Note: I'm back.
Questa one-shot è nata per caso. In realtà non
credevo di scrivere qualcosa sul 2014, ma riguardando l'episodio ho
trovato spunti che non avevo considerato (bhe, più che altro
emozioni/sensazioni). Questo è solo un brano introspettivo,
ma credo che ne scriverò altri in questo contesto.
Il focus è sulla relazione tra Dean e Castiel quando ormai
è la fine, di ogni cosa, ma è una fine lenta e
lascia spazio a qualche ultima considerazione, rimorso, tentativo di
sopravvivenza.
Spero di rendere ciò che vedo.
N° parole: 1689
Attenzione: Riferimenti
a luci rosse e poca allegria nell'aria.
Declaimer: I
personaggi non mi appartengono, questa è un'opera di
fantasia non a scopo di lucro.
La canzone nel titolo e all'inizio della storia è "Passive
Agressive" dei Placebo (di nuovo loro? eh sì).
Enjoy.
Passive Agressive
"It's
in your reach
Concentrate
If you deny this
Then it's your
fault
That God's in Crisis
He's over
Every time I rise I see
you falling
Can you find me space inside your bleeding heart?"
Un braccio si abbattè mollemente sulla sua fronte e, nel
tempo che gli ci volle per restituirlo al leggittimo proprietario, uno
spesso strato di sudore aveva già fuso le loro pelli.
Così quando si separarono ci fu uno schiocco unticcio e
nauseante, che lo spinse a voltarsi su un fianco bofonchiando parole
che la bocca impastata dal sonno non riusciva a scandire.
Sentì la depressione del materasso sporco quando il corpo
nudo al suo fianco si mosse, in cerca delle sue spalle, ancora nel
pieno rilassamento del sonno.
Cercò di spostarsi verso il bordo del letto, ma ormai era
all'estremo confine con il vuoto.
"Diamine, Cass" imprecò risistemando le gambe sotto il
lenzuolo, evitando accuratamente di intrecciarvisi. Non sarebbe stato
comodo se fosse dovuto fuggire.
Da qualunque cosa.
Cercò invano il sonno, ma ogni volta che chiudeva gli occhi
per più di una frazione di secondo, pallini incandescenti
sembravano roteargli nelle orbite e la pressione sulle palpebre
diventava sempre più insopportabile. I muscoli fremevano e
dolevano come quando si resta troppo tempo immobili e il sangue
comincia a scorrere torbido.
Si alzò troppo in fretta e una vertigine fulminea gli
annebbiò per un attimo i sensi. Afferrò il
materasso e si voltò un attimo a controllare l'angelo caduto
nel suo letto: i capelli arruffati e incollati alla fronte, gli arti
distesi ad occupare più spazio possibile e le palpebre
chiuse e tese da movimenti circolari delle orbite. Fugaci espressioni
gli volavano sul volto come ombre di aquile funeste.
Stava sognando, dedusse il ragazzo.
Vorresti essere ovunque
si stia rifugiando.
Lui era molto tempo che non sognava qualcosa di piacevole, forse da
quando l'angelo aveva perso la sua Grazia, quella che gli permetteva di
intrufolarsi nei suoi sogni e renderli reali.
Dean si voltò e allungò una mano sotto il
materasso, estraendo un insieme di fogli di varie lunghezze tenuti
assieme da un po' di filo e una provvisoria copertina di pelle.
Recuperò anche una penna e aprì la prima pagina
libera. Non ne aveva raccolte molte, in fondo era meglio dover
aggiungere pagine che lasciarne troppe vuote. A chi sarebbe andato quel
suo diario non lo sapeva. Non avrebbe mai pensato di tenerne uno suo,
odiava dover fare il sunto della sua giornata, ma aveva preso
quell'abitudine all'inizio dell'anno, esattamente quando si era reso
conto che il futuro più lontano che potesse immaginare era
il prossimo tramonto di ogni alba.
La punta della penna rimase immobile sul foglio, spargendo una profonda
macchia d'inchiostro. Rimase a guardarla, non riuscendo a scrivere
nulla. Nella sua mente troppi pensieri scalfivano il vuoto alla ricerca
di attenzione e per quanto cercasse di sopprimerli, non riusciva a
farli tacere. Quella notte c'era troppo buio, troppo silenzio e troppa
umanità nella stanza.
Ricordi com'era avere un
cuore?
Gettò via il diario e la penna. Non aveva più
alcun senso continuare a fingere che lui fosse ancora un cacciatore.
