Avvertimento:
Il seguente scritto non è redatto né
pubblicato con finalità di lucro. Non s’intende
dare una rappresentazione reale
dei personaggi citati, né s’intende offendere
alcuno. Le vicende rappresentate
sono mero frutto di fantasia.
Slackerbitch
Diary
Ho una papera di gomma.
Una di quelle paperette colorate
che si tengono nella vasca da bagno e galleggiano sull’acqua.
La mia è gialla,
con il becco arancione. Un classico, insomma. L’ho comprata
la scorsa settimana
in un negozio di articoli per la casa. Siamo entrati perché
Stefan, passando
davanti alle vetrine, aveva visto qualcosa – non ricordo cosa
– che gli era
piaciuto.
Lui ha sempre avuto questa
fissazione per l’arredamento.
Non ricordo se alla fine ha
comprato qualcos’altro, ma io ho visto la papera e
l’ho presa.
Ora rotola verso di me. Devo
essermi impercettibilmente spostato nella vasca ed il movimento
dell’acqua
spinge la papera verso il mio viso.
…Se non fossi così ubriaco mi
alzerei ed andrei a dormire. Ma la verità è che
odio dormire da solo e, siccome
è proprio tardi, ormai Stefan si sarà
addormentato da un pezzo ed io sarò
costretto ad andarmene buono buono nella mia stanza e rimanere
lì da solo.
Tiro una ditata alla papera per
farla allontanare.
Sarei dovuto restare alla festa.
O almeno avrei dovuto trovare lì compagnia e farmi portare a
casa.
O in albergo.
Non faccio molto caso alla
differenza.
Invece ho solo bevuto troppo,
rifiutato un paio di inviti, quasi accettato un terzo e, dopo qualche
strusciata
veloce, deciso di voler tornare a casa a dormire.
Invidio Stefan. Lui, quando non
ha voglia di partecipare a queste ridicole feste, semplicemente non lo
fa.
Vorrei avere la sua determinazione. Magari, se l’avessi
avuta, sarei rimasto
anch’io stasera. Ed ora non dovrei dormire da solo,
perché sarei di là in
camera sua, con lui.
La papera si è arenata sul mio
ginocchio. Mi sta guardando da lì. Beccheggia un
po’ ma ha un occhio tondo ed
il becco arancione fieramente puntati su di me. Se mi sta sorridendo,
come
sembra fare, è gentile da parte sua. Mi fa sentire meno
idiota.
L’acqua si è fatta fredda ed
inospitale. È decisamente arrivato il momento di scegliere
di uscirne. Lo
faccio. Giusto un movimento meccanico, che mi porta a sollevarmi nella
vasca
allungando una mano verso l’accappatoio accanto. Faccio per
scostare i capelli
quando esco, gocciolano sul pavimento, assorbono più acqua
della spugna che ho
addosso e mi chiedo se dovrei tagliarli. Ma me ne dimentico
già mentre levo il
tappo alla vasca mettendo in salvo la papera sul bordo.
Per uscire dal bagno cammino a
piedi nudi, lasciando la luce accesa perché mi guidi nel
resto della casa buia.
Sul fondo del corridoio intravedo le due camere da letto, la porta di
Stefan è
accostata come sempre, la mia spalancata e vuota proprio lì
di fronte. Imbocco
il corridoio nella direzione opposta, entrando nel soggiorno e da
lì in cucina.
Mentre seleziono l’ultima birra della serata dal frigorifero,
getto un’occhiata
distratta ai resti della cena. Stefan ha cucinato, a volte lo fa quando
abbiamo
tempo in abbondanza e lui ha voglia di mettersi dietro i fornelli. Sa
che mi
piace come cucina.
Sarei proprio dovuto restare
stasera, sì.
***
-Stef…
Lui mormora qualcosa. Gli do
fastidio ed è abbastanza evidente, non
c’è veramente bisogno che espliciti
questo concetto tentando di scostarmi come sta facendo.
Anche perché tanto sa che non mi
arrendo con facilità.
Mi chino su di lui, sussurrando
di nuovo, ma stavolta direttamente al suo orecchio.
-Stef.
