Capitolo XIII
Oh
these little earthquakes
Here we go again…
(Little
Earthquakes, Tori Amos.)
Londra,
Farringdon, magazzino Purge&Dowse, ovvero…
San
Mungo, Ora di cena.
Ad Albus piaceva
l’odore di
erba medica del San Mungo; sin da quando era bambino aveva adorato quel
misto
pungente e fresco che molti, persino trai Guaritori, trovavano
stomachevole.
Con gli anni l’aveva solo apprezzato, dovendo spesso ficcare
la testa in
pentoloni di pozioni ribollenti dall’odore poco invitante.
Per questo al San
Mungo si sentiva a casa; i pannelli di legno scuro, le luci regolate
sempre in
un alone basso e avvolgente, gli odori, le parole a bassa voce e i
tappeti
imbevuti di Pozioni Sterili che ricoprivano l’intera
superficie lo facevano
sentire al sicuro.
È
un ambiente che capisco, è mio.
Non era posto per tutti, se
ne
rendeva conto: molte persone, dovendo a che fare con le malattie e con
la morte
– anche se statisticamente meno ricorrente che negli ospedali
Babbani – si
intimorivano, e affibbiavano al posto sentimenti negativi.
Noi
qui salviamo le persone. Certo, non tutte e non sempre.
Ma ehi, magie non miracoli.
Per questo si era sentito
personalmente invaso quando la Magia era venuta a mancare e Liam
Flannery li
aveva attaccati. Era stato un attacco che l’aveva colpito
nelle fibre più
intime del suo essere, quelle che probabilmente condivideva con suo
padre e
James perché in quei giorni si era sentito arrabbiato e
piuttosto agguerrito.
“Stasera
Finnigan’s?” Lo
apostrofò Achille, riscuotendolo dai suoi pensieri.
Tornò sulla terra e chiuse
con un colpo leggero l’armadietto dove riponeva ogni sera il
camice e gli
attrezzi del mestiere. Lo fece con cura, controllando di non essersi
lasciato
scivolare nulla in borsa per sbaglio; quando Smeth aveva scoperto che
la sera
del black-out era uscito dall’ospedale vestito come se
dovesse operare per poco
non gli aveva staccato la testa con una Maledizione.
Ehi,
fuori c’era Tom, non è che esattamente abbia
capacità di pensiero razionale quando quel cretino
è nei paraggi e si ammazza
di pare mentali.
“Altro
impegno.” Sorrise
dismissivo. “Londra Babbana.”
Michel e i suoi Gufi depressi.
Chissà che
diavolo gli è successo per chiamare un meeting di emergenza.
“Babbanofilo.”
Ghignò l’altro
dandogli una spallata giocosa. “Dì un
po’, non è che un giorno ti ritroviamo
con un coltello in mano a squartare senza-magia in nome della loro
scienza?”
“Non
sarò mai un chirurgo
Babbano, mi fa troppa impressione il sangue.”
Ridacchiò di rimando.
“Sofia
sarà molto delusa.”
Osservò Achille mettendosi la borsa a tracolla e seguendolo
fuori dagli
spogliatoi. “Sono mesi che cerca di vederti seduto al suo
stesso tavolo con
qualcosa di alcolico in mano.”
“È dall’Accademia che cerco di spiegarle
che sono gay. Nessuno ha mai ciò che
vuole, pare.” Sospirò alzando gli occhi al cielo.
“Beh, non
è che tu glielo
abbia mai detto chiaro e tondo.”
“E l’ultimo party di San Valentino?”
“Vuole convertiti al culto delle Sacre Tette. Non
disprezzarlo, ha tradizioni
millenarie.” Gli assicurò
con gli occhi
che brillavano di divertimento.
Sì,
scommetto sia stato esilarante vedermi
giostrare impazzito tra Sofia e il mio ragazzo che voleva trasfigurarla
in una
gallina.
“Non è che lo disprezzi, non lo
comprendo, tutto qui.”
“E di questo noi adepti al Sacro Culto ti saremo sempre
grati!” Ghignò
passandogli un braccio attorno alle spalle con fare cameratesco.
“Senza offesa,
Potter, ma tra te e tuo fratello … beh, è un
sollievo avervi fuori dal mercato.”
“Come sei
serpeverde, Light.”
“Orgogliosamente tale!”
Ridacchiarono, scendendo le scale e parlando del più e del
meno. Era grato al
collega; erano le persone come lui, con pensieri ordinari e vite
comuni, che
gli ricordavano cos’era la normalità e quanto
fosse dannatamente importante che
non lo dimenticasse mai.
Eroi,
figli di eroi, maghi incredibili e complotti
internazionali … È dura essere un Potter.
Entrando
nell’ascensore rifletté
e tentennò un po’ prima di schiacciare il pulsante
del piano Malattie
Infettive. “Faccio uno stop a vedere come sta il Sergente
Flannery.” Spiegò all’occhiata
inquisitoria dell’altro. “Ci vediamo
domattina.”
Vedere il Sergente Flannery,
che nei suoi ricordi di ragazzino era sempre stato un gigante dalla
risata
tonante e le braccia salde come querce, ridotto ad un corpo esanime
dentro una
teca di vetro era … terrificante.
Albus si morse un labbro,
distogliendo lo sguardo e appoggiandosi alla parete dietro di
sé; sin
dall’infanzia avere qualcosa di solido a cui sostenersi era
sempre stata una
grande consolazione.
Miei
amati muri.
Uno dei privilegi di
lavorare
in quel posto era non dover badare all’orario delle visite e
potersi muovere a
suo piacimento.
E
soprattutto, capire che cavolo c’è scritto nelle
cartelle mediche.
La prese dal fondo del letto
a
cui era agganciata e la scorse con lo sguardo; confermava le sue paure.
Non
c’erano stati miglioranti nelle condizioni
dell’auror e l’Incantesimo di Stasi
che lo teneva sospeso in un limbo di sonno forzato non aveva vacillato
o aveva
dato segno di allerta.
Non
si sveglia. Non si sveglia ed era nella squadra di
Jamie e di Sy …
Sentendo una mano sulla
spalla
sobbalzò violentemente; si tranquillizzò solo
quando vide a chi apparteneva.
“Ciao Sam.” Salutò con aria imbarazzata
il Capo Guaritore, ricordando che la
sua presenza lì non fosse esattamente autorizzata, sebbene
neppure vietata.
Di
certo però non dovrei sbirciare in cartelle mediche
che non seguo … Se lo sapesse Smeth.
“Non lo
dirò a Smethwyck Al,
non fare quella faccia spaventata!” Ridacchiò il
mago indovinando il corso dei
suoi pensieri. “Anche se potevi avvertirmi che eri qui. Gli
Allievi non
dovrebbero visitare non accompagnati…”
“Ho avvertito l’auror di guardia.”
Borbottò stringendosi nelle spalle.
“Come se una
recluta fresca di
Accademia potrebbe mai fermare il figlio del proprio capo.”
Ghignò senza cattiveria
l’uomo. “Siamo a Malattie Infettive Al, ci sono
procedure da seguire.”
“Se intendi l’Incantesimo
Disinfettante…”
“So che te lo sei lanciato addosso, non sto dicendo che sei
un idiota.” Lo
fermò lanciando uno sguardo al paziente di fronte a loro.
“Solo che … qualunque
cosa abbia il Sergente Flannery non è niente che
conosciamo.” Aggrottò le
sopracciglia. “E da quel che non si conosce è
sempre meglio stare all’erta, lo
sai meglio di me.”
“Certo.” Convenne. “Quindi …
le analisi?”
“A parte una
concentrazione
anomala di magia del sangue non abbiamo riscontrato nulla di
insolito.”
“E gli occhi bianchi? Sembra essere sintomo di un
virus… Cambiamenti somatici,
come per la Spruzzolosi.”
“Infatti.”
Convenne. “Si
comporta come un virus, ed è chiaramente trasmissibile se
l’ha contratto da
quell’americano, ma non sappiamo come e non sappiamo,
soprattutto, cos’è.”
Si passò una mano trai capelli
con aria stanca. “Abbiamo mandato dei Gufi
all’Archivio Infettivo Generale.”
“L’Archivio Centrale delle Malattie Infettive
Magiche? Quello a Bruxelles?”
Indovinò anche se non conosceva bene la materia.
“Pensate che ci siano dei
precedenti?”
“Vale almeno un
tentativo.” Si
strinse nelle spalle. “L’unico sintomo importante
che abbiamo è l’aumento del
livello di magia del sangue. Quello di Howe conteneva la magia di
almeno cinque
maghi, quello del Sergente Flannery … beh. Dieci.”
“Esponenziale?” Quella non era una bella notizia.
Per niente.
