Capitolo XII
I look
around, but I can't find you If
only I
could see your face
Instead
of rushing towards the skyline
I wish
that I could just be brave
(Rabbit
Heart, Florence &
The Machine)
24
Giugno 2028
Victoria
Embankment. Casa di Michel Zabini.
Mattina.
La vita era fatta di alti e
bassi. Dove c’era una giornata di merda, c’era
sempre la possibilità che
arrivasse una notte niente male.
E così era stato
per Michel,
che si svegliò sentendo il piacevole languore che
testimoniava lenzuola sgualcite,
sudore a raffreddarsi sulla pelle e un uomo che sapeva come muoversi e
soprattutto cosa toccare.
Inspirò
seppellendo il viso
contro il cuscino, seta fresca contro il suo viso ancora accaldato; la
barba
pungeva ma non riusciva a trovarla fastidiosa come al solito.
Era la prima volta da
… mesi … che
non si svegliava con il
malditesta. Certo, svuotarsi dava sempre i suoi buoni effetti, ma
quella notte
era stata come se finalmente il mazziere della sua partita personale
gli avesse
allungato una mano sublime. O un antidolorifico potente.
Merlino,
che meraviglia.
Con la coda
dell’occhio vide
la luce del bagno accesa e dall’acqua intuì che il
tedesco – o americano? – si
stesse facendo una doccia prima di togliere le tende; doveva essere
l’alba.
Ottimo,
sa quando andarsene.
Dovrei
chiedergli il numero comunque. È un’esperienza
che va ripetuta, questa.
Si stese sulla schiena,
osservando i vestiti del tipo gettati su una delle sedie ultra sottili
che
decoravano il suo appartamento uscito dalla testa hi-tech di
un’architetto
Babbano. Suo padre quando vi era entrato la prima volta aveva storto la
bocca e
aveva passato la successiva mezz’ora a criticare tutto
ciò che gli si era
parato davanti.
A
ben pensarci, è stato questo il motivo per cui
l’ho
fatto arredare così… Per fargli dispetto.
Stese una mano sul comodino
per cercare le proprie sigarette, e quando non le trovò
cercò la bacchetta per
Appellarle. Gli ci volle più di qualche secondo di nebbia
post-coitale per
rendersi conto che non c’erano nessuna delle due.
Cosa
diavolo…
Si alzò di scatto
a sedere
mentre scandagliava la stanza con lo sguardo; ricordava di aver
lasciato la
bacchetta sul comodino, come faceva ogni notte, oculatamente nascosta
dalla
sveglia digitale.
Dov’è
finita?
La sola idea che il suo
ospite
potesse averla vista gli dava l’ansia; un Babbano poteva
farsi sospettoso
vedendo un legno istoriato e dalla forma strana in un appartamento come
il suo.
Come
se non bastasse la mia bacchetta di riserva è una
vecchia bacchetta di papà. Merlino, penso anche abbia delle
protezioni
anti-Babbano sopra …
Protezioni del genere
aggredivano
chiunque non fosse il proprietario con effetti terrificanti quali
fuoco,
scariche di magia e amenità simili.
Ci
manca solo che debba chiamare una squadra di
Obliviatori … o un carro funebre perché ha
toccato la mia bacchetta.
Sono
un idiota. Un errore da novellino.
Cercò di
ricordare dove l’avesse
lasciata prima di uscire con Mael e la sua compagnia, ma tra
l’alcool e il
fatto che avesse passato tutta la notte a spegnere il cervello nel modo
migliore che conosceva non gli sovvenne nulla.
“Ehi,
cos’è quella faccia?” Lo
sorprese una voce. “Tanto devastato all’idea che me
ne vada?”
Milo – erano
riusciti a
presentarsi prima di mettersi gloriosamente le mani addosso nel taxi di
ritorno
– se ne stava sullo stipite della porta del bagno ed era una
visione, tra il
vapore della doccia, l’assoluta mancanza di vestiti e i
capelli biondi
arruffati come un’aureola. Per un attimo ogni suo senso fu
investito dai ricordi
delle mani e dalla bocca del ragazzo di fronte a sé.
“No,
io…” Inspirò, realizzando
di essere al centro della stanza, coperto solo dalla propria vestaglia
e con
un’espressione di puro terrore. Non andava affatto
bene. Ne andava della sua reputazione.
“Buongiorno.”
Riuscì a dire
lasciandosi scivolare un sorriso languido sul viso. “Devo
ammetterlo, mi sarei
offeso se tu fossi sgattaiolato via come un ladro…”
L’altro ridacchiò, staccandosi dalla porta e
afferrandogli i lembi della
vestaglia, quasi volesse chiuderli. Finì invece per
tirarselo contro. “Non sono
così stronzo.” Ghignò. “Non
con chi ha un culo come il tuo.”
“Sempre così diretto?” Passandogli le
braccia attorno al collo cercò di
occhieggiare all’interno del bagno. Niente, non ve
n’era traccia.
Dannazione.
L’ha vista? Non l’avrà presa? Se solo
non
avesse il manico intarsiato d’argento… Potrebbe
balzare all’occhio, potrebbe
pensare di venderla ad un robivecchi.
Era un’ipotesi
assurda, ma non
così tanto se si considerava il fatto che avesse fatto
entrare in casa un perfetto
sconosciuto.
Quante
volte Albus ti ha detto che potresti metterti
nel letto uno psicopatico? O svegliarti senza mobili?
Milo intanto pareva
più
occupato a lasciargli una calda scia di baci sul collo e Michel dovette
appellarsi a tutto il suo autocontrollo per mantenere la
lucidità. “Senti … hai
…” Come poteva chiedere una cosa assurda come
quella? Forse avrebbe dovuto
trovare una scusa per frugare trai suoi vestiti?
Di
certo non l’ha addosso…
“Hai
visto…”
“Vedo te, e lo spettacolo mi piace
Michel…” Il modo in cui arrotolava il suo
nome sulle lingua lo faceva impazzire, perché per la prima
volta dopo anni veniva
pronunciato correttamente.
Non
mi chiamo Michael, mi chiamo Michel.
Grazie.
No,
aspetta. La bacchetta.
Con il cuore ricolmo di
dolore
si staccò dalla massa di muscoli, pelle e ossa bollenti del
ragazzo di fronte a
sé. “Hai visto … sto cercando la
mia…”
Sarebbe più semplice se glielo
potessi
spiegare senza essere guardato come un pazzo.
Non ebbe il tempo di dire
una
parola che l’altro lo schiacciò letteralmente
sopra il letto, in un movimento
fluido e allenato, di chi sapeva come rendere maledettamente eccitante
persino quello
che alla fine era un placcaggio.
Era sconcertante; si
riteneva
una persona con un’esperienza tra le lenzuola, ma il tedesco
stava premendo
tutti gli interruttori giusti, e senza troppi sforzi dal ghigno beato e
dalle
mani che sembravano conoscere la mappa esatta del suo corpo.
Oh,
Merlino … Un animale da letto. È un animale da
letto.
Chiuse gli occhi esalando un
respiro breve e secco quando sentì i palmi ruvidi passargli
sulle gambe e
stringere, con fermezza e senza fare male.
“La mia
bacchetta…” Mugolò
mentre una parte del suo cervello urlava sconcertata e
l’altra osservava
placida lo svolgersi degli eventi.
“È una
metafora?” Chiese
l’altro, alzando il viso minimamente turbato. “O
intendi l’altra?”
…
Come?
“Perché
è a terra, vicino alla
scrivania e visto che non volevo farmi saltare in aria una mano
l’ho lasciata
dov’era. Mi sembrava protetta da qualcosa.”
Michel ritrovò di
colpo la
lucidità. Sbattè le palpebre cercando di
ritrovare contegno e soprattutto,
cervello, perché si sentiva ridotto a deliziosa gelatina.
“Sei un mago?” Fu la
prima cosa che gli venne in mente.
Milo inarcò le
sopracciglia.
“Ti pare mi porti dietro legnetti che fanno
scintille?”
“Non sei un
mago…” Quella
mattina si sentitiva deplorevolmente ritardato perché gli
stava sfuggendo
l’intero quadro della situazione. A sua differenza il tedesco
lo guardava con
un sorrisetto beffardo, simile a quello di un bambino pestifero.
“Non sono un
mago.” Confermò.
“Ma tu sì, vero dolcezza? Dovresti aver
più cura delle tue cose.” Si chinò fino
a far toccare il naso con il suo. Aveva gli occhi castano chiarissimo,
un
castano che gli sembrava di aver già visto, secoli prima.
Dove?
No,
non distrarti.