Il mio tono è lievemente più
deciso. Sono bravo in queste cose, colorare di sfumature un tono di
voce pur
senza variarlo…apparentemente. Fatto sta che il sapore di
malizia che gli
imprimo – o forse solo il peso del mio corpo su di lui, a
cavalcioni intorno
alla sua vita – ottiene l’effetto di fargli aprire
gli occhi, sbatte le
palpebre. Io mi tiro dritto e lo osservo, dandogli tempo e spazio per
mettere
davvero a fuoco la mia presenza. Scosto una ciocca di capelli, ancora
terribilmente umida, agganciandola dietro un orecchio. È un
gesto abbastanza
femminile da urtare perfino me e da indurmi a sorridere nervoso.
Non sapessi esattamente quello
che voglio in questo momento, probabilmente il viso assonnato di Stefan
e questa
sensazione di disagio sarebbero sufficienti a farmi desistere. Mi
chiedo comunque
da cosa dipenda il disagio; se anche so che, come sempre,
riuscirò a farlo
sparire dietro modi studiati – da manuale, se esistesse un
manuale per certe cose –
non riesco ad ignorare del
tutto il fastidio che si concentra alla bocca dello stomaco quando nel
buio
intuisco gli occhi di Stefan fissi nei miei.
-…Brian.- realizza, sussurrando
anche lui. Come se ci fosse qualcun altro che possa essere disturbato
dalle
nostre voci. Per un momento sono tentato di ricordargli che siamo soli
in casa.
Nostra. In casa nostra.- Che ora è?- domanda allo stesso
modo.
È quasi ovvio che lo chieda.
Quasi ovvio che io, magari, gli risponda anche.
Ma, ovviamente, non lo
faccio.
Mi piego di nuovo, lo bacio. Un
bacio a fior di labbra, posando le mani sul suo petto. Il calore arriva
attraverso la stoffa del pigiama e quella delle coperte e del lenzuolo.
Mi
irrita da morire, ma non posso esigere tutto e subito come vorrei. Non
con
Stefan.
Lui mi ricambia, distratto. È un
gesto gentile il suo, un saluto educato, subito dopo mi posa le dita
sulle spalle
esercitando una pressione leggera, per chiedermi di tornare a tirarmi
indietro.
Anche se non lo faccio, Stefan mi perdonerà come sempre per
la mia insistenza. Così
non lo faccio.
-Ho sonno.- protesta lui appena.
Più che una vera protesta suona
come una spiegazione razionale del suo desiderio di tornare ai sogni da
cui
l’ho risvegliato.
Dovrei rispettare le sue
decisioni.
-Ed io ho voglia di scopare.-
ribatto ignorando la sua richiesta.
Sto mentendo. Non ho davvero
voglia di scopare, Stef, solo che non mi va di dormire da solo
stanotte…
Chissà se lui capirà la sottile
sfumatura. La intuirà nel modo in cui le mie labbra
percorrono la linea del
collo, o nel modo in cui le mani scostano le coperte per potersi
infilare sotto
gli indumenti e cercare la sua pelle? Sono bravo a mentire con le
parole.
Oramai credo di essere diventato bravo a mentire con qualunque parte
del mio
corpo.
Davvero poco consolante.
Molto più consolante baciarlo sul
serio. Spingere la mia bocca contro la sua, schiudere le labbra per
indurlo ad
affondare la lingua a cercarmi. Il mio fiato sa sicuramente di alcool,
Stefan
intuirà che sono ubriaco e capirà parecchie
ragioni del mio comportamento di
stasera. Domattina mi rimprovererà, comincio a credere che
lo diverta farlo. Di
sicuro, diverte me il fatto che lui lo faccia.
-Ho voglia di te.- continuo nello
stesso tono insinuante, soffiandolo ancora al suo orecchio. Sulle
labbra.- Ho
voglia che tu mi prenda.- Dentro la sua bocca schiusa.
Probabile che lo provochi
apposta. Non mi sono mai fermato a riflettere davvero su questo.
Quando avverto sulla pelle il
tocco delle sue dita, che risalgono le gambe spostando da parte
l’accappatoio
bagnato, so di aver vinto io.
Una vittoria di Pirro, in realtà.
Davvero. Le motivazioni che mi spingono nel letto di Stefan affondano
le
proprie radici così addentro a ciò che sono da
diventare la mia peggiore
sconfitta. O almeno io la vedo così.
Eppure me ne dimentico già mentre
lui mi spinge contro il materasso, salendomi addosso. Circondo il suo
collo con
le braccia, attirandomelo vicino, lui continua ad esplorarmi con le
mani, con
la bocca, e seguire la scia umida che tracciano le sue labbra e la
lingua
risalendo lungo le spalle ed il profilo del viso, mi distrae del tutto
dal
corso nervoso dei miei pensieri.