“Forse
è dovuto anche al fatto
che è un auror.” Fu la replica razionale.
“Come sai la capacità magica di un
mago è come un muscolo. Più viene utilizzata
più si rafforza, ha resistenza e
potenza. Sam Howe era un mago normale, Liam Flannery un agente
addestrato, sono
differenze sostanziali da cui partire.”
Al annuì. “Qual è la
virulenza¹?”
L’irlandese ci rifletté, scorrendo la cartella che
aveva preso in mano con lo
sguardo. “Non abbiamo ancora dati certi … Ma non
credo ci sia da preoccuparsi
di un contagio diffuso, non finché il Sergente rimane
confinato qui.”
“Periodo di incubazione?”
“L’abbiamo stimato dai tre ai cinque giorni. Certo,
senza altri casi e con il
fatto che hanno rubato le ceneri di Sam Howe…”
“È difficile fare una statistica.”
Concluse per lui. “Ho capito. Grazie per le
informazioni.” Sorrise. “So che non mi sono
esattamente dovute.”
“Non credere, sai.” Lo stupì.
“Sto pensando di chiedere un consulto a Smeth.
Questa malattia si comporta in modo anomalo, e intacca le
capacità magiche, più
che un organo in particolare. Sembra quasi il risultato di un
incantesimo.”
Scosse la testa. “Se vogliamo venire a capo di qualcosa
è il caso che mettiamo
le teste assieme per farle funzionare.”
Tom sapeva esattamente
quando
ad Albus frullava qualcosa in testa; e non cosa ordinare per cena o
cosa
chiedere a Meike di mettere assieme per non farli morire di carenze
vitaminiche. Qualcosa di grosso, come un pensiero tenace che cancellava
tutto
il resto.
Me
compreso.
Il che era un po’
seccante, ma
nulla che non potesse comprendere, quindi non fece particolari
rimostranze
quando l’altro varcò l’ingresso del
laboratorio per salutarlo a malapena,
rivolgendo un cenno distratto a Stevens. L’artigiano, cieco e
forse per questo
sensibile alle atmosfere che una persona poteva portarsi dietro, fece
un
sorrisetto consapevole e si eclissò.
Sì,
le grandi menti pensano in modo simile.
“Sei pronto ad
andare?” Venne
apostrofato con uno sguardo a tutto e niente in particolare.
“Stasera cucina
Mei e sai com’è sugli orari.”
“Tedesca?” Ironizzò. “Sto
finendo e non me ne vado con un lavoro fatto a
metà.”
Al batté le palpebre, riconoscendola. “Allora stai lavorando sulla bacchetta di
Mike.”
“Per quanto la frase suoni inappropriata, sì.
È il mio lavoro.”
“Cretino.” Replicò con un sospiro,
sedendosi sul ciglio del tavolo e ignorando
di essersi appena riempito i pantaloni di trucioli di segatura.
“Bravo,
comunque … credo che la bacchetta che usi adesso non gli
piaccia un granché.”
“Ovvio, è di suo padre.”
Replicò sistemandosi due lenti progressive per poter
ingrandire una sezione del nucleo della suddetta. Ripararlo invece di
sostituirlo era un grattacapo, considerando
l’entità del danno, ma Zabini era
stato estremamente puntiglioso su quello e dopotutto non poteva non
dire di
capirlo.
Se
cambi il nucleo ad una bacchetta è come farla morire
e usarne le spoglie per crearne un’altra.
“Già
… non che quei due vadano
molto d’accordo.” Considerò
distrattamente Al, passando un dito sul ripiano da
lavoro per raccogliere i trucioli. “Specie da quando si
è risposato ed ha avuto
un figlio.”
“Lo si evince dal fatto che nessuno di noi sa il nome del
fratellastro.”
Replicò non particolarmente prono a far conversazione, ma
solo per capire
quanto l’altro fosse immerso nei suoi pensieri.
“Già…”
Appunto. Tu il nome lo sai.
“Stavo pensando di
auto-proclamarmi Signor dell’Universo Conosciuto entro il
finesettimana.” Disse
con tono discorsivo. “E magari schiavizzare
l’intera popolazione magica.”
“Sarebbe carino…”
“Sì,
infatti. Aspetta cos’ho
da dire sui Babbani, sono idee innovative e sicuramente destinate al
successo.”
“Oh, ce … cosa?”
Si riscosse di colpo
squadrandolo sconcertato. “Quanto sei imbecille.”
Brontolò. “Sul serio, questo
tuo umorismo nero…”
“Non mi stavi ascoltando.” Il che era semplicemente
seccante. “Cosa c’è?” Gli
premette un dito sul fianco facendolo sobbalzare. “Quale
delle ventimila cosa
che non dovrebbero riguardarti ma di cui non puoi fare a meno di
impicciarti ti
preoccupa?”
“Stai rischiando
di esser
Schiantato, ti avverto.” Sbuffò irritato, ma il
lampo di sollievo che gli
attraversò lo sguardo c’era e doveva voler dir
qualcosa.
Qualcosa
che non mi piacerà.
Lo prese per il polso e lo
tirò a sé, facendolo docilmente scivolare sulle
sue ginocchia; l’unico lato
positivo di averlo in quello stato d’animo era poterlo
maneggiare agevolmente.
Infilandogli infatti una mano sotto la maglietta per accarezzargli la
pelle del
fianco gli valse solo uno schiaffetto ininfluente.
“Al.” Lo richiamò
all’ordine. “Cosa succede?”
“Potrei occuparmi
di Liam …
dico, come Guaritore. Allievo Guaritore … assieme a Smeth,
potrei
chiederglielo, perché sono un Allievo, no?”
Snocciolò in fretta. “Sam vuole
chiedere un parere a Lesioni, e…”
“No.” Lo
fermò prima che potesse
continuare. “Non pensarci neppure.”
“Sarebbe un’esperienza altamente
professionalizzante!” Esclamò
con un luccichio pericoloso negli occhi.
Ambizione.
Ci ha messo anni a venir fuori, ma è sempre
stata lì …
Il che lo rendeva
immensamente
attraente ai suoi occhi, ma non era quello il punto. “Lo fai
solo per quello?”
L’espressione che
gli venne
restituita fu quella di una volpe presa dentro una gabbia delle
galline.
Identica. “Beh…” Borbottò.
“… è davvero un caso medico senza
precedenti e un
virus di cui non si sa niente, e…”
“Non lo fai quindi per essere informato del caso in cui
è accidentalmente
coinvolta metà della tua famiglia.”
“Beh…”
“Non so neppure da
dove iniziare
per definire l’idiozia della cosa.”
“Tom!” Gli diede uno schiaffetto sulla spalla, ma
c’era più senso di colpa che
reprimenda. “Liam è un amico di famiglia, e
… sì, è vero, sono preoccupato per
Jamie, ma al di là di tutto è
un’occasione notevole, e Achille e Sophia sono
ottimi Allievi, ma…”
“Non sono alla tua altezza.” Ghignò
accarezzandogli le vertebre con la punta
delle dita e facendolo rabbrividire. C’era qualcosa di
eccitante nel modo in
cui Al si sentiva palesemente superiore agli altri senza mai darlo a
vedere.
È
un bel passo da quando da bambino pensava di essere l’esatto
contrario. Finalmente se n’è reso conto.
Del resto non
l’avrebbe mai
scelto come compagno se non l’avesse pensato suo pari.
“Non ho detto
questo.” Fu la
replica come al solito diplomatica. “È che non
sono stimolati quanto lo sono io
e sì, anche perché ci sono persone a cui voglio
bene coinvolte.”
Tom glissò sulla
propensione
Potter-Weasley a mettersi di traverso quando c’era qualche
familiare coinvolto.
Non aveva voglia di litigarci sopra.“Cosa ti dà la
certezza che Smethwyck vorrà
un Allievo trai piedi?”
“Niente.”
Convenne con un
sospiro. “Ciò non toglie che possa comunque
propormi.”
“Ti
darà dell’esaltato.”
“Dove sarebbe la novità?” Gli
passò le braccia attorno al collo. “Pensi che non
dovrei farlo?”
Non era una vera domanda. Al
aveva già deciso, esattamente come aveva fatto anni prima
quando aveva deciso
di seguirlo nella faccenda di Von Hohenheim. La
cosa lo spaventava e faceva infuriare al
tempo stesso e fu per questo che lo sciolse dall’abbraccio
facendolo alzare. Al
lo guardò esitante, forse intuendo il suo brusco cambiamento
d’umore.
“Tom?”
“Penso che non ti
interessi
davvero il mio parere.” Rispose infine con una smorfia.
“Non è vero!”
