Titolo: Tutti i miei
sbagli
Pairings: XS,
D-->S
Generi:
Introspettivo, Drammatico, Erotico (circa)
Avvertimenti: Xanxus
è una persona violenta e Squalo tende a farne le spese
Rating: Arancione
Conteggio parole:
3374
Nota: La canzone su
cui si basa questa fanfiction è “Tutti i miei sbagli”
dei Subsonica, di cui ovviamente io non possiedo diritti eccetera
eccetera. Se volete ascoltarla durante la lettura (altamente
consigliato) potete farlo qui.
Ringrazio SomeCoffe
per il betaggio (<3) e vi lascio alla storia.
Tutti i
miei sbagli
Tu sai
difendermi e farmi male
Ammazzarmi
e ricominciare
A
prendermi vivo
Sei
tutti i miei sbagli
Otto anni.
In ogni singolo giorno
di questi otto fottuti anni mi sono chiesto che sapore avrebbe avuto
questo momento, ma la verità è che non riuscivo
proprio a immaginarlo; in tutto questo tempo non ho inghiottito altro
che il sapore aspro e nauseante del senso di colpa, del fallimento, un
sapore così terribile da rendere tutto il resto insipido e
insignificante. Per otto interminabili anni, quando la notte chiudevo
gli occhi esausto dalle mie missioni assassine, tutto quello che vedevo
era quella bara di ferro e ghiaccio.
Eri morto, ero morto.
Ma ora finalmente lo
sento, ora che il tuo sguardo rosso sangue mi scruta di nuovo
dall’alto, misto di disprezzo e di un orrore senza
nome.
Sei lì, di
nuovo in piedi nel tuo mondo, i pugni stretti, il viso segnato da
cicatrici che non ho mai visto prima.
Remoto e terribile
come un Re che ha potere di vita e di morte, scruti questa figura
accasciata sul pavimento gelido per non per non essersi voluta
difendere dalla tua Ira, questi capelli che hai macchiato di sangue per
non sentirli urlare della tua sconfitta, del tempo che
è passato senza di te, della mia non richiesta devozione.
Le tue parole fendono
l’aria come proiettili, penetrano nella mia coscienza
sull’orlo di svanire, nella mia carne.
– Tu e il
tuo stupido voto.
Ora lo so:
è il sapore del sangue.
Lo sento bruciare in
gola come ferro fuso. Lo vedo adornare ancora le tue nocche, brillante
nel buio soffocante della notte. Questa notte in cui mi hai quasi
ammazzato. In cui tutto è ricominciato.
– Per me
puoi anche strapparteli, quei capelli.
Bel modo di
ringraziarmi per averti aspettato tutto questo tempo, Boss di merda.
Ma non importa,
perché tu sei qui. Tu sei vivo.
E allora posso dirmi
vivo anche io.
A caduta
libera
in
cerca di uno schianto
Ma
fin tanto che sei qui
Posso
dirmi vivo
La pioggia scroscia
incessante stanotte, trapassa il cemento, impregna i vestiti. Goccia
dopo goccia si avvicina a toccare il soffitto dell’Aquarium,
torbida di sangue versato.
È pioggia
salata, come l'oceano, come il sangue, come le lacrime che quel giorno
di otto anni fa ho versato sulla tua tomba di ghiaccio e che da allora
non ho più sparso. Non le verserò nemmeno ora che
guardo in faccia la morte, in attesa dello schianto inevitabile.
Chi
l’avrebbe mai detto che a finire seppellito in questa tomba
d’acqua sarei stato io? Proprio io, che da quella volta non
ho mai perso un duello, sconfitto da un ragazzino che non ha mai tenuto
in mano altro che una stupida mazza da baseball.
Vergognoso, per un
Imperatore della Spada, no?
Ora vorrebbe salvarmi,
questo sempliciotto sempre sorridente. Non sa che la mia condanna
è già stata segnata nel momento in cui il mio
anello è caduto nelle sue mani: la feccia che perde deve
morire, è questa la regola non scritta dei Varia. La tua
regola d’Onore, ma soprattutto la mia.
Sei venuto ad
assistere allo scontro, stanotte, so che mi guardi attraverso uno
schermo. Speravi che ti avrei mostrato la mia vittoria? O speravi di
liberarti di me una volta per tutte?
In tal caso
congratulazioni, Boss: questo giorno sta per sfuggire dalle mie mani,
ma c'è ancora tempo perché almeno uno dei tuoi
sogni si avveri.
Sei contento? So che
lo sei, posso quasi sentirti ridere della mia sconfitta, del mio
fallimento.
Del mio ennesimo
sbaglio.
