti che
anche loro, nonostante l’inferiorità numerica, avrebbero avuto dei
punti di forza – primo tra tutti la conoscenza del territorio e in
secondo luogo la manovrabilità e la possibilità di comunicare meglio
rispetto a un gruppo più nutrito –, Mariya divise i presenti in tre
gruppi, escludendo Kirino e le due Miina e naturalmente la
professoressa Kurusu: il gruppo di Sengoku, quello di Yarai e il
proprio.
Tutti furono d’accordo, pronti a
organizzarsi per sferrare l’attacco al campo di Nishikiori, ma un
componente della squadra Yarai non sembrava particolarmente soddisfatto
della scelta.
«Mariya, posso parlarti un attimo?»,
chiese Yamaguchi al piccolo terzo leader.
[ SPOILER! - Shounen-ai -
Yamaguchi x Mariya]
Fanfiction partecipante al COW-T 3 indetto
dalla community maridichallenge
-Titolo: Guerrilla Tactics
-Autore: XShade-Shinra
-Manga: Cage of Eden (Eden no Ori)
-Personaggi/Pairing: Takashi
Yamaguchi, Shirou Mariya / Yamaguchi x Mariya
-Genere: Sentimentale,
Introspettivo, vagamente Fluff
-Warnings: Shounen-ai, WI/MM, SPOILER!
-Prompt COW-T 3 (1° settimana): Guerra
-Rating: Giallo
-Capitoli: One Shot
-Disclaimer: Tutti i personaggi
di questa storia sono maggiorenni e comunque non esistono/non sono
esistiti realmente, come d'altronde i fatti in essa narrati. Inoltre
questi personaggi non mi appartengono (purtroppo...), ma sono proprietà
dei relativi autori; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo
di lucro ma solo per puro divertimento.
-Note: La serializzazione di
Cage of Eden è terminata e il finale è... DISAPPOINTED! E non dirò
altro sul finale, almeno non qui su EFP (c'è il LJ per queste cose), ma
ci tenevo a far sapere la mia opinione in merito. Manga geniale e
finale terrificante... grrr... *la imbavagliano e la riportano in
clinica*.
Nella FF Mariya dice "Tattiche di guerrilla"
e non "guerriglia" perché a parer mio l'avrebbe chiamata con il nome
originale.
Detto questo, auguro buona lettura a tutti! ^^
-
Guerrilla Tactics -
«Tattiche di guerrilla», disse deciso
Mariya – piedi ben piantati a terra, braccia incrociate ed espressione
determinata, come quella di un vero leader. In una situazione del
genere non si poteva permettere che nella mente degli altri si
insinuasse il verme del dubbio. Quel piano avrebbe funzionato.
Altrimenti sarebbero morti. Tutti quanti.
E non per mano delle bestie che abitavano quel luogo ma dei loro stessi
simili.
Oltre al danno, pure la beffa.
La guerra faceva veramente schifo.
Dopo aver spiegato ai presenti che anche loro, nonostante l’inferiorità
numerica, avrebbero avuto dei punti di forza – primo tra tutti la
conoscenza del territorio e in secondo luogo la manovrabilità e la
possibilità di comunicare meglio rispetto a un gruppo più nutrito –,
Mariya divise i presenti in tre gruppi, escludendo Kirino e le due
Miina e naturalmente la professoressa Kurusu: il gruppo di Sengoku,
quello di Yarai e il proprio.
Tutti furono d’accordo, pronti a organizzarsi per sferrare l’attacco al
campo di Nishikiori, ma un componente della squadra Yarai non sembrava
particolarmente soddisfatto della scelta.
«Mariya, posso parlarti un attimo?», chiese Yamaguchi al piccolo terzo
leader.
Mariya si voltò verso di lui, affatto sorpreso in realtà, e annuì.
Immaginava già quale sarebbe stato l’argomento principale di quella
discussione, ma aveva tanto sperato che quello zuccone di Yamaguchi
avesse avuto il buon cuore di non chiedere nulla.
Mariya lasciò Rion, con la quale stava parlando, e seguì l’altro pochi
metri lontano dagli altri, giusto il tanto per non essere sentiti. O
visti.
«Non mi vanno bene le squadre». Yamaguchi, diretto, andò immediatamente
al punto.
«Qual è il tuo problema? Sono squadre calibrate», obiettò rude l’altro.
Il rappresentante del consiglio studentesco guardò in alto, come a
chiedere un intervento divino.
«Mariya,» lo chiamò, posandogli le mani sulle spalle, «voglio stare in
squadra con te».
Il ragazzo più basso non fece una piega a quella richiesta. Era
abbastanza sicuro che Yamaguchi glielo avrebbe detto.
«Non posso», rispose fermo, sentendo la pressione sulle spalle crescere
un po’. «Non siamo bambini che vogliono stare assieme al proprio
“compagnetto di giochi”, ho scelto le squadre in modo che siano
calibrate secondo la necessità del piano e secondo le capacità del
singolo». Alle parole particolarmente marcate di Mariya, Yamaguchi
assottigliò lo sguardo.
«Non sei il mio compagno di giochi», mise bene in chiaro. «E lo sai
benissimo», aggiunse, spingendo il ragazzino contro il tronco di un
albero e bloccandolo con il proprio corpo.
«Ehi, Yamagu—», Mariya non fece in tempo a sgridarlo che l’altro gli
tappò la bocca con un bacio, facendolo gemere.
Nonostante l’ostruzionismo iniziale, i due proseguirono quel bacio
esplorandosi la bocca reciprocamente, come se volessero dirsi tutte
quelle parole che troppe volte avevano abbozzato per metà, non volendo
mettere allo scoperto i propri sentimenti in un mondo dove la morte
camminava mano nella mano insieme a ogni individuo lì presente.