C’è una cosa che amo di Stefan
più di qualunque altra.
Se volessi essere onesto con me
stesso e con lui, dovrei ammettere che ce ne sono molte e che la prima
– a
voler redigere una “classifica” –
riguarda il suo modo di reagire alle mie
provocazioni, appunto.
Ma l’onestà non è una delle
mie
qualità.
Pertanto, sebbene il mio corpo
ammetta di trovare piacevole il modo in cui Stefan lo maneggia, con una
delicatezza ed una gentilezza che conosce ben poche volte dai miei
amanti
occasionali, la mente se ne disinteressa. A livello emotivo non fa
differenza
per me suscitare la reazione passionale e violenta di coloro che
raccatto in
giro, ai party o nei locali, almeno tanto quanto non fa differenza
ottenere
l’attenzione tenera di Stefan…questo suo assurdo
modo di trattarmi come se
fossi qualcosa di fragile, che può rompersi da un momento
all’altro.
Ormai dovrebbe saperlo che non
sono affatto ciò che sembro.
Sono in tanti a dire di me che
sono solo una puttana. Non immaginano nemmeno quanto abbiano ragione.
La mia
disonestà mentale non arriva al punto da indurmi a credere
che il successo dei
Placebo dipenda interamente ed esclusivamente dalle nostre
capacità di
musicisti. Prima di andarsene Rob mi disse che non saremmo mai arrivati
davvero
al successo. Mai. A meno che fossi io a costruirlo per tutti noi. Lui
sapeva
esattamente cosa mi stava dicendo. Per questo rideva di me mentre lo
faceva. Mi
stava dicendo che non valevo niente se non come provocatore, che non
c’era
alcuna sostanza nella musica che realizzavamo e che ogni sostanza che
vi avessi
voluto imprimere avrebbe avuto un solo odore. Quello del sesso a buon
mercato. Quello
che Rob non immaginava nemmeno mentre se ne andava ridendo, era che io
fossi
consapevole tanto quanto lui di questa sua presunta
“verità”, e che ne fossi
consapevole al punto da aver già preso la mia decisione.
Essere una puttana non è poi così
male come si crede. Fondamentalmente è un modo come un altro
per guadagnarsi da
vivere. Nel mio caso, per guadagnarsi il successo. Spesso si
concretizza nel
mero far credere al tuo prossimo che tu sia un’improbabile e
svampita
“ragazzina”, pronto a concedersi, anima e corpo, al
primo che passa in cambio
del soddisfacimento di un interesse contingente di maggiore o minore
rilevanza.
Nella realtà dei fatti, la maggior parte delle volte ti
limiti a dare a quel
prossimo la sua “illusione”, salvo riprenderti i
tuoi spazi appena oltre
l’angolo.
Prendere in giro un manager.
Prendere in giro qualcuno della produzione. Prendere in giro un altro
artista.
O anche, più banalmente, prendere in giro i fan. Far credere
ad ognuno di
questi individui che tu sia esattamente
tutto quello che loro vogliono. Tutto questo non dà
veramente potere agli altri
su di te, bensì a te su tutti loro.
E quel potere mi piace abbastanza
da indurmi ad essere una puttana a buon mercato. Con soddisfazione
concorde per
me e per Rob. Anche se per motivi ben diversi. Alla fin fine ho riso
molto di
più io nel vederlo andare fuori dalle palle ancora prima che
il tour dell’album
fosse terminato.
Queste considerazioni sono alla
base della mia accettazione del discorso “sesso”
secondo un’ottica diversa da
quella comune. Per cui non riesco proprio a capire la tenerezza di
Stefan
quando scopiamo, salvo che leggendola nella prospettiva per me assurda
di
questa sua decisione di “prendersi cura di me”.
Eppure, c’è una cosa che amo di
Stefan più di qualunque altra.
Non è una cosa davvero
importante. Lo diventa nel momento in cui si ripete con
un’ossessività quasi
inspiegabile. Ed è il suo modo di continuare a chiamare il
mio nome.
La sua voce risuona al mio
orecchio come una litania ripetitiva, come una delle nostre canzoni.
Rinuncia a
baciarmi solo per prendersi tempo e pronunciare quelle poche lettere, e
lo fa
ogni volta con lo stesso trasporto, con la stessa inflessione.
