Opera al Nero

di Dira_
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Capitolo XIII

 


 
Oh these little earthquakes
Here we go again…
(Little Earthquakes, Tori Amos.)
 





 
Londra, Farringdon, magazzino Purge&Dowse, ovvero…
San Mungo, Ora di cena.
 
Ad Albus piaceva l’odore di erba medica del San Mungo; sin da quando era bambino aveva adorato quel misto pungente e fresco che molti, persino trai Guaritori, trovavano stomachevole. Con gli anni l’aveva solo apprezzato, dovendo spesso ficcare la testa in pentoloni di pozioni ribollenti dall’odore poco invitante. Per questo al San Mungo si sentiva a casa; i pannelli di legno scuro, le luci regolate sempre in un alone basso e avvolgente, gli odori, le parole a bassa voce e i tappeti imbevuti di Pozioni Sterili che ricoprivano l’intera superficie lo facevano sentire al sicuro.
È un ambiente che capisco, è mio.
Non era posto per tutti, se ne rendeva conto: molte persone, dovendo a che fare con le malattie e con la morte – anche se statisticamente meno ricorrente che negli ospedali Babbani – si intimorivano, e affibbiavano al posto sentimenti negativi.
Noi qui salviamo le persone. Certo, non tutte e non sempre. Ma ehi, magie non miracoli.
Per questo si era sentito personalmente invaso quando la Magia era venuta a mancare e Liam Flannery li aveva attaccati. Era stato un attacco che l’aveva colpito nelle fibre più intime del suo essere, quelle che probabilmente condivideva con suo padre e James perché in quei giorni si era sentito arrabbiato e piuttosto agguerrito.
“Stasera Finnigan’s?” Lo apostrofò Achille, riscuotendolo dai suoi pensieri. Tornò sulla terra e chiuse con un colpo leggero l’armadietto dove riponeva ogni sera il camice e gli attrezzi del mestiere. Lo fece con cura, controllando di non essersi lasciato scivolare nulla in borsa per sbaglio; quando Smeth aveva scoperto che la sera del black-out era uscito dall’ospedale vestito come se dovesse operare per poco non gli aveva staccato la testa con una Maledizione.
Ehi, fuori c’era Tom, non è che esattamente abbia capacità di pensiero razionale quando quel cretino è nei paraggi e si ammazza di pare mentali.
“Altro impegno.” Sorrise dismissivo. “Londra Babbana.”
Michel e i suoi Gufi depressi. Chissà che diavolo gli è successo per chiamare un meeting di emergenza.

“Babbanofilo.” Ghignò l’altro dandogli una spallata giocosa. “Dì un po’, non è che un giorno ti ritroviamo con un coltello in mano a squartare senza-magia in nome della loro scienza?”
“Non sarò mai un chirurgo Babbano, mi fa troppa impressione il sangue.” Ridacchiò di rimando.
“Sofia sarà molto delusa.” Osservò Achille mettendosi la borsa a tracolla e seguendolo fuori dagli spogliatoi. “Sono mesi che cerca di vederti seduto al suo stesso tavolo con qualcosa di alcolico in mano.”
“È dall’Accademia che cerco di spiegarle che sono gay. Nessuno ha mai ciò che vuole, pare.” Sospirò alzando gli occhi al cielo.

“Beh, non è che tu glielo abbia mai detto chiaro e tondo.”
“E l’ultimo party di San Valentino?”
“Vuole convertiti al culto delle Sacre Tette. Non disprezzarlo, ha tradizioni millenarie.” Gli assicurò  con gli occhi che brillavano di divertimento.

Sì, scommetto sia stato esilarante vedermi giostrare impazzito tra Sofia e il mio ragazzo che voleva trasfigurarla in una gallina.
“Non è che lo disprezzi, non lo comprendo, tutto qui.”
“E di questo noi adepti al Sacro Culto ti saremo sempre grati!” Ghignò passandogli un braccio attorno alle spalle con fare cameratesco. “Senza offesa, Potter, ma tra te e tuo fratello … beh, è un sollievo avervi fuori dal mercato.”  

“Come sei serpeverde, Light.”
“Orgogliosamente tale!”
Ridacchiarono, scendendo le scale e parlando del più e del meno. Era grato al collega; erano le persone come lui, con pensieri ordinari e vite comuni, che gli ricordavano cos’era la normalità e quanto fosse dannatamente importante che non lo dimenticasse mai.

Eroi, figli di eroi, maghi incredibili e complotti internazionali … È dura essere un Potter.
Entrando nell’ascensore rifletté e tentennò un po’ prima di schiacciare il pulsante del piano Malattie Infettive. “Faccio uno stop a vedere come sta il Sergente Flannery.” Spiegò all’occhiata inquisitoria dell’altro. “Ci vediamo domattina.”
 
Vedere il Sergente Flannery, che nei suoi ricordi di ragazzino era sempre stato un gigante dalla risata tonante e le braccia salde come querce, ridotto ad un corpo esanime dentro una teca di vetro era … terrificante.
Albus si morse un labbro, distogliendo lo sguardo e appoggiandosi alla parete dietro di sé; sin dall’infanzia avere qualcosa di solido a cui sostenersi era sempre stata una grande consolazione.
Miei amati muri.
Uno dei privilegi di lavorare in quel posto era non dover badare all’orario delle visite e potersi muovere a suo piacimento.
E soprattutto, capire che cavolo c’è scritto nelle cartelle mediche.
La prese dal fondo del letto a cui era agganciata e la scorse con lo sguardo; confermava le sue paure. Non c’erano stati miglioranti nelle condizioni dell’auror e l’Incantesimo di Stasi che lo teneva sospeso in un limbo di sonno forzato non aveva vacillato o aveva dato segno di allerta.
Non si sveglia. Non si sveglia ed era nella squadra di Jamie e di Sy …
Sentendo una mano sulla spalla sobbalzò violentemente; si tranquillizzò solo quando vide a chi apparteneva. “Ciao Sam.” Salutò con aria imbarazzata il Capo Guaritore, ricordando che la sua presenza lì non fosse esattamente autorizzata, sebbene neppure vietata.
Di certo però non dovrei sbirciare in cartelle mediche che non seguo … Se lo sapesse Smeth.
“Non lo dirò a Smethwyck Al, non fare quella faccia spaventata!” Ridacchiò il mago indovinando il corso dei suoi pensieri. “Anche se potevi avvertirmi che eri qui. Gli Allievi non dovrebbero visitare non accompagnati…”
“Ho avvertito l’auror di guardia.” Borbottò stringendosi nelle spalle.

“Come se una recluta fresca di Accademia potrebbe mai fermare il figlio del proprio capo.” Ghignò senza cattiveria l’uomo. “Siamo a Malattie Infettive Al, ci sono procedure da seguire.”
“Se intendi l’Incantesimo Disinfettante…”
“So che te lo sei lanciato addosso, non sto dicendo che sei un idiota.” Lo fermò lanciando uno sguardo al paziente di fronte a loro. “Solo che … qualunque cosa abbia il Sergente Flannery non è niente che conosciamo.” Aggrottò le sopracciglia. “E da quel che non si conosce è sempre meglio stare all’erta, lo sai meglio di me.”
“Certo.” Convenne. “Quindi … le analisi?”

“A parte una concentrazione anomala di magia del sangue non abbiamo riscontrato nulla di insolito.”
“E gli occhi bianchi? Sembra essere sintomo di un virus… Cambiamenti somatici, come per la Spruzzolosi.”

“Infatti.” Convenne. “Si comporta come un virus, ed è chiaramente trasmissibile se l’ha contratto da quell’americano, ma non sappiamo come e non sappiamo, soprattutto, cos’è.” Si passò una mano trai capelli con aria stanca. “Abbiamo mandato dei Gufi all’Archivio Infettivo Generale.”
“L’Archivio Centrale delle Malattie Infettive Magiche? Quello a Bruxelles?” Indovinò anche se non conosceva bene la materia. “Pensate che ci siano dei precedenti?”

“Vale almeno un tentativo.” Si strinse nelle spalle. “L’unico sintomo importante che abbiamo è l’aumento del livello di magia del sangue. Quello di Howe conteneva la magia di almeno cinque maghi, quello del Sergente Flannery … beh. Dieci.”
“Esponenziale?” Quella non era una bella notizia. Per niente. 

