Inchiostro.

di justwords
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Conoscevo una ragazza che amava scrivere.

Quando era triste, scriveva.

Quando era felice, scriveva.

Quando era arrabbiata, scriveva.

Quando era innamorata, scriveva.

Non scriveva solo quando era vuota.

 

Ora è inutile dire di che colore erano i suoi capelli o quanti anni precisi aveva. Era giovane, aveva il mondo in mano ma la sua paura più grande era lasciarlo cadere a terra. Come se il mondo della giovane ragazza fosse una palla di vetro, di quelle che se le agiti nevica dentro, e all'improvviso essa le scivolasse tra le dita e si infrangesse al suolo in mille schegge taglienti. Era questo il suo incubo.

A volte pensava di conoscersi più scrivendo che parlando, perché quando parlava poteva venire giudicata mentre la carta... bè, la carta non mette etichette e aggettivi, non affibbia difetti e caratteristiche soggettivamente accurate. La carta ascolta e ti comprende, la carta più si colora di parole e pensieri, più tralascia una sensazione... di felicità. E la gente che giudicava la atterriva, la confondeva, la intristiva, in qualche modo.

Quando l'inchiostro tracciava il suo solco tra quel bianco, quando la penna compiva la sua magia, la ragazza sentiva di aver ricevuto un regalo. La cosa che la rendeva più contenta era il fatto che fosse lei a far accadere quel miracolo, che le emozioni, le fantasie, i pensieri che venivano impressi in quelle pagine, provenissero dal suo cuore.

La scrittura era un mezzo per sentirsi fine a se stessa.





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