Io so perché lo fa. Non ne
abbiamo mai parlato davvero, ma Stefan ha questa cosa di essere una
persona
trasparente, per cui ci metti davvero poco a capirlo. Basta solo
osservarlo per
un po’. Lui ha dei processi mentali lineari ed in questi
processi mentali ha
ben chiaro un passaggio. Su di me non può rivendicare alcun
diritto.
Noi due abbiamo una relazione. È
nata in modo abbastanza casuale, ad essere onesti. Steve, una volta che
il
discorso venne fuori, disse che era la conseguenza inevitabile del
nostro
ostinarci a condividere un appartamento. Ed aggiunse che non avremmo
dovuto
comunque prenderla troppo sul serio, perché era chiaramente
una cosa senza peso
che non modificava di una virgola la natura del nostro rapporto. Tutto
ciò che ne
sarebbe venuto fuori, quando ci fossimo annoiati, sarebbe stato
l’approdare
alla decisione di andare a vivere ognuno per i cazzi propri.
Steve è una creatura saggia. Lo
pensai allora, abbastanza stupito, mentre lo guardavo riprendere a bere
la
propria birra. E lo penso ora, a distanza di mesi, mentre Stefan
affonda dentro
di me ed io lo sento gemere il mio nome direttamente contro la mia
bocca.
Per mia natura, io sono portato a
non legarmi a nessuno. Neppure quando la persona che mi ritrovo nel
letto è la
personificazione di tutto ciò che in quel momento
rappresenterebbe per me “ciò
che è buono e giusto”. Al più accetto
di scoparmelo o farmi scopare una seconda
volta e lì finisce il mio concetto di “relazione
stabile”. È nel gioco del
resto, non posso certo permettermi di smettere di essere una puttana
solo per
il fortuito caso di essermi innamorato di qualcuno. Non certo in questa
fase
della mia carriera artistica, almeno. La fortuna vuole che, in ogni
caso, io
sia ben lungi dall’essermi innamorato di alcunché
fino ad oggi.
Per sua natura, Stefan è un
animale incapace di tradire, per lui esiste esclusivamente la persona
con cui
sta e, su qualsiasi base si fondi il suo rapporto, lui ne
sarà comunque
pienamente soddisfatto, al punto da non riuscire a vedere altro.
Nemmeno se l’altro gli
piomba in braccio già pronto e
confezionato.
Nonostante questi presupposti e
le giuste considerazioni di Steve al riguardo, la nostra ad oggi
è una
relazione. Nella quale nessuno dei due, ufficialmente, appartiene
all’altro.
Nella quale, ufficiosamente,
Stefan mi appartiene ed io non appartengo a lui.
E non sono particolarmente
stupito se lui riesce ad intuire questa cosa ad un livello
così profondo da
averne l’esatta percezione anche mentre facciamo sesso. Per
Stefan, a differenza
che per chiunque altro, non è sufficiente che io mi conceda,
che gema di dolore
e di piacere tra le sue braccia, che mi stringa a lui, che cerchi le
sue labbra
per morderle e sentirne il sapore. Lui sa esattamente che tutto questo
non ci
avvicina di un passo rispetto alla distanza che ci separa in qualunque
altro
momento della giornata.
E siccome lo sa e non lo accetta,
allora continua a cercare di colmare quella distanza. E chiama il mio
nome.
È un modo ridicolo di fare. Io
non gli risponderò solo perché lui mi invoca come
un assetato l’acqua. Non gli
dirò che lo amo solo perché lui è
sincero con me. Ripagare con una bugia ancora
più grossa la sua disperata sincerità sarebbe
crudele perfino da parte mia.
…La cosa tragica, però, è
che io
amo così tanto sentire il mio nome sulla sua bocca, da
sapere che il caso ha
avuto una parte ben misera nell’inizio di tutto questo.
Ora devo solo riuscire ad
ingannarmi ancora, e dirmi che sono qui perché non volevo
dormire da solo.
***
In soggiorno è scattata la segreteria
telefonica.
