Capitolo XIV
It's
hard to compromise when I see through your eyes
It's just a common view, I guess it's lost on
you
(I Can
Talk, Two Doors Cinema
Club)
27
Giugno 2028
Londra,
Diagon Alley
“Perché
stiamo entrando in un
negozio di giocattoli?”
James Potter non si riteneva
un tipo paziente; certo, riusciva a simularlo con gente come Malfoy,
perennemente agitata come un ragazzino strafatto di Piume da Zucchero,
ma in
toni generali non sopportava domande che riteneva stupide e quella di
Prince era
appena schizzata in cima alla sua personale top - ten.
Il suddetto in compenso si
era
bloccato a braccia incrociate a pochi metri da loro.
Spiccava, non c’era nulla da fare: era sia
l’uniforme blu, dalla foggia
diversa, sia il
fatto che urlasse straniero da
ogni poro della pelle. Aveva
un bel dire suo padre che dovevano cominciare ad andarci
d’accordo.
Non
ci riuscirò mai. Mi sta troppo sul cazzo, scusate
tanto.
“Perché
prima di tutto non è
un negozio di giocattoli.” Puntualizzò seccato.
“Ma di scherzi magici.”
“La differenza?”
Ora
lo Schianto.
“La differenza
è nella merce.”
Gli venne in soccorso Scorpius con una scrollata di spalle.
“Comunque non siamo
qui per quella parte del negozio. Ce n’è
un’altra … Il laboratorio di Hugo, e
lui potrà darci una mano.”
“Con le telecamere di sicurezza da montare al San
Mungo?” La voce del tedesco
suonava scettica e fu di nuovo Malfoy a parlare perché era
un tipo dannatamente
diplomatico.
“Hugo ha avviato
un’attività
un po’ particolare…” Spiegò.
“Si occupa di rendere funzionanti gli oggetti
Babbani nel Mondo Magico. Fa in modo che la tecnologia riesca a
sopravvivere ai
campi magici emanati dai palazzi, dalle nostre case, da noi.”
“Lo facciamo anche in America.”
Ah, la perfetta America!
“Sì, ma qui è una cosa
piuttosto nuova.” Fu l’obiezione pacata; davvero,
come riusciva Malfoy a non aver voglia di prenderlo a calci? Doveva
essere
tutto l’allenamento che aveva fatto con tizi sgradevoli come
suo padre, forse.
“Se vogliamo far funzionare delle telecamere di sicurezza al
San Mungo senza
farcele spedire dall’America e perdere tempo ad aspettarle,
è lui la persona
giusta.”
Prince rimase in silenzio,
quasi avesse bisogno di pensarci, quando era chiaro che era
l’unica soluzione
praticabile sia per proteggere il sergente Flannery, sia per non
continuare a
girare a vuoto; l’identikit redatto da Mason Wolpert era
infatti stato un
glorioso buco nell’acqua, dato che all’atto di
descrivere il tipo era venuto
fuori che Wolpert era stato nientemeno che affatturato.
Una
roba potente. Quando ha provato a parlare gli si è
annodata la lingua. Letteralmente.
A Lesioni da Incantesimo ci stanno
lavorando da quanto, quattro giorni?
Era frustrante. Sembrava che
quel caso non avesse neanche uno spiraglio a cui affacciarsi,
né una pista su
cui svoltare. Come se non bastasse la stampa aveva fiutato il sangue ed
era
solo questione di tempo prima che i segugi della Gazzetta collegassero
il
black-out all’intera faccenda dell’americano e del
Sergente.
Lanciò
un’occhiata al proprio
Specchio Comunicante; allo scioglimento della fattura sarebbe stato
immediatamente contattato.
Nessuna
notizia fin’ora.
“Capisco.”
Disse il tedesco
distogliendolo dai suoi pensieri. “Va bene,
entriamo.” Disse passandogli
accanto e ignorandolo come se fosse fatto d’aria.
Coglione.
Fece una smorfia scontenta:
sapeva che avrebbe dovuto trovare il modo per andarci
d’accordo; suo padre
glielo aveva fatto promettere qualche giorno prima con un discorsetto
durato
tutto un dopocena.
Sicuramente
gliel’avrà imboccato quella scema di Lils.
Solo che quella
raccomandazione non lo prendeva in un momento tranquillo: era stata una
settimana schifosa, piena dei problemi che più odiava al
mondo, ovvero quelli
senza soluzione.
Tipo,
il mio ragazzo si è rintanato in mezzo ad una
pila di libri alta quanto un pony e non vuole parlare di quanto
successo nella
Foresta Proibita. E oggi andrà a seppellire quel Mannaro. E
non posso farci niente.
Intercettò
un’occhiata
preoccupata da Malfoy e gli allungò una pacca sulla spalla.
“Tutto a posto,
Malfuretto.” Mentì.
“Con questa faccia? Non prendermi in giro.” Lo
sgamò subito. “Ne vuoi parlare?
Birra dopo il lavoro?”
“Preferisco
tornare a casa.”
Scrollò le spalle, per quanto quella frase suonasse stonata
per le sue corde. “Sai,
Teddy.”
L’altro,
già a conoscenza di
tutto dato che quella birra se l’erano presa più
volte in quei quattro giorni,
annuì. “Okay, ma domenica ci sei per il mio
compleanno al Finnigan’s, vero?
Trascinaci anche lui.” Gli suggerì con un sorriso
cordiale. “Vedere un po’ di
gente lo tirerà su di morale!”
“Ci
provo.” Concesse spingendo
la porta ed entrando nel caotico ambiente dei Tiri Vispi; furono
così assaliti
da un tripudio di colori, suoni e luci. James sorrise divertito ai
fuochi di
artificio che sfrecciavano ovunque e alle torme di ragazzini che si
asserragliavano attorno agli scaffali, chiedendo a gran voce ai
commessi,
vestiti di tutti i colori dell’arcobaleno, di provare la
merce. Ne schivò un
paio, tirando uno scappellotto distratto ad un moretto che
tentò di aggrapparsi
alla sua cintura, troppo in prossimità del fodero della
bacchetta.
“Questo posto
è un casino come
al solito. Un giorno salterà in aria dalle
fondamenta.” Sghignazzò l’amico con
gli occhi che gli brillavano. “Lo adoro.
Da bambino mamma mi parcheggiava qui e Calzino poi ci metteva ore per
trovarmi.”
“I miei una volta
mi hanno
perso sul serio … Sono stato ritrovato nel retro dopo un
paio giorni,
abbracciato ad una cassa di Detonazioni Deluxe!” Rise Bobby,
che come loro aveva
passato l’infanzia tra quegli scaffali.
A metà tra il
negozio e una ludoteca,
i Tiri Vispi Weasley erano la summa
perfetta del negozio a misura di piccolo mago e James aveva sempre
ammirato la
capacità dello zio di non arrabbiarsi mai quando, alla
chiusura del negozio,
dentro sembrava esserci passato un uragano.
Ma
dopotutto il casino pare divertirlo a morte.
Avanzando in mezzo a Fuochi
ad
Innesco ad acqua che esplodevano ad ogni piè sospinto in
cascate multicolori ci
misero più di qualche secondo a notare che Prince era
sparito. James si voltò e,
per la prima volta dall’arrivo dell’altro,
provò qualcosa di simile alla compassione;
il poveretto non si era mosso dall’entrata, con gli occhi
sgranati in piena e
terrificata confusione.
“Sembra che non
abbia mai
visto un negozio di scherzi magico!” Ironizzò
Bobby.