Sei solo un bastardo
vendicatore senza anima. Sei peggio di tuo padre.
Premette i palmi sul viso per soffocare un pianto che non voleva far
vincere. Non poteva permetterselo, perché se avesse
abbassato la guardia anche solo un attimo il mondo sarebbe collassato e
non ci sarebbe stato più nessun Dean.
"Dean" biascicò Castiel alle sue spalle, stropicciandosi gli
occhi cerchiati di nero.
Il ragazzo si sforzò a malapena di ricomporsi, ma non si
voltò a guardarlo, nemmeno quando due dita gli sfiorarono la
spalla. Si divincolò, alzandosi a raccogliere il diario per
risistemarlo al suo posto. Solo l'angelo glielo aveva visto nascondere,
ma il più delle volte era troppo strafatto o delirante per
darci peso.
"Fa come vuoi" si arrese Castiel, facendo spallucce e stirandosi i
muscoli. "Credo che tu possa fare uno sforzo per non disturbare il
sonno altrui. Sai, non ho più la Grazia ma il mio riposo
viene turbato dall'agitazione di-"
"Cass, vuoi tacere?" sbottò Dean, frugando nella sacca alla
ricerca di una pistola. Quando l'ebbe trovata controllò il
caricatore per essere certo che vi fossero proiettili sufficienti.
"Come vuoi, capo" fece l'altro mimando un saluto militare.
Dean avrebbe voluto voltarsi, puntargli la pistola al cuore e sparare,
disintegrarlo per sempre. Avrebbe poi voluto puntarsi l'arma fumante
alla testa e premere l'ultimo grilletto della sua vita, evitando
così quei pochi istanti di vita del cervello che avrebbero
potuto devastargli l'anima. Voleva invece che Castiel potesse rendersi
conto di quello che gli aveva fatto, voleva che in quell'istante lo
odiasse.
Non puoi fare nulla di
tutto ciò. Castiel vivrà e tu vivrai. Vivrete
entrambi abbastanza da diventare morti, se non lo siete già.
Ma prima hai una missione, perché lo sai: tu stai torturando
il mondo, a causa delle tue non-scelte. E non scapperai così
facilmente. In realtà non sei mai uscito dall'Inferno.
Non fece nulla di tutto ciò. Prese l'arma e degli
strofinacci e si sedette ai piedi del letto per pulirla in vista
dell'alba. Gesti meccanici, gli stessi da anni, così
rassicuranti nella loro ripetività. Alle sue spalle
sentì un flacone stappato e il rumore irritante di piccole
palline che battevano contro i denti, nella folle corsa per entrare
nella bocca dell'angelo caduto. Sapeva che di lì a poco
avrebbe ricominciato a blaterare.
Una risata secca e trascinata grattò l'aria stantia. "Vuoi
sapere cos'ho sognato?" cantilenò Castiel.
"No, per niente."
"Ho sognato un mondo perfetto" continuò ignorandolo. "C'era
tante cose belle. Le persone soffrivano, ma erano persone. I mostri
uccidevano, ma erano mostri. E i cacciatori cacciavano, ma erano
cacciatori. Tutto aveva un suo posto. C'erano anche gli angeli, ma
quelli erano solo stronzi."
Dean riuscì per un attimo a sorridere scuotendo la testa,
mentre lisciava la canna della pistola.
Castiel si schiarì la voce e si avvicinò
gattonando al suo orecchio.
"In quel mondo io ero felice, perché ero un angelo ed ero
utile. Ma ero anche un umano e avevo fiducia nei miei amici. Era il
duemilanove e io ero uno stupido bastardo convinto che due ragazzi, un
vecchio ubriacone e un angelo caduto potessero salvare il mondo."
La risata gli morì in gola e le mani del cacciatore si
fermaromo stringendo la pistola come se fosse il collo di una bestia.
Le labbra di Castiel gli sfiorarono un lobo e la sua voce gli
tremò fin nel petto. "Onestamente, quel sogno faceva schifo."
"Castiel" ringhiò Dean, fissando il vuoto davanti a lui con
gli occhi in fiamme. "Taci o giuro che ti strappo la faccia con le mie
mani."
Ebbe in risposta solo una risata, che sembrava provenire da una gola
riarsa, che aveva ingoiato un uomo piccolo, ferito, in lacrime.
