Salve a te che stai
leggendo queste poche righe d’introduzione! Allora per
cominciare grazie di aver cliccato sulla mia storia;se l’hai
fatto sai già cosa aspettarti, ma se non è
così, fuggi via, perché se non hai visto LND
c’è uno spoiler grande quanto il mondo ad
attenderti! XD
Allora brevemente:
questa è una ff su quello che ,secondo la mia mente malata,
succede tra la fine del Phantom of the opera e l’inizio di
Love never dies. La storia sarà incentrata su Christine e
sui suoi dubbi amletici, ma ciò non toglie che poteri
aggiungere qualche parte in cui sono i pensieri di Erik a farla da
padrone. Il tutto dovrebbe concludersi nel giro di massimo 5 capitoli,
compreso il prologo, per la fine del mese.
Questo
è quanto … piccola premessa: è la
prima long fic che scrivo, quindi non aspettarti granchè e
sii clemente! *-*
PS: mi farebbe
piacere se a fine lettura lasciassi un piccola,miserrima recensione
… o anche un commento e sono ben accette anche le critiche
costruttive XD
Okay,
allora buona lettura… ;)
Prologo:
Nightmares and Red Roses
Le campane
della piccola chiesetta di campagna, appena fuori Parigi,che Christine
e Raoul avevano scelto per celebrare le loro nozze,suonavano a festa.
L’aveva scelta Christine, insistendo che il matrimonio si
celebrasse in un luogo lontano dalla città e con pochi
intimi, perché negli ultimi mesi i loro nomi erano passati
sulle bocche di mezza Francia. L’aveva scelta
perché le ricordava la chiesa di Perros, dove mamma Valerius
insisteva per portarla ogni domenica mattina di buon ora…le
ricordava tanto la sua fanciullezza. Non che fosse passata da molto in
effetti: aveva appena vent’anni! Ma la spensieratezza e la
gioia che l’avevano caratterizzata da bambina, ora non le
appartenevano più. Aveva fatto un viaggio andata e ritorno
per l’inferno e questo aveva spazzato via la sua innocenza e
,senza ombra di dubbio, aveva stravolto il suo spirito ingenuo.
I
ricordi e le immagini degli eventi di qualche mese prima non
l’abbandonavano mai, erano ormai suoi fedeli compagni in una
vita grigia,che si era spenta con l’incendio
dell’operà Garnier . L’enorme teatro era
stato divorato dalle fiamme, che non avevano risparmiato niente e
nessuno. Ma già da un po’ di tempo erano
cominciati i lavori di ricostruzione: non era cosa degna di una
città come Parigi, essere priva di un teatro
dell’opera!
Le mancava
quel posto, ma da quell’infausto giorno non c’aveva
più messo piede, anche perché Raoul glielo aveva
impedito: temeva che sarebbe scomparsa di nuovo nei meandri del grande
teatro. Ma nonostante lei lo avesse supplicato e gli avesse ripetuto
mille volte che non c’era nulla da temere poiché,
stando a quello che titolavano i giornali, il famigerato fantasma
dell’opera era morto, lui non aveva voluto sentir ragioni. In
effetti lei stessa non credeva a quello che diceva, ma pur di ritornare
in quella che era stata la sua casa per lungo tempo, avrebbe fatto
carte false. Eppure c’era stato un tempo in cui non avrebbe
voluto altro se non fuggire da quel luogo; ma ora i ricordi le
riempivano la mente.
Quel
posto era il paradiso dei cinque sensi,nessuno di questi veniva deluso.
Se chiudeva gli occhi riusciva ancora a vedere i mille colori dei
costumi di scena,le sfumature dei fondali,l’andirivieni di
costumisti e truccatori, il rosso della platea e l’oro dei
palchi. Se invece ascoltava meglio riusciva a sentire le risatine delle
ballerine, lo scricchiolio delle assi del palcoscenico,il fruscio degli
spartiti, il chiacchiericcio che si alzava dalla buca
dell’orchestra, i richiami del maestro Reyeur, le bizze della
Carlotta e le conseguenti preghiere degli impresari e sopra ogni cosa
la musica che regnava sovrana. Ricordava anche la sensazione del tulle
e della crinolina che sfregavano sulla pelle,il sapore forte del
liquore che le ballerine più anziane le avevano fatto
assaggiare una volta e il dolce gusto dei macaron che rubavano dal
camerino della diva; l’odore del gas delle mille lampade che
illuminavano ogni angolo buio di quel tempio della musica, lo
scintillio dell’immenso lampadario …
l’odore acre del fumo, il rosso vivido delle fiamme che
avvolgevano ogni cosa, l’umido dei sotterranei che le entrava
nelle ossa e lo squittire degli abitanti di quel labirinto. Ma un suono
sopra tutti le sarebbe rimasto impresso a fuoco nella mente:
l’urlo disumano del suo maestro. “VA
VIA!”- le aveva urlato-“Fuggi e dimentica questo
angelo all’inferno”. Lei era fuggita via, sorretta
da Raoul, ma non aveva potuto dimenticarlo, ansi l’angelo
della musica continuava ad albergare in ogni suo pensiero.