“Di certo non così. Questo posto
è un simbolo fulgido
della follia umana. Vado a prenderlo.” Esordì
Scorpius risalendo il fiume di
pre-puberi. Raggiuntolo gli parlò qualche breve istante in
un tripudio di
sorrisi rassicuranti che avrebbero convinto un Mangiamorte ad adottare
gattini;
Prince cominciò a riprendere colore.
“L’ha
preso in simpatia, eh?”
Considerò Bobby incuriosito.
“Probabilmente gli
ricorda suo
padre o roba del genere.” Scrollò le spalle
facendo un cenno di saluto a suo
zio George, occupatissimo a mostrare uno dei nuovi scherzi ad un
capannello di
bambini entusiasti.
“Beh,
però è meglio
di Lord Malfoy.” Alla sua
occhiata si strinse nelle spalle, a disagio. “Avrà
fatto degli errori in
passato, ma non così grossi.”
“Dillo alla mia
famiglia.”
Masticò malmostoso, trovandosi nella scomoda posizione di
non sentirsi più così
legittimato.
Papà,
Al, Lils e mamma non me la rendono facile.
Merlino, me lo troverò davvero a tavola alla Tana, una di
queste domeniche.
Scorpius lo raggiunse con
l’altro, che si guardava attorno come se avesse paura che
qualcosa potesse
saltare in aria da un momento all’altro.
Paura
legittima bello.
“È qui
il laboratorio?” Chiese
riuscendo comunque ad approntare un tono fermo, gliene dovette rendere
atto.
“No,
dietro.” Fece un cenno
alle sue spalle. “Diamoci una mossa.”
Alla follia degli inglesi
non
c’era mai fine.
Respira.
Occhieggiò la
fila di scaffali
da cui stava passando, dalla quale esplodevano cose
emettendo rumori raccapriccianti tra la pernacchia irriverente
e il fischio acutissimo.
Lilian gli aveva raccontato del negozio di scherzi di suo zio George,
una vera
e propria peculiarità di Diagon Alley che attirava curiosi e
clienti anche dai
Ministeri vicini, tuttavia non avrebbe mai immaginato si trattasse di
una
specie di parco giochi per strafatti di Pozione Stimolante.
O
per bambini…
- gli suggerì la voce della sua coscienza; bambini
iper-stimolati e chiassosi a
giudicare dalle squadriglie di ragazzini che rischiavano di farlo
inciampare ad
ogni passo, brandendo bacchette di gommapiuma che si trasformavano ad
ogni piè
sospinto in ombrelli o merluzzi, dolciumi e fuochi
d’artificio.
“Questo posto non
dovrebbe vendere scherzi?
Perché lascia che i
clienti saccheggino gli scaffali?”
“Sono i campioni
di prova,
credo.” Gli rispose Malfoy, che esibiva
un’espressione curiosamente simile ai
piccoli avventori. “E se prendi qualcosa che non è
in prova, paghi all’uscita.
È un metodo che funziona, George Weasley ci ha fondato una
specie di piccolo
impero!” Si strinse nelle spalle. “Ci sono sedi dei
Tiri Vispi sparse un po’
per tutta Europa.”
Sören fece una smorfia; non capiva tutto quel chiasso e ne era
maledettamente
frastornato.
“Non hai mai
comprato una
Caccabomba da ragazzino?” Gli venne chiesto con divertimento.
“Avevo il Piccolo
Pozionista …
Lo ricevetti da mio padre quando avevo sei anni.”
“Anche io. Feci
saltare in
aria il letto di camera mia e per punizione il mio mi fece dormire sul
tappeto
per una settimana!” Sghignazzò allegramente.
“Tu cosa hai distrutto invece?”
“Niente.”
Aggrottò le
sopracciglia. “Seguivo le istruzioni.”
“Oh, ci credo.” Sorrise di rimando indicandogli poi
con un cenno della testa
una porticina rossa, alla fine dell’enorme stanzone su
più piani. “Eccola là.
La porta per il regno di Hugo.”
“Cugino di Lily?”
“Gli Weasley sono
più o meno
tutti cugini tra di loro. Sono una specie di enorme conigliera
rosso-crinita.”
“Guarda che ti
sento,
cazzone!” Lo riprese Potter facendogli un gestaccio e
bussando al battente
della porta rossa. “Speriamo che Hugo non si spari quella sua
roba in cuffia o
non ci sentirà mai.” Borbottò
scrocchiandosi il collo.
Fortunatamente il ragazzo in
questione aprì subito; Sören lo riconobbe al volo,
perché a parte l’altezza e i
lineamenti più maturi era lo stesso ragazzino arruffato che
aveva conosciuto ad
Hogwarts. Questo abbassò le grosse cuffie Babbane sul collo
e li squadrò uno
per uno. “Ohi. Che ci fate qui?” Esordì
con il tono di chi era appena stato
strappato dal sonno.
Riesce
a dormire con quello che succede dietro la sua
porta?
“Consulenza,
Hughie!” Esclamò
Potter battendogli una pacca consistente sulla spalla magra.
“Ci serve una mano
con una roba tecnologica.”
“Ah, okay.” Esalò lanciandogli
un’occhiata piuttosto truce, ma doveva essere la
sua espressione usuale perché non la cambiò
neppure per salutare Jordan e
Malfoy. Sören da un mondo caotico fu trascinato in un altro,
completamente
diverso eppure regolato dagli stessi principi dell’entropia.
Era un
retro-bottega, spazioso ma completamente invaso di ciarpame, tra
computer,
televisori al plasma e stereo. Weasley non era solo, dacché
nel laboratorio si
affaccendavano una mezza dozzina tra ragazzi e ragazze che chini su
tavoli da
lavoro erano per la maggioranza presi a dissezionare plastica e
microchip. I
tre auror salutarono una ragazzina bionda ancora in piena adolescenza e
vestita
come se dovesse presenziare ad un concerto punk, tra piercing e
abbigliamento
ribelle.
Più
che un laboratorio magico sembra una sala giochi
Babbana.
Lo stesso proprietario
sembrava uno di quei giovani geni della Silicon Valley californiana, in
t-shirt
dal motto ironico e Converse bucate.
“Che posto
è questo?” Chiese.
Malfoy fece un sorrisetto
svagato.
“Il Grande Sogno di Hugo.” Gli rispose.
“Tutti i ragazzi inglesi vengono da lui
per far funzionare cellulari e impianti stereo ad Hogwarts o a casa
della nonna
che vive solo di bacchette e incantesimi. Ha anche lavorato alla
messaggistica
degli Specchi Comunicanti, anni fa, quando era ancora a
scuola.” Gli lanciò
un’occhiata perplessa. “Non hai detto che esistono
posti così anche in
America?”
“Sì, ma
sono meno …
sperimentali.” Si risolse a dire, suo malgrado affascinato.
Non capiva un
negozio di scherzi, ma un laboratorio dove venivano sviluppate nuove
idee per
rendere due mondi tanto diversi capaci di comunicare …
quello sì, poteva
capirlo. “È stupefacente.” Ammise.
Hugo dovette averlo sentito
perché si voltò per scoccargli un sorriso tutto
denti che lo rese
definitivamente cugino di Lilian. “Sicuro che lo
è!” Esclamò. “È il
primo
laboratorio di conversione Tecno-Magica in Europa!”
Spiegò gonfiando il petto
d’orgoglio. “La WizardTech!”
Esitò
solo un attimo, prima di lanciare un’occhiata guardinga a
Potter. “Vuoi farti
un giro?” Propose.
A
quanto pare lodare gli Weasley ripaga sempre.
Era disposto a continuare su
quella china, se significava portarne un altro dalla sua parte.
“Volentie…”
“Magari
un’altra volta, Hughie,
stiamo lavorando.” Li mise in riga Potter. “Ci
serve sapere se puoi fare un
lavoretto su delle…” Tentennò cercando
chiaramente di ricordarsi il termine.