“Non sei neppure
un Babbano
però…”
“Ti sembro così sprovveduto?”
Ghignò. “E no, prima che tu me lo chieda, non ho
parenti che menano bacchetta.”
Michel sentì il
cervello
incepparsi come una vecchia macchina che aveva fatto troppi chilometri
in poco
tempo. Incepparsi e poi riavviarsi di colpo con un gran sferragliare.
Magari non
l’avesse fatto.
“Sei un
Magonò.” Realizzò
sentendo il corpo congelarsi come se l’avessero appena
gettato in una fontana
di Hyde Park.
L’altro
scrutò per un attimo
la sua espressione, poi fece una risatina, staccandosi.
“Dalla velocità con cui
ti s’è ammosciato direi che non sei un fan della
categoria.”
“Sei un Magonò.” Ripetè come
un disco rotto; com’era possibile? I Magonò erano
poveri, cenciosi e si nascondevano agli angoli delle strade per
aggrapparsi ai
cordoni della borsa con patetici sguardi acquosi. I Magonò
erano Mastro Gazza,
il bidello di Hogwarts dallo sguardo arcigno e dall’igiene
dubbia.
I Magonò non
erano un dio
fatto di muscoli, sorriso irriverente e capelli biondi come il grano.
L’altro gli
rivolse
un’occhiata orribilmente divertita, togliendosi da lui e
dirigendosi verso i
propri vestiti e dandogli una visuale panoramica del suo fondoschiena.
I
Maghinò non hanno un culo perfetto.
“Quando ti sarai
ripreso dal
trauma trovi il mio numero di cellulare sullo specchio del
bagno.” Lo informò.
Specchio del bagno?
Era talmente agghiacciato
che
neanche si chiese con cosa ce
l’avesse scritto. Nel frattempo l’altro si
ravviò i capelli arruffati e umidi
con una mano – la stessa mano che aveva fatto cose
innominabili ad ogni singolo
muscolo del suo corpo la sera prima – e gli sorrise come se
fosse la cosa più
esilarante del mondo. “Sta’
allegro,
maghetto, non ti ho scopato via la
magia.”
“Lo
so…” Riuscì ad esalare. Si
sentiva paralizzato e nella sua testa c’era solo un coro di
voci che urlava di
lavare l’offesa nel sangue. “Mi hai
ingannato.” Tirò fuori cercando di
recuperare dignità, perché era Michel Zabini e
nessun dannato Magonò si prendeva
gioco di lui.
“Io?”
Chiese con la voce più
innocente del mondo. “Ci siamo presentati, ti ho offerto da
accendere e mi hai
portato a casa tua per fare sesso. Quando ti avrei ingannato? Mi sembra
abbiamo
ottenuto tutti e due ciò che volevamo.”
“Non mi hai detto
cosa sei!”
Un’ombra passò sul viso dell’altro e per
un attimo Michel pensò di aver
esagerato. Anche se ovviamente non l’aveva fatto:
l’altro era un Magonò, aveva
solo detto la verità.
L’ombra
passò comunque, e
tornò il sogghigno. “Alla faccia del
razzismo!” Esclamò. “Fammi indovinare,
sei
Purosangue?”
“Non è
affare che ti
riguardi.”
“Curioso,
è la stessa cosa che
avrei detto io.” Scosse la testa e Michel finse di non
sentirsi in qualche modo
oggetto della delusione dell’altro. Come se gli importasse,
poi. “Ero pronto a
non avere pregiudizi.”
“Forse perché non hai diritto
ad averne.”
Ritorse.
Il Magonò gli
rivolse
un’occhiata di scherno e poi si avvicinò.
Tentò di mettersi in piedi ma venne
risbattuto contro il materasso con un movimento fulmineo. Voleva
aggredirlo?
Non fece in tempo a chiederselo che sentì una mano premergli
sul petto, con
decisione ma non violenza. Gli occhi dell’altro erano davvero
chiari, ambra.
Era assurdo, specialmente in quel momento, pensare che li avesse
già visti
altrove.
No,
impossibile. Io non frequento la feccia.
“Sei proprio uno
di quegli stronzi,
ah?” Sospirò a pochi centimetri dalle sue labbra e
Michel si impose di non far
tornare l’eccitazione. Non che fosse esattamente facile: il
suo corpo non
pareva turbato dalla nuova scoperta. “Peccato. Ti avrei
offerto volentieri la
colazione.”
Come l’aveva
sbattuto sul
letto si rialzò lasciando la stanza senza un’altra
parola.
Michel rimase a lungo steso, finendo per trovare la bacchetta, a terra
esattamente dove il Magonò aveva detto fosse. Dopo qualche
attimo rilasciò
un’imprecazione trai denti.
L’emicrania era
tornata.
****
Inghilterra,
Devon, Il Mulino.
Mattina.
Non poteva trasferirsi a
casa
del suo ragazzo.
Lily l’aveva
pensato quella
mattina e così, più o
meno alle prime
luci dell’alba, aveva infilato la sua roba nel borsone che si
era portata dal
Mulino e ci era tornata, al Mulino. Scott, svegliatosi per il
trambusto, aveva
cercato di farla rimanere, assicurandole che per lui non
c’era il minimo
problema, che sarebbe potuta rimanere lì anche un mese, che
la casa era grande
e tutto il resto…
Magari.
Ma da certe beghe non si può scappar per
sempre.
“Non
è questo il problema, Scotty.” Gli aveva sorriso,
baciandogli la testa arruffata dal sonno. “È che
devo tornare a casa per …
questioni familiari, mettiamola così.”
“Tuo padre, eh?” Aveva indovinato nascondendo uno
sbadiglio dentro una mano.
“Cerca di non esser troppo dura con lui, alla fine pensava di
farlo per il
tuo…”
“Non ho bisogno che qualcuno prenda decisioni per
me.” L’aveva interrotto,
perché non aveva voglia di litigare con chi
l’aveva ospitata beccandosi pure un
pacco di paturnie che non avrebbero neppure dovuto sfiorarlo.
L’altro
aveva sospirato, ma aveva avuto più cervello
che tentare di infilarsi in un argomento simile. “Okay.
Colazione?”
Si
era chinata per baciarlo a fior di labbra, cercando
di infondere in quel breve contatto tutta la gratitudine che provava.
“No, hai
già fatto più che abbastanza … grazie.
Ci sentiamo stasera, okay?”
Aveva abbandonato il porto sicuro che era casa Ross per tornare al
Mulino e
facendo scattare le chiavi di casa pensò che forse non era
stata una buona
idea; avrebbe sempre potuto riparare a casa di uno dei fratelli per
ancora
qualche giorno mentre aspettava che la bufera del suo cattivo umore si
mitigasse.
Non
mi va di litigare con papà e so che appena lo
vedrò
finirò per farlo.
Era il suo eroe, lo era
sempre
stato e non avrebbe smesso di esserlo, tuttavia dovergli spiegare per
l’ennesima volta i limiti che non doveva oltrepassare le dava
ai nervi.
È
un maniaco del controllo. Deve sapere che siamo in un
luogo sicuro, che facciamo qualcosa che non ci mette in pericolo e che
non
siamo, soprattutto, con gente pericolosa.
E
se c’è il solo sospetto che una di queste
condizioni venga
meno…
Entrò in cucina
e, dato il
sonno che sentiva, fu inevitabilmente attratta dalla caffettiera
bollente che
emanava fragrante odore di colazione.
Meravigliosa
caffettiera americana … Lasciati amare.
“Lily.”
Era una trappola!
Si voltò verso la voce di suo padre e lo
trovò appoggiato allo stipite
della porta, senza occhiali, con i capelli fuori controllo e ancora in
pigiama.
Era il suo giorno libero?
O
forse è presto sul serio. Quando passi la notte
insonne la sfasatura temporale si fa sentire.
“Era una
trappola?” Chiese
puntando sullo scoprire subito le proprie carte
L’uomo
sospirò passandosi una
mano dietro la nuca. “Cosa?”
“Il
caffè … era per attirarmi
in trappola?”
Suo padre le rivolse uno
sguardo confuso. “No, l’ha preparato tua madre
prima di uscire … Ci sono le
selezioni dei Portieri del Puddlemere oggi, e le fanno
all’alba.”
Lily strinse la tazza tra le
dita, sentendosi piuttosto sciocca. “Vado a mettere le mie
cose in camera…”
Iniziò.
“Aspetta.”
Rovinò tutto
l’altro. “Dobbiamo parla…”
“Assolutamente no.” Lo bloccò sentendo
il familiare nodo di rabbia serrarle lo
stomaco. “Non c’è niente da dire. Niente
che non mi farebbe litigare con te.”
