I personaggi sono proprietà di Furudate Haruichi.
I konpa
sono quella sorta di “appuntamenti di gruppo” utilizzati spesso nei manga, dove
un numero uguale di ragazzi e ragazze si incontra per vedere se fra loro
possono formarsi delle coppie (wikipedia) – detto alla
mia maniera: appuntamenti random per rimorchiare random XD
La vera scommessa è quanto OOC io abbia racchiuso in meno di 800 parole.
*piange*
«Dai, Tetsuro, me lo devi!» esclama il compagno di
corso per quella che, se non va errato, è la terza volta. Vita universitaria
sembra essere sinonimo di “konpa”, quegli incontri di
gruppo che vanno tanto di moda e che, per carità, sono anche divertenti – poche
cose sono state esilaranti come il primo konpa di
Takeshita, a Kuroo fa ancora male la pancia se ci ripensa.
«Verrai a parlarmi di debiti quando avrai estinto i tuoi – due quaderni di
appunti e un appuntamento con Yukachan.» insinua,
bastardo, una gomitata leggera contro il braccio dell’altro – ah, il
cameratismo maschile.
Il povero Takeshita borbotta qualcosa sul pessimo carattere del moro, sul suo
essere meschino, e il povero compare che assiste sempre a queste scene tra i
due gli dà una pacca sulla spalla: «Arrenditi Takeshita, Tetsuro deve tornare a
casa dalla mogliettina.» dice, un po’ per presa in giro bonaria, un po’ perché
lo sa – no tutto, ma che convive sì.
«Già, c’è tanto amore che mi aspetta, e voi non potete farci nulla!» si vanta,
fa un cenno di saluto, e si avvia verso la stazione.
Per esserci, qualcuno a casa c’è; che sia diverso dall’immagine
di angelo del focolare che hanno i suoi compagni, è un’altra questione.
Che ne pensassero gli altri, l’intenzione di fare l’università Kuroo l’aveva
sempre avuta – scienze motorie, questo era più prevedibile – mentre Kenma alla
fine sta facendo un lavoro degno di lui, che si sta rivelando anche una specie
di corso a sé, un imparare sul campo. Roba di informatica ed elettronica, non
ci hai mai capito molto, lui.
Nonostante i turni non si incastrino sempre con gli orari delle sue lezioni,
riescono sempre a cenare insieme; è una sorta di promessa che si sono fatti
quando hanno deciso di convivere, per non diventare quel tipo di coinquilini
che si incontrano raramente. Fanno i turni, per cucinare, a seconda che Kenma
lavori nel pomeriggio o che lui finisca le lezioni sul tardi. Quando entrambe
le cose coincidono mangiano fuori, fanno una passeggiata e poi tornano a casa.
Quando cenano nel loro appartamento, invece, poi guardano qualcosa in streaming
dal computer di Kenma, neanche a dirlo.
A Kuroo piace, come vivono – si conoscono da troppo tempo per avere ancora
qualche sorpresa sul carattere dell’altro –, ma odia quando torna a casa presto
come in quel momento e trova Kenma che si è portato il lavoro dietro. Perché
vuol dire trovare l’altro preso da qualcosa di elettronico che lo terrà
incollato allo schermo senza che si accorga nemmeno che è rientrato.
Kuroo non è una persona paziente, nonostante conviva con quel lato di Kenma da
troppi anni per arrabbiarsi davvero; ma è abbastanza infantile, a modo suo, e
pretende attenzioni.
Soprattutto, non accetta di essere secondo ad un videogame o a qualsiasi
congegno su cui Kenma perde la cognizione di tempo, realtà e chissà che altro.
Per questo, quando al suo “sono tornato” Kenma – com’era prevedibile – non risponde,
abbandona la tracolla quasi all’ingresso, lo raggiunge nella stanza dove l’altro
è seduto a terra e concentrato su un I-coso –
comunemente denominato Ipad
– e gli arriva alle spalle, piegandosi appena in avanti.
Allunga una mano a raggiungere il suo viso e lo porta ad inclinare il capo
leggermente indietro.
Fa in tempo a vedere l’espressione spaesata di Kenma, quella solita che assume
solo per pochi istanti, prima che il viso di Kuroo rientri nel suo campo
visivo; il moro si china su di lui e posa le labbra sulle sue, sorride in un
bacio semplice che è il saluto quotidiano che gli rivolge, il modo in cui
attira infantilmente la sua attenzione.
«Bentornato.» mormora Kenma quando si allontanano appena, e il moro ancora
sorride divertito; si siede alla meno peggio, se lo tira addosso quasi – sia
che l’altro si lamenti per il lavoro interrotto sia che non lo faccia – e lo
bacia una seconda volta.
L’altro si imbroncia appena tanto da sembrare ancora un ragazzino, e sbuffa, lo
guarda con rimprovero: «Kuroo.» lo chiama con il monito nella voce, quello di
tutte le volte che il moro lo interrompe.
E lui lo fissa, quasi a sfidarlo: «Le brave mogliettine non devono trascurare
il marito» scherza, Kenma non può sapere a cosa si riferisce, ma non importa «quindi
forza, ora lascia quel coso e occupati di me.» avanza le sue pretese con una
faccia da schiaffi.
Sembra sempre imporre le cose, Kuroo, ma lo fa con una dolcezza tutta sua, una
che forse coglie solo Kenma; ma, dopotutto, non serve che la colga nessun
altro.