Saint
Valentine's Day
«Vede, quello di cui la
scuola ha bisogno in questo momento è un sostegno morale.
Cancellare i ricordi
dell'ultimo trimestre! Ora non voglio anticipare niente, ma credo si
sapere
esattamente che cosa...»
Quello che intendesse
Allock quando parlava di sostegno morale fu chiaro la mattina del 14
febbraio,
a colazione.
[...]
Ron indicò il tavolo
degli insegnanti, troppo disgustato per parlare. Allock, che indossava
un abito
dello stesso colore rosa acceso delle decorazioni, stava agitando le
braccia
per chiedere silenzio. Gli insegnanti che sedevano al suo fianco erano
impassibili, come pietrificati. Dal punto dove si trovava, Harry vedeva
un
muscolo contrarsi sulla guancia della McGranitt. Quanto a Piton, pareva
gli
avessero propinato un bel bicchierone di Ossofast.
«Buon San Valentino!»
esclamò Allock. «E il mio grazie alle quarantasei
persone che mi hanno mandato
una cartolina di auguri! Sì, mi sono preso la
libertà di farvi una piccola
sorpresa... e non finisce qui!»
Così dicendo batté le
mani e dalle porte della Sala d'Ingresso entrarono una dozzina di nani
dall'aria arcigna. Ma non erano nani qualsiasi. Allock li aveva dotati
tutti di
ali dorate e di un'arpa.
«I miei amici cupidi,
postini d'amore» annunciò raggiante Allock.
«Oggi andranno in giro per tutta la
scuola, consegnando i vostri auguri di San Valentino».
[...]
[Harry Potter e la
Camera dei Segreti - Capitolo 13: Il diario segretissimo]
Minerva
infilzò il proprio bacon con forza. «Non riesco a
credere che l'abbia fatto»,
borbottò, «No, sto sognando».
L'uomo al
suo fianco ridacchiò.
La forchetta
che stava portando alla bocca si bloccò a mezz'aria e la
professoressa si voltò
lentamente verso il Preside, «Non è divertente,
Albus».
«No,
non lo
è», replicò lui, cercando di apparire
serio.
Lei
ingoiò
il pezzo di bacon guardandolo di sottecchi, «Ti vedo, sai.
Stai ridendo».
«Minerva,
la
scuola ha bisogno di tirarsi su il morale dopo i recenti eventi; oggi
è San
Valentino e...».
«E?».
«Beh,
Gilderoy ha colto la palla al balzo, come dicono i Babbani».
«E'
semplicemente un'altra occasione perché il caro
professor Allock possa mettersi in mostra», fece notare lei,
prima di bere un
sorso di succo di zucca.
«Io
penso
che sia un'idea originale».
La
professoressa di Trasfigurazione sgranò gli occhi e la
bevanda le andò quasi di
traverso. «Spero tu stia scherzando».
«Mai
stato
più serio».
Minerva
scosse la testa, «E' del tutto inadeguato, fuori
luogo».
«Per
una
volta potresti fare buon viso a cattivo gioco».
Lei si
pulì
le labbra con il tovagliolo, «Per una volta; di certo non
questa», gli rispose,
alzandosi dalla sedia senza guardarlo.
Albus
osservò la sua figura alta e distinta mentre si allontanava
dal tavolo degli
insegnanti, «Vedremo se alla fine non farai buon viso a
cattivo gioco, mia
cara», mormorò.
*
La mattinata
era nel pieno del suo fervore e Minerva era più impegnata
che mai: aveva
trascorso la prima ora insegnando ai ragazzi del terzo anno che
iniziavano un
programma particolarmente difficile, durante la seconda ora aveva
preparato i
Grifondoro del quinto anno per i G.U.F.O. e, alla terza ora, stava
distribuendo
topolini da trasformare in tabacchiere agli alunni del primo anno.
«L'incantesimo
è semplice», iniziò, «basta
agitare leggermente la bacchetta e...».
La porta
dell'aula si aprì e dall'uscio, esitante, comparve un nano
tozzo e bitorzoluto,
con un grande naso rosso e delle ampie ali dorate.
«Oh,
auguri
di San Valentino persino per i ragazzi del primo anno!»,
sbottò infastidita.
I suoi
alunni si guardarono intorno incuriositi, come se cercassero di
indovinare chi
sarebbero stati i destinatari dei messaggi tanto attesi.
«Sto
cercando una certa Minerva McGranitt», replicò il
nano, non prestando
attenzione al suo commento.
Avrebbe
voluto che il pavimento della sua aula la risucchiasse lì,
sul posto. Gli occhi
dei venti ragazzi seduti di fronte a lei si allargarono per lo stupore
e alcune
ragazzine iniziarono a ridere coprendosi la bocca con le mani.