“Lily, per favore.” Sembrava stanco, e non della
stanchezza dovuta a una
sveglia troppo mattiniera. Riconobbe le familiari occhiaie sotto gli
occhi e
capì che all’ufficio Auror doveva essere uno di quei periodi.
Non
farti impietosire. Non osare! Mantieni la
posizione, soldato.
“Mi hai nascosto
delle cose.” Si
appoggiò al frigorifero, cosciente ormai del fatto che
quella conversazione non
si poteva evitare. “Hai preso decisioni al posto mio.”
“Lo so, l’Agente Prince…”
“Sören.”
Lo corresse. “Gli hai fatto
promettere di tenere la bocca chiusa, e me lo sono trovato di fronte
comunque.
Londra è una città piccola, pensavi sul serio che
non ci saremo imbattuti l’uno
nell’altra?”
“Era proprio
quello che volevo
evitare. A te e ai ragazzi.” Ribattè gettando un
paio di bustine di the in una
tazza come se tutta quella faccenda fosse colpa loro.
“Perché?”
Suo padre si
passò una mano
trai capelli, tentando senza successo di dargli un ordine. Era un tic,
come
mordersi le unghie o aggiustarsi gli occhiali.
“Perché non voglio che le vostre
vite vengano di nuovo…”
“Cosa, sconvolte?”
Non lo lasciò
finire, abbandonando la tazza di caffè nel lavello, casomai
avesse la brillante
idea di rovesciarsela addosso: non si fidava a tenere liquido bollente
tra le
mani, non in quel momento. “Non sarebbe successo niente del
genere! A Tom non
sarebbe fregato nulla, Al neppure … ed io al massimo
l’avrei visto per un
caffè!”
Sei
sicura? Allora perché continui a tentennare?
Codarda.
Decise di accantonare quella
voce nella sua testa per l’ennesima volta. Quella voce che le
diceva che forse
suo padre aveva ragione, forse l’arrivo di Sören in
Inghilterra, nella sua Inghilterra,
la stava mandando fuori
fase più di quanto avrebbe dovuto.
Non
ho bisogno di dargli ragioni per credere che abbia
fatto bene.
“Ho
vent’anni, sono abbastanza
grande per sapere cosa voglio!”
L’uomo le
lanciò un’occhiata
che era un misto di incertezza, senso di colpa e qualcosa di
più ferreo, di più
interiore, una cocciutaggine da padre di famiglia detentore di ogni
certezza.
Morgana,
quanto odio quando fa così.
“Bene.”
Disse calmo. “Allora voglio
che tu mi assicuri che rivederlo non ti ha dato il minimo
pensiero.”
“Mi ha sorpreso,
tutto qui.”
Mentì. “Questo non significa che mi devi
proteggere come una cavolo di
ragazzina traumatizzata!”
“È quello che sei stata e Merlino solo sa se non
darei un braccio, o tutta la
mia magia, perché non succeda di nuovo.”
C’era sincero dolore nel tono di voce
e Lily sentì la rabbia cominciare a defluire come una marea.
Chiuse gli occhi e
sospirò.
“Sören
non ha colpa dei miei
incubi…”
“Ma ne è stato parte.” Lo
percepì avvicinarsi e poi sentì la sua mano,
forte e
salda, sulla spalla. Avrebbe voluto scrollarla, ma la realtà
e che ne aveva bisogno.
“Non sto dicendo che ho fatto
bene a nasconderti delle cose, tesoro.” Aggiunse.
“Ho solo cercato di evitarti
dei pensieri … Nei piani originali sarebbe dovuto rimanere
non più di trentasei
ore.”
“Adesso non è più
così?”
“Complicazioni con il caso.” Non si
sbottonò, ma non lo pretese. Quelli davvero
non erano affar suoi. “Resterà più di
quanto previsto, non era pianificato, ma…”
“Se l’avessi saputo prima sarebbe stato
diverso?”
“Non lo
so.” Ammise e questo
lo apprezzò. “Voglio solo che tu, Al e Tom viviate
sereni.” Ripetè. “Ma hai
ragione, era tuo diritto sapere.” Scosse la testa.
“Non interferirò più,
qualunque cosa tu decida di fare d’ora in poi, te lo
prometto.”
Lily lo abbracciò d’impulso, perché
sì, la rabbia non era passata, non del
tutto, ma le intenzioni, quelle le poteva capire e scusare. Non era
più una
quindicenne arrabbiata con il mondo.
Dovevo
solo ricordarmelo, credo.
La stretta di suo padre era
calda, presente e aveva l’odore del sonno e di casa. Non
aveva realizzato fino
a quel momento quanto le fosse mancata; sentì la tensione
scivolare via come
una coperta troppo larga e finalmente potè permettersi di
essere stanca.
“Mi dispiace
tesoro.” Le mormorò
trai capelli. “A volte non tutto quello che faccio risulta
essere la soluzione
perfetta.”
“Decisamente.” Convenne con una risatina che
sperò non fosse troppo acquosa.
“Non offederti, ma davvero, stavolta no.”
“Nessun offesa intesa.” Si staccò per
accarezzarle la guancia. “Colazione?”
“Merlino, sì, sto morendo di fame.”
Sorrise perché non riusciva a restar
arrabbiata con nessuno dei suoi familiari troppo a lungo, specialmente
suo
padre, con quell’aria perennemente arruffata da ragazzo
imbranato.
“Voglio una vera colazione.” Pretese
mettendosi a
tracolla il borsone, precedentemente abbandonato su una sedia nella sua
ricerca
di caffè. “Tanta, vera colazione.”
“Agli ordini!” Ridacchiò prima di
mettersi docilmente ai fornelli. Ma c’era
ancora qualcosa di indeciso nella linea delle sue spalle e Lily si
prese un
momento in più. “Lils…” Disse
infatti, e c’era esitazione, ma anche una strana
rassegnazione nel tono di voce. “Ti è arrivata una
lettera.”
“Un Gufo?”
“Te l’ho lasciata sulla scrivania, in camera
tua.” Si limitò a dire prima di
voltarsi a prendere il necessario per cucinare.
Lily non fece altre domande,
sapendo che non avrebbe ricevuto risposta dalla persona che gli stava
di fronte
– quando voleva suo padre riusciva ad esser persino meno
comunicativo di Tom; corse invece
al piano di sopra,
lanciando la borsa sul letto. Sulla scrivania faceva ben mostra di
sé una busta
pergamenata.
Sören
E.Prince,
Diagon
Alley, Paiolo
Magico, Londra.
****
Londra,
Diagon Alley.
“Odio quando
scappano!”
Sören non era
propenso, in
linea di massima, a dar retta a James Potter ma in quel momento assolutamente sì.
“Fermo!”
Urlò accanto a lui Malfoy, cercando di lanciare un
incantesimo in direzione del loro sospetto fresco di interrogatorio;
nientemeno
che il figlio del proprietario della ditta degli incantesimi Protettivi.
Erano
bastate un paio di domande incalzanti e la richiesta di vedere dove
venivano
archiviati i contro-incantesimi, perché il ragazzo, nervoso
sin da quando erano
entrati nel piccolo ufficio sopra la fabbrica, saltasse in piedi e si
gettasse
fuori dalla finestra come se avesse le ali ai piedi.
(In realtà un Incantesimo Levitante piuttosto ben riuscito.
Il tipo non doveva
esser nuovo alle fughe precipitose.)
Sören si
infilò nella tortuosa
via principale di Diagon Alley, masticando un’imprecazione a
mezza bocca,
quando si accorse che il sospetto aveva scelto quella soluzione di fuga
proprio
per la calca che premeva da ogni lato, rendendo difficoltoso il
passaggio di
quattro agenti armati.
“Levatevi dai
piedi!” Gridava
inutilmente Potter, cercando di evitare anziani e tirando energici
spintoni a
chi gli sembrava in grado di spostarsi ma non sembrava averne
l’intenzione.
“Potty, non
uccidere nessuno!
Ricordati i richiami disciplinari!”
“In culo i richiami!”
Sören
cercò di concentrarsi
sull’azione e sul regolare il respiro, dato che altro non
poteva fare che
seguire pedissequamente le mosse degli auror.
Non
conosco il terreno d’azione. Non so come muovermi.
Non aveva neppure fatto in
tempo a lanciare un Incantesimo Localizzante sul sospetto; Londra e le
sue
strade, così come la sua popolazione magica, gli era nuova e
si sentiva ancora
sbalestrato.
Non
ha importanza. Hai un compito, eseguilo.