“Telecamere di
sicurezza.” Gli
venne in aiuto Malfoy. “Una roba del genere.”
“Di video-sorveglianza cioè?”
Intuì subito il tecnico. “Dove volete
piazzarle?”
“San
Mungo.”
Il ragazzo incrociò le braccia al petto, pizzicandosi il
mento. “Okay. Non
dovrebbe essere difficile, anche se dipende da che risoluzione volete
che
abbiano. I campi magici potenti come quello del San Mungo smarmellano
un sacco
la qualità video.” Spiegò senza
spiegare nulla, tra colloquialismo e termini
tecnici.
“Come ti pare.” Sbuffò Potter a disagio:
doveva essere difficile per lui non
essere padrone di un argomento. “Basta che si veda la faccia
di chi entra ed
esce da una stanza ventiquattro ore su ventiquattro. Pensi di poterlo
fare?”
“Sicuro.” Convenne l’altro con un cenno
evasivo della mano. “Per quando le
volete pronte?”
“Il prima possibile.”
“Per stanotte le avrete funzionanti.” Promise con
una tranquillità incoraggiante.
Almeno
non dovremo preoccuparci anche di questo.
“Bella pensata
comunque.” Aggiunse.
“È
la prima volta che sento che l’ufficio
Auror le usa. Di chi è stata l’idea?”
“Di
Prince.” Rispose Malfoy.
“In America le usano da anni.”
Il ragazzo gli rivolse un’occhiata valutativa e poi
azzardò un sorriso. “State
un sacco avanti là, eh? Mi piacerebbe venire a vedere quanta
roba ci stiamo
perdendo nella vecchia Inghilterra.”
“Idee come le tue sarebbero le benvenute.”
Sperò che la lode non risultasse
troppo smaccata – e a giudicare dalla smorfia di Potter forse
lo era. A sua
differenza però il cugino avvampò di autentico
piacere.
Tutti
gli Weasley arrossiscono sulle orecchie?
“Bene, le avrete
per stasera.”
Ripeté stropicciandosi il viso con le dita. “Mi ci
metto subito.”
“Da
quant’è che non ti fai una
dormita ad orari decenti, Hugh?” Ghignò Potter
arruffandogli i capelli con il
piglio di un fratello maggiore. Doveva avercelo nel sangue.
“Non vogliamo esser
responsabili se poi Gail ti sgrida!”
Ci fu un nuovo arrossamento in zona orecchie. “Gail ce
l’ha già con me per
qualche diavolo di motivo.” Borbottò
“Devo chiedere a Lils che le è preso
stavolta. Con le donne a volte serve un dannato traduttore!”
Lily.
Si erano sentiti in quei giorni, anche se solo tramite
messaggi su
cellulare – non era mai stato tanto grato a Milo per avergli
insegnato ad usare
quell’aggeggio dallo schermo sin troppo sensibile. Non erano
ancora riusciti a
vedersi, ma non si sentiva inquieto; se c’era un lato
positivo di quella lunga
indagine tortuosa era avere un buon margine di permanenza su suolo
inglese.
La
rivedrò. Posso vederla adesso. Vuole vedermi.
Sapeva di non dover tirare
la
corda ma al tempo stesso non aveva voglia di attendere un invito da
parte
dell’altra: la conosceva abbastanza bene da sapere che
prendere l’iniziativa
non era nelle sue corde.
Il
suo invito di domenica è stata un’eccezione.
Un
caffè. Suppongo che un caffè vada bene.
Milo aveva suggerito una
cena,
ma gli sembrava troppo. Doveva fare piccoli passi ed un invito per una
consumazione veloce e un po’ di chiacchiere era un buon
compromesso.
Ha
detto che vuole farmi vedere l’Inghilterra, ma …
Lilian era una ragazza dalle
iperboli facili; per quanto fosse stato felice di sentirglielo dire non
era
sicuro che avrebbero davvero finito per Materializzarsi assieme nei
principali
luoghi storici o di interesse della Terra d’Albione.
Ha
una vita, degli impegni, degli amici e un ragazzo.
Goditi i momenti che ti dedica, ma non illuderti.
Mai.
Sì, un
caffè era un’opzione
appropriata; nessuno avrebbe potuto muovere obiezioni.
Tranne
Potter. Ma che vada francamente al diavolo.
Uscendo dai Tiri Vispi
Weasley
lo sentì parlottare a bassa voce con Malfoy; udì
il suo nome nella frase e
finse di non averlo fatto. Era la strategia migliore da seguire.
Io
ignoro lui e lui ignora me.
Fu Malfoy alla fine a
girarsi
e fargli un sorriso amichevole a cui ritenne doveroso rispondere.
“Ehi, hai
piani per questo venerdì sera?”
Confuso, scosse la testa.
“No,
non direi. Perché lo chiedi?”
“Perché è il mio compleanno e faccio
una festicciola al Finnigan’s Wake, il
pub…”
“… dei gemelli Finnigan, Lily me ne ha
parlato.” Concluse per lui, non credendo
a quello che stava implicando. Una cosa era esser civili in orario di
lavoro,
un'altra includerlo nel proprio tempo libero. “Lo
conosco.” Concluse non
impegnativo.
“Fantastico,
allora ti sarà
facile trovarlo.” Vedendo la sua espressione
chiarificò tranquillo. “Sei
invitato, e porta pure chi vuoi. Più siamo, meglio
è!”
Non sapendo cosa rispondere
senza mostrare le sue deficienze relazionali, si limitò ad
un rigido cenno
della testa. “Molto volentieri.”
Dopotutto, forse, non gli serviva una scusa per rivedere Lilian.
****
Dipartimento di
Cooperazione Magica Internazionale, Ufficio Internazionale della Legge
Magica
Mattina.
“Signor Zabini,
c’è una
chiamata via Fuoco Magico per lei.”
Michel alzò lo sguardo, squadrando perplesso il giovane
Fuochista – mestiere
che nel Mondo Babbano prendeva il nome di centralinista –
affacciato alla porta
dell’ufficio.
“Arrivo subito.” Disse abbandonando volentieri la
scrivania per sgranchirsi le
gambe. Il ragazzo gli fece spazio facendolo passare e Michel si godette
l’occhiata
al fondoschiena che gli venne lanciata. Quel nuovo completo, uscito
fresco
dalle mani capaci di George McClan era stato un acquisto decisamente
oculato a
giudicare dallo sguardo affamato dell’altro.
Abbiamo
già avuto il nostro tempo Kyle, e dato che non
è stato niente di che, nessun bis, spiacente.
“Se si tratta di
Nott ho già
detto di non farmi passare le sue chiamate.”
Non gli spedirò denaro,
né favorirò la
sua estradizione nel caso gli spagnoli avessero finalmente realizzato
che sta
mettendo su una delle sue baracconate illecite a casa loro.
“No, è
dall’America.” Replicò
il fuochista. “Michel…” Tentò
di raggiungerlo. “Hai un momento…”
“America, Kyle.” Inarcò le sopracciglia.
“Scusami, temo sia importante.”
Chi
diavolo mi chiama da là?
Fu con quella domanda in
testa
che si posizionò nella nicchia dedicata al focolare da cui
era arrivata la
chiamata, sedendosi sullo sgabello basso e scomodo.
Scomodissimo
se hai passato una notte a folleggiare per
poi tentare di scordartela con le successive, tra le braccia di tizi
che non
valevano neanche una sveltina nei gabinetti.
Scacciò quel
pensiero come
sporco sotto un tappeto, chinandosi all’altezza del focolare
baluginante.
“Parla Michel Zabini.” Esordì.
