VENTESIMO
CAPITOLO
-Non
devono trovarlo. Se lo prendessero e lo portassero in Russia, non lo
recupereremmo più. Ma finché è qui si
può fare qualcosa, ci sarebbero diecimila
cavilli legali per impedire tutto quanto.- spiegò Kanako,
prendendo le chiavi
della macchina. Hara, molto turbata, fece sì con la testa.
-Non
si tratta nemmeno di “cavilli”, ci sono delle
procedure piuttosto lunghe e loro
le stanno scavalcando tutte.- aggiunse lui, anche per auto convincersi.
Soprattutto per auto convincersi.
-Stai
andando a prenderlo?- gli chiese la moglie, mentre Takao scattava in
piedi.
–Vengo con te!-
-Non…
sì, d’accordo.-
-Aspettate.
Non vi pare che, a meno che non siano scemi, quelli potrebbero non
aspettare
altro e seguirvi?- chiese Hara. Kanako e Takao rimasero zitti, poi si
guardarono, sconcertati dalla loro stessa avventatezza.
-Mio
dio. Grazie, tesoro.-
***
-E
ti starebbero inseguendo con manganelli elettrici, sarebbero venuti qui
dalla
Russia, avrebbero fatto tutto questo casino solo per…
portarti dove legalmente
dovresti essere?- chiese Crawford.
-Già.-
fu l’ermetica risposta di Kei.
-Però,
che senso del dovere. E ovviamente tu non ci vuoi andare.-
Il
ragazzo annuì.
-Mh.
Potrebbero essere ancora qui intorno.-
-Non
ha intenzione di sbattermi fuori?-
Ryo
alzò gli occhi al cielo: -L’avrei già
fatto, se avessi voluto.-
Si guardarono con espressioni
indecifrabili, e
Hilary si intromise: -Io devo vedere in che condizioni è
ridotta casa mia…-
-Tu
non ti muovi da qui.- sbottò Kei.
-Perché?
Se ne sono andati, e se anche tornassero, basta che dica che non so
dove sei.-
-Ho
detto di no, stai qui.-
-Hiwatari…-
disse Crawford, finendo il proprio caffè e poggiando la
tazza sul tavolo.
–Quanto è pericolosa questa gente?-
Kei
sgranò gli occhi. Non voleva andare a parare lì,
anche se sapeva benissimo
quanto fosse ormai difficile “coprire le spalle”
alla Borg. Quanto era
paradossale doverlo fare? Ma si era già sufficientemente
pentito di aver
parlato con Kanako riguardo a ciò che realmente accadeva
lì dentro. Non poteva
permettersi che altri iniziassero a sapere troppe cose, era pericoloso.
Era
sufficiente che pensassero che fosse un posto orrendo, al livello di
molti
altri collegi o orfanotrofi dove i ragazzini crescevano a pane e calci.
-Non…
no.-
-Hanno
manganelli elettrici.- ripeté Ryo.
-Sono
guardie, è normale.-
-No
che non lo è!-
Kei
pensò di arrampicarsi ulteriormente sugli specchi, ma
concluse che il mutismo
fosse la soluzione adatta.
Crawford
sospirò, piuttosto esasperato dalla situazione. Hilary, mal
sopportando la
tensione che si era creata, alzò la mano.
-Takibana
santo cielo, non siamo a scuola.-
-Scusi.
Potrei usare il bagno?- chiese, tesa.
-Sì,
certo.-
Hilary
lo ringraziò e uscì dalla cucina, sparendo
nell’andito.
-Hiwatari,
mi rispondi?-
-No.-
Ryo
si mise una mano sugli occhi.
-Come
sei finito in quel postaccio? Tuo nonno era miliardario, non ti ha
trovato di
meglio?-
-Mi
ha sempre odiato, anche quando ero un bambino.- rispose Kei con
un’alzata di
spalle.
-E
i tuoi genitori?-
-Sono
morti. Ero piccolo. È stato allora che lui mi ha mandato
lì.- nel dirlo Kei
alzò lo sguardo. -E adesso ci devo ritornare.- concluse
amaramente.
Crawford
annuì mentre Kei lo squadrava. Non aveva mai constatato
quanto fosse giovane
per essere un insegnante. Ryo si sentì fin troppo osservato,
e piantò gli occhi
-di un azzurro talmente chiaro da tendere al colore del ghiaccio- nei
suoi.