“Che io non sia
d’accordo, che
io pensi tu sia troppo coinvolto, influenzerà la tua
decisione?” Chiese allora
guardandolo dritto negli occhi e Al finì inevitabilmente per
distogliere lo
sguardo, troppo trasparente per riuscire a dissimulare con lui. “Come
immaginavo.”
L’altro rimase
perso nella
contemplazione delle sue scarpe per una manciata di secondi, prima di
chiudere
gli occhi. “Hai ragione.” Ammise piano.
“Ma non riesco a togliermi dalla testa
… Se succedesse…” Inspirò
bruscamente e si passò una mano sul viso.
“… se si
ammalasse James? O uno della loro squadra? Io … io ho
bisogno di sapere che sta
succedendo. Voglio poter essere in prima linea … per fare
qualcosa, e non
rimanere a guardare.”
Hai bisogno di controllare la situazione.
Ecco l’eredità che ti ha lasciato Harry. Quello in
cui ti ho trascinato cinque
anni fa l’ha solo esacerbata.
Al mosse qualche passo verso
di lui. “Sei arrabbiato?” Chiese con
un’espressione che gli sarebbe valsa un
Oscar come capacità persuasiva. Era quella dannata faccia
contrita ad averlo
fregato sin da bambino e l’avrebbe probabilmente messo nel
sacco fino alla
demenza senile.
“Tu al posto mio
lo saresti?”
Ritorse.
“Furioso.”
Convenne con un
sorriso leggero. “Non ti parlerei per giorni.”
“Non tentarmi.” Lo minacciò sentendosi
assolutamente poco credibile. “Ciò
non toglie che
possa comprendere le tue
motivazioni.” Ammise, sebbene a malincuore, passandogli un
pollice sulle
labbra: avrebbe voluto rinchiuderlo in una torre altissima e essere
l’unico
essere al mondo ad avere la chiave; la parte oscura di sé
non faceva che
plaudire a quei pensieri.
Se
solo potessi tenerti fuori da tutto …
È
quando impari a tenere a qualcuno, che cominci ad
avere paura.
Naturalmente non poteva e
non
era giusto, questo lo sapeva. Gli baciò quindi le labbra e
ricambiò la stretta
in cui lo serrò l’altro. “Promettimi che
starai attento.”
“Non è come se dovessi andare in un campo di
battaglia.”
Sospirò. “Per voi Potter è sempre
questione di un campo di battaglia.”
****
Scozia,
Hogsmeade, Foresta Proibita.
Dopocena.
La Luna mostrava il suo
quarto
più rotondo quella sera e James si trovò ad
ammirarla e ringraziarla
silenziosamente per rischiarare la cupa foresta in cui camminava da una
buona
oretta.
Luce
nelle tenebre. Ehi, è un bel messaggio.
Ted a sua differenza
sembrava
guardare solo di fronte sé; da
bambino invece
lo aveva spesso colto in giardino, seduto sull’erba e con il
naso per aria,
quasi volesse cercare di capirla,
più
che limitarsi alla mera contemplazione.
È
la Luna che faceva trasformare Remus. Penso che sia
sempre stata un po’ speciale anche per lui.
Accanto a sé
Neville inciampò
su una radice con un lamento soffocato. “Ehi, tutto
okay?” Lo apostrofò
afferrandolo per un gomito.
“Sì,
sì…” Assicurò con un
sorriso imbarazzato. “È che non ci vedo ad un
palmo dal naso, a differenza di
qualcun altro.” Sospirò divertito guardando la
schiena coperta da un neutro
maglione color bosco di Ted che aveva una vista notturna superiore a
chiunque
altro conoscessero, uno dei tanti lasciti paterni.
Di
notte è meno goffo che di giorno.
Questo, sentendosi
osservato,
si voltò. “Mi dispiace.” Disse in tono
di scuse. “Ma un Lumos
qua attorno sarebbe come avere un faro in una notte di
bonaccia.”
Neville assentì.
“Dove
dobbiamo incontrare Fiorenzo e gli altri?”
“Ci siamo
quasi.”
E c’erano davvero. Fatte poche decine di metri si inoltrarono
in un ampio
spazio erboso, delimitato da rocce posizionate in modo troppo ordinato
per
essere casuale. Era un luogo di incontro e poco dopo infatti vennero
circondati
da un compatto rumore di zoccoli. “Magorian.” Ted
salutò con deferenza il più
grosso dei Centauri, dotato di una lunga criniera corvina e la faccia
pitturata
di bianco; dai segni distintivi James intuì fosse il
capobranco.
Mai
visto in vita mia, manco quando ero studente … Beh,
neppure io ero tanto cretino da andare a disturbare tipi
così.
“Mezzolupo.”
Lo apostrofò, più
constatazione che insulto, anche se a James non piacque comunque il
tono. “Sono
questi gli umani che hai portato con te?”
Ted aveva
l’espressione calma
delle grande occasioni ma James registrò come
l’attaccatura dei capelli stesse
sfumando rapidamente nel viola. “Ne avevamo
parlato.”
“Lo ricordo.” Confermò il Centauro.
“Abbiamo acconsentito alla loro presenza
solo a patto non ostacolassero la caccia. Spero lo
ricordino.” Concluse
scoccando loro un’occhiata tagliente e James si
sentì particolarmente preso in esame.
Puzzo
di auror?
“Non è
una caccia, Magorian.
Siamo qui per aiutarvi a riportare equilibrio nella foresta.”
Fu la risposta.
“Il Mannaro
uscirà vivo di qui
solo se non tenterà di attaccare uno di noi. Cosa che credo
sia destinata a
succedere, Mezzolupo.”
James si scambiò
un’occhiata
nervosa con Neville. Ted aveva genericamente un buon rapporto con le
creature
della Foresta, avendo passato i suoi anni di studente a leggere sotto
l’ombra
di qualche suo albero.
Ma
i Centauri … beh, non è che siano le creature
più
diplomatiche del pianeta.
“Sono certo che
non dovremo
arrivare a dover prendere decisioni in merito all’una o
l’altra opzione.” Il
tono di Ted era quieto e le parole non particolarmente dure, ma il
messaggio
sottopelle era chiaro.
Niente
caccia, niente vittime sacrificali.
James si sentì
piuttosto pieno
d’orgoglio; c’era un sacco di gente che era
disposta a classificare sbrigativamente
Ted come un tipo poco pronto a farsi valere e invece amante del quieto
vivere.
È
tutto il contrario, cazzo. Tira su la testa quando è
il caso di farlo.
Un lungo silenzio
seguì quella
frase e James sentì Neville muoversi nervosamente al suo
fianco; poteva
capirlo, l’idea di far incavolare il capobranco era
abbastanza terrificante.
Vorrei
evitare di menare la bacchetta contro dei Centauri.
Siamo pure svantaggiati numericamente, e di brutto.
Chi risolse la situazione di
stallo fu Fiorenzo: si staccò dal gruppo di arcieri per
sussurrare qualcosa
alle orecchie di Magorian. Qualunque cosa fosse funzionò,
perché il Centauro
più imponente, anche se sembrò inizialmente
infastidito dall’intrusione, finì
per annuire seccamente. “Venite.” Disse.
“Vi mostreremo dov’è la tana.”
James scivolò
accanto a Ted,
posandogli una mano sulla spalla. La sentì incredibilmente
contratta e premette
piano le dita in un massaggio poco funzionale, ma presente. Gli venne
restituito un breve e grato sorriso. “Tutto a
posto?”
“Sì
… prima troviamo il
Mannaro e lo convinciamo a seguirci, meglio sarà.”
“E se non volesse?” Intervenne Neville ed era una
buona obiezione.
“Dobbiamo solo
sperare che sia
ragionevole allora.”
Questo
tizio non è Remus … se è vissuto nel
branco del
Galles sarà abbastanza selvaggio. E di sicuro poco
collaborativo.
Non lo disse
però, perché
aveva la netta impressione che il compagno fosse già
abbastanza teso di suo,
senza aggiungere ulteriori pensieri a quelli che già stava
macinando tra le
sinapsi.
La Foresta Proibita non era
mai un bel posto in cui essere quando calava il sole e solo la luna che
quella
sera splendeva, seppur incompleta, riusciva a non far sprofondare Ted
nel
nervosismo.
Aver coinvolto i
centuari, in quel
momento rappresentati da
una compatta mezza dozzina armata fino ai denti, stava cominciando a
sembrargli
un’idea balorda; Magorian era un capobranco giusto, ma
maledettamente tenace
nei suoi pregiudizi verso chiunque non fosse una creatura di quella
foresta da
secoli.
Credo
non abbia accettato neanche le Acromantule, e
perché sono qui solo da cinque
generazioni…
Fiorenzo aveva fatto un
ottimo
lavoro di mediazione, tuttavia era ovvio che l’altro Centauro
e i suoi
fedelissimi non fossero assolutamente disposti a scendere a patti su un
loro
intervento armato nel caso le cose gli fossero sfuggite fuori controllo.