“Buongiorno Signor Zabini, spero di non averla
disturbata.” Gli rispose una
voce dal forte accento americano. “Mi chiamo Ethan Scott e la
chiamo
dall’ufficio Cooperazione del Ministero Americano.”
“Buongiorno.”
Salutò
perplesso; era la prima volta che si occupava di un caso di
giurisdizione congiunta,
ma non gli risultava cosa abituale che i colleghi americani si
facessero vivi.
“Come posso esserle utile?”
“Sì, mi può essere utile.”
Convenne l’altro con un tono sciolto, di chi era
abituato a parlare con tante persone di diversa estrazione sociale e
per questo
approntava un tono neutro e genericamente amichevole.
“È lei ad occuparsi del
caso congiunto Howe, è corretto?”
“Corretto.”
Confermò, ed era
un po’ sterile visto che era l’unico caso che
supervisionava al momento. Che diavolo
voleva quel tipo da lui? Non che non apprezzasse una diversione dalla
pila si
scartoffie che lo aspettava, ma quella chiamata era strana.
“Si occupa di
monitorare le
indagini del nostro agente di collegamento, Sören Prince,
giusto?” Sembrava
voler ribadire cose ovvie, ma Michel decise di assecondarlo mentre
cercava di
capire il sottotesto.
La
mia professione è fatta tutta di
sottotesto.
“Mi occupo di questo al momento,
sì.” Ripeté diligente. “Avete
ricevuto i
rapporti con le mie note, spero.”
“Certo.” Assentì. “Un lavoro
eccellente. La professionalità è una dote che
viene molto apprezzata nel nostro ufficio.”
“Lei mi
lusinga.” Non si
sbilanciò, cominciando a capire che l’altro stava
facendo ampi giri attorno ad
un argomento. “Ethan … posso darti del
tu?” Chiese scivolando in un tono accattivante,
quello che riservava per i pezzi grossi o per amanti degni di nota.
“Stavo per
proportelo io,
Michel.” Abboccò l’uomo con un sorriso
che poteva essere percepito anche oltre
le fiamme verdognole. “Ho letto la tua scheda. Giovane ed
intraprendente. Ragazzi
come te sono linfa vitale per la nostra professione.”
Sì,
vallo a dire a mio padre o a Lord Malfoy.
“Riguarda il caso
Howe,
Ethan?” Chiese pacato, cercando di capire dove voleva andare
a parare l’americano.
Se aveva chiamato lui e non l’ufficio Auror era evidente che
avesse bisogno di
un favore.
E
chiunque frequenti i corridoi del Ministero sa che
favori e Ufficio Auror non stanno nella stessa frase.
A
meno che tu non appartenga al grande Clan Potter-Weasley,
ovvio.
“Riguarda
Sören Prince.”
“Prince?” Inarcò le sopracciglia preso
in contropiede. “È un vostro
agente.” Sottolineò. “Cosa posso
dirvi che già non sapete?”
“Molto.”
Michel aggrottò le
sopracciglia tentando di riflettere il più velocemente
possibile. “Come ho
detto, in America sappiamo valutare le persone che ci sono davanti,
Michel … e
anche quelle che non possono esserlo per motivi geografici. E una buona
opinione è cosa ben spendibile nei nostri
ambienti.” Fece una breve pausa.
“Spero di essere stato chiaro.”
Ah.
Un
favore per una buona parola. Chiarissimo.
“Prince non
è un agente
qualunque, Michel, se conosci la sua storia non potrai che
convenire.” Continuò
l’americano in tono discorsivo, amichevole. Doveva essere
pericoloso avere a
che fare con un uomo così, se ti trovavi dalla parte
sbagliata della sua
bacchetta.
O
se gli dai le spalle.
Chissà cosa aveva
fatto Prince
per finirci. Non che gli interessasse; non era affar suo dopotutto.
Non
sono certo la sua balia.
“Quello che
vogliamo sapere da
te è un’opinione sul suo operato, niente di
più. Che tu lo tenga d’occhio e che
ci riferisca i suoi movimenti.”
“E le mie impressioni devo inviarvele assieme alle mie note
sul caso?” Domandò
ironico; non c’era bisogno che notificasse il suo assenso: quella era la sua occasione per avere un
biglietto di sola andata
per uno scatto di carriera prima dei venticinque anni e non se la
sarebbe
lasciata sfuggire per nulla al mondo. Ethan Scott doveva aver studiato
la sua
storia professionale prima di contattarlo.
Vuole
usarmi. Benissimo. Io userò lui.
L’americano
ridacchiò. “Ti
chiamerò io. Una chiacchierata una volta a settimana, non
sarà nulla di
impegnativo. Avere buoni amici in questo mestiere è il
metodo migliore per fare
strada.”
“Mi è stato detto.” Sorrise di rimando
anche se non poteva vederlo. “Puoi
contare su di me, Ethan.”
“Pausa pranzo, mio
buon Mike?”
Michel fece una smorfia,
entrando in ufficio e notando come la sedia di fronte alla sua
scrivania fosse
occupata da una giacca a strisce stravaganti e dagli occhi bicolori di
Loki
Nott.
“Pensavo ti fossi definitivamente stabilito in
Spagna.” Sbuffò aggirando
l’amico e sedendosi. “Se non altro per sfuggire
alla giustizia.”
“Sentivo nostalgia
dell’umida
estate londinese, che vuoi farci. Sono un tipo abitudinario.”
Replicò con un
mezzo sorriso indolente, di quelli che si accoppiavano ad uno
stiracchiarsi
dopo una lunga dormita. “Non ti sono mancato?”
“In questa
settimana? Affatto.”
Ironizzò afferrando una cartellina spessa e aprendola con un
tocco delle dita.
“Non posso venire a pranzo, ho da fare.”
“E salti un pasto principale? Sai, credo che in qualche
nazione sia
considerabile un delitto capitale. Andiamo, l’affare
è andato in porto. Offro
io.”
Michel era piuttosto certo che la maggior parte dei funzionari del
Ministero
non aveva amici fastidiosi come i suoi. Tra Nott e Malfoy era difficile
decidere chi era il più pronto a trascinarlo via dai suoi
compiti.
Non
oggi che è una giornata che sembra finalmente fuori
dalla mia solita, avvilente routine.
“Grazie,
come se avessi accettato.”
“Stiamo diventando maniaci del lavoro?” Lo
stuzzicò come era solito fare, ma
quel giorno Michel era poco incline ad indulgere nei loro soliti
battibecchi.
“Diversamente da
persone di
mia conoscenza ho un lavoro che richiede la mia completa
dedizione.” Buttò
fuori forse con eccessiva stizza, tanto che la sua collega
alzò la testa per
controllare la situazione – e probabilmente sparlarne durante
la maledetta
pausa pranzo.
Nott d’altro canto
non diede
segno di aver notato lo sfogo, passando un dito sulla targa lucida che
informava l’intero piano del suo nome, cognome e grado
ministeriale. “Ti
ricordi quando al Quinto anno giurammo che fuori da
quell’isolamento barbaro
tra le montagne saremo vissuti per diventare i re della Londra
Magica?” Chiese
invece.
Michel inarcò le sopracciglia, non capendo dove
volesse andare a parare; era piuttosto raro che Loki si
perdesse in
discorsi nostalgici. “Ne abbiamo fatte molti, di discorsi del
genere. Pensi che
me ne ricordi uno in particolare?”
“Non è
quello il punto.”
Inclinò la testa per guardarlo e Michel si sentì
investire da qualcosa di
simile all’inadeguatezza. Il che era ridicolo,
perché Loki, diplomatosi con il
minimo dei voti, viveva alla giornata e del frutto dei proprio imbrogli
– il
patrimonio di famiglia non era mai stata un’opzione,
sperperato da Nott Senior
in una serie di investimenti scriteriati prima che figlio e nipote
nascessero.