Sono quasi due anni, ormai, che
ho smesso di rispondere al telefono. All’inizio mi sembrava
strano sentire la
voce di qualcuno avvolgere lo spazio intorno a me. Mi fermavo
imbambolato
davanti al telefono, non alzavo la cornetta ma fissavo ostinatamente
l’apparecchio aspettando che la voce oltre il filo si
qualificasse e mi dicesse
cosa voleva. Adesso non ci bado più, sono arrivato ad
apprezzare il meccanismo
che mi permette di selezionare i miei interlocutori, decidendo chi, quando
e perché. Vantaggi
connessi con la
popolarità, immagino. Ma credo che se anche domani
diventassi qualunque altra
cosa, diversa dal cantante e leader di una band rock, continuerei a
lasciare
rispondere la segreteria.
Il freddo del letto al mio fianco
quando allungo il braccio ed il rumore dei piedi nudi sul parquet di
legno mi
informano che Stefan è già in piedi. Non
risponderà nemmeno lui, i passi si
allontanano verso la cucina.
Ascolto una voce impersonale di
donna chiedere di lasciare un messaggio dopo il segnale acustico.
C’è una
pausa, probabilmente la persona che ha chiamato non sa se sia il caso
di fare
come chiesto. Peggio per lui/lei. Poi, però, ci ripensa.
È ancora una voce femminile. Ma è
vecchia. Perfino più vecchia di come la ricordavo. Mentre
alzo la testa dal
cuscino, mia madre mi chiama. Esitante.
Scendo dal letto e cammino nudo
come sono verso la fine del breve corridoio. Lei sta parlando ancora,
si è
fermata una seconda volta ma poi ha capito di dover arrivare fino in
fondo. Ha
capito che anche se sono qui non risponderò.
Quindi me lo dice.
-Tuo padre sta male. Credo sia
meglio che tu venga qui. Siamo dai nonni.
C’è un click quando cade la
comunicazione. Le segreterie non sono capaci di selezionare i messaggi
che vale
la pena di sentire per intero e quelli che possono essere tagliati dopo
il
minuto canonico. Un inconveniente fastidioso a volte.
Alzo il viso per incrociare lo
sguardo di Stefan. Sembra raggelato da qualcosa, sta sulla porta della
cucina e
mi fissa con gli occhi sgranati, la tazza del caffè
sollevata a mezz’aria. Noto
distrattamente che nemmeno lui si è rivestito del tutto,
comincio ad odiare
questa sua abitudine di girare a torso nudo.
Ed è strano.
In qualunque altro momento della
mia vita con lui l’ho trovata una cosa estremamente piacevole.
Quindi c’è qualcosa che non va.
-Che giorno è oggi?- domando
senza nessuna relazione con il corso dei miei pensieri.
Quando sento la mia voce,
incrinarsi e spezzarsi a metà della frase, capisco anche
perché Stefan mi
guarda così.
24 Aprile del 1999*.
È sul calendario appeso vicino
all’ingresso della cucina. Lo sto guardando solo per non
dover ricambiare il
suo sguardo e fargli vedere che sto piangendo, vero?
*Ovviamente non ho idea di dove
fossero i Placebo il 24 Aprile del 1999, né avevo voglia di
andare a
controllare. Per cui chiedo scusa a tutti, ma mi serviva una data di
primavera
successiva alla pubblicazione del secondo album ed ho scelto questa.
Chiedo
perdono ai perfezionisti ed a coloro che, giustamente, preferiscono una
maggiore cura dei particolari.
Nota di fine capitolo:
La storia che segue appartiene a
quelle che io definisco “amori contrastati”.
È stata realizzata in un momento
d’ispirazione, in un unico getto, senza soluzione di
continuità. È breve.
Concisa. Con una trama labile che è una evidente scusa per
delle riflessioni
sul personaggio.
So che è un genere che non tutti
amano – io sì, lo ammetto – e so che
questa roba risulterà “pesante” per
tanti
che leggeranno. Spero che almeno qualcuno la apprezzi. Io, ovviamente,
l’ho odiata
ancor prima di averla finita (all’incirca dieci righe prima
di averla finita).
E poi l’ho riletta e l’ho amata, salvo odiarla
dieci minuti dopo.
Ecco la mia definizione di “amori
contrastati”.
Per questo mi sento di dover
ringraziare davvero tanto Lisachan e Rinnie, per aver betato la storia
ma
soprattutto per avermi convinta che valeva la pena di pubblicarla.
Inoltre devo ringraziare Lisachan
perché questa storia è nata solo in
virtù dell’amore che ho provato, dal primo
momento, per la sua meravigliosa “Labyrinth”, la
cui lettura consiglio
vivamente a tutti.
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