“Forse è dovuto anche al fatto che è un auror.” Fu la replica razionale. “Come sai la capacità magica di un mago è come un muscolo. Più viene utilizzata più si rafforza, ha resistenza e potenza. Sam Howe era un mago normale, Liam Flannery un agente addestrato, sono differenze sostanziali da cui partire.”
Al annuì. “Qual è la virulenza¹?”
L’irlandese ci rifletté, scorrendo la cartella che aveva preso in mano con lo sguardo. “Non abbiamo ancora dati certi … Ma non credo ci sia da preoccuparsi di un contagio diffuso, non finché il Sergente rimane confinato qui.”
“Periodo di incubazione?”
“L’abbiamo stimato dai tre ai cinque giorni. Certo, senza altri casi e con il fatto che hanno rubato le ceneri di Sam Howe…”
“È difficile fare una statistica.” Concluse per lui. “Ho capito. Grazie per le informazioni.” Sorrise. “So che non mi sono esattamente dovute.”
“Non credere, sai.” Lo stupì. “Sto pensando di chiedere un consulto a Smeth. Questa malattia si comporta in modo anomalo, e intacca le capacità magiche, più che un organo in particolare. Sembra quasi il risultato di un incantesimo.” Scosse la testa. “Se vogliamo venire a capo di qualcosa è il caso che mettiamo le teste assieme per farle funzionare.”

 
 
Tom sapeva esattamente quando ad Albus frullava qualcosa in testa; e non cosa ordinare per cena o cosa chiedere a Meike di mettere assieme per non farli morire di carenze vitaminiche. Qualcosa di grosso, come un pensiero tenace che cancellava tutto il resto.
Me compreso.
Il che era un po’ seccante, ma nulla che non potesse comprendere, quindi non fece particolari rimostranze quando l’altro varcò l’ingresso del laboratorio per salutarlo a malapena, rivolgendo un cenno distratto a Stevens. L’artigiano, cieco e forse per questo sensibile alle atmosfere che una persona poteva portarsi dietro, fece un sorrisetto consapevole e si eclissò.
Sì, le grandi menti pensano in modo simile.  
“Sei pronto ad andare?” Venne apostrofato con uno sguardo a tutto e niente in particolare. “Stasera cucina Mei e sai com’è sugli orari.”
“Tedesca?” Ironizzò. “Sto finendo e non me ne vado con un lavoro fatto a metà.”
Al batté le palpebre, riconoscendola. “Allora stai lavorando sulla bacchetta di Mike.”
“Per quanto la frase suoni inappropriata, sì. È il mio lavoro.”
“Cretino.” Replicò con un sospiro, sedendosi sul ciglio del tavolo e ignorando di essersi appena riempito i pantaloni di trucioli di segatura. “Bravo, comunque … credo che la bacchetta che usi adesso non gli piaccia un granché.”
“Ovvio, è di suo padre.” Replicò sistemandosi due lenti progressive per poter ingrandire una sezione del nucleo della suddetta. Ripararlo invece di sostituirlo era un grattacapo, considerando l’entità del danno, ma Zabini era stato estremamente puntiglioso su quello e dopotutto non poteva non dire di capirlo.

Se cambi il nucleo ad una bacchetta è come farla morire e usarne le spoglie per crearne un’altra.
“Già … non che quei due vadano molto d’accordo.” Considerò distrattamente Al, passando un dito sul ripiano da lavoro per raccogliere i trucioli. “Specie da quando si è risposato ed ha avuto un figlio.”
“Lo si evince dal fatto che nessuno di noi sa il nome del fratellastro.” Replicò non particolarmente prono a far conversazione, ma solo per capire quanto l’altro fosse immerso nei suoi pensieri.

“Già…”
Appunto. Tu il nome lo sai.

“Stavo pensando di auto-proclamarmi Signor dell’Universo Conosciuto entro il finesettimana.” Disse con tono discorsivo. “E magari schiavizzare l’intera popolazione magica.”
“Sarebbe carino…”

“Sì, infatti. Aspetta cos’ho da dire sui Babbani, sono idee innovative e sicuramente destinate al successo.”
“Oh, ce … cosa?” Si riscosse di colpo squadrandolo sconcertato. “Quanto sei imbecille.” Brontolò. “Sul serio, questo tuo umorismo nero…”
“Non mi stavi ascoltando.” Il che era semplicemente seccante. “Cosa c’è?” Gli premette un dito sul fianco facendolo sobbalzare. “Quale delle ventimila cosa che non dovrebbero riguardarti ma di cui non puoi fare a meno di impicciarti ti preoccupa?” 

“Stai rischiando di esser Schiantato, ti avverto.” Sbuffò irritato, ma il lampo di sollievo che gli attraversò lo sguardo c’era e doveva voler dir qualcosa.
Qualcosa che non mi piacerà.
Lo prese per il polso e lo tirò a sé, facendolo docilmente scivolare sulle sue ginocchia; l’unico lato positivo di averlo in quello stato d’animo era poterlo maneggiare agevolmente. Infilandogli infatti una mano sotto la maglietta per accarezzargli la pelle del fianco gli valse solo uno schiaffetto ininfluente. “Al.” Lo richiamò all’ordine. “Cosa succede?”
“Potrei occuparmi di Liam … dico, come Guaritore. Allievo Guaritore … assieme a Smeth, potrei chiederglielo, perché sono un Allievo, no?” Snocciolò in fretta. “Sam vuole chiedere un parere a Lesioni, e…”
No.” Lo fermò prima che potesse continuare. “Non pensarci neppure.”
“Sarebbe un’esperienza altamente professionalizzante!”  Esclamò con un luccichio pericoloso negli occhi.

Ambizione. Ci ha messo anni a venir fuori, ma è sempre stata lì …
Il che lo rendeva immensamente attraente ai suoi occhi, ma non era quello il punto. “Lo fai solo per quello?”
L’espressione che gli venne restituita fu quella di una volpe presa dentro una gabbia delle galline. Identica. “Beh…” Borbottò. “… è davvero un caso medico senza precedenti e un virus di cui non si sa niente, e…”
“Non lo fai quindi per essere informato del caso in cui è accidentalmente coinvolta metà della tua famiglia.”
“Beh…”

“Non so neppure da dove iniziare per definire l’idiozia della cosa.”
“Tom!” Gli diede uno schiaffetto sulla spalla, ma c’era più senso di colpa che reprimenda. “Liam è un amico di famiglia, e … sì, è vero, sono preoccupato per Jamie, ma al di là di tutto è un’occasione notevole, e Achille e Sophia sono ottimi Allievi, ma…”
“Non sono alla tua altezza.” Ghignò accarezzandogli le vertebre con la punta delle dita e facendolo rabbrividire. C’era qualcosa di eccitante nel modo in cui Al si sentiva palesemente superiore agli altri senza mai darlo a vedere.

È un bel passo da quando da bambino pensava di essere l’esatto contrario. Finalmente se n’è reso conto.
Del resto non l’avrebbe mai scelto come compagno se non l’avesse pensato suo pari.
“Non ho detto questo.” Fu la replica come al solito diplomatica. “È che non sono stimolati quanto lo sono io e sì, anche perché ci sono persone a cui voglio bene coinvolte.”
Tom glissò sulla propensione Potter-Weasley a mettersi di traverso quando c’era qualche familiare coinvolto. Non aveva voglia di litigarci sopra.“Cosa ti dà la certezza che Smethwyck vorrà un Allievo trai piedi?”
“Niente.” Convenne con un sospiro. “Ciò non toglie che possa comunque propormi.”
“Ti darà dell’esaltato.”
“Dove sarebbe la novità?” Gli passò le braccia attorno al collo. “Pensi che non dovrei farlo?”

Non era una vera domanda. Al aveva già deciso, esattamente come aveva fatto anni prima quando aveva deciso di seguirlo nella faccenda di Von Hohenheim.  La cosa lo spaventava e faceva infuriare al tempo stesso e fu per questo che lo sciolse dall’abbraccio facendolo alzare. Al lo guardò esitante, forse intuendo il suo brusco cambiamento d’umore.
“Tom?”
“Penso che non ti interessi davvero il mio parere.” Rispose infine con una smorfia.
“Non è vero!”  