-Non
è detto che ci riandrai. Kinomija è un ottimo
avvocato, avrà già trovato un
modo per evitarlo.-
-Beh,
ma è come ha detto lei… se hanno i manganelli un
motivo c’è.-
-E
in questo caso chiameremo la polizia.-
Kei
si stropicciò gli occhi, stava morendo di sonno. Ed era
stanco, fisicamente e
mentalmente. –Mi troveranno.- stabilì.
Crawford
aveva sentito, ma non disse niente.
Kei
iniziò a sentire risalire la tensione. Era vero, non avrebbe
potuto scappare
all’infinito, anche se quello era ormai il suo unico piano.
Iniziò a giocare
nervosamente con il portafogli, aprendo e chiudendo il bottone.
Ryo
lo vedeva sempre meno come un teppista e sempre più come il
ragazzino in crisi
che era. Era un processo iniziato già nel momento in cui
aveva visto in che
condizioni fosse la sua schiena: un campo di battaglia di cicatrici.
Non aveva
mai visto niente del genere e aveva fatto fatica a levarsi dalla testa
quell’immagine.
Che
Kei avesse paura era evidente, anche se era troppo orgoglioso per
dimostrarlo.
Così aveva preferito darsi ai tic nervosi, svuotando il
portafogli sul suo
tavolo.
-Perché
tieni tutta quella roba lì dentro?-
Crawford
alludeva alle tonnellate di scontrini e ricevute.
-Mi
dimentico di buttarle.-
Sigarette,
sigarette, sigarette. Sigarette. Quanto accidenti fumava quel ragazzo?
Kei
prese qualcosa da una tasca del portafogli, e sogghignò: -Sa
quante volte li ho
odiati?-
-Scusa?-
-I
miei genitori. Li ho odiati perché sono morti e mi hanno
lasciato solo.-
Ryo
non aveva davvero idea di cosa dire. Non era tipo di molte parole, non
riusciva
nemmeno a consolare i suoi stessi amici in momenti del genere,
figurarsi un
ragazzo che detestava e da cui veniva puntualmente detestato.
-Non…
è una cosa giusta, per un ragazzino.- riuscì a
dire infine.
Kei
si rigirò la vecchia foto tra le mani. –Ora ho
un’età decente e mi dovrei
rendere conto che la colpa non è loro. Ma li ho odiati
quando ero in prigione,
quando ero in disgustose case famiglia, quando ero al
monastero… e adesso. Ora
che sono costretto a scappare e a nascondermi, perché i miei
genitori non ci
sono. Di loro ho solo questa foto.-
Il
ragazzo gettò l’oggetto, piuttosto consunto e
rovinato, in mezzo agli
scontrini.
Ryo
non l’aveva nemmeno guardata apposta, gli era solo caduto
l’occhio nella
chiazza scura dei capelli della donna ritratta nella foto. Ma quando
aveva
messo a fuoco l’immagine, aveva perso un battito. Tese una
mano e prese il
vecchio scatto, forse aveva visto male.
Una
giovane coppia sorrideva all’obbiettivo. Lui aveva i capelli
scuri, sembrava
piuttosto alto. Teneva un braccio intorno alle spalle di… lei. Era bella, era mora e aveva due
grandi occhi viola, pieni di
vita.
-Rin…-
disse piano. Kei si riscosse dal suo stato comatoso, raddrizzandosi
bruscamente
sulla sedia.
-Cosa?-
-È…
è tua madre?-
-Sì.-
-Rin
Harada?-
-Sì,
è il suo nome.- rispose Kei, con aria interrogativa e il
cuore a mille.
Ma
Crawford sembrava aver perso la lingua, e continuava a fissare la foto
senza
dire nulla, senza spiegare.
-Professore,
la conosceva? Conosceva mia madre?- insistette allora il ragazzo.
-Sì
noi… eravamo compagni di scuola. Eravamo amici.-
***
Hilary
udì del movimento oltre la finestra del soggiorno.
Camminò cauta, senza accendere
la luce della stanza, fino ad accostarsi al vetro. Erano tornati ed
erano a
qualche metro di distanza, nel giardino di casa sua.
“Merda…”
mormorò fra sé, vedendo che stavano guardando
verso quella di Crawford. Se
avessero dato una controllata, non ci avrebbero messo molto a trovare
il foro e
a fare due più due. Hilary corse verso la cucina, stupendosi
di non trovare più
nessuno.
-Kei?
Prof?- chiamò a media voce. Imboccò le scale,
diretta al piano di sopra. Non le
piaceva il fatto di stare vagando in casa altrui, ma doveva avvisare
Kei.
Entrò
in quello che sembrava essere uno studio e li vide di spalle, intenti a
guardare un libro che Crawford stava sfogliando. Hilary si
avvicinò,
chiedendosi se cinque minuti in bagno fossero bastati perché
quei due
diventassero compagni di merende. La risposta era ovviamente no,
così si chiese
cosa stessero facendo esattamente.