«Sono
io»,
rispose, tentando di trattenersi dal far Evanescere il piccolo cupido.
Il nano
estrasse l'arpa e, dopo essersi schiarito la voce, cominciò:
«Amo la sua chioma nera corvina,
i suoi occhi
penetranti da bambina,
la sua agile
figura di forma felina,
così
lo dico, senza vergogna, questa mattina».
Merlino, era
anche peggio di quanto avesse immaginato.
«Grazie.
Se
è tutto, può andare».
Il
messaggero chinò lievemente la testa e sparì,
richiudendosi la porta alle
spalle.
Minerva
rivolse la sua attenzione ai propri allievi, lanciando uno sguardo che
prometteva solo guai in caso avessero sparso la voce in giro.
*
«Allora,
Gilderoy, quanti auguri hai ricevuto quest'oggi?»,
domandò Albus a cena.
Di fianco a
lui, Minerva tentò di concentrarsi sul suo pasticcio di
rognone.
«Moltissimi,
signor Preside! Stamattina erano a malapena quarantasei, ma alla fine
di questa
giornata hanno toccato la cifra di ottantadue - solo gli auguri
provenienti da
questa scuola, s'intende».
«Certo,
s'intende»,
replicò Minerva a denti
stretti.
«Ho
sentito
che anche tu hai ricevuto un augurio di San Valentino, Minerva,
è vero?»,
domandò incuriosito il vanesio professore di Difesa Contro
le Arti Oscure.
Da chi era
venuto a saperlo? La donna si appellò a tutto il suo
autocontrollo per evitare
di estrarre la bacchetta dalla tasca e lanciargli una fattura.
«Sì,
è
così», ammise, «Anche se tutto
ciò non è affar tuo, Gilderoy».
«Oh
- oh,
Minerva, non essere così suscettibile. Mi stavo solo
informando».
«Preferirei
non lo facessi, grazie»,
tagliò corto
lei.
Allock,
visibilmente a disagio, si rivolse a Vitious, cercando di intavolare
una
discussione con lui. «E' così allora? Hai ricevuto
un augurio per San Valentino,
oggi?», le domandò Albus.
Minerva
alzò
gli occhi al cielo. «E anche se fosse?».
«Era
solo
per togliermi una curiosità».
«Sì,
ho
ricevuto un augurio di San Valentino», sbuffò
infine. «Pure pessimo, oserei
dire».
Silente
ridacchiò. «Com'erano le rime?».
«Semplici;
le frasi invece erano abbastanza confuse - sembrava che avesse scelto a
caso le
parole rima che, per pura coincidenza, riguardano la mia
persona».
«Magari
l'ha
scritta di fretta».
Minerva gli
scoccò un'occhiataccia, che il Preside ignorò.
«Di cosa parlava?».
«Oh,
non
ricordo esattamente - cerco di cancellare i brutti ricordi il prima
possibile!
Qualcosa riguardo ai miei capelli e alla mia forma di Animagus, poi non
ricordo».
«Dimentichi
gli occhi verdi», mormorò l'altro.
«Cosa?»,
domandò lei, completamente distratta nel tentativo di
ricordare la poesia.
«Niente»,
replicò. «Ti sei domandata chi potrebbe
essere?», chiese dopo qualche minuto di
silenzio, in cui entrambi si godettero la cena.
«No,
ma sarà
uno scherzo di qualche studente che si crede divertente».
«Dici?».
Minerva
masticò il boccone appena ingoiato prima di rispondere,
«E' solo una mia supposizione».
«Chi
lo sa,
magari qualcuno è segretamente innamorato di te»,
commentò lui, per poi
tagliare la coscia di pollo che aveva nel piatto.
«Sì,
bella
battuta», replicò lei, chiudendo il discorso.
*
«Che
giornata!», si lamentò Filius in sala professori
dopo cena.
Minerva
chiuse il quaderno contenente il plico di verifiche che stava
correggendo con
un sospiro, «Già, che giornata».
«Io
direi
che me ne vado a letto», annunciò lui, dopo aver
richiuso il suo cassetto con
un rumore secco, «Buonanotte, Minerva».
«E'
una
buona idea; penso che andrò a letto anch'io. Buonanotte,
Filius».
La porta
della sala insegnanti si riaprì poco dopo,
«Credevo che volessi andare a
dormire, Filius».
«Non
so se
Filius sia andato a letto o meno, io di certo sono ancora
sveglio», le rispose
Albus.
«Oh,
Albus,
non pensavo fossi ancora in piedi a quest'ora: è molto
tardi».
Lui estrasse
uno strano orologio Babbano dalla tasca della veste e
l'osservò con attenzione,
«Sono le undici, non è così
tardi».