“Che io non sia d’accordo, che io pensi tu sia troppo coinvolto, influenzerà la tua decisione?” Chiese allora guardandolo dritto negli occhi e Al finì inevitabilmente per distogliere lo sguardo, troppo trasparente per riuscire a dissimulare con lui. “Come immaginavo.”  
L’altro rimase perso nella contemplazione delle sue scarpe per una manciata di secondi, prima di chiudere gli occhi. “Hai ragione.” Ammise piano. “Ma non riesco a togliermi dalla testa … Se succedesse…” Inspirò bruscamente e si passò una mano sul viso. “… se si ammalasse James? O uno della loro squadra? Io … io ho bisogno di sapere che sta succedendo. Voglio poter essere in prima linea … per fare qualcosa, e non rimanere a guardare.”
Hai bisogno di controllare la situazione. Ecco l’eredità che ti ha lasciato Harry. Quello in cui ti ho trascinato cinque anni fa l’ha solo esacerbata.

Al mosse qualche passo verso di lui. “Sei arrabbiato?” Chiese con un’espressione che gli sarebbe valsa un Oscar come capacità persuasiva. Era quella dannata faccia contrita ad averlo fregato sin da bambino e l’avrebbe probabilmente messo nel sacco fino alla demenza senile.
“Tu al posto mio lo saresti?” Ritorse.
“Furioso.” Convenne con un sorriso leggero. “Non ti parlerei per giorni.”
“Non tentarmi.” Lo minacciò sentendosi assolutamente poco credibile. “Ciò non  toglie che possa comprendere le tue motivazioni.” Ammise, sebbene a malincuore, passandogli un pollice sulle labbra: avrebbe voluto rinchiuderlo in una torre altissima e essere l’unico essere al mondo ad avere la chiave; la parte oscura di sé non faceva che plaudire a quei pensieri.

Se solo potessi tenerti fuori da tutto …
È quando impari a tenere a qualcuno, che cominci ad avere paura.
Naturalmente non poteva e non era giusto, questo lo sapeva. Gli baciò quindi le labbra e ricambiò la stretta in cui lo serrò l’altro. “Promettimi che starai attento.”
“Non è come se dovessi andare in un campo di battaglia.”
Sospirò. “Per voi Potter è sempre questione di un campo di battaglia.”



****
 
Scozia, Hogsmeade, Foresta Proibita.
Dopocena.
 
La Luna mostrava il suo quarto più rotondo quella sera e James si trovò ad ammirarla e ringraziarla silenziosamente per rischiarare la cupa foresta in cui camminava da una buona oretta.
Luce nelle tenebre. Ehi, è un bel messaggio.
Ted a sua differenza sembrava guardare solo di fronte sé;  da bambino invece lo aveva spesso colto in giardino, seduto sull’erba e con il naso per aria, quasi volesse cercare di capirla, più che limitarsi alla mera contemplazione.
È la Luna che faceva trasformare Remus. Penso che sia sempre stata un po’ speciale anche per lui.
Accanto a sé Neville inciampò su una radice con un lamento soffocato. “Ehi, tutto okay?” Lo apostrofò afferrandolo per un gomito.
“Sì, sì…” Assicurò con un sorriso imbarazzato. “È che non ci vedo ad un palmo dal naso, a differenza di qualcun altro.” Sospirò divertito guardando la schiena coperta da un neutro maglione color bosco di Ted che aveva una vista notturna superiore a chiunque altro conoscessero, uno dei tanti lasciti paterni.
Di notte è meno goffo che di giorno.
Questo, sentendosi osservato, si voltò. “Mi dispiace.” Disse in tono di scuse. “Ma un Lumos qua attorno sarebbe come avere un faro in una notte di bonaccia.”
Neville assentì. “Dove dobbiamo incontrare Fiorenzo e gli altri?”
“Ci siamo quasi.”
E c’erano davvero. Fatte poche decine di metri si inoltrarono in un ampio spazio erboso, delimitato da rocce posizionate in modo troppo ordinato per essere casuale. Era un luogo di incontro e poco dopo infatti vennero circondati da un compatto rumore di zoccoli. “Magorian.” Ted salutò con deferenza il più grosso dei Centauri, dotato di una lunga criniera corvina e la faccia pitturata di bianco; dai segni distintivi James intuì fosse il capobranco.

Mai visto in vita mia, manco quando ero studente … Beh, neppure io ero tanto cretino da andare a disturbare tipi così.
“Mezzolupo.” Lo apostrofò, più constatazione che insulto, anche se a James non piacque comunque il tono. “Sono questi gli umani che hai portato con te?”
Ted aveva l’espressione calma delle grande occasioni ma James registrò come l’attaccatura dei capelli stesse sfumando rapidamente nel viola. “Ne avevamo parlato.”
“Lo ricordo.” Confermò il Centauro. “Abbiamo acconsentito alla loro presenza solo a patto non ostacolassero la caccia. Spero lo ricordino.” Concluse scoccando loro un’occhiata tagliente e James si sentì particolarmente preso in esame.

Puzzo di auror?
“Non è una caccia, Magorian. Siamo qui per aiutarvi a riportare equilibrio nella foresta.” Fu la risposta.
“Il Mannaro uscirà vivo di qui solo se non tenterà di attaccare uno di noi. Cosa che credo sia destinata a succedere, Mezzolupo.”  
James si scambiò un’occhiata nervosa con Neville. Ted aveva genericamente un buon rapporto con le creature della Foresta, avendo passato i suoi anni di studente a leggere sotto l’ombra di qualche suo albero.
Ma i Centauri … beh, non è che siano le creature più diplomatiche del pianeta.
“Sono certo che non dovremo arrivare a dover prendere decisioni in merito all’una o l’altra opzione.” Il tono di Ted era quieto e le parole non particolarmente dure, ma il messaggio sottopelle era chiaro.
Niente caccia, niente vittime sacrificali.
James si sentì piuttosto pieno d’orgoglio; c’era un sacco di gente che era disposta a classificare sbrigativamente Ted come un tipo poco pronto a farsi valere e invece amante del quieto vivere.
È tutto il contrario, cazzo. Tira su la testa quando è il caso di farlo.
Un lungo silenzio seguì quella frase e James sentì Neville muoversi nervosamente al suo fianco; poteva capirlo, l’idea di far incavolare il capobranco era abbastanza terrificante.
Vorrei evitare di menare la bacchetta contro dei Centauri. Siamo pure svantaggiati numericamente, e di brutto.
Chi risolse la situazione di stallo fu Fiorenzo: si staccò dal gruppo di arcieri per sussurrare qualcosa alle orecchie di Magorian. Qualunque cosa fosse funzionò, perché il Centauro più imponente, anche se sembrò inizialmente infastidito dall’intrusione, finì per annuire seccamente. “Venite.” Disse. “Vi mostreremo dov’è la tana.”
James scivolò accanto a Ted, posandogli una mano sulla spalla. La sentì incredibilmente contratta e premette piano le dita in un massaggio poco funzionale, ma presente. Gli venne restituito un breve e grato sorriso. “Tutto a posto?”
“Sì … prima troviamo il Mannaro e lo convinciamo a seguirci, meglio sarà.”
“E se non volesse?” Intervenne Neville ed era una buona obiezione.

“Dobbiamo solo sperare che sia ragionevole allora.”
Questo tizio non è Remus … se è vissuto nel branco del Galles sarà abbastanza selvaggio. E di sicuro poco collaborativo.
Non lo disse però, perché aveva la netta impressione che il compagno fosse già abbastanza teso di suo, senza aggiungere ulteriori pensieri a quelli che già stava macinando tra le sinapsi.
 
La Foresta Proibita non era mai un bel posto in cui essere quando calava il sole e solo la luna che quella sera splendeva, seppur incompleta, riusciva a non far sprofondare Ted nel nervosismo.
Aver coinvolto i centuari,  in quel momento rappresentati da una compatta mezza dozzina armata fino ai denti, stava cominciando a sembrargli un’idea balorda; Magorian era un capobranco giusto, ma maledettamente tenace nei suoi pregiudizi verso chiunque non fosse una creatura di quella foresta da secoli.
Credo non abbia accettato neanche le Acromantule, e perché sono qui solo da cinque generazioni…
Fiorenzo aveva fatto un ottimo lavoro di mediazione, tuttavia era ovvio che l’altro Centauro e i suoi fedelissimi non fossero assolutamente disposti a scendere a patti su un loro intervento armato nel caso le cose gli fossero sfuggite fuori controllo.
Devo assicurarmi che chiunque abiti nella tana esca vivo di qui. Devo.
“Non ci sentirà arrivare?” Chiese James che gli camminava affianco. “Voglio dire, tutto questo rumore di zoccoli… e poi i Mannari non hanno tipo il fiuto…” Fece una lieve smorfia. “Non mi ricordo bene.”
Ted sospirò. “Siamo sottovento, ma a parte questo il rumore degli zoccoli coprirà quello dei nostri passi.”