Razionalmente sapeva cosa
fare: seguì Jordan che gli scoccò
un’occhiata stupita ma non fece rimostranze.
“Seguimi!” Disse invece. “Sbucheremo a
Notturn Alley, lì dovrà fermarsi, oggi
c’è il mercato, sarà pieno di
banchetti!”
Si limitò ad
annuire
stringendo con forza la bacchetta in pugno e riparandola dalla gente
che gli
sfrecciava accanto.
C’è
una pista. Finalmente. Qualcuno ha pagato o
minacciato il sospetto per farsi dare i contro-incantesimi per le
barriere del
Padiglione Mortuari. Qualcuno che ha trafugato tutto ciò che
era Sam Howe.
È
una pista. Finalmente.
Jordan lo guidò
con sicurezza
tra vicoletti angusti e ingombri di cianfrusaglie, quanto di maghi che
gli
ricordavano sin troppo bene la sua infanzia in Germania.
Il
tempo si è fermato in Europa.
Fu un pensiero fugace prima
che il vicolo si aprisse su una piazzetta ingombra di bancarelle e teli
stesi
per ospitare merce di molteplice provenienza, da cibo ad artefatti
magici.
Sören non si lasciò distrarre; in un lampo vide il
mantello del ragazzo sparire
dietro un banchetto traboccante libri . “Lì!”
Esclamò. Scattarono e con la coda dell’occhio vide
Potter e Malfoy sbucare da
un altro vicolo.
Non
deve Smaterializzarsi. Sta correndo troppo veloce
ed è terrorizzato, non si è ancora
smaterializzato, ma appena troverà un buco
in cui infilarsi…
Realizzò che
quella piazzetta,
per la sua confermazione, era un buco perfetto. Occultato dalla merce e
dalle
bancarelle il giovane mago aveva tutto il tempo per lanciare un
incantesimo; lo
vide tirar fuori la bacchetta, puntarsela addosso …
… e poi
l’intero banchetto di
libri gli franò addosso.
Sören si
bloccò appena in
tempo per non essere travolto e lo stesso fecero gli auror dietro di
lui.
Che
diavolo…
Dai lamenti che si udivano
provenire sotto i chili di carta il sospetto non era stato altrettanto
fortunato.
“Woah!”
Esclamò Potter
affiancandoglisi con un ghigno. “Che culo! Viva i banchetti
marci di Diagon
Alley!”
“…
Perché la fortuna bacia sempre gli idioti, vero
James?”
Sören sentì un brivido lungo la nuca: quella voce
l’avrebbe riconosciuta tra milioni
di altre dato che era fatta della stessa materia dei suoi incubi
peggiori,
quelli che gli ricordavano quanto e come avesse sbagliato a seguire quell’uomo.
No,
non è…
Non era Alberich Von
Hohenheim, perché era morto, certo. Era invece
l’unica traccia rimasta sulla
terra. Era suo cugino Thomas.
“Dursley!”
Esclamò Malfoy
sorpreso. “Sei stato tu?”
“Sembrava avere
troppo fretta
per essere in cerca di una lettura.” Replicò
questo infilando la bacchetta nel
fodero attaccato ai jeans. “È vostro?”
“Già,
sempre che tu non ce
l’abbia spappolato!” Esclamò Potter con
una smorfia che malcelava il fastidio
di non esser stato lui ad aver avuto quella pensata. Fece cenno a Bobby
e
Malfoy e i due si misero all’opera nel liberare il sospetto.
“Che ci fai qui?”
“A Notturn Alley? Sono alla ricerca di manifatti oscuri, mi
sembra ovvio.”
“Cosa?”
“Ironia, questa
sconosciuta…” Sogghignò
scuotendo la testa come se avesse di fronte quattro bambini tardi. Poi
si voltò
nella sua direzione, scoccandogli un’occhiata che non
riuscì o forse non volle
premurarsi di decifrare.
Era dura, pensò
sentendo la
bocca diventare asciutta come il deserto; rivedere Dursley era dura
perché era
rivedere suo zio, gli stessi occhi gelidi e gli stessi lineamenti
scolpiti
nella pietra. Distolse lo sguardo, non riuscendo a far altro.
Patetico…
“Vedo che avete
una nuova
aggiunta.” Osservò lentamente, chinandosi a
raccogliere un libro da terra e
spazzolandolo con cura prima di metterlo nella propria tracolla. Era
babbana,
di tela e Sören ne fu stupidamente sollevato; più
punti di differenza trovava trai
due più si sentiva in grado di respirare.
“Sì,
è un agente di
collegamento, Albie te l’avrà detto.”
Tagliò corto Potter. “Dai, levati dai
piedi, dobbiamo lavorare.”
“Se per lavorare intendi travolgere metà Diagon
Alley e vandalizzare un
mercato…”
“Ma vaffanculo!”
Non è mio zio. Non è
lui, è solo … suo
figlio. È mio cugino.
C’era un modo
corretto di
comportarsi in quei casi? Perché sembrava che Londra stesse
cospirando per
fargli incontrare le persone più scomode con cui interagire.
Lui,
Lilian… Lilian avrà ricevuto il mio Gufo?
“Dai, abbi
pietà di noi povere
teste di latta!” Sorrise Scorpius raddrizzando il sospetto
semi-incosciente e
ciondolante. “Grazie per l’aiuto,
comunque.”
Thomas spianò
l’espressione in
un’ombra di sorriso, sebbene avesse ancora con ampie tracce
di scherno a
tingerlo. “Sempre a disposizione per le forze del
Bene.” Mormorò: era il genere
di persona che non doveva evidentemente alzare la voce per essere
ascoltato.
“Dannazione, riesci ad essere un rompipalle anche quando sei
d’aiuto… Levati
dai piedi o ti portiamo in ufficio!” Esclamò
Potter con un grugnito che sapeva
di esasperazione ma anche di uno strano, contorto rispetto.
“Agli
ordini.” Replicò
placido, prima di rivolgergli un’altra occhiata.
Sören avrebbe davvero voluto
trovare qualcosa di utile o sensato da dire, ma si limitò a
ricambiare lo
sguardo e ad un cenno della testa. Non che l’altro sembrasse
aver voglia di
rimanere per conversare dato che non impiegò che pochi
attimi per sparire
nell’oscurità del vicolo.
“Idiota…
tutta questa
segretezza e poi sarà venuto qui per ficcare il naso in
qualche libro muffito.”
Borbottò Potter scuotendo la testa. “Si diverte
a fare il coglione inquietante!”
“Il solito, no?” Replicò Malfoy
stringendosi nelle spalle con un sorriso rassegnato.
Era strano, considerò, ma provava invidia per la
facilità con cui i due si
rapportavano all’altro, apparentemente al lato opposto del
loro carattere.
Lo
conosco da una vita, è normale. Fa parte della loro
cerchia di amici, della loro famiglia e per questo non lo giudicano.
I rapporti umani erano
complicati, pensò con un sospiro interiore: ne sarebbe mai
venuto a capo?
“Portiamo il
nostro amico in
centrale e gli diamo un paio di colpi di Innerva?”
Suggerì Jordan rompendo il silenzio creatosi.
“Buona
idea.” Convenne Potter.
“Ci deve ancora delle risposte.”
****
America,
Boston.
Ufficio SAGITTA. Mattina.
“… e
per questo motivo
l’Agente Prince prolungherà il suo soggiorno in
Inghilterra.”
Eleanor sapeva di aver dato una notizia piuttosto sconcertante e per
questo
aspettò con calma che sua figlia e l’Agente
Estevez ne assimilassero tutte le
implicazioni.
“Diavolo!”
Esclamò il
portoricano. “Certo mi lascia un bel po’ di
scartoffie da sistemare e che sia
dannato se non gliele spedirò tutte!”
Ghignò. “Che non pensi di potersi
rifugiare in Europa!” Detta la battuta tornò
subito serio e le scoccò
un’occhiata indagatrice. “Ma è solo
perché le indagini si sono complicate che
non torna, vero?”
“Quali altri
motivi potrebbero
esserci, Agente Estevez?” Replicò pacata,
studiando nel frattempo il viso serio
e contratto della figlia. Era una sua sottoposta, ma anche la sua
principale
ragione di vita e conosceva le sue reazioni a fuoco lento a menadito.
“Non so, forse il
fatto che
gli inglesi vorrebbero mettergli il più possibile i fermi
alla scopa?” Replicò
quest’ultima salace. “Prince non
dev’essere nella lista delle persone preferite
di molti di loro, Harry Potter in testa. Non mi stupirei se stessero
cercando
di sabotarci.”