Devo
assicurarmi che chiunque abiti nella tana esca
vivo di qui. Devo.
“Non ci
sentirà arrivare?”
Chiese James che gli camminava affianco. “Voglio dire, tutto
questo rumore di
zoccoli… e poi i Mannari non hanno tipo il
fiuto…” Fece una lieve smorfia. “Non
mi ricordo bene.”
Ted sospirò. “Siamo sottovento, ma a parte questo
il rumore degli zoccoli
coprirà quello dei nostri passi.”
“Stile specchietto
per le
allodole?”
“Esatto.”
Magorian alzò il braccio in maniera inequivocabile e la
piccola comitiva, loro
compresi, si arrestò. “Oltre quella fila di
massi.” Spiegò indicando di fronte
a sé. “C’è il greto secco di
un torrente e poi una serie di grotte. Il Mannaro
ha trovato rifugio lì.”
Ted si scambiò
un’occhiata con
James e Neville: era ovvio e sottointeso che i Centauri non avrebbero
sceso il letto
ripido di un fiume e lasciavano quindi a loro il compito di andare in
avanscoperta.
Meglio
così.
“Bene.”
Replicò. “Andremo
avanti noi.”
“Vi copriremo le
spalle.”
Disse Fiorenzo con un lieve sorriso. “Cercate di spingerlo
nella nostra
direzione … faremo in modo di catturarlo.” Fece
una breve pausa e poi forse,
indovinando i suoi pensieri, soggiunse. “Cercheremo di
evitare l’uso della
forza per quanto ci sarà possibile.”
“È
umano adesso, non sarà
difficile immobilizzarlo.” Trovò proficuo
puntualizzare, prima di incamminarsi
verso il folto della vegetazione.
“Alla fine
c’era davvero…”
Borbottò James passandosi una mano trai capelli.
“Teddy, senti … ma com’è
possibile che un Mannaro si sia spinto fin qui?”
Bella
domanda.
“Fino alla Scozia
dici?”
Aggrottò le sopracciglia scuotendo la testa. “Non
ne ho idea … L’unica cosa che
mi viene in mente è che sia stato cacciato dal proprio
branco.”
“È una cosa che accade spesso?” Chiese
Neville scostando una fronda ed
occhieggiando il declinare accidentato di fronte a sé.
“Meno spesso di
quanto non si
pensi.” Spiegò incastrando la bacchetta tra la
fibbia della cintura e i
pantaloni, per aver presa sicura nel caso si fosse palesato un
pericolo.
Sperava davvero di non doverla usare. “… in
realtà un Mannaro viene bandito per
pochi motivi. Perché ha sfidato il capo per prenderne il
posto ed è stato
sconfitto o perché ha detto chiaramente che non vuole
più far parte del branco.”
“E succede spesso?
Che un
membro si allontani spontaneamente?”
“Il senso di coesione interna è molto forte Nev,
quindi no.” Scosse la testa,
glissando sul far loro notare che un Mannaro, specie se cresciuto nel
branco
del Galles, aveva pochi posti in cui riparare e che quindi era poco
incline a
certe decisioni. “Glielo potremo chiedere quando lo
vedremo.”
Vide l’uomo e
James lanciarsi
occhiate incerte e sospirò; non era così ingenuo
da credere che la persona che
si sarebbero trovati di fronte avrebbe acconsentito docilmente a
seguirli,
tuttavia a loro differenza sapeva che non avrebbero avuto a che fare
con una
creatura irrazionale.
Adesso
è un essere umano.
Inoltre non
c’erano stati più
attacchi, il che significava che aveva rinunciato a spingersi fino ad
Hogsmeade,
forse allertato dalle chiassose ronde cittadine che erano state
organizzate.
Non
mangerà qualcosa di consistente da giorni. Qua
attorno ci sono solo muschi e licheni.
Scesero lungo la parete del
fiume aggrappandosi a sassi e arbusti per non cadere e Ted
capì che era quello
il motivo per cui il Mannaro aveva scelto quel posto per farne il suo
rifugio;
le caverne di fronte a loro erano inaccessibili agli zoccoli dei
Centauri.
“Come ci
muoviamo?” Chiese
James passandosi la bacchetta tra le dita con fare nervoso; era chiaro
mordesse
il freno per mettersi in azione, ma al tempo stesso fosse consapevole
del fatto
che quello non fosse un terreno di sua competenza.
“Tu cosa
suggeriresti?” Le sue
nozioni tattiche erano comunque più aggiornate di quelle che
ricordava dei suoi
anni d’Accademia.
“È una
persona, quindi
proverei a convincerlo ad uscire con le buone, più che
stanarlo come
suggerivano i nostri amici lassù.”
Osservò meditabondo, guardando verso
l’agglomerato di rocce di fronte a loro. “Anche se
è meglio non far parlare me,
l’auror. Certa gente salta subito alle conclusioni
sbagliate.” Ghignò facendolo
ridacchiare di rimando.
“Provo io
allora…” Si schiarì
la voce e poi puntandosi la bacchetta al collo lanciò un
Sonorus. “So che sai
della nostra presenza.” Iniziò con voce pacata.
“Mi chiamo Ted Remus Lupin e
sono un insegnante di Hogwarts, ma non sono qui per conto della scuola,
né
tantomeno del Ministero. Sappiamo anche che non mangi da giorni e che
ti stai
nascondendo dai Centauri … vogliamo aiutarti, dacci la
possibilità di farlo. Se
uscirai fuori ti prometto che non ti verrà fatto alcun
male.”
Non vi fu ovviamente
risposta;
Ted se l’era aspettato e passò le dita sul manico
della bacchetta. “Okay.”
Pronunciò dopo ancora qualche attimo d’attesa.
“Dividiamoci e cerchiamolo. Non
può essere andato troppo lontano.”
“Sicuro che non sia fuori a caccia?”
Interloquì Neville.
Ted sorrise appena
picchiettandosi il naso e James alzò gli occhi al cielo
mentre l’altro lo
guardò senza capire.
“L’odore,
Nev.” Spiegò un po’
imbarazzato. “Lo sentono i Centauri, ma lo sento anche io.
È qui vicino.”
“Non sai quanto
diventa
rompiballe in questo periodo.” Gli fece eco James.
“Come una fottuta donna
incinta.”
“Jamie!”
“Dì che
non è vero, dai!”
Neville
ridacchiò. “Io prendo
la sinistra.” Propose conciliante prima di prendere ad
arrampicarsi di buona
lena.
Rimasero soli e Ted si
sentì
piuttosto sciocco di fronte all’aria divertita di James,
sicuramente più
preparato di lui in quei frangenti.
“Se
senti o vedi qualcosa non … insomma. Non fare niente di
avventato.” Non poté
trattenersi.
“Mio Teddy, ti ricordo che caccio maghi oscuri. Se fossi
avventato la metà di
quanto credi che sia non sarei arrivato alla fine del mio primo
caso!” Rise
prima di prendergli il viso tra le mani e stampargli sulle labbra un
bacio
veloce. “Mi prendo il centro, tu va’ a destra.
Fidati dell’auror qui presente,
okay?”
Touché.
Non
gli restò che obbedire di buon
grado. Salire sul lato opposto del greto non era facile, tra la roccia
liscia tipica
della zona e il fatto che il terreno fosse coperto per la maggior parte
da
muschio scivoloso e radici umide. Scivolò un paio di volte e
solo i riflessi
gli impedirono di ruzzolare giù. Quando riuscì a
risalire si ritrovò di fronte
ad un apertura buia ed umida, abbastanza grande per far passare una
persona
accovacciata. Poteva essere l’entrata usata dal Mannaro.
Non fece in tempo a
chiederselo che vide qualcosa muoversi nell’ombra, qualcosa
di piccolo e molto
svelto. “Ehi!” Chiamò cercando di
addentrarsi senza sbattere contro qualcosa.
Senza un Lumos, con
quell’oscurità,
era difficile vedere anche per lui.
Capì troppo tardi
di aver
abbassato la guardia proprio nel momento in cui non doveva; qualcosa lo
strattonò prendendolo per il retro della camicia e perse
l’equilibrio, cadendo
all’indietro.
****
Londra, Diagon Alley.
Dopocena.
In five years time I might not
know you
In five years time we might not speak
In five years time we might not get along
In five years time you might just prove me wrong
Tom sosteneva che a volte la
musica era incapace di capire lo stato d’animo del proprio
ascoltatore. A volte
invece la capiva sin troppo bene.
Lily stoppò
l’incedere
digitare del proprio lettore mp3 – regalo tra
l’altro di quest’ultimo –
mordicchiandosi le labbra.
