Una bambola di cera
Solo nel fango ci incontravamo
ma soprattutto mi rimprovero
per la
completa depravazione etica a cui ti permisi di trascinarmi.
Oscar
Wilde
Erano passati tre
anni dalla battaglia finale ad Hogwarts, tre anni da quando Harry
Potter aveva sbaragliato il Signore Oscuro. Ciò che tutti
avevano pensato guardando il lampo verde ritorcersi contro Lord
Voldemort era che sarebbe cambiato tutto. Non ci sarebbero
più stati Mangiamorte ad Hogwarts e Dissennatori a
Hogsmeade, il Ministero della Magia sarebbe tornato il luogo di ordine
e giustizia che era sempre stato. Non ci sarebbero più state
vittime innocenti di una guerra folle. Sarebbe cambiato tutto.
I pronostici ovvi sugli effetti della scomparsa definitiva di Voldemort
si realizzarono, ma ciò che a tutti pareva impossibile
avvenne: la vita tornò quella di sempre, per tutti.
Per tutti tranne che per i Malfoy.
Furono gli unici tra quelli che portavano il Marchio Nero che non
vennero rinchiusi ad Azkaban, ma subirono diversi processi alla corte
del Wizengamot. La loro salvezza da Azkaban fu il pentimento mostrato
da Narcissa, quando mentì sulla morte di Harry e quando
abbandonò la battaglia insieme a Lucius e Draco. Non vennero
incarcerati, ma il disonore macchiò il nome dei Malfoy con
un'impronta ancora più forte di quella che portavano
impressa sull'avambraccio sinistro. Lucius perse il lavoro e ogni
influenza, Narcissa trovò un impiego presso Madama McClan
mentre verso Draco furono tutti più comprensivi. Draco,
grazie anche a quanto emerso dinnanzi al Wizengamot, era visto come una
vittima della sua famiglia. Cresciuto tra i Mangiamorte, non aveva modo
di sfuggire a quel destino. Specialmente negli ultimi due anni in cui
il giovanissimo Draco si era trovato senza protezione dalla follia
omicida di Bellatrix Lestrange prima e Voldemort stesso dopo. Quanto
emerso da quel processo gli permise di condurre una vita normale nella
comunità magica.
La Fortuna aveva abbandonato il maniero dei Malfoy, ma qualcos'altro li
aveva visitati: la pace dell'anima. Avevano perso tutto, eppure stavano
bene. Lucius e Narcissa avevano accettato di essere delle
nullità, avevano avuto anni per accettarlo: da quel lontano
1996, quando avevano fallito nel furto della Profezia al Ministero. La
decadenza era stata progressiva e la miseria venne assaporata
a piccoli sorsi. Ciò a cui non erano abituati e che diede
loro sollievo fu il pensiero che Draco non era più in
pericolo per colpa loro, che non avrebbero più incontrato la
disperata richiesta d'aiuto negli occhi del figlio senza poterla
accogliere, che non erano più nel mezzo di una battaglia che
non sentivano loro. Erano piccoli, insignificanti, disprezzati ma
liberi. Provavano un senso di colpa nei confronti di Draco,
perché sapevano di aver segnato la sua vita, se solo fossero
stati dei genitori migliori l'avrebbero risparmiato da quella vita.
Anche Draco sapeva che se fosse nato in un'altra famiglia le
cose sarebbero state più facili, ma non riusciva a odiare i
suoi genitori che l'avevano sempre amato e avevano fatto di tutto per
lui. Avevano fatto le scelte sbagliate e le conseguenze erano ricadute
anche su di lui. I figli pagano sempre per le colpe dei genitori, non
era un'esclusiva di Draco e lo sapeva bene.
Lucius non aveva un futuro come il giovane Draco e non aveva l'opinione
pubblica in suo favore, non aveva nulla per cui lottare. Non usciva mai
dalla sua villa, se non per lunghe passeggiate nel boschetto, ammirando
le bellezze botaniche che aveva voluto per sé. Passava molto
tempo seduto sotto le fronde dei suoi alberi, con lo sguardo perso tra
i luccichii colorati che il sole dolce faceva fare alle delicate
fontane d'acqua evocate con la magia. Aveva sbagliato tutto con il suo
ridicolo disprezzo verso il resto del mondo. Che cosa credeva di fare?
