Un Vero Ninja
«Sacrificio.
Un ninja senza nome che protegge la pace
dall'ombra:
quello è un vero ninja.
Shisui mi ha insegnato questo.»
(Naruto, cap. 550, p. 10 - Itachi)
Quella
notte Itachi lo sapeva,
sapeva che sarebbe finita così. L'aveva dolorosamente
appreso
già da diverso tempo e l'aveva inteso appieno quando, appena
pochi minuti prima, aveva indossato la divisa, infilandosi lentamente
la maglia nera, il pettorale rinforzato e allacciandosi
infine gli
schinieri metallici; poi aveva fissato il coprifronte e con
un'espressione mesta dipinta sul volto aveva
affilato
la lama della katana.
E lui non affilava mai
la sua lama, ma quella volta l'aveva fatto. Forse aveva voluto
prendersi quell'accortezza per ritardare in qualche modo il momento
fatidico, crogiolandosi
ancora per qualche minuto
nell'apparente pace, o forse
l'aveva fatto affinché la lama risultasse letale al primo
colpo,
in modo da rendere il più veloce e il più
indolore
possibile l'attimo in cui fosse calata sulla vittima e fosse penetrata
nella carne. E forse,
forse sarebbe
anche stata una bella notte, se solo non fosse stata quella,
pensò, quando il suo sguardo vagò fuori dalla
finestra di
camera sua.
Anzi, sarebbe stata sicuramente
una bella notte, si corresse, perché il
vento soffiava dolce, rassicurante, e la luna dominava il cielo,
rischiarando gli angoli più bui.
A Shisui sarebbe piaciuta certamente, lui aveva sempre amato le serate
tranquille e si era perso spesso nell'osservare le stelle e nel
rimirare il cielo notturno, steso su uno dei tetti del quartiere
Uchiha; ma
Shisui era morto, spirato, annegato, e i suoi occhi non vedevano
più nulla.
Shisui era morto per il villaggio, in silenzio e nell'ombra, e i suoi
occhi si erano chiusi senza che nessuno se ne rendesse veramente conto.
Quando l'ultima luce si spense, segno che tutti nel quartiere
dormissero, Itachi sospirò, consapevole che il momento fosse
giunto.
Basta
Shisui, basta
pensare, basta ritardare, basta tutto, basta.
Ora c'era la missione,
solo quello.
Silenzioso, scivolò fuori dalla finestra di camera propria e
divenne parte di quelle tenebre nere.
Era stato molto più difficile di quanto si fosse aspettato.
Strisciare nell'ombra, sorprendere e uccidere, soprattutto uccidere,
l'aveva distrutto emotivamente e fisicamente, e il peggio doveva ancora
venire pensò innanzi alla porta di casa propria.
Chiuse gli occhi e oltrepassò la soglia, poi li
riaprì e i suoi genitori erano lí, ad aspettarlo.
Fugaku e Mikoto, completamente
immobili nell'oscurità della stanza, osservarono il figlio
che
stava loro innanzi con espressioni cupe, le mani incrociate sulle
gambe. In silenzio fecero scorrere lo sguardo sulla sua figura, sui
suoi
tratti delicati illuminati flebilmente dalla luce lunare e in essi,
fieri e rammaricati, riconobbero se stessi; gli occhi di lui, le
labbra sottili e i capelli corvini di lei e lo sharingan anche quello di
suo padre.
Tacquero consapevoli, quando il
giovane mosse la mano con fare incerto verso la spada che portava
sulla schiena, pronto ad affrontarli.
E loro, loro non avrebbero combattuto contro di
lui, questa certezza risuonò
nelle loro menti; non avrebbero combattuto, perché sarebbe
loro
mancata la forza di colpire con l'intento di uccidere e, non avrebbero
combattuto, perché dolorosamente accettavano che il
primogenito
si fosse schierato
contro di loro e non
con loro.
Ferirlo per questo, mai,
piuttosto la morte.
L'atmosfera si fece irrimediabilmente tesa, quando il giovane
sfoderò la propria sottile
katana, facendo brillare inavvertitamente la lama, ma ancora non si
mossero, limitandosi a fissarlo,
coscienti di quello che sarebbe presto accaduto.
E Itachi si sentì solo,
solo contro tutti, quando lo colse la consapevolezza che
il momento peggiore fosse finalmente giunto.
Loro da una parte, seduti l'uno
accanto all'altra, e lui dall'altra, ritto in piedi con la propria
arma - esattamente come un carnefice - gli occhi bassi che fissavano il
terreno.
Non voleva, ma doveva.
Li osservò un'ultima volta
insieme, poi, inespressivo, puntò contro
la gola della propria madre l'arma, la
cui lama presto
avrebbe grondato di sangue,
sangue del suo sangue, e gettò un veloce
sguardo al padre.
Perdonatemi,
e affondò il
ferro freddo della spada nella carne del collo; e la punta
trapassò senza problemi la pelle, lasciando cadere alcune
gocce
vermiglie ai suoi piedi, penetrando subito
nella parte
più morbida.