“È questo genere di pregiudizio che non rende
facili i rapporti oltre-oceano,
Agente Gillespie.” Doveva mantenere il tono di comando
così come la giusta distanza
emotiva dalla figlia. Non era semplice. “Il Capo Potter
è un uomo corretto, e
così lo sono i suoi auror. È opportuno che
l’agente Prince rimanga perché le
indagini hanno preso una piega complessa. È suo dovere
prestare le proprie
competenze per risolvere il caso, specie considerando che la
risoluzione dello
stesso porterà a riavere indietro le ceneri e gli effetti
personali di Samuel
Howe.”
Sua figlia le
scoccò
un’occhiata talmente scettica che fu costretta ad ignorarla
per non doverla
riprendere di fronte ad Estevez.
“Agente Estevez,
al momento
dovrà fare a meno del suo compagno … Sergente
Gillespie, voglio che riorganizzi
i prossimi turni calcolando l’assenza dell’agente
Prince. Per qualsiasi
ulteriore cambiamento della situazione sarete informati.”
Fece una pausa,
sorridendo appena all’aria sconsolata del portoricano.
“È tutto, potete
andare.”
Chi
avrebbe mai pensato che Estevez avrebbe sentito la
mancanza del proprio partner?
I due si diressero verso la
porta dopo aver ricevuto la consegna, ma sua figlia
all’ultimo momento si
attardò, facendo cenno imperioso all’altro agente
di scendere senza di lei.
C’era
da aspettarselo.
“C’è
qualcos’altro che vuoi
dirmi Ama?”
La ragazza serrò
le labbra.
Era chiaramente combattuta tra il lasciar perdere e parlare. Alla fine
si
decise per la seconda opzione, perché chiuse la porta dietro
di sé e vi si
appoggiò per buona misura, quasi volesse rendere, con quel
gesto, la
conversazione privata.
“Cos’è
successo? Perché Prince
non vuole tornare?” Chiese. “Quando è
partito sembrava avviarsi verso il
patibolo… Cosa gli ha fatto cambiare idea?”
Nora esitò; aveva notato come sua figlia, dopo un lungo anno
di lavoro gomito a
gomito, avesse cominciato a considerare Sören sotto
un’altra luce.
Non
è più il complice dell’assassino di
Jeremiah.
Non sapeva fino a che punto
Ama avesse preso a cuore il tedesco, ma non aveva nessuna intenzione di
scoprirlo:
come madre e soprattutto, come Capitano, era quasi costretta a chiudere
un
occhio.
“Si tratta di
quella ragazza,
vero? Di Lily Potter.” Ama sapeva la storia di Sören
ed era veloce nei
collegamenti, quindi Nora non si stupì della sua
perspicacia. “Pensavo gli
fosse stato proibito di contattarla.”
“Sono successe
alcune cose per
cui è stato inevitabile il contrario.”
“C’entra
con il caso?” Lanciò
un’occhiata al fascicolo che le era stato dato.
“È quello che troverò scritto
qui? Che il caso di cui si sta occupando uno dei miei agenti
è appena diventato
personale?” Non vedendola
negare le
scoccò un’occhiata incredula. “Come puoi
lasciarglielo fare?” Sbottò.
“Ama, è
diventato personale
non appena ha messo piede in Inghilterra. Avremo dovuto fermarlo prima, ma sai che non era possibile.
Dobbiamo solo sperare che sappia prendere le decisioni
giuste.”
“Sperare? I casi non si
risolvono con
la speranza!” Fece una smorfia. “Forse qualcuno
potrebbe…”
“Nessun’altro andrà in
Inghilterra.” La fermò.
“L’ufficio non può permettersi
altre defezioni. So che sei preoccupata per lui … lo siamo
tutti.” Sorrise
dell’aria imbarazzata ma colta sul fatto della figlia.
“Ma penso che questo sia
il caso per Prince, quello che
dimostrerà al Dipartimento, a noi e soprattutto a lui che è meritevole di
vestire l’uniforme.”
“È una scommessa quindi.”
“No, è
dargli fiducia.”
La ragazza rilasciò un lungo sospiro, prima di aprire la
porta. “Noi possiamo
anche dargliela, ma lo faranno gli inglesi?”
“Possiamo solo
sperarlo.”
La figlia a questo non
rispose, limitandosi ad uscire e chiudersi la porta dietro con
veemenza. Nora inspirò:
si sentiva a disagio perché sapeva di aver contribuito al
formarsi del legame
tra Prince e la figlia di Harry; era stata la sua fame di risposte
sulla morte
di Jeremiah a dare la possibilità ai due di riallacciare i
rapporti. Era stata
lei, con un colpo mirato delle dita, ad innescare una reazione a catena.
Non era stata una richiesta
partita dal giovane tedesco, tutt’altro. Quando
l’aveva trovato a Nurmengard
difficilmente sarebbe stata capace di esprimere un desiderio simile; ne
ricordava con rabbia il corpo esanime ridotto ad un fagotto di ossa
squassate
dalla febbre, incapace persino di rispondere al proprio nome.
Chiuse gli occhi, sentendo
un
nodo allo stomaco.
È
stato quello il momento in cui ho deciso che Sören
Prince sarebbe stato un mio affare.
Per questo, persino a cinque
anni di distanza, non riusciva a scacciare l’inquietudine di
saperlo dove non
aveva piena capacità di intervento.
Anche
se si trova proprio nel paese che mi ha permesso
di salvarlo. In molti sensi.
Il Ministero Inglese finita
la
guerra era stato il principale promotore della nuova legislazione
internazionale sui prigionieri: era quel pugno di leggi che le avevano
permesso
di pretendere la scarcerazione di
Sören.
Un
prigioniero deve essere detenuto, non ucciso o
spinto al suicidio.
Occhieggiò il
rapporto del
ragazzo, le linee pulite della sua scrittura e la fermezza con cui
vergava la
sua firma. Quando l’aveva visto la seconda volta, in una
stanza pulita e areosa
dell’Ospedale Magico Generale di Berlino, c’era
voluto tutto il suo ottimismo
per credere che sarebbe potuto tornare ad essere una persona.
“Hai
poi scritto a Lily Potter?”
Aveva lasciato andare quel nome quasi senza pensarci. Era stato un
tentativo
dettato dall’esasperazione di averlo interrogato per quasi
una settimana senza
riuscire a cavargli di bocca una parola.
La
reazione era stata immediata; Sören Von Hohenheim
aveva staccato gli occhi dalla finestra schizzata di pioggia,
guardandola come
se la vedesse per la prima volta. E forse era così: per
giorni aveva parlato ad
un guscio vuoto. Gli Psicomaghi e i Guaritori le avevano detto che
chiudersi
nella propria testa per allontanare il dolore fisico fosse una reazione
naturale
alle privazioni patite, ma lei aveva solo pensato, cinicamente, che non
sarebbe
stata una spiegazione sufficiente per il suo Ministero.
Un informatore deve parlare.
E
se non parla …
“Hai mai provato
a scriverle?” Aveva ripetuto cercando di non lasciar
trasparire sorpresa o
sollievo. Sören aveva schiuso le labbra e poi aveva
semplicemente scosso la
testa.
“Non
ti hanno dato carta e piuma, immagino.” Aveva
supposto prima di fare una pausa per valutarle le reazioni; gli occhi
del
ragazzo non avevano dato segno di perdere lucidità.
Continuava a fissarla come
se fosse l’esatto centro del mondo.
Anche se non è me
che guarda.
Era
ad una possibilità che guardava e Nora era disposta
a concedergliela, se questo significava avere finalmente le sue
risposte e che
Morgana la perdonasse, la figlia di Potter era forse la chiave di
volta. “Vuoi
ancora metterti in contatto con lei?”
Le
aveva rivolto uno sguardo indecifrabile prima di
aprire bocca e schiarirsi la voce. Quando aveva parlato era stato come
sentire
carta vetrata sul legno. Un suono che le aveva spezzato il cuore.
Da quanto questo ragazzo non
parla con qualcuno?
“Sì.”
Aveva mormorato. “Può farlo?”
“Posso
tentare.” Non si era sbilanciata: prima di dare
assicurazioni doveva parlare con Harry, quello era insindacabile.
“Risponderai
alle mie domande?”
Un semplice cenno affermativo della testa e l’accordo era
stato sancito.
Con il senno di poi Nora
sperava davvero di aver fatto la cosa giusta e di non essersi lasciata
trasportare dalle emozioni; al tempo aveva creduto che dare un
po’ di conforto
a quel povero, rovinato ragazzo non avrebbe arrecato danno a nessuno,
ed Harry
stesso alla fine si era convinto, forse mosso a compassione
anch’esso.