“Stile specchietto per le allodole?”
“Esatto.”
Magorian alzò il braccio in maniera inequivocabile e la piccola comitiva, loro compresi, si arrestò. “Oltre quella fila di massi.” Spiegò indicando di fronte a sé. “C’è il greto secco di un torrente e poi una serie di grotte. Il Mannaro ha trovato rifugio lì.”

Ted si scambiò un’occhiata con James e Neville: era ovvio e sottointeso che i Centauri non avrebbero sceso il letto ripido di un fiume e lasciavano quindi a loro il compito di andare in avanscoperta.
Meglio così.
“Bene.” Replicò. “Andremo avanti noi.”
“Vi copriremo le spalle.” Disse Fiorenzo con un lieve sorriso. “Cercate di spingerlo nella nostra direzione … faremo in modo di catturarlo.” Fece una breve pausa e poi forse, indovinando i suoi pensieri, soggiunse. “Cercheremo di evitare l’uso della forza per quanto ci sarà possibile.”
“È umano adesso, non sarà difficile immobilizzarlo.” Trovò proficuo puntualizzare, prima di incamminarsi verso il folto della vegetazione.
“Alla fine c’era davvero…” Borbottò James passandosi una mano trai capelli. “Teddy, senti … ma com’è possibile che un Mannaro si sia spinto fin qui?”
Bella domanda.
“Fino alla Scozia dici?” Aggrottò le sopracciglia scuotendo la testa. “Non ne ho idea … L’unica cosa che mi viene in mente è che sia stato cacciato dal proprio branco.”
“È una cosa che accade spesso?” Chiese Neville scostando una fronda ed occhieggiando il declinare accidentato di fronte a sé.

“Meno spesso di quanto non si pensi.” Spiegò incastrando la bacchetta tra la fibbia della cintura e i pantaloni, per aver presa sicura nel caso si fosse palesato un pericolo. Sperava davvero di non doverla usare. “… in realtà un Mannaro viene bandito per pochi motivi. Perché ha sfidato il capo per prenderne il posto ed è stato sconfitto o perché ha detto chiaramente che non vuole più far parte del branco.”
“E succede spesso? Che un membro si allontani spontaneamente?”
“Il senso di coesione interna è molto forte Nev, quindi no.” Scosse la testa, glissando sul far loro notare che un Mannaro, specie se cresciuto nel branco del Galles, aveva pochi posti in cui riparare e che quindi era poco incline a certe decisioni. “Glielo potremo chiedere quando lo vedremo.”

Vide l’uomo e James lanciarsi occhiate incerte e sospirò; non era così ingenuo da credere che la persona che si sarebbero trovati di fronte avrebbe acconsentito docilmente a seguirli, tuttavia a loro differenza sapeva che non avrebbero avuto a che fare con una creatura irrazionale.
Adesso è un essere umano.  
Inoltre non c’erano stati più attacchi, il che significava che aveva rinunciato a spingersi fino ad Hogsmeade, forse allertato dalle chiassose ronde cittadine che erano state organizzate.
Non mangerà qualcosa di consistente da giorni. Qua attorno ci sono solo muschi e licheni.
Scesero lungo la parete del fiume aggrappandosi a sassi e arbusti per non cadere e Ted capì che era quello il motivo per cui il Mannaro aveva scelto quel posto per farne il suo rifugio; le caverne di fronte a loro erano inaccessibili agli zoccoli dei Centauri.
“Come ci muoviamo?” Chiese James passandosi la bacchetta tra le dita con fare nervoso; era chiaro mordesse il freno per mettersi in azione, ma al tempo stesso fosse consapevole del fatto che quello non fosse un terreno di sua competenza.
“Tu cosa suggeriresti?” Le sue nozioni tattiche erano comunque più aggiornate di quelle che ricordava dei suoi anni d’Accademia.
“È una persona, quindi proverei a convincerlo ad uscire con le buone, più che stanarlo come suggerivano i nostri amici lassù.” Osservò meditabondo, guardando verso l’agglomerato di rocce di fronte a loro. “Anche se è meglio non far parlare me, l’auror. Certa gente salta subito alle conclusioni sbagliate.” Ghignò facendolo ridacchiare di rimando.
“Provo io allora…” Si schiarì la voce e poi puntandosi la bacchetta al collo lanciò un Sonorus. “So che sai della nostra presenza.” Iniziò con voce pacata. “Mi chiamo Ted Remus Lupin e sono un insegnante di Hogwarts, ma non sono qui per conto della scuola, né tantomeno del Ministero. Sappiamo anche che non mangi da giorni e che ti stai nascondendo dai Centauri … vogliamo aiutarti, dacci la possibilità di farlo. Se uscirai fuori ti prometto che non ti verrà fatto alcun male.”
Non vi fu ovviamente risposta; Ted se l’era aspettato e passò le dita sul manico della bacchetta. “Okay.” Pronunciò dopo ancora qualche attimo d’attesa. “Dividiamoci e cerchiamolo. Non può essere andato troppo lontano.”
“Sicuro che non sia fuori a caccia?” Interloquì Neville.

Ted sorrise appena picchiettandosi il naso e James alzò gli occhi al cielo mentre l’altro lo guardò senza capire.
“L’odore, Nev.” Spiegò un po’ imbarazzato. “Lo sentono i Centauri, ma lo sento anche io. È qui vicino.”
“Non sai quanto diventa rompiballe in questo periodo.” Gli fece eco James. “Come una fottuta donna incinta.”
“Jamie!”

“Dì che non è vero, dai!”
Neville ridacchiò. “Io prendo la sinistra.” Propose conciliante prima di prendere ad arrampicarsi di buona lena.
Rimasero soli e Ted si sentì piuttosto sciocco di fronte all’aria divertita di James, sicuramente più preparato di lui in quei frangenti.  “Se senti o vedi qualcosa non … insomma. Non fare niente di avventato.” Non poté trattenersi.
“Mio Teddy, ti ricordo che caccio maghi oscuri. Se fossi avventato la metà di quanto credi che sia non sarei arrivato alla fine del mio primo caso!” Rise prima di prendergli il viso tra le mani e stampargli sulle labbra un bacio veloce. “Mi prendo il centro, tu va’ a destra. Fidati dell’auror qui presente, okay?”

Touché.
Non gli restò che obbedire di buon grado. Salire sul lato opposto del greto non era facile, tra la roccia liscia tipica della zona e il fatto che il terreno fosse coperto per la maggior parte da muschio scivoloso e radici umide. Scivolò un paio di volte e solo i riflessi gli impedirono di ruzzolare giù. Quando riuscì a risalire si ritrovò di fronte ad un apertura buia ed umida, abbastanza grande per far passare una persona accovacciata. Poteva essere l’entrata usata dal Mannaro.
Non fece in tempo a chiederselo che vide qualcosa muoversi nell’ombra, qualcosa di piccolo e molto svelto. “Ehi!” Chiamò cercando di addentrarsi senza sbattere contro qualcosa. Senza un Lumos, con quell’oscurità, era difficile vedere anche per lui.
Capì troppo tardi di aver abbassato la guardia proprio nel momento in cui non doveva; qualcosa lo strattonò prendendolo per il retro della camicia e perse l’equilibrio, cadendo all’indietro.
 
****
 
Londra, Diagon Alley.
Dopocena.
 