In un unico colpo l'arteria e la trachea della
donna vennero recise e il giovane dovette reprimere
un conato di vomito, quando gli schizzi di sangue gli macchiarono la
divisa da anbu già tristemente sporca.
Mikoto non emise neanche un verso, prima di ricadere al suolo
incosciente: morì in silenzio.
Giacque riversa a terra e, quando
il suo sangue cominciò ad inzuppare il tatami e l'odore di
morte
calò sulla stanza, le mani di Itachi presero a tremare
leggermente.
Non voleva, ma doveva, si
disse nuovamente, pensando che quella fosse la notte peggiore della sua
breve e tormentata vita.
Fugaku sospirò, osservando con occhi tristi il corpo ancora
caldo della moglie.
«Itachi,
promettimi che ti prenderai cura di tuo fratello»
disse, prima che la mano di suo figlio, brandendo la medesima katana,
gli infilzasse il largo petto e rapisse la sua anima.
«Lo
farò» mormorò Itachi,
e il corpo dell'uomo si afflosciò su quello della moglie,
gli
occhi ancora aperti a fissare un punto indefinito della camera.
Quella vista era terribile.
Il ragazzo si coprì il volto
con una mano, stanco nel fisico e nella mente e deciso a non ricordarli
così; perché lui non voleva pensare a loro morti.
Loro non sarebbero dovuti morire, si disse e il dolore lo sorprese,
affiancato dalla
cruda verità e dall'odore del sangue: scoppiò in
lacrime, stringendo dilaniato dai sensi di colpa l'impugnatura della
sua arma.
E non era ancora finita.
Appena udì dei passi, comprese di doversi riprendere.
Dovette
asciugarsi con la mano gli occhi, subito, in fretta, perché
era
Sasuke.
L'aveva capito istantaneamente, avrebbe riconosciuto il suo incedere
ovunque.
E, dopo aver preso un bel respiro, sospirò e si
preparò
per ciò che avrebbe dovuto fare, ripassando tristemente la
sua
parte in quella farsa.
L'avrebbe odiato fece appena in
tempo a constatare, poi
la porta scorrevole della stanza si aprì cigolando
sinistramente
e il corpicino del bambino fece timidamente capolino.
Era tempo di agire, basta rammaricarsi.
Quando il minore degli Uchiha
notò i corpi stesi a terra dei propri genitori e il sangue
sul
tatami, un fremito gli percorse il corpo e gli occhi si riempirono di
lacrime, perché era tutto così assurdo. E Itachi
sentì qualcosa
spezzarsi dentro di sè e una parte di lui morì,
quando gli occhi del minore si inumidirono e si puntarono nei suoi, in
cerca di riposte e di rassicurazioni; il suo cuore gemette.
Trattenne un singhiozzo e cercò di celare le lacrime, il
momento in cui suo fratello «Niisan,»
borbottò «perché?»
È per il tuo bene, si convinse prima di
attivare con un peso al petto il Mangekyou Sharingan.
Quando l'illusione cominciò, Sasuke
ebbe un singulto e si prese la testa tra le mani, urlando.
E Itachi, lui sentì qualcos'altro spezzarsi, forse il cuore.
Tentando di rassicurarsi allora se
lo ripeté, quasi fosse una nenia.
Non voleva, ma doveva.
E quello, quello non avrebbe mai smesso di rammentarselo.
Non voleva, ma doveva; Sasuke
intanto rantolava a terra con gli occhi spalancati dal dolore e le
lacrime agli occhi.
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Credits
(immagine): photobucket
Due puntualizzazioni: Tatami
] tradizionale pavimentazione giapponese a pannelli; Mangekyou Sharingan
]
Sharingan Ipnotico.
La morte dei
genitori di Itachi viene mostrata chiaramente nel manga (nel cap. 590, pp. 9 - 10),
ma ho voluto ugualmente scriverci sopra e rivisitarla a modo mio, dal
momento che Itachi è il mio personaggio preferito, uno di
quelli
che mi ha fatto avvicinare al manga stesso. Quindi desideravo
descriverlo in uno dei momenti più importanti della sua vita
e l'ho fatto.
Ad ogni modo, la frase di Fugaku e la
risposta di Itachi sono direttamente riprese dal manga, il resto
invece è relativamente diverso dalla copia originale.
Kishimoto mostra infatti un Itachi
che ammazza i genitori di spalle, senza guardarli negli occhi e le
ultime parole del padre non si limitano a «promettimi che
proteggerai tuo fratello», si dilungano. Ma, come ho detto
prima,
non ho voluto essere fedele; il mio è stato un libero
rifacimento. E niente,
tutto qui. Non ho molto altro da aggiungere se non che
spero vi sia piaciuta almeno un decimo di quanto sia piaciuto a me
idearla. Fatemi pure sapere cosa ne pensate, pareri positivi e negativi
sono ben accetti; sono aperta alle critiche.
Detto questo mi ritiro.
Ci si vede, ragazzi! ♥
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