Io
sto costruendo il mio futuro. Prestigio, importanza,
far combaciare il mio nome con le aspettative che porta il mio cognome.
Lui
passa il suo tempo in bettole con Goblin strozzini
e scommettitori.
Perché
dovrei essere io quello a sentirsi inferiore?
“E quale sarebbe,
di grazia?”
Ritorse serrando le dita sulla pratica, quasi fosse una maledetta
coperta
confortante dopo un tuffo gelido nel Lago Nero.
“Vivere.”
Tagliò corto
l’amico. “Ultimamente pare tu ti sia scordato come
si fa.”
Michel si rifiutò
di sentire
lo stomaco contrarsi in una morsa. Si rifiutò di provare
angoscia, e dunque
provò rabbia. “Non dire sciocchezze.”
Sibilò. “Oggi ho ricevuto un’ottima
opportunità e non permetterò che tu mi rovini il
buon’umore con discorsi
insensati.”
“Ah, perché adesso sei di buon’umore? Ti
ricordavo diverso.”
Michel represse
l’impulso di
rispondergli per le rime. Non aveva davvero tempo, né
tantomeno voglia. “Se hai
tempo per scocciarmi perché non ne fai buon uso e ti occupi
del regalo di
Scorpius?”
Loki si passò una
mano trai
lunghi ricci scomposti e Michel intuì il gesto distensivo;
si conoscevano da
troppo tempo per infilarsi in una discussione sui rispettivi sentimenti
offesi.
“Come preferisci.” Fu infatti la replica quieta.
“Solo, pensavo volessi esserci
anche tu.”
“Non
ho…”
“… tempo, avevo afferrato il concetto a due
lamentele fa.” Si alzò in piedi,
recuperando l’estroso bastone da passeggio che portava
ovunque – era un ottimo
posto dove nascondervi la bacchetta quando doveva condurre affari ai
limiti del
lecito. “Lasci dunque nelle mie mani il regalo per il nostro
festoso amico, arbiter elegantiae?”
Motteggiò con
eleganza, ed era una delle cose che più apprezzava di lui.
E
che lo lascia libero di vivere in casa mia senza
spendere uno zellino né una sterlina.
“Mi fido del tuo
buon gusto,
una delle poche doti che hai, Mastro Zabini.”
Replicò accettando l’offerta di
pace con un sorriso che sperò risultasse sincero.
“È la
stessa che mi permetterà
di avere la tua auto sportiva per questo fine settimana?”
Interloquì
impenitente.
“Scordatelo.” Ribatté sapendo che
avrebbe finito per capitolare; differentemente
da un certo Dursley, non era poi così attaccato alle sue
cose. “Specie se usi
il bagagliaio come hai fatto l’ultima volta.”
“Era solo una fornitura di pozioni!”
Protestò con tono falsamente offeso. “Passare
il confine le Asturie è stato un gioco da ragazzi e te
l’ho riportata sana e
salva, o mi sbaglio?”
Alzò gli occhi al
cielo.
“Levati dai piedi, Nott.”
“Ai tuoi ordini.” Sogghignò
disimpegnato, prima di fare un cenno di congedo sia
a lui che alla collega e Smaterializzarsi con un sonoro crack.
Michel con un sospiro si
apprestò ad ignorare il vuoto che la presenza
dell’amico e dell’ennesima
rinuncia avevano appena lasciato.
****
Notturn
Alley, Black Goose.
Ora di pranzo.
L’universo
Magonò era
largamente sottovalutato da chi aveva la magia e questo era un dato di
fatto
per chiunque si prendesse la briga di controllare.
Cioè
nessuno.
Milo
si calcò il vecchio berretto in
testa e aprì la porta del Black Goose, pub decrepito a
Notturn Alley, segnalatogli
come il ritrovo per eccellenza degli scarti della società
magica. Al suo
ingresso si voltarono in simultanea una dozzina di teste. Milo
ignorò le
occhiate che gli vennero lanciate e si diresse verso l’unica
persona con cui
voleva parlare lì dentro, ovvero il suo nuovo, scintillante
contatto londinese.
“Figgins?”
Apostrofò un ragazzo
dai capelli rossi a cui mancava solo il kilt per essere la perfetta
rappresentazione dell’anglosassone. Quando abbassò
lo sguardo mascherò una risata:
il kilt il tipo lo aveva davvero. “Sei Figgins, giusto? Mi
manda Kreutzer.”
“Figg per gli
amici, e tu devi
essere Meinster.” Replicò quello in forte accento
londinese, tanto che capì
solo il suo cognome. “Kreutzer mi aveva detto che eri grosso
… Cazzo, quanto
sei, due metri?” Esclamò stringendogli la mano.
“Cos’è, in Germania vi fanno
bere Pozione Ingozzante dalla nascita?”
Milo si sedette ed
ordinò
subito due birre al bancone; l’entrata in scena era
importante, così come l’immediata
offerta di un dono, in quel caso alcool. “Uno e
novanta.” Sorrise amichevole.
“Ti offro il primo giro se dici ai tuoi amici di piantarla di
guardarmi come se
volessero ficcarmi un coltello nella schiena.” Non appena
ebbe terminato la
frase, come voleva il codice del perfetto malvivente, i più
corpulenti della schiera
fecero il gesto di alzarsi, mani dentro le tasche, ma il ragazzo fece
un brusco
cenno e tornarono in un batter d’occhio alle loro
consumazioni.
Guardaspalle.
“Siete nervosetti
da queste
parti.” Osservò prendendo la propria pinta e
dandone un sorso; trattenne una
smorfia.
Tra
americani e inglesi non so chi ha il peggior piscio
caldo.
“Solo
prudenti.” Gli fu
risposto. “Kreutzer mi ha detto che volevi parlarmi. Di
cosa?”
Dritto
al punto. E andiamo.
“Non posso cercare
di
conoscere altri Maghinò?” Interloquì
con noncuranza. “Sono in città da una
settimana e volevo stare in famiglia.”
Quello diede un vigoroso
sorso
alla sua Stout. “Non raccontarmi palle, biondo. Le uniche
cose che bevo sono
whiskey e birra.” Replicò asciugandosi la bocca
con il dorso della mano.
Sorrise, ma era un sorriso affilato come un rasoio; Milo conosceva
abbastanza
la logica della strada per sapere che chi esternava in quel
modo e aveva la stazza di un adolescente aveva buone
probabilità di essere un bastardo più pericoloso
dei troll armati di prima.
“Kreutzer mi ha
detto che sei
un lupo solitario.” Continuò in tono discorsivo.
“E che è un po’ che sei fuori
dal giro.” Lanciò uno sguardo al suo
abbigliamento. “E ti dirò, sembra abbia
ragione, sembri un Babbano.”
Milo prese una manciata di
secondi per riflettere: quel Figgins, a dispetto
dell’età, doveva essere una
specie di capoccia dei Magonò londinesi ed era dunque un
contatto da farsi. Il
problema, supponeva, era evitare che l’altro si facesse lui.
E
non in senso buono. In senso farmi a filo di lama.
“Vivo in America
adesso … là
le cose funzionano in modo diverso.” Spiegò con
tutta la nonchalance che
possedeva. “Bisogna adattarsi.”
L’inglese
appoggiò il gomito sul
bancone per sporgersi nella sua direzione e Milo rilassò la
postura per non
mostrarsi troppo guardingo. “Adattarsi è una cosa
furba da fare, garantito …”
Iniziò vago. “Kreutzer dice però che ti
sei adattato talmente tanto da esserti
scordato chi sei.” Ghignò.