Intanto una sagoma
nera si allarga nell’acqua, gigantesca, si avvicina
descrivendo cerchi sempre più piccoli, in cerca di una preda
da sezionare con denti appuntiti. Un mostro dal mio stesso nome, ma che
oggi mi ricorda più te.
Forse, in fin dei
conti, non è un brutto modo per uscire di scena.
Da tempo ho imparato a
sanguinare, oggi non mi resta che imparare a morire.
Tu
affogando per respirare
Imparando
anche a sanguinare
Nel
giorno che sfugge
il
tempo reale sei tu
a
difendermi a farmi male
Sezionare
la notte e il cuore
Per
sentirmi vivo
In
tutti i miei sbagli
Le luci di Namimori
scorrono veloci come lame affilate lungo i fianchi della limousine, si
aggrovigliano fra di loro sotto il mio sguardo confuso e sfocato per
gli antidolorifici. Mi stanno facendo venire la nausea con tutto quel
dannato vorticare, ma non riesco a distogliere gli occhi, ne sono quasi
ipnotizzato.
La macchina sobbalza
sulle buche nell'asfalto, di tanto in tanto. Dovrei sentire dolore,
conciato come sono, ma non sento niente: è stato Dino a
chiedere all’infermiera di aumentarmi la dose di analgesico,
prima di trascinarmi con sé verso la scuola dove tu stai
combattendo. Gentile, premuroso, amichevole Dino.
Proprio il tuo
contrario.
–
Perché?
L'unico dolore che
sento è nella voce che suona accanto a me. Non ho nemmeno
bisogno di voltarmi a guardarlo per sapere cosa troverei nei suoi
occhi: apprensione, delusione e qualcosa a cui non so dare un nome ma
che è sempre stata lì, da che io mi ricordi.
– Non puoi
capire, Cavallone.
Nessuno
può, nessuno riesce a vedere in te quello che vedo io.
Quella rabbia, quel potenziale. Quel dolore.
Pensano tutti che io
sia pazzo per aver scelto di seguirti, per averti ceduto il titolo di
Boss dei Varia e aver calpestato il mio Orgoglio per la tua Ira.
Chissà,
forse lo sono sul serio.
– Lui ha
riso di te, quando sei caduto.
Il suo tono
è serio, insolitamente amaro per lui, ma io non posso fare a
meno di lasciarmi andare a una risata che vorrebbe essere strafottente,
ma che per qualche ragione suona debole e soffocata. Do la colpa alle
bende e i punti che mi serrano e mi tengono insieme, inibendo i miei
movimenti.
– Tipico di
quel bastardo!
Il mio senso
dell'udito, amplificato dalla droga, sente il leggero fruscio che fanno
le dita di Dino serrandosi convulsamente sulla stoffa dei suoi
pantaloni.
– Lo Squalo
che conoscevo prima non avrebbe mai accettato di farsi trattare
così da qualcuno.
Dino ha ragione,
perfettamente ragione. Sono cambiato, siamo cambiati, e quei vecchi
tempi del liceo sono ormai lontani: sono finiti i giorni in cui
facevano gazzarra coi bulli della scuola, in cui studiavamo matematica
senza capirci nulla, in cui ci interrogavamo sul nostro futuro.
Adesso ci sei tu.
– Hai detto
bene: prima.
Mi dispiace, ma non
chiederò scusa se non rimpiango quei giorni quanto lui.
– Stai
facendo uno sbaglio.
Sono parole di una
persona che si preoccupa davvero per me, sagge, sincere; riconosco la
loro terribile verità, ma non riescono a raggiungermi
davvero. Mi scivolano addosso e si dissolvono, come pioggia.
– Dimmi
qualcosa che non so già.
Non
m'importa molto se
Niente
è uguale a prima
Le
parole su di noi
Si
dissolvono così
– Tagliali.
L'ordine arriva
così improvviso e perentorio che ci metto qualche istante ad
afferrarne il senso.
– Co-cosa?
Vorrei poterlo non
afferrare, a dire il vero, ma quel paio di forbici lucenti che mi hai
appena posato davanti, sulla tua scrivania, non lasciano dubbi su
ciò che mi stai ordinando di fare.
– I tuoi
capelli, tagliali.
Il tempo sembra
fermarsi.
Serro con forza il
manico della stampella che mi aiuta a stare in piedi, un ricordino
opprimente della trascorsa battaglia degli anelli; non vedo l'ora
di liberarmi di questa seccatura, anche se so perfettamente che
sbarazzarmi di questo oggetto cambierà poco: ha lasciato
molte ferite questa battaglia, ma quelle che bruciano di più
sono quelle invisibili agli occhi.