Kei
in quel momento era troppo intento a guardare quella serie di scatti
contenuti
nell’album di foto che il professore aveva tirato
giù da una mensola.
Soichiro
Hiwatari aveva provveduto a far sparire ogni
traccia del fatto che Kei avesse avuto dei genitori. L’unico
ricordo che gli
era rimasto di loro era proprio quella vecchia foto che custodiva nel
portafogli.
Ora
invece poteva vedere nitidamente sua madre, giovane e stupenda,
sorridergli con
gioia sincera.
-Eravate…-
Kei esitò. Gli sembrava tutto incredibilmente assurdo, e
aveva un groppo in
gola che gli impediva di parlare. –Eravate molto amici?-
chiese, alludendo al
gran numero di foto insieme, ma soprattutto alle loro espressioni.
Crawford era
in grado di ridere, e questo Kei non lo aveva mai pensato.
Ryo
annuì, fissando con aria spenta l’immagine di Rin
appesa come uno zaino sulle
sue spalle. Non rimembrava esattamente chi l’avesse scattata,
ma ricordava quel
momento; era poco prima del diploma. Si era addormentata durante un
falò in
spiaggia. In effetti si addormentava dappertutto.
Kei
girò pagina. Ballo di fine anno, senza dubbio.
-Kei….-
La
voce di Hilary sorprese entrambi, non l’avevano sentita
entrare.
-Scusate
ma… sono tornati e sono nel mio giardino, credo che
capiranno che siamo qui.-
spiegò, tesa.
-È
meglio se me ne vado.- rispose Kei, iniziando a muoversi.
-Non
puoi uscire adesso! Ti vedranno!- protestò la ragazza.
-Vi
ho già creato troppi problemi, da adesso faccio da solo.-
-Kei,
no.- insistette Hilary. Ma ormai era ben deciso.
-Ho
già in mente dove andare. Ora sento Boris, gli chiedo se mi
dà una mano con la
mia roba. Non preoccuparti.-
Ryo
si riscosse dal torpore e intervenne: -Non puoi uscire adesso. Pensi di
aprire
la porta di ingresso e andartene come se niente fosse?-
Fece
per dire di sì, ma Crawford aveva ragione; avevano ragione
entrambi. Kei capì
di stare sragionando e di doversi dare una calmata, non era da lui
perdere la
testa così. Sospirò e annuì.
-Se
osano cercare di entrare in casa mia, chiamo la polizia.-
continuò Ryo
accigliato, iniziando già a comporre il numero sul cellulare
e mettendoselo in
tasca. Per l’appunto, in quel momento suonarono alla porta.
-Che
palle!- ringhiò Kei.
Crawford
li superò e si diresse verso le scale: -State qui e non
muovetevi.-
I
due lo guardarono sparire oltre la porta, poi si lanciarono
un’occhiata preoccupata.
-Che
facciamo?- chiese Hilary, tesa. Kei inaspettatamente sorrise. La
ragazza iniziò
a credere che stesse impazzendo completamente.
-Perché
sorridi?-
-Scusa.
È che la stai prendendo proprio a cuore.-
Lei
rise nervosamente a sua volta: -Mi lascio coinvolgere da tutto, lo so.-
Kei
si guardò intorno. Forse era il caso di nascondersi. Hilary
sembrò pensare la
stessa cosa, e indicò un armadio enorme.
-Sarebbe
divertente se ci nascondessimo di nuovo dentro un armadio.-
osservò lui.
-Un
po’ ripetitivo, forse, ma sì. Divertente.-
Sentirono
delle voci al piano di sotto e smisero di perdere tempo. Per la
precisione Kei
afferrò Hilary per un polso e si nascosero, rannicchiandosi
a fatica proprio
dentro l’armadio.
-Sai
che sarà il primo posto in cui controlleranno quando e se
saliranno, vero?-
chiese la ragazza, tirando le ante verso di sé e
appallottolandosi accanto a
Kei. Il ragazzo sbatté la testa contro una tavola da surf e
imprecò. –Sì, lo
so, ma meglio che farci trovare lì in mezzo come due idioti.
E poi quelli sono
tutti scemi.- spiegò, determinato comunque a saltare fuori e
a stendere
qualunque guardia si fosse trovato davanti, giocando
sull’effetto sorpresa.
Rimasero
lì dentro per secondi che parvero ore, e si irrigidirono
entrambi quando
sentirono dei passi su per le scale.