“Dì un po’, Meinster, è
vero?”
“Falso come la
moneta di un
Leprecauno.” Rispose pronto. “Non ci si
può scordare di essere Maghinò.”
Scrollò le spalle. “E se fossi in te, non darei
retta quello che esce dalla
bocca di Kreutzer. Ce l’ha con me perché ho sempre
scopato più di lui.”
Figgins scoppiò in una risata sgangherata e questo fece
visibilmente rilassare le
persone attorno a loro. Milo, che aveva tenuto d’occhio
l’atmosfera, si trovò molto
sollevato.
Se
finisco con un coltello ficcato in pancia perché
sono troppo poco cencioso poi chi lo spiega al principino?
Quello
è capace di farmi lavorare anche con
un’emorragia interna in corso.
“Sei simpatico. Mi
piacciono i
tipi simpatici.” Stabilì sciogliendosi in un
sorrisone che lo fece sembrare un
monello troppo cresciuto. “Avanti, crucco, dillo a Figg. Cosa
ti serve?”
“Un’informazione.”
Ammise, ora
che i paletti erano stati messi e il rapporto avviato. Aveva bisogno di
una
conferma molto specifica e l’unica soluzione che gli si era
affacciata alla
mente era stato chiedere a chi in strada ci stava tutti i giorni.
Non si era scordato quanto
visto al San Mungo, il giorno del cosiddetto black-out. Non aveva
dimenticato
neppure un secondo la faccia che aveva visto.
Fottuto
Johannes. O come diavolo si fa chiamare qui.
L’unico motivo per
cui non era
corso a gridarlo ai quattro venti – specialmente al
principino, che aveva
incubi abitati dal tizio in questione – era perché
prima doveva esser certo di
non aver preso un abbaglio. Aprire quel vaso di Pandora sarebbe stato
un
suicidio senza avere certezze.
“Quindi vediamo se ho afferrato … Mi stai
chiedendo di guardare in giro e
trovare un mago che cambia faccia a seconda di come gli
gira?” Riassunse Figg
con un’espressione scettica dipinta sulla faccia
lentigginosa. “Amico, non
faccio magie né miracoli!”
“Ha una faccia sola quando non lavora, la sua.”
L’altro
Magonò fece un
sospiro. “Okay, ho afferrato. Sulla trentina, testa rasata,
accento come il tuo
e un gran chiacchierone. Mago, ma tiene un profilo basso e veste da
Babbano.”
Si strinse nelle spalle. “Io e miei ragazzi terremo gli occhi
aperti e faremo
domande… Ma dì un po’, che problema hai
con il tipo?”
Milo schioccò la
lingua e
ordinò un’altra birra. Come si era abituato alle
bottiglie di vetro americane,
poteva abituarsi alla robaccia tiepida britannica. “Io?
Nessuno. Diciamo solo
che se quello sta in giro per Londra, i casini possono arrivare per
tutti.”
****
Inghilterra
Sud-occidentale, Godric’s Hollow, Cimitero.
C’è
sempre qualcosa di beffardo quando il sole splende
ad un funerale…
Ted l’aveva sempre
pensato.
Con la bacchetta
calò la bara
di semplice legno sotto terra, aiutato da Neville e il sacerdote; non
era stato
facile trovare un posto dove seppellire Ben – aveva deciso
che quello, in
mancanza di certezze, sarebbe stato il suo nome.
Nel nascondiglio del Mannaro
non erano infatti stati rinvenuti né una bacchetta
nè documenti che potessero
testimoniare la sua appartenenza al mondo magico. Era stato il buon
Neville,
efficiente come sempre, a trovare il modo di farlo seppellire al
cimitero di
Godric’s Hollow.
Il
cimitero dei maghi per eccellenza.
Ascoltò con
metà orecchio il
salmodiare trito e impersonale del sacerdote; del resto, cosa avrebbe
mai
potuto dire di un uomo che nessuno di loro conosceva?
Non
ho fatto abbastanza.
Era questo il pensiero che
lo
tormentava, togliendogli ogni capacità di concentrazione. Razionalmente sapeva che i
suoi margini di
manovra erano stati minimi dato che il Mannaro l’aveva
attaccato con l’intenzione
di ucciderlo. Tuttavia la conclusione a cui giungevano le sue
riflessioni era
sempre la stessa.
Non
ho fatto abbastanza.
Sentì dei passi
affrettati lungo
il selciato ghiaioso del piccolo cimitero di campagna e con la coda
dell’occhio
vide James avvicinarsi e inspirare, arruffato da una Materializzazione
forse
troppo veloce. “Ehi.” Sussurrò senza
fiato. “Scusa il ritardo.”
Scosse la testa. “Non fa niente.” Ed era vero
perché gli bastò vedere tutta
quella vivacità repressa per sentirsi meno anestetizzato
dall’ambiente
Odio
i cimiteri.
Avendoci passato buona parte
delle feste comandate della sua infanzia, con la mano stretta a quella
di sua
nonna o a quella del padrino, sentiva di avere le sue buone ragioni.
Percepì le
dita di James insinuarsi tra le sue; sorrise. Quella stretta era ben
diversa.
Grazie.
Glielo disse con gli occhi
ma
l’altro parve capire perché gli
restituì il sorriso e gli sfiorò le labbra con
un bacio leggero.
Era davvero beffardo quel
dannato sole che gli scaldava la schiena mentre si dirigeva verso le
tombe dei
suoi genitori. Rimase a fissare le due lapidi ben curate per un tempo
infinito,
non pensando a nulla di particolare; con gli anni aveva imparato che
quello era
il modo migliore per affrontare quel genere di visita.
Rimugino
già abbastanza quando sono fuori di qui.
James gli si
affiancò, la
giacca dell’uniforme buttata indolentemente su una spalla.
“Sono passato a
salutare Sirius.” Disse passandosi una mano trai capelli.
“Papà dev’esserci
stato di recente. Ci sono fiori diversi rispetto all’ultima
volta.”
“Ci passa ogni
settimana.” Gli
fece eco con un sospiro. “Dovrei farlo anch’io.
Vengo troppo di rado.”
“Non credo.” Fece una smorfia. “In posti
del genere ci devi venire solo quando
ne hai voglia.”
“Non funziona
proprio così…”
“Invece sì.” Ritorse con la decisione
tranciante che lo contraddistingueva. “Non
penso che ai tuoi farebbe piacere che tu venga a trovarli per
dovere.”
Ted ci rifletté
poi non poté
trattenere un sorriso. “Non hai tutti i torti.”
“Come ti senti?” Gli chiese. A James non poteva
mentire o dissimulare la
verità; con l’esperienza aveva capito che era
solitamente un’idea imbecille.
Visto
che sa leggermi come un libro.
“Non riesco a
togliermi dalla
testa la sua espressione quando ha capito che doveva morire.”
Serrò le labbra.
“È stato … orribile.”
L’altro annuì ma non disse niente e gliene fu
immensamente grato. Per quanto
James dimostrasse spesso una mancanza di tatto degna di nota, negli
argomenti
seri era capace di misurare le parole come pochi, sceglierle e farle valere. Era una dote che aveva ereditato
da Harry e Ted non l’aveva tanto apprezzata come in quel
momento.
“C’era
qualcosa … che non mi
dà pace.” Confessò.
“Cosa?”
“Avermi attaccato … non aveva senso,
Jamie.” Si voltò verso di lui, non
riuscendo più a tenerselo dentro. “Ci ho pensato e
ripensato, avrebbe potuto
scappare, o nascondersi.”