– Voooi! Sei
di nuovo ubriaco o cosa? Perché dovrei farlo?
– Avresti
dovuto farlo già da tempo, feccia. Cos'è, non ti
è bastato tutto questo? La farsa è finita.
Mi guardi impassibile
dal tuo trono, con le mani incrociate sulla superficie della scrivania,
e il tuo tono di voce è insolitamente calmo, controllato,
quasi glaciale. Mi mette a disagio, non credo di averti mai sentito
parlare così. D'improvviso mi rendo conto di sapere
cos'è quella sgradevole sensazione che sento strisciare
sotto la pelle, pizzicandola come ghiaccio.
– Sciolgo il
tuo voto. Sei libero adesso. Contento?
È paura.
Curioso, no? Non l'ho
provata nemmeno di fronte a uno squalo pronto a divorarmi e ora la
sento davanti a un uomo seduto nella calma del suo ufficio riccamente
arredato.
Ho paura
perché mi stai dicendo addio.
Fortunatamente sono
abbastanza veloce a nascondere lo sgomento dietro il mio solito
rabbioso sfoggio di arroganza. O almeno spero.
– Ma che
cazzo dici? Io sono già libero, lo sono sempre stato! Ho
scelto io di fare quel voto e io non ho alcuna intenzione di
scioglierlo.
Ancora mi fissi, con
quel tuo sguardo che non riesco a decifrare. È da quando hai
posato quelle stupide forbici sulla scrivania che non mi togli gli
occhi di dosso, mi scruti, in cerca di qualcosa che non capisco.
Il tempo scorre lento,
angoscioso.
–
È il tuo stupido orgoglio che te lo impedisce,
vero?
– Non
è solo questo. E lo sai.
Non so più
nemmeno dove vuoi arrivare. Vuoi mettermi alla prova, è
questo che vuoi? Vuoi aprirmi il cuore, sezionarlo e vedere cosa ci
trovi dentro? Fallo, boss di merda, sei il benvenuto. Invece ti limiti
a rivolgermi un lieve ghigno, una smorfia amara.
– Allora
cosa? Non mi dirai che non ti sei ancora arreso.
Questo sì
che mi ha colto di sorpresa. Non ti ho mai sentito pronunciare quella
parola: “arrendersi”. Non fa che aumentare il mio
orrore per la discussione che stiamo avendo; tu che mi parli di resa e
mi chiedi di rinunciare al mio voto e a tutto ciò che esso
significa. Sembra un incubo da cui non riesco a svegliarmi.
–
Perché, tu sì?
Non rispondi a questa
domanda. Resti ancora a fissarmi, immobile, e io ricambio il tuo
sguardo cupo con insistenza, in una battaglia silenziosa combattuta con
timori che non osano essere pronunciati ad alta voce. Ti guardo,
finché fai qualcosa che mi sorprende di nuovo: distogli gli
occhi, un breve guizzare delle pupille verso il basso; un movimento
inconscio, quasi impercettibile alla vista, ma che da solo mi dice
quello che tu non avresti mai voluto far trapelare.
Hai esitato.
Questo vedere
esitazione proprio nei tuoi occhi, negli occhi dell'uomo che ho seguito
per la sua rabbia che non ammette ostacoli, mi fa molto più
male di tutti i tuoi insulti.
– Beh, fai
come ti pare! Arrenditi come una cazzo di mammoletta! Io non mi
arrenderò finché non ti vedrò seduto
su quella cazzo di poltrona del Boss, chiaro?
Le mie parole devono
aver fatto scattare qualcosa, perché per fortuna il tuo
sguardo torna subito a essere quello del ragazzo combattivo che ho
conosciuto otto anni fa.
– Smettila.
So che farei meglio a
seguire il tuo ordine e starmene zitto prima di far esplodere la rabbia
che vedo affiorare nei tuoi occhi, ma è più forte
di me. Forse perché per me è più
facile vedermela con uno Xanxus infuriato come al solito che uno Xanxus
confuso, ferito dal suo destino.
– Non mi
importa quanto ci vorrà, se è questo che desideri
davvero, io non mi arrenderò. Anche a costo di ritrovarmi
con capelli così lunghi da inciamparci!
– Smettila.
Appoggi le mani sulla
scrivania, ti alzi in piedi. C'è un campanello d'allarme che
suona, da qualche parte nella mia testa, ma scelgo di ignorarlo: ci
sono delle cose che devono essere dette e adesso è troppo
tardi per fermarsi.
– Vuoi
davvero farti fermare da una manciata di stupidi anelli? Dopo tutto
quello che hai passato?! Questo non è lo Xanxus
che conosco! Lo Xanxus che conosco spaccherebbe tutto pur di avere
quello che vuole!