Ecco la chiesa
era così vicina che riusciva a sentire il brusio degli
invitati stipati nelle panche,in attesa di vederla. La carrozza si
fermò e lei scese, aiutata dal valletto, con il suo vestito
bianco, il velo di pizzo e i guanti che le facevano sudare le mani.
All’entrata, ad aspettarla per condurla all’altare,
c’era l’unica persona della sua vecchia vita che le
era rimasta: Madame Giry,con il suo solito abito scuro e la treccia
stretta in una crocchia elegante. Era stata la prima ed unica persona a
cui aveva pensato per quel compito. Le porse il braccio e si avviarono
verso l’entrata: la chiesa era deliziosamente decorata con
fiori bianchi di centinaia di specie. Al suo ingresso gli occhi di un
centinaio di persone si voltarono verso di lei, e a quel punto tutta
l’emozione e l’imbarazzo trattenuti fino a quel
momento, fecero capolino sulle sue guance arrossate. Cercò
di non badare molto agli ospiti che Raoul aveva insistito per invitare,
ma si concentrò proprio su di lui che raggiante
l’aspettava in fondo alla navata. Quanto aveva aspettato quel
momento? Quante volte aveva sognato ad occhi aperti come sarebbe stato
quel giorno e con chi l’avrebbe condiviso! Tutto era
perfetto,fin nel più piccolo dettaglio. Eppure
c’era qualcosa che disturbava quella perfetta armonia di
colori ed emozioni … aveva come un peso
all’altezza dello stomaco, come quando si ha
l’impressione che stia per accadere qualcosa di
spiacevole, ma non si può fare nulla per fermare le cose,si
deve solo attendere che gli eventi si evolvano da soli e
stare a guardare cosa succederà.
Provò
ad analizzare quel sentimento: non era paura, perché ne
avrebbe dovuta avere; non era tristezza, nessuno più di lei
era felice in quel momento; no era panico e nemmeno ansia…
era…era senso di colpa! Si,si, non c’erano dubbi,
era proprio quella bestia nera del senso di colpa! Non se lo ricordava
più tanto lontana era l’ultima volta che
l’aveva provato: era successo quando aveva
all’incirca otto anni e aveva accidentalmente fatto cadere il
portaritratti con l’immagine della mamma e quando suo padre
si era arrabbiato, lei aveva incolpato Cherì , il
gatto che le aveva regalato mamma Valerius. Per colpa sua il povero
animaletto era rimasto due notti fuori casa, ed era stato in
quell’occasione che aveva avvertito quella strana sensazione,
che il padre aveva chiamato senso di colpa.
Si,
però perché provare quella cosa proprio nel
momento che una donna aspetta tutta la vita? Si guardò
intorno in cerca di una risposta, ma l’unica cosa che
riuscì a pensare fu … LUI! Come poteva fare
questo; come poteva costruire la sua felicità
sull’infelicità di qualcun altro, e quel qualcun
altro era stato come una famiglia per lei, e lei l’aveva
condannato alla solitudine più nera, abbandonandolo nel suo
inferno personale. Ecco cos’era quel buco che le si
era aperto nel petto … dopo tutto quello che le aveva fatto,
continuava a mancarle. In un momento così solenne non
riusciva a far altro se non pensare a quell’uomo, a colui che
l’aveva scottata con la fiamma della sua violenta passione,
l’ombra che l’aveva amata fino a morire: Erik.
Ecco che
madame Giry le lascia la mano e l’affida a Raoul, che
tremante d’eccitazione fa segno al parroco canuto di
cominciare. Il vecchio parla d’amore, fedeltà,
spirito di sacrificio ma ad un tratto le sue labbra non emettono
più suono,ma continuano nella loro corsa. Christine si volta
per vedere se qualcuno se n’è accorto, ma tutti i
presenti sono presi dall’orazione,che evidentemente solo lei
non riesce a sentire. Poi una richiamo spezza il silenzio che le tappa
le orecchie: la chiama, una voce suadente, e il suo nome rimbomba negli
angoli più remoti di quel luogo sacro. Sembra quasi una
preghiera sussurrata a fior di labbra… -Christine,
Christine, oh mia Christine!-ripete la voce di tenebra. Lei si gira
,alla ricerca della fonte di quel tormento. Nessuno vede il suo
turbamento, nessuno si è accorto del suo esitare: tutti,chi
più chi meno,pendono dalle labbra dell’officiante.
Sta per cedere alla tentazione di urlare quando un piccolissimo, quanto
insignificante particolare le salta agli occhi: tra i mazzi di fiori
bianchi spicca scarlatta come un rubino, una rosa rosso sangue.
Poi non un
suono né un colore. Tutto è nero. Ad accoglierla
con le sue fredde braccia c’è solo la notte,
pronta a consolare il malessere causato da un nuovo incubo …
L’angolino
di Farah: spero tanto che questo primo capitolo sia piaciuto a
qualcuno, o che almeno vi abbia incuriosito. Se così non
fosse potete anche dirmi che scrivere non è cosa che fa per
me! Comunque grazie per essere arrivati fino alla fine di questo
piccolo esperimento ;) Ci si legge al prossimo capitolo… XD
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