Cinque
anni.
Erano tanti.
Un’eternità dal
suo punto di vista, un lasso di tempo in cui le era successo di tutto,
in cui
era cambiata e diventata una persona diversa dalla piccola Lils, con la
testa
piena di idee assurde sulla vita che avrebbe dovuto vivere in quanto
figlia del
Salvatore, piena di avventure e incontri emozionanti. Cinque anni prima
era più
spensierata, felice e più sciocca. Cinque anni erano un sacco di tempo.
Aprì gli occhi
sull’angolo di
strada che poteva osservare appoggiata al muro di mattoni che divideva
l’ingresso di Diagon Alley con Londra: la via era quasi
deserta, tranne
occasionali bande di ragazzi che facevano spola trai pochi locali
notturni
della zona. Un gatto nero le passò affianco e le rivolse
un’occhiata di
sufficienza prima di saltare dentro un vicolo buio come la pece e Lily
vi perse
lo sguardo per un po’ prima di specchiarsi ad una vetrina
illuminata dal
lampione sopra di sé: aveva un vestito delizioso, i capelli
avevano una piega
perfetta e i tacchi nuovi la facevano sentire una regina.
Stato
d’animo giusto per incontrare i ricordi. Per
incontrare Ren.
Tuttavia aveva smesso di
ascoltare la musica per ammazzare il tempo perché aveva paura e anche se era un sentimento che
detestava sentirsi addosso,
il punto restava: aveva paura che quell’incontro non andasse
per il verso
giusto.
E se non
sappiamo cosa dirci una volta l’uno davanti
all’altro? Se siamo troppo
condizionati da chi eravamo? Se le lettere ci avessero ingannato? Se la
nostra
amicizia non avesse senso e se fosse sbagliata
come dicono tutti?
Se,
se, se …
Odiava quella particella
perché aveva paura di restare delusa. Sören poteva
non essere all’altezza dell’idea che si era fatta
di lui in quegli anni e lei poteva
non rispondere alle
aspettative di un ragazzo che le aveva chiaramente detto più
volte di esserle
grato per averle indicato la giusta via.
Che
poi non ho fatto un accidente. Sono solo dal lato
giusto per nascita, tutto qui.
Inspirò ed
espirò lentamente;
esser arrivata un quarto d’ora prima non era stata
un’idea brillante. Si stava
innervosendo fuori misura.
È
solo Sören, solo una chiacchierata e una passeggiata
per Diagon Alley. Niente di cui esser preoccupati.
Davvero.
Se lo ripeté
circa una ventina
di volte ma non funzionò neppure una.
Quando stava quasi per
andare
a fare una passeggiata per scrollarsi di dosso l’ansia
sentì dei passi
avvicinarsi e poi la presenza di Sören la investì
come una corrente d’aria
calda dopo una doccia fredda.
“Lilian.”
Sei
l’unica persona che ancora mi chiama così. Non ti
ho mai corretto … e non è che non ne avessi avuto
la possibilità, credo.
Sorrise al ragazzo di fronte
a
lei e rimase stupita dall’aria assolutamente normale che
aveva; con i capelli
liberi dal gel e vestito di un paio di pantaloni scuri e una maglietta
su cui
era stato buttato un giubbotto di pelle sembrava un banalissimo
ventenne, forse
solo un po’ troppo magro e dagli occhi un po’
troppo penetranti.
Ciao
ragazzo normale.
…
sì, i vestiti deve averglieli scelti Milo. Gli stanno
troppo bene.
Non seppe come reagire alla
cosa, quindi si limitò a scivolare nell’abitudine.
“Buonasera Ren.” Salutò con
il migliore dei suoi sorrisi. “Mi avevi detto che eri passato
al lato Babbano
della moda, ma non ci avrei mai creduto!”
L’altro la
fissò spaesato per
un attimo. “Ah, i vestiti.” Intuì.
“In America risulterei un po’ ridicolo abbigliato
altrimenti. Sono stato informato che i mantelli e le tuniche non vanno
più di
moda, oltre ad essere poco pratici per la mia professione.”
“Milo?” Indovinò; al San Mungo aveva
notato come l’accento tedesco fosse meno
forte di una volta, ma non si era accorta che avesse adottato quello
americano:
amalgamandosi con i suoni duri della sua lingua madre dava alla voce un
tono
più profondo. Era piacevole.
Ha
sempre avuto una bella voce.
“Già.”
Lily si sentì scomodamente
nuda di fronte allo sguardo dell’altro. Sapeva che non lo
faceva apposta, che
era il suo modo di rapportarsi con la persona che gli stava davanti
– anni
prima a quegli sguardi si era addirittura abituata – ma non
poté impedirsi un
nodo allo stomaco e una vaga sensazione di allarme.
“Ho qualcosa fuori
posto?”
Chiese forse un po’ troppo bruscamente.
Certo
che no, ho passato tre ore barricata in bagno.
Papà credo abbia dovuto andare a farla nel bosco.
L’altro
avvampò come ricordava
solo lui sapesse fare. Era un colorarsi violento delle guance e niente
da fare,
lo trovava ancora maledettamente carino.
“No … stai benissimo.”
Mormorò. “È solo che non pensavo ti
avrei rivista.”
Eh, no, non cominciamo con frasi del
genere!
“Invece eccomi
qua!” Sorrise
smagliante perché era ciò in cui era
più brava. “Allora … facciamo quattro
passi? Scommetto che non hai ancora visto Diagon Alley come si
deve!”
Sören le
restituì un sorriso
quieto, di quelli che avrebbe approntato per chiunque
e Lily registrò il fatto con una punta di fastidio.
“No,
infatti.” Convenne. “Vuoi
fare gli onori di casa?”
Parla
ancora come un libro stampato quando è in
imbarazzo.
Quel fatto invece era
consolante. “Assolutamente!”
****
Scozia,
Foresta Proibita.
La forza che
l’aveva spinto
all’esterno della grotta aveva mantenuto la presa anche
durante la caduta.
Ted impattò con
dolore contro
il declivio del fiume e la botta che sentì alla spalla
destra e al gomito lo
fece quasi svenire. Non ebbe il tempo per realizzarlo però,
che rotolò in un
intreccio di gambe e pugni serrati con il suo aggressore. Sbattendo con
forza
contro il letto asciutto del fiume cercò immediatamente di
rialzarsi, mentre le
narici gli si riempivano dell’odore di sudore selvatico che
solo un essere umano
che non era avvezzo al sapone poteva emanare.
Odore
di Mannaro.
La persona che torreggiava
di
lui, tenendolo fermo aveva una corporatura magra, ma forte e i tendini
dei
muscoli sembravano corde d’acciaio coperte di stracci.
“Fe…”
Tentò con la voce ridotta
ad un sussurro sfiatato, tanto forte era stata la botta.
L’altro respirava a
tratti secchi, ma sembrava in migliori condizioni di lui che aveva
fatto da
cuscino ad entrambi. La luce della luna che filtrava tra le fronde
illuminò
lineamenti scavati dalla fame e una barba secca e stopposa, forse
chiara. “…
per favore!” Tentò levando una mano e cercando a
tentoni la bacchetta con
l’altra; non era naïve fino al punto di non rendersi
conto che il suo
aggressore non si sarebbe fermato
ad
un semplice richiamo verbale.
L’altro parve
intuire le sue
intenzioni perché con un ringhio che molto aveva di animale
e poco di
civilizzato gli afferrò il polso e strinse. Il dolore
esplose in mille schegge
dal polso fino al cervello e Ted urlò sentendolo spezzarsi.
Cercò di scrollarselo
di dosso, ma il tipo sembrava fatto di piombo o forse era lui che per
il colpo
riusciva a malapena a muoversi.
Doveva chiamare aiuto,
doveva
chiamare James e Neville, anche se dovevano essersi addentrati come lui
all’interno dei cunicoli e non l’avrebbero comunque
sentito. I Centauri? Erano
al di là del greto, e sperava che si fossero accorti dei
rumori, sperava…
Tentò di gridare
dato che non
poteva lanciare l’allarme con la bacchetta ma la mano grande
e callosa del
Mannaro gli tappò la bocca. Aveva occhi selvaggi, scuri come
tizzoni e pieni di
paura.
Uccidere
per non essere ucciso. Crede che voglia
ucciderlo. La legge della Giungla, vecchia e vera come il cielo.
Con il naso e la bocca
schiacciati contro il palmo dell’altro non respirava ed era
orribile, la morte
peggiore che potesse capitare ad un essere umano. Con un ultimo guizzo
disperato
morse la pelle del palmo fino a sentire il sapore del sangue e
l’aggressore con
un urlo scattò indietro, quanto bastava per fargli gridare
due sole sillabe, le
prime che la sua mente sconvolta gli suggerirono.