Le mie labbra mi si
muovono da sole. Mi sento parlare con la stessa
inevitabilità con cui ti vedo fare il giro della scrivania
in quattro falcate, i denti digrignati come quelli di una bestia pronta
all'attacco.
– Adesso
basta!
– Sei tu che
dovresti essere Decimo, non quel moccioso, te lo sei dimenticato!?
– STA' ZITTO!
Quando il colpo arriva
mandandomi a barcollare, pericolosamente vicino a cadere, non posso
certo dire di non essermelo aspettato. Sapevo che sarebbe arrivato con
la stessa certezza con cui sapevo che ti saresti infuriato nel sentir
nominare quella persona.
– Io non
sono... il Decimo. Potrei non esserlo mai.
Quello che invece non
mi sarei mai aspettato sono queste tue parole amare, stanche, che sanno
di sconfitta; parole che non avrei mai voluto sentire dalla tua bocca,
così come non avrei voluto vedere il dolore nel profondo del
tuo sguardo. Lo hai seppellito sotto infiniti strati di rabbia, odio,
rancore, ma non puoi nasconderlo a me, a me che ti conosco
così bene.
Insoddisfatto,
continui a sezionarmi il cuore:
– E tu non
sarai mai il braccio destro del Decimo. Non c'è
più niente che ti leghi alla tua promessa, quindi puoi anche
andartene. Non hai più niente da guadagnare qui.
Mi raddrizzo
aiutandomi con la stampella. Sono sbigottito, incredulo,
così incredulo da non riuscire a spiccicare una parola, da
non riuscire neanche a gridarti un insulto, e chi mi conosce sa quanto
ciò è fuori dal mondo. Ma sopra ogni altra cosa
sono arrabbiato, perché non ho aspettato otto anni per
ritrovarmi ad avere a che fare con questo grandissimo stronzo, e dopo
un po' la rabbia dà fiato alla mia protesta, mi fa dire cose
che non mi sarei mai sognato di dirti ad alta voce.
– VOOOI! Non
capisci un cazzo! Non è per questo che ho deciso di
seguirti, brutto idiota! Non mi è mai importato nulla di
essere il boss dei Varia e tanto meno di essere il braccio destro del
Decimo! Io volevo che tu diventassi il Decimo perché
è quello che volevi tu! Per me potresti anche essere il boss
di una banda di taccheggiatori, ti seguirei lo stesso! Quindi
vaffanculo tu e le tue forbici, non taglierò i miei capelli
perché me lo dici tu, sono stato chiaro?
Sgrani gli occhi,
mentre parlo, mi guardi come se mi vedessi per la prima volta. Hai
davvero creduto che io volessi questo da te? Solo i tuoi favori? Hai
davvero pensato che io volessi combattere per la ricchezza e per il
comando e per altre stronzate, quando tutto ciò che volevo
era semplicemente combattere e poterlo fare al tuo fianco? Hai davvero
pensato che guardando te io vedessi solo il tuo titolo di erede?
Per essere
così pieno di te a volte fai davvero fatica a comprendere il
tuo vero valore.
Adesso sei tu quello
rimasto senza parole e io allora ricambio il tuo sguardo e piego la
bocca nel mio solito sorriso storto.
– Dovrai
fare di meglio per liberarti di me, Xanxus.
Ti vedo inspirare e
trattenere bruscamente il fiato, scandalizzato dalla mia arroganza: non
solo ti ho dato dell'idiota, ma ti ho anche chiamato per nome
anziché “Boss” come fanno gli altri
Varia.
Poi, senza dire
neanche una parola, senza che la tua espressione tradisca minimamente
cosa succede nella tua testa, mi togli la stampella da sotto il
braccio, mi afferri per il bavero della giacca e mi spingi con la
schiena contro il muro, strappandomi un'imprecazione di dolore e di
protesta.
– VOOOI,
guarda che fa ancora male!
Il tempo si ferma di
nuovo mentre il tuo volto è così vicino al mio,
mentre pianti i tuoi occhi vermigli nei miei e mi scruti con
un'intensità affilata come un coltello.
– Tu e il
tuo stupido, fottutissimo voto.
E poi, come a
sottolineare il tuo dispetto per esserti dovuto arrendere alle mie
parole, mi chiudi la bocca con la tua, in uno scontro di labbra che ha
più del morso che del bacio ma che è tutto
ciò che voglio.