-Ok…-
sussurrò Kei nel suo orecchio. –Tu stai dentro.-
-Non
fare cazzate!-
Kei
era pronto a sbattere le ante in faccia a chiunque si fosse avvicinato
a
quell’armadio, ma si fermò quando sentì
i toni “soavi” di Crawford: -Dove
accidenti siete finiti?-
Hilary
sbucò timidamente dall’armadio. Crawford
alzò gli occhi al cielo e la aiutò a
uscire fuori, senza sognarsi di fare lo stesso con Kei, incastrato tra
tavole e
oggetti vari.
-Come
ha fatto a mandarli via?- chiese il ragazzo.
-Ho
detto che non ti ho mai visto in vita mia, che non me ne fregava niente
della
questione, che stavano facendo casino da due ore e che avevo
già chiamato la
polizia… poi gli ho sbattuto la porta in faccia e se ne sono
andati.-
-Perché
sono stati così arrendevoli?-
Ryo
sembrava già sufficientemente alterato senza che Kei facesse
domande piuttosto
stupide. –E io che ne so?-
-Forse
li ha convinti.-ipotizzò Hilary.
-Non
credo proprio…- rispose Kei, ricevendo
un’occhiataccia dal professore.
-Non
lo so, e non mi interessa. Ad ogni modo… hai intenzione di
uscire da
quell’armadio?-
***
Se
n’erano andati davvero. Kei aveva mandato un messaggio a
Boris, dove lo
aggiornava sui fatti e gli diceva di preparagli la valigia. Il russo
gli aveva
risposto solo con un inopportuno “Che cazzo ci fai a casa di
Crawford?” che Kei
aveva ignorato, dicendogli di concentrare quel poco di cervello che
aveva sul
resto del messaggio.
Per
andare sul sicuro decise di chiamarlo, mentre Crawford e Hilary erano
in cucina
a bere altro caffè.
Boris
rispose dopo pochi squilli: -Ehi! Sto andando a casa tua. Sto passando
per i
giardini delle case, per non farmi notare.-
Kei
si mise una mano in faccia e sospirò: -Non puoi farlo,
capisci?-
-E
perché? Non mi vedono, e come scavalco muretti e steccati io
non lo fa nessuno.
Non si sa mai che siano ancora qui in giro. Apprezza i miei sforzi
anziché
rompere con la violazione di domicilio.-
-D’accordo,
grazie.-
-Volevo
rubare la macchina a mio cugino, ma l’ha presa lui.-
spiegò Boris, mentre Kei
poteva udire chiaramente dei suoni, dei fruscii e infine un tonfo.
-Vuoi
battere il record dei reati in un giorno?-
Il
russo, che era appena sceso dal muro fino al giardino dei Kinomija,
aspettò un
secondo e poi rispose: -Disse quello arrestato per possesso
d’arma da fuoco,
furto d’auto e violenze varie e non specificate. A proposito,
non mi hai ancora
raccontato che diavolo stavi facendo!-
-Ti
sembra il momento?!- sbottò Kei.
-Aspetta,
sto entrando in casa. Ti richiamo quando ho finito, ok?-
Kei
mugugnò in risposta e riattaccò.
Si
guardò intorno, esaminando il soggiorno. Non che avesse mai
pensato alla casa
di Crawford, ma avrebbe scommesso su un arredamento minimal. Di quelle
case
bianche, enormi e praticamente vuote, tristi. Invece era un bel posto,
doveva
ammetterlo.
C’erano
foto alle pareti, una televisione gigante, una Xbox. Stava giusto
pensando di
accenderla, quando Hilary spuntò dalla cucina.
-Vuoi
altro caffè?- gli chiese, avvicinandosi. Lui
annuì, stancamente.
-Che
cosa stavate facendo prima?- aggiunse la ragazza.
-Guardando
foto. Di mia madre, lui la conosceva.-
Hilary
lo vide rabbuiato, più del solito, e gli mise una mano sulla
spalla.
Piombò
un silenzio imbarazzante e teso, e a questo i due non erano abituati.
Kei
voleva solo tornare al piano di sopra e continuare a guardare le foto
di sua
madre fino a imprimersele nel cervello, per quanto fosse
un’attività inutile e
alquanto stupida, a suo parere. Ma poco prima, nel guardarle, aveva
provato
qualcosa di talmente nuovo e talmente strano, aveva sentito un calore
così
forte all’altezza del petto, che desiderava davvero
continuare a farlo.
Pazienza se era una sciocchezza.
-Torno
subito, ok?- disse all’improvviso. Hilary annuì.