Tuo padre voleva la
vostra distruzione, Castiel. Ti ha chiesto di tirare fuori Dean
dall'Inferno, e tu lo hai fatto. Sapeva già che quel ragazzo
non si sarebbe mai piegato a Michele? Ti ha riportato in vita ogni
volta, mentre tu ti ribellavi sempre più alla sua
volontà. Sapeva già che avresti appoggiato Dean
nella sua risolutezza a non piegarsi al destino?
"Sono confuso" mormorò l'angelo, portandosi le mani ai
capelli intrisi di terra del giorno prima. Alzò gli occhi al
cielo e la bocca si storse in un sorriso acidolo, mostrando i denti
piatti.
Dean si svegliò di colpo, fendendo l'aria con il pugnale.
Poi lo guardò starsene seduto sul letto con le spalle chine
poggiate al muro e un'espressione tesa sul volto, in contrasto lampante
con le labbra tirate nel sorriso più innaturale che
potessero esprimere.
"Cazzo, Cass."
Castiel gli arpionò la nuca e lo tirò a
sé. "Facciamo sesso, per favore?"
La richiesta suonò quasi come un ordine, ma in fondo lo era.
Gli veniva da dentro, un bisogno profondo di compensazione. Non sentiva
più nulla a riempirgli il petto, se non il cuore che batteva
fastidioso. Nessun Dio, nessuna Radio Paradiso, nessun legame cosmico
di natura angelica. Era solo un uomo, fatto di carne, ossa e sangue,
ancora alla ricerca di quella che tutti chiamano anima.
A volte pensava di non averla, forse non era progettata per lui, forse
quella di Jimmy ormai era distrutta, forse...
Non sapeva come gestire una cosa simile, ogni volta. Castiel perdeva il
senno così spesso che ormai Dean non riusciva più
a chiedersi quando fosse in sé e quando no, e forse non lo
era da così tanto tempo che la stessa domanda era priva di
fondamento. Forse il mix di droghe con cui faceva colazione, pranzo e
cena avevano ormai distrutto i neuroni impazziti di quel corpo troppo
umano o forse insieme alla Grazia anche qualche rotella era scivolata
via da quell'essere innaturale.
Forse ha solo bisogno di
sentirsi pieno.
E Dean lo riempiva spesso, dell'unica cosa che riusciva ancora a dare:
il suo seme. Lo riempiva fino allo sfinimento, fino a far male,
finché ne aveva. Si svuotava fino a non avere più
in testa null'altro che il rombare del proprio sangue. Era uno scambio
equo, in fondo. Aveva bisogno della sua fragilità per
ritrovare la propria forza, di annegare le sue debolezze in quel corpo
sempre ricettivo, che accoglieva e inglobava tutto senza masticare, che
era sempre lì a farsi strappare urla e gemiti, che era
sempre capace di sopravvivere. Il vero motivo per cui Dean continuava
ad offrirgli il suo letto era questo: per quando potesse graffiarlo,
offenderlo, torturarlo sottilmente, Castiel restava sempre e tornava,
intatto e pronto a ricominciare. Dean lo aveva deluso, distrutto,
tormentato, fino a renderlo uno straccio di angelo che fu.
Malgrado ciò, Castiel sopravviveva al suo uso smoderato,
sproporzionato ed egoista.
Il mondo no.
E quando finivano e crollavano esausti, entrambi avevano una sola
sensazione: va tutto
bene, sono intero, forse sono anche vivo. Non importava se
durava poco, se sprofondava subito nell'abisso dentato delle loro
coscienze. Era pur sempre qualcosa.
"Dean."
"Cosa?"
"Una volta mi amavi?" la voce uscì secca e senza emozioni,
stanca come se si stesse trascinando attraverso le lenzuola appiccicose.
Il ragazzo si voltò rivolgendogli le spalle. Non poteva
affrontare il suo sguardo e vedervi cosa gli aveva fatto. Cosa aveva
fatto all'umanità.
Sentendo quegli occhi instancabili addosso, ricacciò in gola
tutte le parole che avrebbe voluto un tempo aver detto.
"Parli troppo, Cass" ringhiò, stringendo le lenzuola tra i
pugni stanchi.
Oh mio Dio.
Alex's space:
Se state leggendo questa parte, avete fiinito di leggere la mia
one-shot. Spero vi sia piaciuta e spero di ricevere qualche commento
(buono, cattivo etc etc), per sapere dove sbaglio, dove riesco e dove
c'è ancora da lavorare. Grazie dell'attenzione.
:>
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