Tu
affogando per respirare
Imparando
anche a sanguinare
Nel
giorno che sfugge
Il
tempo reale sei tu
a
difendermi e farmi male
Sezionare
la notte e il cuore
Per
sentirmi vivo
In
tutti i miei sbagli
Ancora non so cosa ti
ha spinto a baciarmi, quel giorno, se volessi farlo da tempo o se
invece è stato solo l'impulso del momento. So solo che da
allora hai trovato ancora un altro modo per farmi tuo, per ferirmi e
allo stesso tempo farmi sentire vivo come mi sento solo nella frenesia
della battaglia, quando il sangue scorre e l'adrenalina va a mille.
In fondo che
cos'è, se non una battaglia, quella che combattiamo quasi
ogni notte? Non ci sono armi se non i nostri corpi, non ci sono morti,
le ferite più gravi sono morsi e lividi, il campo
è fatto di lenzuola costose, ma è senz'altro una
battaglia.
Tu cerchi di farmi
male, vuoi portare fino al limite più estremo la mia
lealtà, vuoi spezzarmi e sottomettermi per vedere quanto ci
metterò a infrangere la mia promessa, raccogliere quel che
resta del mio orgoglio e abbandonarti. Ogni volta che mi strappi la
divisa di dosso e che mi spingi contro il materasso vedo in te la
volontà di divorarmi come una preda succulenta, di ridurmi
in uno schiavo palpitante e supplicante per la tua misericordia, per il
privilegio di ospitare la tua carne e il tuo fuoco dentro di me.
Sai che hai il potere
di darmi piacere e dolore con ogni tuo singolo gesto, con ogni tua
singola parola, e godi di ciò.
Quasi ci rimani male,
quando ti mostro ancora una volta che non ho paura di te, che voglio da
te qualsiasi cosa tu abbia da darmi, che sia piacere o dolore o
entrambi allo stesso momento.
Puoi piegarmi ma non
riuscirai a spezzarmi, perché io sono la Superbia, io sono
indistruttibile e sono già morto e rinato più di
una volta.
Quando tu mi prendi io
ti restituisco gli affronti, rispondo ai tuoi lividi con i morsi, solco
la tua schiena con le mie cinque unghie e lascio segni freschi tra le
vecchie cicatrici. Rido senza fiato, gemo di piacere, ti chiedo di
più, sempre di più, perché di te non
avrò mai abbastanza.
E tu non ti fai certo
pregare, tu mi dai tutto quello che voglio.
A un certo punto,
quando ti accorgi che nel mio sguardo non vedi paura ma un desiderio
bruciante che rispecchia il tuo, lo stesso senso di
necessità ti afferra: hai bisogno di me, di trovare rifugio
dai tuoi demoni nel calore del mio corpo, di sapere che non sarai mai
in grado di distruggermi e che almeno io non ti abbandonerò
mai.
Ogni volta, quando
tutto e finito, ti sforzi di farmi credere che tutto ciò non
abbia alcun senso, ma io ormai ho visto come mi stringi con
forza, reclamandomi come tuo, come ti getti tra le mie braccia
nell'oblio dell'orgasmo. In quei momenti, quando il giorno sfugge e al
mondo non esistiamo che noi, serri tra le mani gli stessi capelli che
avresti voluto strappare, ti aggrappi a loro come alla tua unica
sicurezza.
E io mi aggrappo a te
e mi sorprendo ancora una volta di come tu riesca a farmi male e a
difendermi allo stesso tempo.
Tu
affogando per respirare
Imparando
anche a sanguinare
Nel
giorno che sfugge
Il
tempo reale sei tu
sai
difendermi e farmi male
Sezionare
la notte e il cuore
Per
sentirmi vivo
In
tutti i miei sbagli
Il giorno è
ricominciato.
Apro gli occhi e tu
sei qui, accanto a me. Dormi ancora, dimentico del resto del mondo, e
io scommetto che non ti sei neanche accorto di avere un braccio gettato
possessivamente sul mio petto.
Non che io mi lamenti,
sia chiaro.
Sono rari i momenti di
quiete come questi, rarissimi, quindi resto ancora un po' immobile e in
silenzio, contrariamente alle mie abitudini, e ti guardo dormire qui
vicino a me, il tuo corpo che irradia calore contro il mio, mentre il
sole crescente irradia la sua luce nella stanza.
E penso, penso a tutto
quello che ho passato per te, con te.
Sei tutti i miei
sbagli.
Ma so che li rifarei,
dal primo all’ultimo.
Tu il mio orgoglio che
può aspettare
E anche quando
c'è più dolore
Non trovo un rimpianto
Non riesco ad
arrendermi
A tutti i miei sbagli
Sei tutti i miei
sbagli
Sei tutti i miei
sbagli
Sei
tutti i miei sbagli
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