–Non sparire. Ti avverto
quando il caffè è pronto.-
Kei
si incamminò su per le scale, dimenticandosi del fatto che
non fosse a casa
propria. L’album era lì dove l’avevano
lasciato.
-Si
sente bene?- chiese Hilary, preoccupata. Ryo non si era nemmeno accorto
di aver
riempito la tazza di caffè fino all’orlo e oltre,
dal momento che aveva fatto
un pasticcio sul tavolo. –Oh.- rispose soltanto, mentre la
sua ospite prendeva
qualcosa per pulire.
L’attenzione
dell’uomo era da tutt’altra parte. Si chiedeva in
modo martellante come avesse
fatto a non capirlo subito. Dio, avrebbe dovuto capirlo solo
guardandolo negli
occhi. Quel teppista di Kei era il figlio di Rin.
“Il
figlio di Rin.” Ripeté mentalmente, iniziando a
sentire una fitta fastidiosa
alla testa. Non ci poteva credere, sembrava uno scherzo –di
pessimo gusto. E si
rese conto di quanto si fosse solamente illuso, fino a quel momento, di
essere
riuscito a lasciarsi alle spalle tutto quello che era successo.
Kei
prese una foto e se la mise in tasca, poi rimise il raccoglitore al
proprio
posto. Pochi minuti prima Boris gli aveva scritto che stava venendo a
prenderlo, che era riuscito a farsi prestare una macchina da un suo
amico. Che
poi non avesse la patente, gli era parso un dettaglio poco rilevante.
Cercò
di pensare a quale finestra fosse la più adatta per darsela
a gambe. Uscì in
balcone, che dava sul giardino. Ma sì, era piuttosto basso e
c’era un albero
molto vicino che avrebbe potuto usare per scendere.
Aspettò
di sentire il suono del motore di un’auto. Si sporse e
riconobbe i capelli di
Boris, così fece per salire sul cornicione.
-Che
cavolo fai?- chiese una voce alle sue spalle, e l’altro
sobbalzò fino quasi a
cadere.
-Sto
andando via.-
-Ma
perché?!- protestò Hilary, afferrandolo per un
braccio.
-Perché
prima vado in un posto sicuro, meglio è.- rispose Kei.
-E
dove andrai?-
-Per
il momento da un conoscente. Stai tranquilla.-
Hilary
annuì, ma era poco convinta.
Kei
si chiese perché la sua preoccupazione lo interessasse. Di
solito gli dava
fastidio quando qualcuno si comportava così con lui, sapeva
perfettamente
quello che faceva. –Senti, davvero. So badare a me stesso.
Chiedi scusa a
Crawford per il disturbo, da parte mia.-
Lei
fece di nuovo sì con la testa, e gli lasciò il
braccio. Kei si voltò, facendo
per scendere. Aspettò qualche secondo, poi cambiò
idea e si girò di nuovo verso
Hilary. La castana lo guardò con un’espressione
interrogativa e tesa. Non si
aspettava che subito dopo lui si sarebbe sporto verso di lei e che le
avrebbe dato
un bacio a fior di labbra. Era leggero, niente di particolare, ma il
cuore
della ragazza perse un battito.
-Grazie.-
le disse piano, prima di darle definitivamente le spalle e scendere con
un
balzo agile.
Hilary
rimase immobile e si portò la mano sulla bocca. Poi fu
travolta da una strana
sensazione. Come se sapesse che non avrebbe dovuto permettergli di
andarsene.
*****
Ehilà!
Ho deciso, d’ora in poi non prometterò
più
aggiornamenti veloci. Tanto sono un disastro e non lo faccio mai
<_<
Cambiamo
formula: prometto solennemente che mi
impegnerò al massimo per non farvi invecchiare
nell’attesa :D
Ok,
non piangerò quando mi lancerete i pomodori.
Da
brava autrice dovrei anche dire due paroline
sul capitolo… beh, chi aveva pensato che la ragazza nel
sogno/ricordo di
Crawford fosse la madre di Kei, ci aveva preso. I due si conoscevano.
Spero
che le lettrici fan della KeixHilary siano
liete dell’evento finale! (Per un bacetto del cavolo, pure
farlocco? Ma muori!
NdLettriciFanDellaKeixHilary)
Uh,
sul portafogli di Kei pieno di spazzatura ho
preso spunto da me stessa. Prima di trovare le (poche) banconote, tiro
fuori
due tonnellate di scontrini e ricevute. Li getto tutti dentro il
portafogli
quando pago e mi dimentico di buttarli ò.ò
Un
abbraccio a tutti (sperando ci sia ancora
qualcuno in ascolto)!
|