Minerva
sbadigliò in risposta.
«Date
le
circostanze penso sia meglio che tu
vada a letto», replicò l'uomo con un sorriso.
La
professoressa annuì in silenzio, raccogliendo la propria
borsa e inserendovi il
quaderno con le verifiche all'interno.
«E'
stata
una giornata impegnativa; ho avuto una classe del terzo anno, una del
quinto e
una del primo, dopodiché due ore con i ragazzi del settimo
anno - il martedì
non è uno dei miei giorni migliori».
Silente
ridacchiò, «Già; quello spasimante
segreto, poi, deve aver occupato non poco i
tuoi pensieri».
«Meno
di
quanto pensi», replicò lei piccata, «Non
mi interesso di queste cose».
«Oh,
andiamo, non dirmi che non vorresti sapere chi è».
Minerva lo
scrutò con circospezione, per poi rispondere,
«Almeno avrebbe potuto avere il buonsenso
di dirmelo in faccia».
«Confessare
i propri sentimenti non è così semplice come
pensi; magari è un po' intimidito
da te».
«Intimidito?
Da me?».
«Sì,
sei una
donna combattiva, con un carattere forte, inoltre sei particolarmente
terrificante quando ti arrabbi».
«Non
vedo
perché dovrei arrabbiarmi, al massimo lo rifiuterei
gentilmente».
«Non
ti
arrabbieresti nemmeno se avesse scelto di metterti in imbarazzo davanti
ai tuoi
studenti del primo anno?».
Minerva
strabuzzò gli occhi - come faceva a sapere questi
particolari?
Non li aveva
detti a nessuno e di certo i suoi allievi non si sarebbero azzardati a
farlo,
non dopo le minacce di morte che aveva loro assicurato con un solo
sguardo.
«Nemmeno
se
ti ha scritto una pessima poesia che parla della tua chioma corvina, i
tuoi
occhi da bambina e la tua forma felina?».
Minerva lo
fissò in silenzio, la bocca leggermente aperta per lo
stupore.
«Come...?»,
domandò qualche secondo dopo, incapace di concludere la
frase.
Albus
continuò a guardarla, immobile.
«E'
stato
qualcuno dei Tassorosso del primo anno, vero?», chiese
irritata, «Hanno sparso
la voce in giro, altrimenti Gilderoy non avrebbe potuto...».
Silente
scosse la testa.
«E
allora
chi...?», si fermò a metà frase,
realizzando finalmente ciò che aveva tentato di
comunicarle implicitamente.
«Sei
stato
tu», sussurrò.
Lui le
sorrise debolmente, annuendo.
«Perché?
Era
per prenderti gioco di me, Albus?», domandò con un
filo di voce.
«No»,
rispose l'altro, «Questo mai».
«Allora
perché? Per quella discussione avuta stamane a
colazione?».
«Stai
cercando tutte le spiegazioni possibili, ma non hai ancora preso in
considerazione la più ovvia», mormorò.
«La
più
ovvia...». Le pupille di Minerva si dilatarono per lo
stupore, «Di certo tu -
no, non è possibile».
Le si
avvicinò lentamente, posando le mani sulle sue braccia.
«E'
uno
scherzo, vero? Perché tu...», fu interrotta di
nuovo dal contatto delle labbra
di Albus sulle sue. Fu un bacio leggero, quasi casto, della durata di
un
secondo; Minerva era senza parole.
«Ci
credi
ora?», sorrise lui.
«Io...
non
lo so», mormorò confusa.
«So
che può
averti colto di sorpresa, è stato tutto molto affrettato, mi
dispiace e...».
Minerva gli posò un dito sulle sue labbra, «No -
devo solo abituarmi all'idea,
ecco», concluse accarezzandogli, con un poco di esitazione,
la guancia.
Albus prese
la mano nella sua e le baciò l'interno del polso.
Lei gli
sorrise timidamente, «Vorrei farti presente solo una
cosa».
«Cosa?»,
chiese Silente, appoggiando la fronte su quella della donna e
percependo il suo
respiro tiepido.
Minerva
ridacchiò, «Quella poesia era davvero
orrenda!».
Sera
gente!
E'
una fic semplice e senza pretese, un'idea malata che mi è
venuta in mente l'anno scorso, quando, purtroppo, San Valentino era
già passato.
So
che la sto pubblicando con un bel po' di ritardo, ma l'ho finita il
prima possibile, spero vi piaccia.
Aggiornerò
la mia long Albus/Minerva, Set
Fire to the Rain,
appena posso - la mia beta adorata deve finire di correggere il nuovo
capitolo ^^
Buona
serata a tutti
Jo
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