“C’eravamo
noi che cercavamo
nelle grotte e i Centauri dall’altra parte del greto
… Era un po’ difficile
passare inosservato.” Gli fece notare aggrottando le
sopracciglia. “Nascondersi
non era un’opzione.”
“Lo era però scappare. Invece è
rimasto. I Mannari non trasformati non si comportano
così, evitano il confronto diretto se possono. Non hanno la
bacchetta e molti
di loro non hanno mai imparato a sviluppare le proprie
capacità magiche. Contro
un mago o una creatura come un Centauro è partita persa e lo
sanno bene.”
Spiegò cercando di esprimersi nel modo più chiaro
possibile. Il guizzo negli
occhi castani dell’altro gli fece capire che
l’analogia era andata a segno.
“Sì, me
lo ricordo.”
Sogghignò. “Sono le tue vecchie lezioni, Teddy. Ce
le ho stampate a fuoco nella
memoria.”
“Esagerato.” Sbuffò sentendosi suo
malgrado lusingato. “Quindi, cosa ne pensi?”
“Penso che la tua
idea non sia
poi così assurda.” Ammise. “È
stato un comportamento anomalo in effetti.
Attaccarti è stato come dipingersi un bersaglio sulla
schiena.”
Un’idea
illuminante arrivava
in molte forme e spesso tramite commenti del tutto casuali, Ted non ne
fu convinto
tanto come in quel momento, quando capì perché
l’uomo di nome Ben gli si era
gettato addosso come se non avesse nulla da perdere.
“Voleva l’attenzione su di
sé!” Esclamò. “Mi ha
attaccato per portarvi via
dalla grotta!”
L’altro batté le palpebre stupito, assimilando
l’informazione. “Cazzo, ha
senso.” Convenne. “Questo spiegherebbe anche
perché non è scappato quando ci ha
sentiti arrivare.” Gli scoccò
un’occhiata perplessa. “Ma cosa doveva
difendere?”
“Non ne ho
idea.” Scosse la
testa. “Ma qualunque cosa sia, è ancora
lì.”
****
Londra,
Ministero della Magia. Refettorio.
“Lo devo dire
… Tutta questa
storia non ha il minimo senso. E sta diventando inquietante.”
James sperò ardentemente che Scorpius non stesse tirando
fuori il dannato caso
Howe proprio mentre si apprestava a gustarsi il proprio pranzo,
momentanea
isola felice tra le preoccupazioni del lavoro e quelle che aveva a
casa, con un
Teddy che aveva deciso di imbarcarsi in un’indagine al sapore
di Mannaro,
Foreste Proibite e Centauri incazzati.
Ma
sono troppo ottimista, vero?
Prince, ignaro dei suoi
pensieri e dunque inopportuno come un Babbano ad un raduno di
Mangiamorte, smise
di massacrare la propria insalata. “Stai
parlando del caso Howe?” Chiese abbandonando il suo patetico
tentativo di
pranzo.
Troppo
ottimista, già.
Scorpius annuì,
abbandonandosi
sullo schienale delle scomode sedie che costellavano il refettorio
ministeriale.
“Pensateci.” Esordì squadernando il dito
teatrale. “Arriva un mago
dall’America, malato e prima di crepare riesce ad infettare
uno dei nostri di
qualcosa che neppure il San Mungo e tutti i suoi Guaritori riuniti
riescono a
classificare. Come se non bastasse, tutto quello che avevamo sulla
prima
vittima, vittima compresa, è sparito, rubato da un tipo che
non ha lasciato la
minima traccia ed ha legato la lingua all’unico testimone con
una maledizione
da Ordine di Merlino di Prima Classe.” Fece un cenno a
Prince. “Come hai detto
giustamente, il passo successivo sarebbe occuparsi del
sergente.”
“Ma a questo ci abbiamo già pensato …
Non facciamo montare quelle cavolo di
telecamere di sorveglianza apposta? Per vedere se riusciamo a beccarlo
con le
mani nel calderone?” Si inserì, dato che ormai il
discorso era inesorabilmente avviato.
“Sì.”
Convenne il tedesco.
“Questo però significa che
c’è qualcosa di più grande
dietro.”
“Un esperimento di Magia Oscura andato male,
forse?” Ipotizzò Scorpius
dondolandosi sulla sedia con pericolosi scricchiolii che sembrava
ignorare con
un certo compiacimento. “Voglio dire … Howe era
forte come un Centauro, e anche
duellare con il Sergente è stato come duellare con tre di lui.”
Sospirò. “Mi sa tanto di potenziamento magico o
roba
del genere. Esistono incantesimi simili in America?”
“Non che io sia a
conoscenza.”
Non si sbilanciò ma James notò come si mosse a
disagio sulla sedia e tentò di
inforchettare per l’ennesima volta l’insalata
praticamente intonsa.
Ma
mangia o di solito si nutre d’aria?
Non che avesse importanza in
quel momento. “Non ne conosci?” Ritorse fissandolo
negli occhi. Non vi leggeva
mai nulla e Scorpius gli aveva dato una spiegazione complicata in cui
entrava
l’Occlumanzia, cosa che l’aveva reso ancora
più sospettoso.
Che
bisogno c’è di Occludersi con gente che sta dalla
tua parte?
Prince si morse
l’angolo delle
labbra. “Esistono.” Ammise. “Non so
però se il Ministero americano abbia mai
condotto studi sull’incremento delle capacità
magiche.”
“La Thule
però l’ha fatto,
eh?” Fu come aver trascinato un troll svenuto per i piedi ed
averlo piazzato
sul tavolo con un tonfo e un gran lavoro di muscoli. James non se ne
pentì:
quel caso andava risolto alla svelta se si voleva tornare alla
normalità, al
diavolo i riguardi.
Così
te ne torni in America.
“Sì, la
Thule ha condotto
alcuni studi in merito.” Rispose con la pacatezza di chi
avrebbe esposto un
quadro ad una torma di turisti tardi. “Io stesso ne facevo
parte.”
“Cosa?”
Notò con la coda dell’occhio Malfoy lanciargli
un’occhiata d’ammonimento,
ma la ignorò. “E quando pensavi di dirci che hai
studiato questa roba?”
“Non facevo parte
del progetto
come studioso, ero una cavia.”
Il silenzio che ne scaturì risultò piuttosto
opprimente e una parte di sé si
sentì piuttosto idiota. La tacitò. “Non
cambia il fatto che hai già sentito parlare
di maghi che vanno fuori di testa e diventano delle macchine da guerra
fuori
controllo!”
“La cambia invece, perché il modus
operandi di Howe e del sergente Flannery non
c’entrano nulla con quello che
mi è stato fatto.” James capì che
l’Occlumanzia stava cedendo quando lo vide
serrare la mascella.
“Cosa riesci a
fare?” Il tono
gentile di Scorpius suonava fuori posto eppure in qualche strano modo
funzionò,
perché dopo avergli lanciato una lunga occhiata
indecifrabile, il tedesco si
slacciò il polsino dell’uniforme e tirò
su la manica. James occhieggiò e non
trovò nulla di strano nel braccio pallido
dell’altro; era solo ornato da un
bizzarro bracciale metallico. Vi contò tredici rune
dall’aria complicata che neppure
tentò di decifrare.
Rune
Antiche mi ha sempre fatto schifo.
“Cosa?”
Chiese perplesso. “Che
c’entra il tuo braccio?”
“La Thule mi ha impiantato il nucleo di una bacchetta
nell’arteria radiale.”
Non gli diede il tempo di fare domande, che continuò, con la
freddezza di
un’esposizione clinica. “Se uso il braccio gli
incantesimi che lancio hanno una
potenza di fuoco superiore a quelli che lancerei con una normale
bacchetta. Il
nucleo attinge direttamente al sangue arterioso, e dunque alla
magia.”