In five years time I might not know you
In five years time we might not speak
In five years time we might not get along
In five years time you might just prove me wrong

 
Tom sosteneva che a volte la musica era incapace di capire lo stato d’animo del proprio ascoltatore. A volte invece la capiva sin troppo bene.
Lily stoppò l’incedere digitare del proprio lettore mp3 – regalo tra l’altro di quest’ultimo – mordicchiandosi le labbra.
Cinque anni.
Erano tanti. Un’eternità dal suo punto di vista, un lasso di tempo in cui le era successo di tutto, in cui era cambiata e diventata una persona diversa dalla piccola Lils, con la testa piena di idee assurde sulla vita che avrebbe dovuto vivere in quanto figlia del Salvatore, piena di avventure e incontri emozionanti. Cinque anni prima era più spensierata, felice e più sciocca. Cinque anni erano un sacco di tempo.
Aprì gli occhi sull’angolo di strada che poteva osservare appoggiata al muro di mattoni che divideva l’ingresso di Diagon Alley con Londra: la via era quasi deserta, tranne occasionali bande di ragazzi che facevano spola trai pochi locali notturni della zona. Un gatto nero le passò affianco e le rivolse un’occhiata di sufficienza prima di saltare dentro un vicolo buio come la pece e Lily vi perse lo sguardo per un po’ prima di specchiarsi ad una vetrina illuminata dal lampione sopra di sé: aveva un vestito delizioso, i capelli avevano una piega perfetta e i tacchi nuovi la facevano sentire una regina.
Stato d’animo giusto per incontrare i ricordi. Per incontrare Ren.
Tuttavia aveva smesso di ascoltare la musica per ammazzare il tempo perché aveva paura e anche se era un sentimento che detestava sentirsi addosso, il punto restava: aveva paura che quell’incontro non andasse per il verso giusto.
 E se non sappiamo cosa dirci una volta l’uno davanti all’altro? Se siamo troppo condizionati da chi eravamo? Se le lettere ci avessero ingannato? Se la nostra amicizia non avesse senso e se fosse sbagliata come dicono tutti?
Se, se, se …
Odiava quella particella perché aveva paura di restare delusa. Sören poteva non essere all’altezza dell’idea che si era fatta di lui in quegli anni e lei poteva non rispondere alle aspettative di un ragazzo che le aveva chiaramente detto più volte di esserle grato per averle indicato la giusta via.
Che poi non ho fatto un accidente. Sono solo dal lato giusto per nascita, tutto qui.
Inspirò ed espirò lentamente; esser arrivata un quarto d’ora prima non era stata un’idea brillante. Si stava innervosendo fuori misura.
È solo Sören, solo una chiacchierata e una passeggiata per Diagon Alley. Niente di cui esser preoccupati.
Davvero.
Se lo ripeté circa una ventina di volte ma non funzionò neppure una.
Quando stava quasi per andare a fare una passeggiata per scrollarsi di dosso l’ansia sentì dei passi avvicinarsi e poi la presenza di Sören la investì come una corrente d’aria calda dopo una doccia fredda.
“Lilian.”
Sei l’unica persona che ancora mi chiama così. Non ti ho mai corretto … e non è che non ne avessi avuto la possibilità, credo.
Sorrise al ragazzo di fronte a lei e rimase stupita dall’aria assolutamente normale che aveva; con i capelli liberi dal gel e vestito di un paio di pantaloni scuri e una maglietta su cui era stato buttato un giubbotto di pelle sembrava un banalissimo ventenne, forse solo un po’ troppo magro e dagli occhi un po’ troppo penetranti.
Ciao ragazzo normale.
… sì, i vestiti deve averglieli scelti Milo. Gli stanno troppo bene.
Non seppe come reagire alla cosa, quindi si limitò a scivolare nell’abitudine. “Buonasera Ren.” Salutò con il migliore dei suoi sorrisi. “Mi avevi detto che eri passato al lato Babbano della moda, ma non ci avrei mai creduto!”
L’altro la fissò spaesato per un attimo. “Ah, i vestiti.” Intuì. “In America risulterei un po’ ridicolo abbigliato altrimenti. Sono stato informato che i mantelli e le tuniche non vanno più di moda, oltre ad essere poco pratici per la mia professione.”
“Milo?” Indovinò; al San Mungo aveva notato come l’accento tedesco fosse meno forte di una volta, ma non si era accorta che avesse adottato quello americano: amalgamandosi con i suoni duri della sua lingua madre dava alla voce un tono più profondo. Era piacevole.

Ha sempre avuto una bella voce.
“Già.” Lily si sentì scomodamente nuda di fronte allo sguardo dell’altro. Sapeva che non lo faceva apposta, che era il suo modo di rapportarsi con la persona che gli stava davanti – anni prima a quegli sguardi si era addirittura abituata – ma non poté impedirsi un nodo allo stomaco e una vaga sensazione di allarme.
“Ho qualcosa fuori posto?” Chiese forse un po’ troppo bruscamente.
Certo che no, ho passato tre ore barricata in bagno. Papà credo abbia dovuto andare a farla nel bosco.
L’altro avvampò come ricordava solo lui sapesse fare. Era un colorarsi violento delle guance e niente da fare, lo trovava ancora maledettamente carino. “No … stai benissimo.” Mormorò. “È solo che non pensavo ti avrei rivista.”
Eh, no, non cominciamo con frasi del genere!

“Invece eccomi qua!” Sorrise smagliante perché era ciò in cui era più brava. “Allora … facciamo quattro passi? Scommetto che non hai ancora visto Diagon Alley come si deve!”
Sören le restituì un sorriso quieto, di quelli che avrebbe approntato per chiunque e Lily registrò il fatto con una punta di fastidio.
“No, infatti.” Convenne. “Vuoi fare gli onori di casa?”
Parla ancora come un libro stampato quando è in imbarazzo.
Quel fatto invece era consolante. “Assolutamente!”
 
 
****
 
Scozia, Foresta Proibita.
 
La forza che l’aveva spinto all’esterno della grotta aveva mantenuto la presa anche durante la caduta.
Ted impattò con dolore contro il declivio del fiume e la botta che sentì alla spalla destra e al gomito lo fece quasi svenire. Non ebbe il tempo per realizzarlo però, che rotolò in un intreccio di gambe e pugni serrati con il suo aggressore. Sbattendo con forza contro il letto asciutto del fiume cercò immediatamente di rialzarsi, mentre le narici gli si riempivano dell’odore di sudore selvatico che solo un essere umano che non era avvezzo al sapone poteva emanare.
Odore di Mannaro.
La persona che torreggiava di lui, tenendolo fermo aveva una corporatura magra, ma forte e i tendini dei muscoli sembravano corde d’acciaio coperte di stracci.
“Fe…” Tentò con la voce ridotta ad un sussurro sfiatato, tanto forte era stata la botta. L’altro respirava a tratti secchi, ma sembrava in migliori condizioni di lui che aveva fatto da cuscino ad entrambi. La luce della luna che filtrava tra le fronde illuminò lineamenti scavati dalla fame e una barba secca e stopposa, forse chiara. “… per favore!” Tentò levando una mano e cercando a tentoni la bacchetta con l’altra; non era naïve fino al punto di non rendersi conto che il suo aggressore non si sarebbe fermato ad un semplice richiamo verbale.
L’altro parve intuire le sue intenzioni perché con un ringhio che molto aveva di animale e poco di civilizzato gli afferrò il polso e strinse. Il dolore esplose in mille schegge dal polso fino al cervello e Ted urlò sentendolo spezzarsi. Cercò di scrollarselo di dosso, ma il tipo sembrava fatto di piombo o forse era lui che per il colpo riusciva a malapena a muoversi.
Doveva chiamare aiuto, doveva chiamare James e Neville, anche se dovevano essersi addentrati come lui all’interno dei cunicoli e non l’avrebbero comunque sentito. I Centauri? Erano al di là del greto, e sperava che si fossero accorti dei rumori, sperava…
Tentò di gridare dato che non poteva lanciare l’allarme con la bacchetta ma la mano grande e callosa del Mannaro gli tappò la bocca. Aveva occhi selvaggi, scuri come tizzoni e pieni di paura.
Uccidere per non essere ucciso. Crede che voglia ucciderlo. La legge della Giungla, vecchia e vera come il cielo.
Con il naso e la bocca schiacciati contro il palmo dell’altro non respirava ed era orribile, la morte peggiore che potesse capitare ad un essere umano. Con un ultimo guizzo disperato morse la pelle del palmo fino a sentire il sapore del sangue e l’aggressore con un urlo scattò indietro, quanto bastava per fargli gridare due sole sillabe, le prime che la sua mente sconvolta gli suggerirono.
James!
Il Mannaro era di nuovo sopra di lui; la forza animalesca e la crudeltà umana erano un mix letale. Questo levò il braccio, in mano un sasso capace di spaccargli la testa come una noce e Ted capì che stava per morire, lì, a pochi passi dall’uomo che amava e da casa loro.
No!
Poi qualcosa saettò al lato del suo orecchio destro. Qualcosa di sottile, rapidissimo e non un incantesimo. Lo sentì e poi vide il Mannaro irrigidirsi e lanciare un guaito simile a quello di un cane crollando a terra per la forza d’impatto della freccia che lo trafisse in pieno petto.
Teddy!
Libero, udì come sott’acqua la voce di James arrivare dall’alto, seguito dal rumore concitato di qualcuno che scendeva nell’alveo del fiume senza badare alla propria sicurezza.
Jamie.
Si voltò e di colpo le sue braccia furono piene di James. Lo strinse con forza, sentendo il tranquillizzante profumo del compagno, di casa. Strinse di rimando, ignorando le fitte che mandava ogni singolo osso o muscolo del suo corpo. “Sto bene.” Mormorò con la bocca impastata. “Sto bene, amore, sto bene…” Che era anche un rassicurarsi.
L’altro gli prese il viso tra le mani, controllandolo con occhi attenti e spaventati. “Non ti ho sentito, cazzo … eravamo dentro alle grotte, ho sentito solo quando hai urlato … È davvero tutto a posto? Sei caduto e…” Esitò lanciando un’occhiata spaventata alla strana angolazione che aveva preso il suo polso.
“È rotto, tutto qui.” Minimizzò. Udendo un secondo guaito provenire dove il Mannaro era caduto si liberò gentilmente della presa dell’altro. L’uomo – perché era un uomo – aveva gli occhi spalancati, vitrei e il respiro affrettato di chi cercava di non perdere conoscenza. E sangue, sangue ovunque. “James, la bacchetta!”  
Centauri. È una freccia dei Centauri.
Guardò verso l’alto e vide il branco di Magorian sul ciglio del ripido declinare; era proprio il capobranco a reggere l’arco che sembrava ancora vibrare del colpo.
“È qui!” Gli fece eco Neville porgendogliela. “Teddy…”
“Sta perdendo troppo sangue!” Tentò di lanciare un incantesimo Emostatico ma non ebbe che un effetto palliativo. Il pallore del volto del Mannaro era inequivocabile.