Il bacio terminò in uno schiocco umido, e i due rimasero talmente
vicini che a ogni parola le loro labbra si sfioravano vicendevolmente.
«Permettimi di stare al tuo fianco, Mariya», insistette Yamaguchi. «Ti
prego».
«No», rispose l’altro, fermo sulla propria decisione.
«Perché no? Posso benissimo prendere il posto di qualcun altro che sta
nella tua squadra, per esempio di Ooguro».
«Non insistere», sibilò l’altro, prima che un secondo bacio li zittisse
nuovamente per alcuni secondi.
«Mariya, non posso sopportare di saperti combattere contro qualcuno
senza che io possa essere là accanto a te», gli sussurrò, baciandolo di
nuovo. Sentivano che questa battaglia sarebbe stata durissima, ancora
peggiore di quella contro il Gigantopiteco.
Mariya sospirò e si appese alla camicia dell’uniforme scolastica
dell’altro, chiedendosi perché si fosse innamorato di uno stupido di
quel calibro. «Perché vuoi stare accanto a me?», chiese diretto,
allontanando un poco il viso per poterlo guardare negli occhi.
L’altro si prese qualche secondo per organizzare bene il proprio
pensiero e rispose nella maniera più semplice possibile: «Perché voglio
proteggerti».
Le guancie di Mariya erano già rosate a causa del bacio, ma si
scurirono appena per le parole del ragazzo – nonostante fosse
psicologicamente preparato. Si frequentavano da poco, ma in quell’isola
era impossibile non conoscere il proprio compagno a tutto tondo,
standoci insieme ventiquattro ore al giorno e vivendo incubi che non
sarebbero mai stati dimenticati; ecco perché Mariya aveva già la
risposta pronta.
«Ed è esattamente contrario ai principi della guerrilla», rispose,
sorprendendo il rappresentante del consiglio studentesco. «La guerrilla
è attacco, non difesa. Una guerrilla che si difende ha perso in
partenza, perché è l’attacco la loro stessa difesa. Non posso
permettere una cosa del genere. Ci farai perdere».
Yamaguchi incassò il colpo delle dure parole del compagno e abbassò lo
sguardo. «Non mi importa. Per me l’importante è non perdere te, Mariya.
Io tornerei indietro a salvarti anche se ne andasse della mia stessa
vita». Agli occhi di Mariya, per un attimo, Yamaguchi diventò Zaji, che
lo aveva massacrato di botte ed era andato a cercare Oomori nella tana
del nemico. Scrollò la testa, allontanando quella visione, ma non
bastò. Si ricordò la scia di sangue che, come un tappeto rosso, segnava
la via percorsa da Zaji per morire, ma al posto del teppista c’era
Yamaguchi alla fine di quel precipizio.
Mariya, semplicemente, esplose: «Non voglio che tu muoia! Io non sono
portato per il combattimento, verrò ferito di sicuro e non voglio che a
per causa della mia debolezza tu possa essere ucciso!». Il ragazzo si
accorse troppo tardi di avere urlato, e trasalì per le sue stesse
parole. Si girò verso gli arbusti che li nascondevano dagli altri e li
vide in lontananza. Non sembravano averlo udito.
Non voleva che qualcuno venisse a sapere della relazione che aveva con
il rappresentante del consiglio studentesco, non per il momento. Non
poteva rischiare che scoprendolo gay, nonché parte passiva della
coppia, qualcuno potesse mettere in dubbio la sua leadership come
braccio destro di Akira o, peggio, isolarlo e additarlo come debole.
Yamaguchi lo fece girare gentilmente verso di sé e gli accarezzò il
volto. Quelle parole significavano realmente tanto per lui.
«Sarebbe bello morire, sapendoti salvo», replicò dolcemente Yamaguchi,
posando delicatamente le labbra contro quelle di Mariya, solo per un
attimo.
Mariya guardò altrove, particolarmente interessato a un albero con tre
buchi – uguali a quelli che aveva anche visto Yarai tempo prima, anche
se lui questo non poteva saperlo – e borbottò: «Inoltre, se ne
accontentassi uno, magari anche altri vorrebbero cambiare squadra e
nascerebbero dei malumori: anche questo è inaccettabile per lo spirito
della guerrilla. Siamo pochi e dobbiamo essere il più compatti
possibile».
Yamaguchi sospirò.
Come al solito, Mariya aveva vinto.
«Ok», asserì, baciando la guancia del ragazzo. «Però sappi che ti terrò
d’occhio».
Yamaguchi lasciò le spalle di Mariya e si incamminò verso gli altri.
Sentiva una stretta al cuore, ma ciò che il compagno gli aveva detto
gli avrebbe dato la forza per lottare in quella notte.
Mariya lo guardò mentre si avvicinava a Yarai e iniziava a parlare con
lui, volendo prendere un po’ di confidenza con il suo capo squadra. Ci
sarebbe stata ancora una cosa da dirgli, ma era riuscito a contenersi:
in realtà la squadra di Yarai era squilibrata, perché era composta dai
componenti più forti – Mami a parte. Mariya aveva messo volutamente
Yamaguchi in quella squadra perché sperava che, combattendo con i
migliori e arrivando come ultimo gruppo, ci sarebbero state per lui
meno possibilità di morire. Anche Mariya, infatti, si preoccupava per
lui, e a modo suo lo difendeva, anche se usava il cervello e non i
muscoli.
Ma di questo sporco gioco Yamaguchi non avrebbe mai dovuto sapere.
§Owari§
XShade-Shinra
|