James provò
disagio; aveva
sentito mezze voci sulla sua capacità di non usare la
bacchetta, certo…
Ma
da qui a pensare che ce l’avesse nel braccio!
“E il
bracciale?” Chiese
Scorpius sporgendosi e occhieggiandolo. “Sembra Magia
Runica.”
Prince fece un pallido sorriso, tirato ma comunque genuino. Sembrava
che la
quantità di domande non lo infastidisse.
Forse
ha preso Malfuretto in simpatia.
“Controlla le
fuoriuscite di
magia accidentale. È stato ideato e costruito
all’Istituto Magico Sperimentale
di Boston.” Lo osservò con espressione assorta.
“Neppure io so bene come
funzioni, credo sia simile alle valvole di controllo che vengono
inserite nelle
bacchette.”
James non aveva idea di come
fossero finiti a parlare della triste storia del crucco ma si
trovò nella
posizione di non poter aver voce in capitolo.
Dai,
ammettilo. Sei curioso.
Fece una smorfia preferendo
addentare con noncuranza il proprio sandwich mentre Scorpius si
informava per
entrambi.
“Come facevi prima
di arrivare
in America?”
“So
controllarmi.”
Pure
troppo, Ragazzo-Occlumanzia.
“Quanti anni avevi
quando ti
hanno…” Scorpius esitò.
“Avevo nove
anni.”
“Eri solo un cazzo di ragazzino!”
Esclamò di getto. L’espressione che gli
restituì il tedesco era sorpresa quanto la sua, anche se
immaginava per motivi
diversi.
Ehi,
non sono un totale pezzo di merda insensibile,
sai?
“La mia giovane
età era una
variabile a favore della riuscita dell’operazione, non il
contrario. Certi
esperimenti hanno più probabilità di successo se
condotti su soggetti che non
hanno ancora sviluppato a pieno la propria capacità
magica.” Spiegò con tono simile
a quello di uno scolaro costretto a recitare un brano delle guerre dei
Troll a
memoria. James però non si fece imbrogliare.
Basta
guardargli gli occhi. Dissimula di merda.
La qual cosa era stranamente
rasserenante.
Non
è psicopatico quanto pensavo fosse. Ce le ha delle
cose che lo mettono fuori fase. Buono a sapersi.
“Mi
dispiace.” Mormorò
Scorpius spoglio di ogni sorriso e lo intendeva al cento per cento
perché
persino Prince se ne accorse, restituendogli un sorriso.
“Grazie.”
Disse. “Vorrei che
capiste questo … Le sperimentazioni tramite Magia Oscura non
conoscono regole
morali, o paletti. Qualsiasi cosa abbiano fatto ad Howe potrebbe essere
…
estremamente sgradevole da molteplici punti di vista. Quello morale
è solo il
principio.”
A James passò
l’appetito; il
crucco aveva ragione, stavano avendo a che fare con un caso che era
come un
maledetto salto nel vuoto, e non aver fatto il minimo progresso
cominciava ad
essere un problema.
E
non solo perché non c’è lui. Poche
seghe, la sua
presenza è il minore dei nostri problemi.
“Inquietante, come
avevo
detto.” Sospirò Scorpius grattandosi la fronte.
“Quello che mi chiedo…” Si
umettò le labbra pensieroso. “Questa roba che ha
infettato il Sergente e Howe …
che cos’è? Al San Mungo pensano sia una malattia,
ma voglio dire, aumenta la
capacità magica di un mago,
giusto?”
“Questo
è l’unico dato di
fatto che abbiamo.” Convenne il tedesco.
“Allora non torna!
I virus non
dovrebbero indebolirla?”
Prince intrecciò
le dita sotto
il mento e fissò un punto oltre le loro teste con aria
assorta. “È chiaro che
chiunque abbia trafugato gli effetti personali di Howe voglia tenere la
faccenda lontana dagli occhi e dalle orecchie della popolazione magica.
Forse è
un esperimento andato storto e il virus è un effetto
collaterale.” Prince non
era un idiota. Aveva una bacchetta infilata su per il sedere ed era
antipatico
da morire, ma sebbene fosse seccante ammetterlo, sapeva usare la testa
meglio
di molti idioti che indossavano la loro stessa uniforme.
Dovette ricordarsi con tutte
le forze che lo detestava. “E come può un virus
nascere da incantesimi e
pozioni?”
“Non lo
so.” Ammise l’altro. “Non
mi intendo di questo genere di cose.”
“Al San Mungo ci
capiranno
sicuramente di più.” Si inserì Scorpius
speranzoso. “Dobbiamo solo dargli
tempo, il Capo Guaritore Finnigan e gli altri di Malattie Infettive ci
stanno
lavorando. Quando sapremo come funziona il virus … o quel
che è … sicuramente
sapremo anche qualcosa di chi l’ha creato!”
“Ehi!”
La voce di Bobby li
sorprese, facendoli voltare in direzione del ragazzo di colore.
“Siete qua!”
“Hai già mangiato?” Chiese vedendo che
l’altro aveva l’aria di uno che avrebbe
potuto divorare ciò che restava dei loro pasti con un solo
boccone. “Siediti,
avanti.”
“Dopo magari.” Rifiutò.
“È arrivato un Gufo Espresso dal San Mungo. A
Lesioni
sono riusciti a liberare Wolpert dalla maledizione. Abbiamo
l’identikit.” Tolse
dalla tasca interna della giacca un foglio e James fu lesto a
prenderglielo,
sbattendolo senza troppe cerimonie tra di loro.
“Grandioso!” Poi però
aggrottò le sopracciglia quando riuscì a dargli
un’occhiata completa. “Così questo
è il tizio che ha pagato Wolpert per
vendergli i contro-incantesimi delle barriere?” Aveva un viso
anonimo, le
sopracciglia folte e una testa piena di capelli. Un tipo come ce
n’erano tanti,
che chiunque avrebbe potuto trovarsi di fronte mentre faceva la fila
alla
Gringott o al mercato.
“Abbiamo
già fatto un
riscontro con l’archivio?” Chiese Scorpius
grattandosi la nuca, probabilmente
pensando la stessa cosa.
“Cosa pensi che abbia fatto invece di fare la pausa pranzo
Sy? L’ho passato a setaccio.”
Sospirò Bobby. “Nessun riscontro comunque, risulta
incensurato per il nostro
Ministero.”
“Tocca farlo
girare al San
Mungo allora. Magari qualcuno l’ha visto.” Si
voltò verso Prince. “Spediscilo
ai tuoi per vedere se è americano come Howe
e…” Si bloccò quando vide che il
suddetto era diventato pallido come un lenzuolo –
più di quanto non fosse già
di suo; fissava il disegno come se avesse appena visto un Infero.
“Che
c’è Sören?” Chiese
Scorpius. “Lo conosci?” Indovinò.
Questo fece per parlare ma
le
parole dovettero morirgli in gola più di un paio di volte
prima che riuscisse a
formulare una frase compiuta. “Sì.” Si
risolse a dire ed era un caso o il suo
accento era più marcato? “Non è
necessario che chieda un riscontro al mio Ministero,
posso dirvi io chi è.”
James non era assolutamente tipo da
apprezzare la suspense. “Tira fuori il nome
avanti!”
Prince gli restituì uno sguardo vuoto e Merlino, non doveva
essere un buon
segno.
“John
Doe.”
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Note:
Se qualcuno mi tira una pietra … beh, me lo merito.
Questa
la canzone del capitolo. Prometto che il prossimo sarà
più cazzaro!
(È anche il compleanno di Sy, quindi…)
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