Neville gli si affiancò. “Teddy, le frecce dei Centauri sono avvelenate, serve l’antidoto.” 
“L’antidoto … dobbiamo portarlo ad Hogwarts allora!”
“Teddy.” Neville aveva un’espressione strana, che non riusciva a decifrare. Era calmo, troppo calmo considerando che un uomo stava morendo davanti a loro. E poi perché continuava a ripetere il suo nome? “Non faremo mai in tempo.”
“Possiamo Materializzarci lì! L’infermeria…”
“Non sopravvivrebbe al trasporto.”
“Allora…” Notò lo sguardo dell’ex grifondoro e improvvisamente capì. “Non possiamo lasciarlo morire!” 

“Possiamo fare in modo che non soffra.”
“Non è un animale!” Ruggì spintonandolo via – senza trovare resistenza tra l’altro. Si affiancò al Mannaro e gli lesse negli occhi un terrore infinito.

No, no … non morirai.
Si trovò a premere sulla ferita a mani nude, come un Babbano, come un Babbano che non aveva la minima idea di quel che stava facendo mentre sussurrava rassicurazioni assolutamente vuote.
Il Mannaro non distolse lo sguardo da ciò che stava facendo – aveva capito che stava tentando di salvargli la vita? Poi mormorò qualcosa. James gli scivolò a fianco. “Sta tentando di parlare.” Lo riscosse, chinandosi per ascoltare. Lo imitò perché doveva essere la cosa giusta da fare.
“Ben…” Sussurrò con un sibilo. Polmoni lacerati, pensò. La freccia lo aveva trafitto lacerandogli i polmoni e riempendoglieli di sangue mentre il veleno doveva aver fatto il resto. “… Ben.” Ripeté prima di essere scosso da un lungo brivido. Poi più niente.
Era il suo nome. Mi ha detto il suo nome?
Ted, a posteriori, giustificò la serie di azioni che intraprese come il risultato dello shock, perché solo lo shock poteva avere il potere di farlo scattare in piedi e risalire il greto del fiume per dirigersi verso il branco di Centauri come se fossero il nemico.
“Non c’era bisogno di ammazzarlo! Stava solo difendendosi!” Urlò in faccia a Magorian la bacchetta stretta nella mano sana fino a vederla sprizzare scintille. “L’avete ammazzato come un cane!” 
Il Centauro gli scoccò un’occhiata di fuoco. “Ti ho salvato la vita, mezzolupo. Dovresti essermi grato.”
Lo avete ammazzato!” Sentiva il sangue bagnargli la mano e gli veniva da vomitare. Vide Fiorenzo staccarsi dal gruppo.
“Professor Lupin, lei era in pericolo e non c’era altro che potessimo…”
“Non dovevate fare niente!”

“Ted.” La mano di James si posò sulla sua spalla con forza. Da quanto era accanto a lui? “Ted, basta così.” Era forse la prima volta, da che ricordava, che l’altro lo chiamava con il suo nome di battesimo e non il nomignolo per cui era conosciuto in famiglia. Fu talmente straniante da farlo voltare. Gli occhi di James erano tristi, ma pieni di una calma che lui non sentiva di avere.
E che forse dovrei avere.
Tornando di colpo in sé si rese conto che aveva appena minacciato con la bacchetta un branco di Centauri. Dall’espressione furiosa di Magorian e quella seria di Fiorenzo dovevano essere sull’orlo di un incidente diplomatico.
“Io…” Si umettò le labbra. “… il corpo. Non possiamo lasciarlo…”
“Me ne occupo io.” Esordì Neville alle sue spalle. “Non preoccuparti.”
Annuì, perché non restava altro da fare dato che aveva probabilmente minato dalle fondamenta i rapporti con il branco di Centauri ed era ad un passo dall’essere cacciato dalla foresta; buffo era il fatto che non gliene fregava nulla.

Accettò la mano di James e chiuse gli occhi quando sentì la familiare stretta della Materializzazione. Quando li aprì si ritrovò nel centro del salotto, ed era una sensazione dannatamente straniante essere lì, in mezzo alle tranquille cose di tutti i giorni, quando fino a pochi secondi prima aveva tenuto tra le mani la vita di un uomo e sentito il calore del suo sangue sulle mani. Si guardò la mano ancora sana e strinse la presa finché James non la chiuse tra le sue.
“Ted…” Iniziò.
“Teddy.” Mormorò con un sorriso stanco. “Per te solo Teddy.”
James fece una risata che aveva poco d’allegro. “Fammi vedere il polso, avanti.” Alla sua espressione sconcertata sbuffò. “Ti ricordo che ho giocato a Quidditch in maniera agonista per anni. Ne so più io di ossa rotte che chiunque altro nel raggio di miglia!”

Era un buon punto. Si lasciò quindi medicare senza un lamento anche se lo schiocco del polso che tornava al suo polso fu doloroso; davanti agli occhi non aveva altro che l’espressione spaventata di quell’uomo.
Ben. Si chiamava … Ben?
James lo spinse poi su per le scale e in camera e Ted non trovò nessun motivo valido per protestare o per restare in alcun altro posto. Si sedette sul letto e si guardò di nuovo le mani; l’altro gli aveva steccato il polso con un Ferula ben fatto e aveva ripulito ogni millimetro dal sangue del Mannaro.
“Avevi ragione. Sei bravo.” Commentò neutramente.
“Ehi…” James gli si inginocchiò davanti e gli passò una mano bollente dietro la nuca per poi premere senza un’altra sillaba le labbra sulle sue, senza approfondire, ma facendogli sentire che c’era.
Il mio splendido uomo.
“Andiamo a letto, okay?” Disse senza chiedere spiegazioni, senza tentare paralleli, senza cercare di dare un senso a quello che gli aveva visto fare.
“Grazie.” Mormorò scivolando sotto le coperte mentre l’altro gli passava un braccio attorno alla vita e stringeva. “So di aver combinato un casino…”
“Sta’ zitto.” Borbottò contro la sua tempia. “Se apri bocca per dire stronzate, giuro che ti Silenzio.”