“James!”
Il Mannaro era di nuovo
sopra
di lui; la forza animalesca e la crudeltà umana erano un mix
letale. Questo levò
il braccio, in mano un sasso capace di spaccargli la testa come una
noce e Ted capì
che stava per morire, lì, a pochi passi dall’uomo
che amava e da casa loro.
No!
Poi qualcosa
saettò al lato
del suo orecchio destro. Qualcosa di sottile, rapidissimo e non un
incantesimo.
Lo sentì e poi vide il Mannaro irrigidirsi e lanciare un
guaito simile a quello
di un cane crollando a terra per la forza d’impatto della
freccia che lo
trafisse in pieno petto.
“Teddy!”
Libero, udì come
sott’acqua la
voce di James arrivare dall’alto, seguito dal rumore
concitato di qualcuno che
scendeva nell’alveo del fiume senza badare alla propria
sicurezza.
Jamie.
Si voltò e di
colpo le sue
braccia furono piene di James. Lo strinse con forza, sentendo il
tranquillizzante
profumo del compagno, di casa.
Strinse di rimando, ignorando le fitte che mandava ogni singolo osso o
muscolo
del suo corpo. “Sto bene.” Mormorò con
la bocca impastata. “Sto bene, amore,
sto bene…” Che era anche un rassicurarsi.
L’altro gli prese
il viso tra
le mani, controllandolo con occhi attenti e spaventati. “Non
ti ho sentito,
cazzo … eravamo dentro alle grotte, ho sentito solo quando
hai urlato … È
davvero tutto a posto? Sei caduto e…”
Esitò lanciando un’occhiata spaventata
alla strana angolazione che aveva preso il suo polso.
“È
rotto, tutto qui.”
Minimizzò. Udendo un secondo guaito provenire dove il
Mannaro era caduto si
liberò gentilmente della presa dell’altro.
L’uomo – perché era
un uomo – aveva gli occhi spalancati, vitrei e il respiro
affrettato di chi cercava di non perdere conoscenza. E sangue, sangue
ovunque. “James,
la bacchetta!”
Centauri.
È una freccia dei Centauri.
Guardò verso
l’alto e vide il
branco di Magorian sul ciglio del ripido declinare; era proprio il
capobranco a
reggere l’arco che sembrava ancora vibrare del colpo.
“È
qui!” Gli fece eco Neville
porgendogliela. “Teddy…”
“Sta perdendo troppo sangue!” Tentò di
lanciare un incantesimo Emostatico ma
non ebbe che un effetto palliativo. Il pallore del volto del Mannaro
era
inequivocabile.
Neville gli si
affiancò. “Teddy,
le frecce dei Centauri sono avvelenate, serve
l’antidoto.”
“L’antidoto
… dobbiamo portarlo
ad Hogwarts allora!”
“Teddy.” Neville aveva un’espressione
strana, che non riusciva a decifrare. Era
calmo, troppo calmo considerando che un uomo stava morendo davanti a
loro. E
poi perché continuava a ripetere il suo nome? “Non
faremo mai in tempo.”
“Possiamo Materializzarci lì!
L’infermeria…”
“Non sopravvivrebbe al trasporto.”
“Allora…” Notò lo sguardo
dell’ex grifondoro e improvvisamente capì.
“Non possiamo lasciarlo
morire!”
“Possiamo fare in
modo che non
soffra.”
“Non è un animale!” Ruggì
spintonandolo via – senza trovare resistenza tra
l’altro. Si affiancò al Mannaro e gli lesse negli
occhi un terrore infinito.
No,
no … non morirai.
Si trovò a
premere sulla
ferita a mani nude, come un Babbano, come un Babbano che non aveva la
minima
idea di quel che stava facendo mentre sussurrava rassicurazioni
assolutamente
vuote.
Il Mannaro non distolse lo
sguardo da ciò che stava facendo – aveva capito
che stava tentando di salvargli
la vita? Poi mormorò qualcosa. James gli scivolò
a fianco. “Sta tentando di
parlare.” Lo riscosse, chinandosi per ascoltare. Lo
imitò perché doveva essere
la cosa giusta da fare.
“Ben…”
Sussurrò con un sibilo.
Polmoni lacerati, pensò. La freccia lo aveva trafitto
lacerandogli i polmoni e
riempendoglieli di sangue mentre il veleno doveva aver fatto il resto.
“… Ben.”
Ripeté prima di essere scosso da un lungo brivido. Poi
più niente.
Era
il suo nome. Mi ha detto il suo nome?
Ted, a posteriori,
giustificò
la serie di azioni che intraprese come il risultato dello shock,
perché solo lo
shock poteva avere il potere di farlo scattare in piedi e risalire il
greto del
fiume per dirigersi verso il branco di Centauri come se fossero il nemico.
“Non
c’era bisogno di
ammazzarlo! Stava solo difendendosi!” Urlò in
faccia a Magorian la bacchetta
stretta nella mano sana fino a vederla sprizzare scintille.
“L’avete ammazzato
come un cane!”
Il Centauro gli
scoccò
un’occhiata di fuoco. “Ti ho salvato la vita,
mezzolupo. Dovresti essermi
grato.”
“Lo avete ammazzato!”
Sentiva il
sangue bagnargli la mano e gli veniva da vomitare. Vide Fiorenzo
staccarsi dal
gruppo.
“Professor Lupin, lei era in pericolo e non c’era
altro che potessimo…”
“Non dovevate fare niente!”
“Ted.”
La mano di James si
posò sulla sua spalla con forza. Da quanto era accanto a
lui? “Ted, basta così.”
Era forse la prima volta, da che ricordava, che l’altro lo
chiamava con il suo
nome di battesimo e non il nomignolo per cui era conosciuto in
famiglia. Fu
talmente straniante da farlo voltare. Gli occhi di James erano tristi,
ma pieni
di una calma che lui non sentiva di avere.
E
che forse dovrei avere.
Tornando di colpo in
sé si
rese conto che aveva appena minacciato con la bacchetta un branco di
Centauri.
Dall’espressione furiosa di Magorian e quella seria di
Fiorenzo dovevano essere
sull’orlo di un incidente diplomatico.
“Io…”
Si umettò le labbra. “…
il corpo. Non possiamo lasciarlo…”
“Me ne occupo io.” Esordì Neville alle
sue spalle. “Non preoccuparti.”
Annuì, perché non restava altro da fare dato che
aveva probabilmente minato
dalle fondamenta i rapporti con il branco di Centauri ed era ad un
passo
dall’essere cacciato dalla foresta; buffo era il
fatto che non
gliene fregava nulla.
Accettò la mano
di James e
chiuse gli occhi quando sentì la familiare stretta della
Materializzazione. Quando
li aprì si ritrovò nel centro del salotto, ed era
una sensazione dannatamente
straniante essere lì, in mezzo alle tranquille cose di tutti
i giorni, quando
fino a pochi secondi prima aveva tenuto tra le mani la vita di un uomo
e
sentito il calore del suo sangue sulle mani. Si guardò la
mano ancora sana e
strinse la presa finché James non la chiuse tra le sue.
“Ted…”
Iniziò.
“Teddy.” Mormorò con un sorriso stanco.
“Per te solo Teddy.”
James fece una risata che aveva poco d’allegro.
“Fammi vedere il polso,
avanti.” Alla sua espressione sconcertata sbuffò.
“Ti ricordo che ho giocato a
Quidditch in maniera agonista per anni. Ne so più io di ossa
rotte che chiunque
altro nel raggio di miglia!”
Era un buon punto. Si
lasciò quindi
medicare senza un lamento anche se lo schiocco del polso che tornava al
suo
polso fu doloroso; davanti agli occhi non aveva altro che
l’espressione
spaventata di quell’uomo.
Ben.
Si chiamava … Ben?
James lo spinse poi su per
le
scale e in camera e Ted non trovò nessun motivo valido per
protestare o per
restare in alcun altro posto. Si sedette sul letto e si
guardò di nuovo le
mani; l’altro gli aveva steccato il polso con un Ferula ben fatto e aveva ripulito ogni
millimetro dal sangue del Mannaro.
“Avevi ragione.
Sei bravo.”
Commentò neutramente.
“Ehi…”
James gli si
inginocchiò davanti e gli passò una mano bollente
dietro la nuca per poi
premere senza un’altra sillaba le labbra sulle sue, senza
approfondire, ma facendogli
sentire che c’era.
Il
mio splendido uomo.
“Andiamo a letto,
okay?” Disse
senza chiedere spiegazioni, senza tentare paralleli, senza cercare di
dare un
senso a quello che gli aveva visto fare.
“Grazie.”