Anche
se immagino non pensasse che sua figlia
continuasse a scrivere a Sören.
Chiuse il fascicolo verde
sulla sua scrivania e girò la sedia per osservare il
panorama di fattura magica
fuori dalla sua finestra; il Charles scorreva placido, perfetta
antitesi del
suo stato d’animo.
La sua paura più
grande era
che sua figlia avesse ragione e che le priorità
dell’agente Prince, dopo aver
visto Lily Potter, si fossero settate in modo completamente diverso
rispetto a
prima.
Avrò
fatto bene?
****
Londra,
Paiolo Magico.
Ora di pranzo.
Cercare di tirar fuori dalle
corde del proprio violino una Ronde des
Lutins² dallo staccato perfetto era un ottimo modo
per farsi passare il
nervoso, perché Faust solo sapeva quanti diavoli si sentisse
in corpo da quella
mattina.
Milo sentì una
goccia di
sudore scivolargli lungo la guancia e interruppe solo per asciugarsela
sulla
spalla. Le dita scivolavano veloci ma continuava a mancare la
precisione esatta
per fermare le corde a dovere.
Maghi
del cazzo. Maghi. Purosangue. Del. Cazzo.
Non riusciva a credere che
una
sontuosa scopata potesse esser finita in modo così schifoso.
Michel.
Che nome del cazzo per un inglese.
Aveva avuto tra le mani un
uomo, uno vero e non una checca gemente che indossava un paio di
pantaloni per
puro caso. Aveva avuto tra le dita pelle scura, bollente e due occhi
che gli avevano
tolto il respiro più di un paio di volte.
Peccato
che tutta ‘sta roba sia attaccata ad un
cervello da stronzo.
Aveva passato tutta la notte
a
baciare, leccare e succhiare ogni centimetro di quella pelle color
caffellatte
e Merlino, era stato grandioso. Stringendosi contro quel perfetto
sconosciuto –
anche se gli sembrava di averlo visto a Diagon Alley - era stato come
eseguire
un pezzo per la prima volta ed azzeccarlo tutto;
intese del genere erano merce rara.
Per questo quella mattina,
svegliandosi con la pelle premuta contro quella dell’altro
aveva pensato.
Ancora.
Per questo gli aveva
lasciato
il suo numero scritto sullo specchio con la schiuma da barba. E
com’era stato
ripagato? Con un patema d’animo per il suo piccolo problema
di non-magia.
Sembrava
volesse gettarsi nella lava solo perchè aveva
ancora il mio odore addosso.
Vaffanculo
coglione.
Avrebbe dovuto aspettarselo,
rimorchiando nel Vecchio Continente; se in America il fatto di non
avere la
magia tra le lenzuola era ininfluente ai fini del rapporto –
e lui l’aveva
sempre fatto influire zero – in Europa …
…
in Europa un mago non se lo può far venire duro per
uno sporco Magonò.
L’archetto
scivolò male sulle
corde lanciando uno stridio acuto che lo fece brontolare infastidito.
Inspirò,
abbassando le braccia indolenzite da ore e ore di esercizi.
…
Ti ha umiliato. La sua espressione, il modo in cui
s’è smontato. Ti ha umiliato, eh?
Premette il mento sul
fazzoletto di lino che separava la pelle dal legno laccato:
c’era voluta tutta
la sua buona volontà per impedirgli di spaccare la faccia
del tipo.
T’ho
fatto passare una notte da urla ma
probabilmente sarai ancora sotto la doccia a pulirti.
Vaffanculo.
Avrebbe voluto fargliela
pagare, ma a che pro? Uno come quello doveva avere il culo parato da
centinaia
di Galeoni e conoscenze opportune. L’unico modo per
vendicarsi sarebbe stato
contattare un paio di gente fidata, svaligiargli casa e pisciargli sui
mobili.
Ma
non faccio più quella roba.
Chiuse gli occhi e
attaccò
l’ultima parte del brano con furia, infischiandosene dei
muscoli doloranti e
del sudore che gli colava sulla faccia.
Fu fermato da un lieve
bussare
alla porta. Masticando un’imprecazione a mezza bocca
andò ad aprire; si
trattava della piccola servetta Magonò della locanda, che a
quanto gli era
stato detto era un po’ una tuttofare che non sapeva in
realtà far granché.
L’avranno
presa per pietà. Che anime nobili, questi
maghetti britannici.
“Ciao
scricciolo.” Disse,
cercando di stamparsi un sorriso addosso. Dall’espressione
intimidita della
piccola non doveva essergli riuscito granché. “Che
ti serve?”
“C’è una visita per Sören
Prince.” Disse occhieggiando alle sue spalle e
puntellandosi sui piedi. “C’è il tuo
…” Esitò, senza sapere come
qualificarlo.
“Il mio datore di
lavoro?”
Replicò con un sospiro. “No, non
c’è. Chi lo cerca?”
La ragazzina si strinse
nelle
spalle, arricciando una ciocca di capelli tra le dita. Sul serio,
nessuno le intimava
di farsi una doccia almeno una
volta
a settimana?
Pare
che i Magonò da queste parti abbiano problemi con
l’acqua corrente.
Puoi
biasimare il Purosangue adesso?
Ignorò quella
vocetta
fastidiosa nella sua testa perché . “Non ti ha
lasciato detto il nome?”
“No.”
“Okay, descrivimelo.” Non aveva la minima
intenzione di fare da Pr al
principino, non in quello stato
mentale e soprattutto non se il visitatore era un pezzo grosso di
qualche
Ministero.
Ho
fatto il pieno con i maghi, oggi.
“È una
ragazza.”
…
Ah?
“Niente nome,
sicura?”
“Mica serve, la
conoscono
tutti.” Sgranò gli occhi incredula che lui non
potesse saperne nulla “È la
figlia di Harry Potter!”
Milo battè le
palpebre; quella era una sorpresa
che rivedeva i
suoi piani. “Okay … sai che ti dico? Scendo
io.” Si passò una mano trai capelli
per dargli una piega sommaria e la seguì. Non gli ci volle
molto per notare una
testa rossa in mezzo alla folla di avventori: Lily Potter era seduta al
bancone
con una tazza di caffè freddo tra le mani, vestita e
truccata con una cura che
meritava perlomeno un applauso, dato l’orrore dilagante della
moda magica europea.
Si avvicinò.
“Ehi.” Esordì.
“Cerchi Sören?”
La ragazza si
voltò senza
mostrare particolare sorpresa. Strano. “Sei
…” Lo indicò senza troppe
cerimonie. “Milo, mi ricordo bene?”
“Memoria di
ferro.” Abbozzò un
leggero inchino, il più ironico che gli riuscì.
“Lily Luna … Ti trovo bene
rispetto all’ultima volta che ci siamo visti.”
Okay,
pessima battuta. L’ultima volta era dentro una
cella, legata e terrorizzata a morte.
“Già,
anche tu.” Fu la replica
giustamente asciutta, poi guardò
alle
sue spalle all’evidente ricerca di qualcuno che non era lui.
“Sören …”
“ … non è qui, sta lavorando al
Ministero.” Terminò per lei. “Vuoi che
gli
faccia sapere che sei qui? Forse può sganciarsi,
è ora di pranzo.”
E
fargli prendere una sincope quando ti troverà ad aspettarlo?
Oh, sarebbe fantastico.
“No, non fa
niente, ero solo
venuta …” Esitò di nuovo e sembrava
agitata sebbene tentasse di dissimularlo
con un sorriso che doveva esserle valso più di un
complimento. Persino chi,
come lui, era ben poco interessato all’universo femminile
riusciva a trovarlo attraente.
Il
genere di sorriso che vorresti vedere addosso alla
tua ragazza.
“Solo venuta a
fare cosa?” La
incalzò divertito. “A farti dire che non
c’è?”
Gli venne lanciata un’improvvisa occhiata valutativa, e Milo
si sentì piuttosto
analizzato. “Una specie.” Replicò
frugando nella borsa. “Puoi dargli questa?” E
gli porse una lettera.
“Sapete, sarebbe
tutto molto
più semplice se realizzaste che adesso potete parlarvi,
visto che siete nella stessa città.”
Sospirò prendendola
e ficcandosela in tasca.
L’altra
inarcò le sopracciglia
sorpresa, prima di ridacchiare. “Hai ragione.”
Ammise. “Ma temo che ci voglia
quello che chiamerei un periodo di assestamento.”
“Ed è finito?”
Gli venne rivolto un sorriso
che addosso ad un uomo gli sarebbe valso due drink offerti e una porta
aperta
in direzione del suo letto. Il Principino sapeva in che guaio si stava
andando
a ficcare?