“Jamie…”
“È la prima persona che ti sei visto morire davanti.” Tagliò corto passandogli una mano sotto il cotone della maglietta e accarezzandogli la schiena. Se fosse stata un’altra situazione, Ted avrebbe finito per fare quelle che l’altro definiva scorrettamente ‘fusa’.

Purtroppo non era quella situazione.
“Ti ricordi quando il mio terzo caso?” Disse dopo un po’. “Quello stregone che tentò di impalarmi con una fottuta spada?” Le labbra si muovevano contro la sua tempia e il respiro caldo era maledettamente reale. Gli era così grato … “Fa schifo veder morire qualcuno per la prima volta e continua a fare schifo. Ho avuto dei cazzo di incubi per mesi, e quel tipo voleva tipo usarmi come spiedino. Idem per il Mannaro.”
“Era solo spaventato…”
“Lo spavento non giustifica il volerti ammazzare.” Non avrebbe compromesso su quello e Ted non tentò di levare obiezioni. Non ne sarebbe stato comunque in grado. “Quello che voglio dire è che nessuno si aspettava te ne stessi tranquillo dopo essertelo visto morire tra le mani. Manco Magorian … o non se ne sarebbe stato buono.”
“È stato Fiorenzo a calmarlo…”
“Rimane il punto. Non hai incasinato nulla. Ti sei solo comportato come un essere umano decente, Teddy, e va bene così.”

Ted sentì l’adrenalina scemare di colpo e finita quella, lo sapeva, sarebbe arrivato il sonno. Ne era felice: non sarebbe stato riposante, ma avrebbe comunque spento i pensieri.
E Merlino solo sa quanto ne ho bisogno.  
 
****
 
Diagon Alley. Notte.
 
Lily gli aveva mostrato ogni singolo locale, negozio, finestra di amici o lampione di Diagon Alley; diversamente da come si era immaginato al suo arrivo non era un quartiere magico vero e proprio, solo una via principale con un paio di laterali strette come vicoli. Le case vi si affastellavano una addosso all’altra in un concatenarsi di balconi, torrette e finestre, quasi la metropoli Babbana che lo conteneva le avesse lasciato poco spazio in cui svilupparsi. Era un posto bizzarro, ben diverso da quello bostoniano di North End, dove ormai Babbani e maghi convivevano gomito a gomito tra appartamenti di due piani in mattoni e ristoranti italiani.
“Non mi ero mai accorto che in Europa fossimo così isolati.” Osservò mentre concludevano il tour per l’ennesima volta sulla piazzetta in cui terminava la strada. Avevano camminato molto e Lily non aveva smesso un attimo di parlare.
Allora perché ho l’impressione che non ci siamo detti niente?
“Statuto di Segretezza Ren!” Si strinse le spalle; era deliziosa quella sera, con i capelli acconciati in tante morbide onde ramate e un vestito di leggera stoffa estiva, con fiorellini bianchi su sfondo blu. Ricordava nebulosamente di averglielo visto spesse volte in foto; doveva essere il suo preferito.
Bellissima. Un dato di fatto. Un dato di fatto oggettivo.
Chiunque dotato di un paio d’occhi l’avrebbe detto, persino Milo, indifferente alle grazie muliebri.
“C’è anche in America.” Ribatté. “È uno stato firmatario, anche se con una clausola di opting-out che  permette di non dover tenere separate le case private magiche da quelle Babbane. Per questo i quartieri magici non necessitano di essere nascosti. Io abito in uno stabile Babbano.”
Ma che bella lezioncina…
Arrossì alla voce malevola della sua coscienza.
Lily gli rivolse un sorriso divertito, apparentemente non infastidita dal tono cattedratico che aveva usato. “Penso tu sia l’unica persona al mondo che studia Cooperazione Internazionale Magica per divertimento.” Disse chinandosi per immergere la mano nell’acqua illuminata da riverberi di un azzurro elettrico della fontana; doveva essere incantata.

“Sono un agente con mandato internazionale, fa parte del bagaglio di conoscenze che si suppone debba avere.”
“Sì, vallo a dire a persone come Jamie o zio Ron!” Sbuffò. “Penso che non si ricordino neppure quando è stata scritto, lo Statuto.”
“Nel…”
“Ren.” Inarcò le sopracciglia. “Io lo so.”
“Sì, naturalmente, scusami.” Deglutì sentendo un peso in fondo allo stomaco; il disagio andava ad ondate. Finché Lilian parlava riusciva a dimenticarlo, occupato ad ascoltare il suono della sua voce cristallina e dell’accento che così tanto gli ricordava le loro lunghe passeggiate nel prato immenso di Hogwarts.

Ma quando lo guardava o rimanevano in silenzio – anche se solo per pochi attimi, l’altra trovava subito un nuovo argomento di conversazione – eccolo che tornava potente.
Cinque anni. Scriverci non è la stessa cosa. Mi riesce più facile, quando scrivo.
Si rendeva conto di essere manchevole sul piano relazionale; glielo aveva reso ben manifesto maghi come Johannes e Murphy e anche se in modo meno crudele anche Milo e il Capitano.
Sì, ma non sei neppure irrimediabile. Tira fuori il coraggio. Parla.
Si impose dunque di prender la parola per la prima volta in quella serata. “Come … come sta il tuo ragazzo? Scott?”
Sul serio? Chiedergli del suo ragazzo? Di tutti gli argomenti che potevi scegliere e ti avrebbe fatto piacere ascoltare … Il suo ragazzo?

Sei un idiota.
 
Lily fissò il ragazzo di fronte a sé presa in contropiede: onestamente non si sarebbe aspettata che prendesse la parola. Era stata un’ora e mezzo di dialogo unilaterale e anche se se l’era aspettato – Sören non era un chiacchierone, mai stato – aveva dovuto attingere a tutte le sue doti di conversatrice di nulla per non far cadere il silenzio.
Non è semplice.
C’era una barriera tra di loro, dovuta al reciproco imbarazzo, al loro passato e al fatto che non si vedevano comunque da cinque anni.
Non sta andando totalmente da schifo … ma speravo andasse meglio.
L’aveva pensato e poi Sören se ne era uscito con quella frase.
“Bene.” Disse senza rifletterci troppo dato che comunque era la verità. “Lavora, fa un mucchio di sport selvaggiamente Babbano e si comporta da perfetto, bravo ragazzo.”
“Sono contento, sembra una brava persona.” Si schiarì la voce ed era … Ren. Fino alla punta dei capelli corvini, con la schiena dritta come un bastone e lo sguardo troppo serio e il vizio di mordersi l’unghia del pollice destro – sempre il destro - quand’era nervoso.
Non ha mai finto, neppure quando si supponeva dovesse farlo. Non con me, non ci riesce.
Come aveva potuto pensare di rimanere arrabbiata con lui?
“Lo è.” Assentì e si trovò nella curiosa posizione di non sapere cosa dire.
“Lui … sa …”
“Di te?” Indovinò. “Sì, gliel’ho detto due giorni fa.”
“Due giorni fa?” Il tono si tinse di incredulità e Lily provò un inspiegabile senso in colpa. “Non gli avevi…”
“Non ho mai parlato di te a nessuno dei miei ragazzi. Devi ammetterlo, non sei un argomento facile da trattare.” Cercò di suonare tranquilla ma lo sguardo ferito la colpì come uno schiaffo – Merlino per essere un Occlumante l’altro neppure tentava di nasconderle le sue emozioni. O forse era il suo potere?  