Mormorò scivolando
sotto le coperte mentre l’altro gli passava un braccio
attorno alla vita e
stringeva. “So di aver combinato un
casino…”
“Sta’ zitto.” Borbottò contro
la sua tempia. “Se apri bocca per dire stronzate,
giuro che ti Silenzio.”
“Jamie…”
“È la prima persona che ti sei visto morire
davanti.” Tagliò corto passandogli
una mano sotto il cotone della maglietta e accarezzandogli la schiena.
Se fosse
stata un’altra situazione, Ted avrebbe finito per fare quelle
che l’altro
definiva scorrettamente ‘fusa’.
Purtroppo non era quella
situazione.
“Ti ricordi quando
il mio
terzo caso?” Disse dopo un po’. “Quello
stregone che tentò di impalarmi con una
fottuta spada?” Le labbra si muovevano contro la sua tempia e
il respiro caldo
era maledettamente reale. Gli era così grato …
“Fa schifo veder morire qualcuno
per la prima volta e continua a
fare
schifo. Ho avuto dei cazzo di incubi per mesi, e quel tipo voleva tipo
usarmi
come spiedino. Idem per il Mannaro.”
“Era solo spaventato…”
“Lo spavento non giustifica il volerti ammazzare.”
Non avrebbe compromesso su
quello e Ted non tentò di levare obiezioni. Non ne sarebbe
stato comunque in
grado. “Quello che voglio dire è che nessuno si
aspettava te ne stessi
tranquillo dopo essertelo visto morire tra le mani. Manco Magorian
… o non se
ne sarebbe stato buono.”
“È stato Fiorenzo a calmarlo…”
“Rimane il punto. Non hai incasinato nulla. Ti sei solo
comportato come un
essere umano decente, Teddy, e va bene così.”
Ted sentì
l’adrenalina scemare
di colpo e finita quella, lo sapeva, sarebbe arrivato il sonno. Ne era
felice:
non sarebbe stato riposante, ma avrebbe comunque spento i pensieri.
E
Merlino solo sa quanto ne ho bisogno.
****
Diagon
Alley. Notte.
Lily gli aveva mostrato ogni
singolo locale, negozio, finestra di amici o lampione di Diagon Alley;
diversamente
da come si era immaginato al suo arrivo non era un quartiere magico
vero e
proprio, solo una via principale con un paio di laterali strette come
vicoli. Le
case vi si affastellavano una addosso all’altra in un
concatenarsi di balconi,
torrette e finestre, quasi la metropoli Babbana che lo conteneva le
avesse
lasciato poco spazio in cui svilupparsi. Era un posto bizzarro, ben
diverso da
quello bostoniano di North End, dove ormai Babbani e maghi convivevano
gomito a
gomito tra appartamenti di due piani in mattoni e ristoranti italiani.
“Non mi ero mai
accorto che in
Europa fossimo così isolati.” Osservò
mentre concludevano il tour per
l’ennesima volta sulla piazzetta in cui terminava la strada.
Avevano camminato
molto e Lily non aveva smesso un attimo di parlare.
Allora
perché ho l’impressione che non ci siamo detti
niente?
“Statuto
di Segretezza Ren!” Si
strinse le spalle; era deliziosa quella sera, con i capelli acconciati
in tante
morbide onde ramate e un vestito di leggera stoffa estiva, con
fiorellini
bianchi su sfondo blu. Ricordava nebulosamente di averglielo visto
spesse volte
in foto; doveva essere il suo preferito.
Bellissima.
Un dato di fatto. Un dato di fatto
oggettivo.
Chiunque dotato di un paio
d’occhi l’avrebbe detto, persino Milo, indifferente
alle grazie muliebri.
“C’è
anche in America.” Ribatté.
“È uno stato firmatario, anche se con una clausola
di opting-out che permette
di
non dover tenere separate le case private magiche da quelle Babbane.
Per questo
i quartieri magici non necessitano di essere nascosti. Io abito in uno
stabile
Babbano.”
Ma
che bella lezioncina…
Arrossì alla voce
malevola
della sua coscienza.
Lily gli rivolse un sorriso divertito, apparentemente non infastidita
dal tono
cattedratico che aveva usato. “Penso tu sia l’unica
persona al mondo che studia
Cooperazione Internazionale Magica per divertimento.”
Disse chinandosi per immergere la mano nell’acqua illuminata
da riverberi di un
azzurro elettrico della fontana; doveva essere incantata.
“Sono un agente
con mandato
internazionale, fa parte del bagaglio di conoscenze che si suppone
debba
avere.”
“Sì,
vallo a dire a persone
come Jamie o zio Ron!” Sbuffò. “Penso
che non si ricordino neppure quando è
stata scritto, lo Statuto.”
“Nel…”
“Ren.” Inarcò le sopracciglia.
“Io lo
so.”
“Sì, naturalmente, scusami.”
Deglutì sentendo un peso in fondo allo stomaco; il
disagio andava ad ondate. Finché Lilian parlava riusciva a
dimenticarlo, occupato
ad ascoltare il suono della sua voce cristallina e
dell’accento che così tanto
gli ricordava le loro lunghe passeggiate nel prato immenso di Hogwarts.
Ma quando lo guardava o
rimanevano
in silenzio – anche se solo per pochi attimi,
l’altra trovava subito un nuovo
argomento di conversazione – eccolo che tornava potente.
Cinque
anni. Scriverci non è la stessa cosa. Mi riesce
più facile, quando scrivo.
Si rendeva conto di essere
manchevole
sul piano relazionale; glielo aveva reso ben manifesto maghi come
Johannes e
Murphy e anche se in modo meno crudele anche Milo e il Capitano.
Sì,
ma non sei neppure irrimediabile. Tira fuori il
coraggio. Parla.
Si impose dunque di prender
la
parola per la prima volta in quella serata. “Come
… come sta il tuo ragazzo?
Scott?”
Sul serio? Chiedergli del suo ragazzo? Di
tutti gli argomenti che potevi scegliere e ti avrebbe fatto piacere
ascoltare …
Il suo ragazzo?
Sei
un idiota.
Lily fissò il
ragazzo di
fronte a sé presa in contropiede: onestamente non si sarebbe
aspettata che
prendesse la parola. Era stata un’ora e mezzo di dialogo
unilaterale e anche se
se l’era aspettato – Sören non era un
chiacchierone, mai stato – aveva dovuto
attingere a tutte le sue doti di conversatrice di nulla per non far
cadere il
silenzio.
Non
è semplice.
C’era una barriera
tra di
loro, dovuta al reciproco imbarazzo, al loro passato e al fatto che non
si
vedevano comunque da cinque anni.
Non
sta andando totalmente da schifo … ma speravo
andasse meglio.
L’aveva pensato e
poi Sören se
ne era uscito con quella frase.
“Bene.”
Disse senza
rifletterci troppo dato che comunque era la verità.
“Lavora, fa un mucchio di
sport selvaggiamente Babbano e si comporta da perfetto, bravo
ragazzo.”
“Sono contento,
sembra una
brava persona.” Si schiarì la voce ed era
… Ren.
Fino alla punta dei capelli corvini, con la schiena dritta come un
bastone e lo
sguardo troppo serio e il vizio di mordersi l’unghia del
pollice destro –
sempre il destro - quand’era nervoso.
Non
ha mai finto, neppure quando si supponeva dovesse
farlo. Non con me, non ci riesce.
Come aveva potuto pensare di
rimanere arrabbiata con lui?
“Lo
è.” Assentì e si trovò
nella curiosa posizione di non sapere cosa dire.
“Lui …
sa …”
“Di te?” Indovinò.
“Sì, gliel’ho detto due giorni
fa.”
“Due giorni fa?” Il tono si tinse di
incredulità e Lily provò un inspiegabile
senso in colpa. “Non gli avevi…”
“Non ho mai parlato di te a nessuno dei miei ragazzi. Devi
ammetterlo, non sei
un argomento facile da trattare.” Cercò di suonare
tranquilla ma lo sguardo
ferito la colpì come uno schiaffo – Merlino per
essere un Occlumante l’altro
neppure tentava di nasconderle le
sue
emozioni. O forse era il suo potere?
Non
guardarmi così!
“Non intendevo
dire…” Si
umettò le labbra ignorando l’impulso di
abbracciarlo; non erano neanche
lontanamente vicini a quel punto della loro amicizia e no, non era
comunque il
caso. “…
Ren.” Sospirò, e si sedette su
una delle panchine che chiudevano circolarmente la fontana. Le sembrava
una
buona idea, ma l’altro rimase in piedi, fermo come un palo. “Siediti.”
Dovette ordinargli perché lo
facesse. “Sei mio amico, e mi piace
parlare di te, okay? Solo non con chiunque.”
Non
con il mio ragazzo. Merlino, suona male, eh?