“Sören mi
aveva detto che eri
impiccione.”
“Ti ha anche detto che sono la sua balia, Zenzero?”
Ghignò di rimando e
registrò come il nomignolo fosse stato apprezzato: sembrava
il genere di
ragazza che amava i vezzeggiativi. “Farmi gli affari suoi
è il motivo per cui
mi paga.” Battè la mano sulla tasca dei jeans.
“Sarà recapitata, non
preoccuparti.”
“Bene.”
Prese la propria borsa
e lasciò scivolare qualche moneta vicino alla tazza di
caffè, intonsa: saggia
decisione a giudicare dallo stato della suddetta. “Stavolta
cerca di non
dimenticartela per strada, okay?”
Milo ci mise più di qualche attimo a registrare il
sottotesto. “Sören ti ha
detto che mi sono dimenticato di spedire il suo Gufo?” Chiese
con l’aria che
sperava fosse più disinteressata del mondo.
“Andiamo, non te lo sei dimenticato.”
Replicò quietamente e Milo si trovò nella
scomoda posizione di guardare due occhi enormi, verdi e consapevoli.
Ah,
già. Legimante Naturale. Cazzo.
Lily ridacchiò.
“Guarda che
non mi serve essere una LeNa per capirlo, l’hai detto tu che
ti occupi dei suoi
affari.” Inclinò la testa da un lato, simile ad un
cagnetto adorabile, ma
maledettamente pericoloso; sapeva che non era davvero
capace di leggergli i pensieri, più le emozioni, ma
rimaneva comunque disagiante rimanere sotto quello sguardo chiaro.
“Non so di cosa tu
stia
parlando.” Replicò scrollando le spalle.
Sì, decisamente Sören si stava
ficcando in un ginepraio. “Ma se così fosse
… forse finirete per ringraziarmi.”
“Magari.” Non si sbilanciò.
“Sicura di non
voler restare?”
“Sono in pausa
pranzo, devo
tornare in Accademia.” Scosse la testa. “Ci
vediamo.” E com’era arrivata se ne
andò, portandosi via una ventata di profumo leggero.
Gigli.
Davvero?
Oh,
principino … quanto sei
nei guai.
****
Ministero
della Magia, Ufficio Auror.
Ora di pranzo.
Harry non fu sorpreso quando
vide Sören Prince chino sulla scrivania di Scorpius e di suo
figlio,
completamente assorto nel redarre un rapporto e completamente da solo;
a
giudicare dall’ufficio semi-deserto doveva esser ora di
pranzo e né lui né il
tedesco dovevano essersene accorti.
Io
perché ho passato la mattinata a rispondere a Gufi
di giornalisti, ministeriali e generici idioti che mi chiedevano di
rilasciare
una dichiarazione su quanto successo al San Mungo …
Ma lui?
Si
avvicinò in silenzio, ma dalla
postura improvvisamente rigida dell’altro, capì
che la sua presenza era stata registrata;
Prince infatti si voltò, lanciandogli un’occhiata
sorpresa prima di scattare in
piedi in posizione di attenti.
“Riposo.”
Disse con un cenno
imbarazzato della mano: sarebbero potuti passare decenni e non si
sarebbe mai abituato a quegli
ossequi; gli
sembrava assurdo gli fossero dovuti. “Resta pure seduto, non
volevo
disturbarti.”
Alla luce di quanto successo in quelle ultime quarantotto ore non
sapeva come
comportarsi; sapeva di dover almeno tentare
di istaurare un rapporto con il giovane agente di collegamento.
Ma
francamente? Non so da dove iniziare…
“Ho quasi finito,
Signore. Il
rapporto per…”
“Il tuo Ministero immagino.” Occhieggiò
il fascicolo verde senza vero
interesse. “Ci sono novità?”
“Abbiamo interrogato Mason Wolpert, figlio del proprietario
della Wolpert
Incantesimi.”
“Vendono Incantesimi di Antifurto?”
Ricordò sommariamente.
Annuì, chiudendo
il fascicolo
e passandoci le dita sopra per evitare angoli arricciati. “Il
ladro lo ha
pagato per fornirgli i contro-incantesimi. È così
che è penetrato nel
Padiglione Mortuari ed ha trafugato gli effetti personali di Sam
Howe.” Vedendo
che lo ascoltava, continuò. “Wolpert figlio
è un forte scommettitore, gare
abusive di scope…”
“E fammi indovinare, non del genere fortunato.”
“Esatto. Grossi
debiti, di
quelli che contrai dalle persone sbagliate.”
“Questo compratore … Ha un nome?”
“Luther Blissett¹.” Scosse la testa con un
sospiro, ma quando vide che da parte
sua non c’era il minimo segno di aver capito assunse
un’aria imbarazzata. “Non è
un nome vero. Nel Mondo Babbano è utilizzato come pseudonimo
di Signor Nessuno.”
“Quindi il ladro
ha origini
Babbane?”
“Non è una domanda a cui posso rispondere a questo
punto delle indagini.” Non
si sbilanciò. “Abbiamo chiamato un MagiSketchista,
Mason Wolpert si è detto
disposto a darci un identikit del ladro… Se tutto va bene
dovremo avere un
volto per domani mattina.”
“Bene.”
Convenne, poi memore
del discorso con Nora e soprattutto con sua figlia, sospirò.
“Hai mangiato?”
Il tedesco parve cadere dalle nuvole, quasi si fosse scordato di
trovarsi in
una fascia oraria in cui avrebbe dovuto percepire i morsi della fame.
Scosse la
testa. “Gli altri sono andati a mensa, io dovevo finire il
rapporto.”
“In questo caso
credo che abbiamo
entrambi bisogno di una pausa.” Proclamò con una
naturalezza che era ben lungi
dal provare. “Non ho tempo di scendere in mensa, e temo
neppure tu … Credo però
che nell’angolo caffè ci sia qualcosa da mettere
sotto i denti. Mi fai
compagnia?”
Gli venne scocchiata un’occhiata incredula e in buona dose
scettica e Harry non
potè biasimarlo.
Non
abbiamo fatto altro che trattarlo come spazzatura
indesiderata da quando è qui. Comprensibile pensi ad un tiro
mancino…
“Sissignore.”
Gli rispose
però, anche se con la stessa verve con cui avrebbe
probabilmente acconsentito a
lucidare il pavimento dell’ufficio con il solo ausilio di uno
spazzolino da
denti.
“Non è
un ordine Sören.” Tentò
di usare il suo nome di battesimo con quanta più
affabilità gli riuscì; gli
ricordava sin troppo un se stesso adolescente e poco convinto della
buona fede
della maggior parte degli adulti. Era straniante.
“No?” Ed
ecco il sarcasmo; Ron
aveva avuto ragione, lo faceva assomigliare a Piton in maniera
allarmante. Lo
stesso inarcarsi delle sopracciglia, lo stesso lieve arricciarsi
scettico delle
labbra.
Il
sangue non è acqua.
“No.”
Confermò tranquillo. “Non
mi offenderò se rimarrai a finire il rapporto. Credo
però che si lavori meglio
a stomaco pieno.”
Il tedesco gli
lanciò
un’occhiata valutativa, poi senza un’altra parola
lo seguì nel piccolo cucinino
attrezzato. Evidentemente già istruito da qualcuno
– forse Malfoy – mise su del
the e mentre Harry rovistava nella dispensa alla ricerca di qualcosa
che non
fosse lì dalla fondanzione dell’ufficio,
parlò.
“Ho scritto una
lettera a
Lily.”
Harry non rispose,
preferendo
estrarre dalla dispensa un pacchetto di gallette che sembrava non aver
sorpassato il mese di permanenza. Quando si voltò
riuscì anche a sorridergli.
“Non vi ho mai impedito di scrivervi, mi sembra.”
“Le ho scritto per chiederle di vederci.”
Harry si trovò
nella scomoda
posizione di non sapere se arrabbiarsi o ammirarlo, perché
era palese che il
ragazzo non fosse più disposto a sottostare alle condizioni
poste dopo la sua
scarcerazione.
“Se hai
già deciso, perché me
lo dici?” Si informò scartando il pacco di
gallette e verificandone lo stato:
non sembravano muffite, il che non si poteva dire del resto del
contenuto della
dispensa.
Dovrei
fare quattro chiacchiere con i ragazzi … Ci sono
forme di vita aliene qua dentro.
“Perché
lei è suo padre.” Fu
la risposta concisa.
Doveva dare un merito a quel
ragazzo: non diceva mai una parola in più o una in meno di
quanto fosse
necessario. Decise quindi di giocare a carte scoperte.