Non guardarmi così!
“Non intendevo dire…” Si umettò le labbra ignorando l’impulso di abbracciarlo; non erano neanche lontanamente vicini a quel punto della loro amicizia e no, non era comunque il caso.  “… Ren.” Sospirò, e si sedette su una delle panchine che chiudevano circolarmente la fontana. Le sembrava una buona idea, ma l’altro rimase in piedi, fermo come un palo.  “Siediti.” Dovette ordinargli perché lo facesse. “Sei mio amico, e mi piace parlare di te, okay? Solo non con chiunque.”
Non con il mio ragazzo. Merlino, suona male, eh?
“Non devi giustificarti, Lilian.”  
“Non lo sto facendo.” Morgana glielo risparmiasse. Stava solo puntualizzando. “Sono…” Si voltò verso di lui e gli prese una mano, di scatto, repentina. Era impulsivo? Forse. Ma in fondo era solo prendergli una mano, e non era come se volesse leggerlo con il suo potere. “Sono fiera di ciò che sei diventato. Te l’ho scritto per lettera e lo penso. Lo sai, vero?”
Davvero, Ren. Se solo molti idioti tirassero fuori la testa dal sedere capirebbero quanta strada hai fatto.
Erano le parole giuste perché l’intero viso si rischiarò. Si era scordata di quanto riuscisse a cambiare faccia quando degnava l’universo mondo del suo sorriso.  “Certo.”
“Bene.” La pelle dell’altro era bollente. Si era scordata anche di quello.
Fatti un bel recap, Rossa.
“È solo che con Scott … Beh, non eravamo ancora a quel punto del rapporto. A dirla tutta a quel punto ci sono arrivata solo con lui.”
Sören fece una smorfia impercettibile, forse infastidito dalla cripticità della frase. “Quale punto?”
Lily ridacchiò. “Sai, dove tiri fuori un po’ di Mollicci dall’armadio e speri che l’altro non dia di matto e fugga a Waikiki?” 
Stai dicendo che sono un Molliccio?”
“Cosa? No, ma che ti viene in men…” Poi capì da come stava inarcando il sopracciglio – marchio di fabbrica che lo accomunava a Piton ed era davvero sconcertante come riuscissero a somigliarsi somaticamente avendo solo una manciata di geni in comune – che la stava prendendo in giro. “Quanto sei scemo.” Sbuffò. “Parlavo della mia adolescenza scervellata.”
Sören si limitò ad un sorriso. “Niente Passaporta sola andata per Waikiki dunque?”  
Gli diede un colpetto sul fianco. “Già, pare che sia abbastanza testardo.”
 
“Sono contento per te.” E lo era, perché Lily meritava un ragazzo che non scappasse in nessuna dannata località remota; che la amasse alla luce del sole e non fosse intimidito dalla fama della sua famiglia o dalla corazza da ragazza frivola che indossava per chi non aveva la pazienza di volerla conoscere.
Lo sono.
“Grazie.” Gli passò una mano sul braccio ed era bello. Il contatto fisico non lo saziava mai abbastanza e probabilmente era una delle cose che prima o poi avrebbe dovuto tirare fuori con la sua Psicomaga. Non che lo volesse da chiunque, ad ogni buon conto.
Certo non da Murphy. O da Potter.
Lily si abbandonò poi sulla panchina. “Ci siamo riusciti finalmente.” Disse con un mezzo sorriso.
“A far cosa?”
“A parlare di qualcosa di serio e non di aria fritta.” Ghignò appena e Sören capì che la stessa sensazione che aveva avuto lui per tutta la sera l’aveva avuta anche l’altra.
Sorrise di rimando. “Sì.” Assentì. “È … difficile.” Azzardò.
“Diavolo, lo è!” Esclamò l’altra con un’aria di buffo sollievo. “E giusto per la cronaca, sono ancora arrabbiata.”
“Ne hai il diritto.”

“Non assecondarmi!”
Gli venne da sorridere ancora più spontaneamente quando capì che lo stava prendendo in giro.

È una cosa buona. Quando mi prendeva in giro, ad Hogwarts, era un buon segno.
Doveva esserlo ancora. “Pensavo che farlo garantisse la chiave per entrare nelle tue grazie.” La stuzzicò ottenendo una risata franca, pulita e vera.
“Oh, certo che sì!” Gli occhi presero una sfumatura calda e Sören sentì la pietra che aveva nello stomaco sgretolarsi come se un fiume l’avesse erosa per mille anni. Ed erano passati solo pochi minuti.
Le parole hanno tutt’altra forza quando sono dette, e non scritte.  
“So che non mi sono comportato bene. Mi dispiace.” Disse dopo un po’, mentre entrambi contemplavano lo zampillare quieto dell’acqua. Non era più un silenzio pieno di pesantezza. Certo, era sempre un po’ disagiante ma andava bene così. “Ti avevo fatto una promessa, e non l’ho mantenuta.”
Ci sono margini di miglioramento.
“Non è stata colpa tua. Hai solo eseguito gli ordini … E non preoccuparti, mi sono lamentata con chi di dovere.” Scosse la testa, passandosi le dita trai capelli. “Non succederà più.” Attestò e Sören non poté far altro che annuire.
Suo padre. Forse è per questo che ha voluto parlarmi questo pomeriggio?
“Non eri tenuta ad incontrarmi.” Obbiettò perché se avevano cominciato a parlare come due amici e non come due estranei dentro un ascensore bloccato, dovevano farlo fino in fondo.
Lilian gli scoccò un’occhiata perplessa. “Tenuta? Siamo amici, non sei un obbligo!” Se solo fosse stato così semplice, pensò, ma non lo disse. Era stato edotto del fatto che c’erano momenti per parlare e momenti per stare in silenzio. Era bravo soprattutto in quest’ultimi. “Solo che … beh, l’hai detto tu, non era facile.”
“Non siamo più davanti ad una lettera.” Commentò e dovette essere la cosa giusta da dire perché l’altra assentì.
“Infatti.” Fece poi un movimento con le mani per abbracciare un palco immaginario; aveva dimenticato quanto gesticolasse. La rendeva molto buffa e decisamente meno irraggiungibile. “Dal vivo, caro il mio Ren. Niente prove, pura improvvisazione.”
“Non sono bravo nell’improvvisare.”
“Te la stai cavando alla grande.” Gli strizzò l’occhio dandogli un colpetto alla spalla. “Sai già quanto rimarrai?”

Si strinse nelle spalle. “Abbiamo delle piste da seguire, ma in questi casi è difficile dare una tempistica esatta.”
“Qualche settimana?”
“Forse.” Non si sbilanciò. “Perché?”
Venne guardato con sufficienza. Cos’aveva detto di sbagliato? “Perché forse vorrei farti vedere la Gran Bretagna!” Sören si impose di non registrare la capriola che fece il suo stomaco. “Per metà sei inglese … Hai mai visto le scogliere di Dover?”
Finse un quieto interesse. “Lo sai, no.”
“Appunto.” Gli diede un altro colpetto sulla spalla e stavolta fu più sicuro, meno sperimentale. “Certo, sei qui per lavoro, ma nulla toglie che tu possa fare il turista, no?”

Ci stiamo provando. Stiamo provando ad essere amici davvero.
Si sentiva come quando il Capitano Gillespie gli aveva consegnato distintivo e bacchetta; provava la stessa ebbrezza. “Suppongo tu abbia ragione.”
“Certo, ce l’ho sempre!” Scrollò le spalle alzandosi in piedi. Una lieve esitazione le tremò nei lineamenti che sì, erano così diverso dal vederli in foto. Erano vivi, e vibranti. Poi gli tese la mano. “Bentornato in Gran Bretagna, Sören.”

La prese e la strinse e si scordò anche che era quella mano perché, incredibilmente, con Lily non aveva mai avuto importanza.
“Felice di essere qui.”
 
But you and I now, we can be alright
Just hold on to what we know is true
You and I now, 'though it's cold inside
Can feel the tide turning…
 
 
****
 
Note:


In fandomese questo capitolo può essere considerato solo come fluffangst. Decisamente.
Capitolo abbastanza musicale visto che questa è la canzone ad inizio capitolo, questa quella che si ascolta Lily aspettando Sören e infine questa quella alla fine.
1. Virulenza: capacità di un agente patogeno (anche virus) di diffondersi in un organismo. Quanto si attacca insomma. Il raffreddore per dirsi è molto virulento. Info qui

 
Ringrazio Marta Nalesso per le dritte che mi ha dato sulle patologie, virus e roba varia. È stato un discorso abbastanza traumatico, ma cavolo, se mi ha aiutato nel plotting! XD
Grazie MOSTRUOSAMENTE anche a chi mi recensisce; purtroppo come al solito riesco a malapena a scrivere, tra il lavoro e i mille casini che mi trovo a gestire in questo periodo. Credetemi, le vostre recensioni sono uno dei momenti più belli della giornata! <3  




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