“Non devi
giustificarti,
Lilian.”
“Non lo sto
facendo.” Morgana
glielo risparmiasse. Stava solo puntualizzando.
“Sono…” Si voltò verso di lui
e gli prese una mano, di scatto, repentina. Era
impulsivo? Forse. Ma in fondo era solo prendergli una mano, e non era
come se
volesse leggerlo con il suo potere. “Sono fiera di
ciò che sei diventato. Te
l’ho scritto per lettera e lo penso. Lo sai, vero?”
Davvero,
Ren. Se solo molti idioti tirassero fuori la
testa dal sedere capirebbero quanta strada hai fatto.
Erano le parole giuste
perché
l’intero viso si rischiarò. Si era scordata di
quanto riuscisse a cambiare
faccia quando degnava l’universo mondo del suo sorriso. “Certo.”
“Bene.”
La pelle dell’altro
era bollente. Si era scordata anche di quello.
Fatti
un bel recap, Rossa.
“È solo
che con Scott … Beh,
non eravamo ancora a quel punto
del
rapporto. A dirla tutta a quel punto
ci sono arrivata solo con lui.”
Sören fece una
smorfia
impercettibile, forse infastidito dalla cripticità della
frase. “Quale punto?”
Lily ridacchiò.
“Sai, dove
tiri fuori un po’ di Mollicci dall’armadio e speri
che l’altro non dia di matto
e fugga a Waikiki?”
“Stai dicendo
che sono un Molliccio?”
“Cosa? No, ma che
ti viene in
men…” Poi capì da come stava inarcando
il sopracciglio – marchio di fabbrica
che lo accomunava a Piton ed era davvero sconcertante come riuscissero
a
somigliarsi somaticamente avendo solo una manciata di geni in comune
– che la stava
prendendo in giro. “Quanto sei scemo.”
Sbuffò. “Parlavo della mia adolescenza
scervellata.”
Sören si
limitò ad un sorriso.
“Niente Passaporta sola andata per Waikiki dunque?”
Gli diede un colpetto sul
fianco. “Già, pare che sia abbastanza
testardo.”
“Sono contento per
te.” E lo
era, perché Lily meritava un ragazzo che non scappasse in
nessuna dannata
località remota; che la amasse alla luce del sole e non
fosse intimidito dalla
fama della sua famiglia o dalla corazza da ragazza frivola che
indossava per chi
non aveva la pazienza di volerla conoscere.
Lo
sono.
“Grazie.”
Gli passò una mano
sul braccio ed era bello. Il
contatto
fisico non lo saziava mai abbastanza e probabilmente era una delle cose
che
prima o poi avrebbe dovuto tirare fuori con la sua Psicomaga. Non che
lo
volesse da chiunque, ad ogni buon conto.
Certo
non da Murphy. O da Potter.
Lily si abbandonò
poi sulla
panchina. “Ci siamo riusciti finalmente.” Disse con
un mezzo sorriso.
“A far
cosa?”
“A parlare di
qualcosa di
serio e non di aria fritta.” Ghignò appena e
Sören capì che la stessa
sensazione che aveva avuto lui per tutta la sera l’aveva
avuta anche l’altra.
Sorrise di rimando.
“Sì.”
Assentì. “È …
difficile.” Azzardò.
“Diavolo, lo
è!” Esclamò l’altra
con un’aria di buffo sollievo. “E giusto per la
cronaca, sono ancora
arrabbiata.”
“Ne hai il diritto.”
“Non
assecondarmi!”
Gli venne da sorridere ancora più spontaneamente quando
capì che lo stava
prendendo in giro.
È
una cosa buona. Quando mi prendeva in giro, ad
Hogwarts, era un buon segno.
Doveva esserlo ancora.
“Pensavo che farlo garantisse la chiave per entrare nelle tue
grazie.” La
stuzzicò ottenendo una risata franca, pulita e vera.
“Oh, certo che
sì!” Gli occhi
presero una sfumatura calda e Sören sentì la pietra
che aveva nello stomaco
sgretolarsi come se un fiume l’avesse erosa per mille anni.
Ed erano passati solo
pochi minuti.
Le
parole hanno tutt’altra forza quando sono dette, e
non scritte.
“So che non mi
sono comportato
bene. Mi dispiace.” Disse dopo un po’, mentre
entrambi contemplavano lo
zampillare quieto dell’acqua. Non era più un
silenzio pieno di pesantezza.
Certo, era sempre un po’ disagiante ma andava bene
così. “Ti avevo fatto una
promessa, e non l’ho mantenuta.”
Ci
sono margini di miglioramento.
“Non è
stata colpa tua. Hai
solo eseguito gli ordini … E non preoccuparti, mi sono
lamentata con chi di
dovere.” Scosse la testa, passandosi le dita trai capelli.
“Non succederà più.”
Attestò e Sören non poté far altro che
annuire.
Suo
padre. Forse è per questo che ha voluto parlarmi
questo pomeriggio?
“Non eri tenuta ad
incontrarmi.”
Obbiettò perché se avevano cominciato a parlare
come due amici e non come due
estranei dentro un ascensore bloccato, dovevano farlo fino in fondo.
Lilian gli scoccò
un’occhiata
perplessa. “Tenuta? Siamo
amici, non
sei un obbligo!” Se solo fosse stato così
semplice, pensò, ma non lo disse. Era
stato edotto del fatto che c’erano momenti per parlare e
momenti per stare in
silenzio. Era bravo soprattutto in quest’ultimi.
“Solo che … beh, l’hai detto
tu, non era facile.”
“Non siamo
più davanti ad una
lettera.” Commentò e dovette essere la cosa giusta
da dire perché l’altra
assentì.
“Infatti.”
Fece poi un
movimento con le mani per abbracciare un palco immaginario; aveva
dimenticato
quanto gesticolasse. La rendeva molto buffa e decisamente meno
irraggiungibile.
“Dal vivo, caro il mio Ren. Niente prove, pura
improvvisazione.”
“Non sono bravo
nell’improvvisare.”
“Te la stai cavando alla grande.” Gli
strizzò l’occhio dandogli un colpetto
alla spalla. “Sai già quanto rimarrai?”
Si strinse nelle spalle.
“Abbiamo delle piste da seguire, ma in questi casi
è difficile dare una
tempistica esatta.”
“Qualche
settimana?”
“Forse.”
Non si sbilanciò. “Perché?”
Venne guardato con
sufficienza. Cos’aveva detto di sbagliato?
“Perché forse
vorrei farti vedere la Gran Bretagna!” Sören si
impose di non
registrare la capriola che fece il suo stomaco. “Per
metà sei inglese … Hai mai
visto le scogliere di Dover?”
Finse un quieto interesse.
“Lo
sai, no.”
“Appunto.” Gli diede un altro colpetto sulla spalla
e stavolta fu più sicuro,
meno sperimentale. “Certo, sei qui per lavoro, ma nulla
toglie che tu possa
fare il turista, no?”
Ci
stiamo provando. Stiamo provando ad essere amici davvero.
Si sentiva come quando il
Capitano Gillespie gli aveva consegnato distintivo e bacchetta; provava
la
stessa ebbrezza. “Suppongo tu abbia ragione.”
“Certo, ce l’ho sempre!”
Scrollò le spalle alzandosi in piedi. Una lieve
esitazione le tremò nei lineamenti che sì, erano
così diverso dal vederli in
foto. Erano vivi, e vibranti. Poi gli tese la mano.
“Bentornato in Gran
Bretagna, Sören.”
La prese e la strinse e si
scordò anche che era quella
mano
perché, incredibilmente, con Lily non aveva mai avuto
importanza.
“Felice di essere
qui.”
But
you and I now, we can be alright
Just hold on to what we know is true
You and I now, 'though it's cold inside
Can feel the tide turning…
****
Note:
In fandomese
questo capitolo può essere considerato solo come fluffangst. Decisamente.
Capitolo abbastanza musicale
visto che questa è la canzone ad inizio
capitolo, questa
quella che si ascolta Lily aspettando Sören e infine questa
quella
alla fine. 1. Virulenza:
capacità di
un agente patogeno (anche virus) di diffondersi in un organismo. Quanto
si
attacca insomma. Il raffreddore per dirsi è molto virulento.
Info qui
Ringrazio Marta
Nalesso per le dritte che mi ha dato sulle patologie, virus e
roba varia. È stato un discorso abbastanza traumatico, ma
cavolo, se mi ha
aiutato nel plotting! XD
Grazie MOSTRUOSAMENTE anche a chi mi recensisce; purtroppo come al
solito
riesco a malapena a scrivere, tra il lavoro e i mille casini che mi
trovo a
gestire in questo periodo. Credetemi, le vostre recensioni sono uno dei
momenti
più belli della giornata! <3
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