“Perché vuoi vederla?”
Prince spense il fuoco
passandovi sopra la mano e fece poi Levitare il bollitore per riempere
le due
tazze di fronte a loro. Harry finse di non notare come il liquido
tracimò.
È
nervoso.
“Sono a Londra per
una
sfortunata serie di eventi … e questa forse sarà
la mia unica possibilità di
parlarle. Quando me ne andrò, alla chiusura del caso
… Dubito che potrò
tornare.”
“Nessuno te lo vieta.”
“Ma nessuno lo
desidera.” Fece
un mezzo sorriso, ben lontano dall’allegria. “Lily
tuttavia merita delle
spiegazioni e delle scuse appropriate. Voglio poter avere
l’occasione di
fargliele di persona.”
Harry bevve un sorso di the
e
si tolse gli occhiali per massaggiarsi le palpebre. “Lo
capisco.” Ammise e poi
prendendo il coraggio a quattro mani, aggiunse. “Anche se la
persona a cui tutti
dobbiamo delle scuse sei tu, Sören.”
Il silenzio che ne conseguì avrebbe potuto tagliarsi con un
coltello, ma Harry non
si fece scoraggiare. “Sei venuto qui per fare il tuo lavoro,
e non abbiamo
fatto altro che metterti in difficoltà. Ti prego di
accettare le mie scuse.”
Ingoiare l’orgoglio e il senso di allarme che gli ispirava
era dura, tuttavia
doveva; lo doveva a Nora, che era forse un giudice migliore di quanto
lo fosse
lui, lo doveva a sua figlia, che per prima si era fidata nonostante
fosse stata
la persona più ferita, lo doveva a Piton, in uno strano
contorto modo che non
era certo di voler sviscerare e infine, lo doveva al giovane di fronte
a lui
per la dignità con cui aveva affrontato quelle lunghe
giornate di indagini.
È
inutile nasconderlo. Abbiamo cercato di vendicarci di
Von Hohenheim tramite lui.
Il ragazzo non diede cenno
di
particolari emozioni e Harry indovinò che si era Occluso;
stavolta non per
diffidenza, ma per mantenere il controllo. “Accetto le sue
scuse.” Asserì un
po’ bruscamente. “Se lei accetta le mie.”
Lo vide inspirare ed espirare
velocemente. “Per quello che ho fatto alla sua famiglia e per
il dolore che le
ho causato.”
“Scuse accettate.” Lo imitò prima di
lasciare la presa e tornare al suo the.
“Ti chiedo solo una cosa e lo faccio come padre.”
Nora l’avrebbe preso a calci,
ma in fondo il più grande merito dopo aver sconfitto
Voldemort era aver
contribuito a mettere al mondo quei tre splendidi individui che aveva
per
figli. “Non ferire Lily. Mai più.”
Qualcosa nell’espressione controllata
dell’altro si incrinò e Harry ne fu sia sollevato
che impensierito. “Ha già
sofferto abbastanza, non credi?”
“Sissignore.” Il modo in cui esitò
pareva nascondere centinaia di parole non
dette, ma quello che gli uscì fuori fu stringato come al
solito. “Preferirei
morire.”
“Sono certo che non arriveremo a questo punto.”
Cercò di alleggerire la
tensione, dandogli una lieve pacca sulla spalla. “Avanti,
metti qualcosa sotto
i denti. Il tuo Capitano non mi perdonerebbe mai se ti lasciassi
affamare.”
Sören gli rivolse
un cenno con
la testa, accettando le gallette che gli porgeva. Erano ben lontani
dall’aver
fiducia l’uno nell’altro ma Harry sentì
che perlomeno avevano messo un punto di
inizio.
Ora si poteva costruire.
****
Diagon
Alley, Paiolo Magico.
Ora
di cena.
“Da quanto provi
quello
staccato?”
“Da tutto il
giorno. E il
fatto che tu lo sappia riconoscere mi riempe il cuore di genuina
gioia!”
“Hai passato cinque anni a pretendere che capissi la
differenza tra quello e il
legato. Ho imparato.”
Milo sorrise, accennando ad un motivetto disimpegnato per accordare il
violino
mentre Sören abbandonava il mantello
sull’attaccappanni ed entrava
ufficialmente in camera.
“C’è
posta per me?” Chiese
sbottonandosi la giacca dell’uniforme e rimanendo in maniche
di camicia: doveva
cominciare anche lui a malsopportare la calura appiccicosa che aveva
investito
la città.
“L’ho messa sulla scrivania.” Rispose
cercando di frenare il ghigno selvaggio
che si sentiva affiorare sulle labbra.
È
un po’ patetico che sia così su di giri per la
vita
sentimentale di Mister Emotività Danneggiata. Ma ehi, sempre
meglio che
piangere sulla mia vita sessuale.
L’improvviso
silenzio da Troll
svenuto rischiò quasi di farlo voltare e rovinare
così la recita.
“…
Questa quand’è arrivata?” Chiese
lentamente l’altro, quasi si stesse riprendendo da una grossa
botta in testa.
Aveva una sigaretta tra le labbra ma non l’aveva ancora
accesa.
E
dubito che si accorgerà di averla lì per le
prossime
… Diciamo tre ore? Il tempo di riprendersi.
“A pranzo, assieme
a chi l’ha
scritta.”
“Lilian è stata qui?”
Lo poteva quasi
sentire andare in apnea. O iperventilare. Si voltò e lo vide
impalato di fronte
al tavolo e fissante la busta come se fosse stata Maledetta.
“È
quello che ho detto.”
Convenne roteando l’archetto tra le dita. “Me la
ricordavo un bel tipetto, ma è
migliorata …” Abbozzò
un’appropriata introduzione del Clair
De Lune e Sören lo fulminò con lo
sguardo. “È proprio una
rossa di testa e di pensiero.” Non pago,
fischiettò il motivetto, accennando le
parole della canzone. “Au clair de
la
lune, mon ami Pierrot prête-moi ta plume pour
écrire un mot… Che
c’è, il
mio francese è arrugginito?” Lo
canzonò.
“Piantala.” Si
umettò le labbra. “Che
c’è scritto?”
“Dimmelo tu, la
lettera è
indirizzata a te!”
“So che l’hai
aperta.” Ritorse con
una smorfia. “Hai fatto un lavoro maldestro nel reincollare
la busta.”
“Piantala di fare il cacasotto e leggila.”
Gli venne rivolta
l’ennesima
occhiata linciante, ma poi Sören obbedì. Lo vide
scorrere febbrile le righe per
poi aprirsi in quella che poteva essere classificata solo come
un’espressione da
vittoria alla Coppa del Mondo di Quidditch; non era un tipo da
sorridere o fare
grandi esternazioni, ma quando era davvero felice qualcosa lo
illuminava
dall’interno, rendendo i lineamenti austeri … beh,
felici.
Okay,
fa ufficialmente tenerezza.
“Anche lei vuole
vedermi.”
Mormorò. “Stasera, alle dieci.”
“Ottimo!” Replicò cercando di non
mettersi a ridere perché gli sembrava di
avere a che fare con due bambini pre-scolari e non con un mago
letalmente addestrato
e una tipa che sembrava respirare malizia assieme
all’ossigeno.
Sören
annuì distratto,
riponendo la lettera nello scrittoio e continuando a fissarlo assorto
nei
propri pensieri. Dovevano sfrecciare a velocità della luce,
ci avrebbe
scommesso una borsa di galeoni.
Prima che diventasse
materiale
per ragnatele posò il violino e gli si avvicinò.
“Beh?” Inquisì. “È
quello che
volevi!” Gli diede una pacca sulla spalla, perché
anche se tra di loro era
richiesto contatto minimo, quello era uno dei casi in cui era doveroso.
“Non
fartela sotto!”
“Va’ al diavolo.” Fu l’ovvia
replica. Un’altra densa pausa. “Credo di dover
cominciare a prepararmi.”
Sì, sei ore prima.
“Verissimo.”
Convenne comunque.
“Che ne dici di iniziare dal darti una sistemata ai capelli?
Sono orrendi.”
****
Note:
Pare che la colonna sonora ufficiosa di ‘sta storia stia
diventando Florence +
The Machine.
Ecco
la
canzone.
1. Luther
Blissett: qui
per maggiori info.
2. Ronde
des Lutins: scherzo fantastico per violino di Antonio
Bazzini, compositore e musicista italiano, una delizia che ho scoperto
cercando
di capire esattamente come funziona un violino e soprattutto, lo
staccato. (Che
è una figata) Qui
l’esecuzione che mi ha ispirato quella di Milo.
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