Inseguire dei deliranti sogni di dominio è patetico se hai
più di quindici anni e lui con la sua ottusa ostinazione
aveva condannato Narcissa e Draco. Li aveva esposti a
crudeltà e disonore. L'unica cosa buona che avesse mai
fatto, pensava, era stata sposare Narcissa. Era una donna delicata
all'apparenza, ma era in realtà molto forte. Quante volte,
in quell'anno terribile in cui il Signore Oscuro aveva fatto della sua
magione il proprio quartier generale, Lucius aveva desiderato la morte?
E Narcissa l'aveva sempre capito solo guardandolo. Quante volte quella
meravigliosa donna, seppure esausta e sconfortata quanto lui, aveva
evocato un Patronum perché infondesse speranza in lui?
Ricordava ancora quei momenti: il suo vasto soggiorno immerso nel buio,
malamente illuminato dal caminetto che emanava una luce amara. Un cigno
argenteo appariva al seguito di un dolce sussurro femminile e
rischiarava tutto. Poi quel cigno appoggiava il capo contro la schiena
di Lucius e lo attraversava, facendogli avvertire le emozioni positive
di cui era composto. Sentiva ricordi felici, gioia, speranza, coraggio
e forza. Narcissa era una donna straordinaria. Non solo gli aveva
salvato la vita, ma gli aveva pure insegnato un significato tutto nuovo
da dare ad essa. Il significato della vita non è nel sangue
pulito, è nella coscienza pulita. Lucius non provava solo
amore per quella donna, provava anche una gratitudine immensa.
Tuttavia qualcosa continuava a tormentare Draco Malfoy. Aveva perdonato
i suoi genitori per quegli anni che aveva vissuto anche a causa loro,
ma c'era una persona che non credeva sarebbe mai riuscito a perdonare
per avergli rovinato la vita: se stesso. Si era lasciato plasmare come
una bambolina di cera. Non aveva mai avuto il coraggio di essere se
stesso. Chissà cos'avrebbe detto suo padre se avesse saputo
che per tutti gli anni a Hogwarts il suo cuore aveva battuto per una
mezzosangue. Qualsiasi cosa facesse, anche se compiaceva assai il
padre, lasciava disgustato Draco: non era ciò che voleva. E
ora si trovava con una vita che non era la sua. A volte si sentiva
invisibile, un fantasma. Tutto ciò che aveva sempre fatto
parte di lui, ciò che lui fingeva fossero le sue
convinzioni, erano state bandite per sempre dal mondo magico e non
aveva più un ruolo da recitare. Non era neppure riuscito a
scagionarsi da solo, non aveva dimostrato a se stesso il suo valore
nemmeno salvandosi: era stata, di nuovo, sua madre. Lei aveva avuto il
coraggio di voltare le spalle a Voldemort prima che cadesse, lei aveva
detto al Wizengamot "è solo un ragazzo!". Le era grato
perché lo aveva salvato dalla morte e da Azkaban, ma gli
bruciava come il fuoco il fatto che tutta la comunità
sapesse che Draco Malfoy non era una persona ma una bambolina di cera
plasmata dai genitori.
Voleva costruire qualcosa che fosse solo proprio, qualcosa per cui non
avrebbe dovuto ringraziare suo padre o sua madre. Voleva realizzare
qualcosa che facesse di lui Draco Malfoy e non Il figlio di Lucius
Malfoy o Il bambino di Narcissa Malfoy. Questo fu il motivo principale
che spinse Draco ad andare a vivere da solo, in una casa normale,
vicino al San Mungo dove aveva intenzione di lavorare come Guaritore.
Si sarebbe riscattato, si sarebbe perdonato.
Erano passati tre anni. Era una tiepida domenica di maggio e Narcissa
Malfoy stava per servire il pranzo. Fu in quel momento che il Marchio
Nero bruciò e divenne nero come la notte.
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Note dell'autrice:
-Bene, questo è il primo capitolo di questa fanfiction. Ho
dovuto dedicarlo interamente all'introspezione perché Draco
sarà uno dei personaggi principali, ma non è il
Draco di zia Row, è un Draco cresciuto e maturato. Un po'
rivisto. Mi è sempre dispiaciuto che non venisse mai
approfondito a sufficienza, spero di riuscire a dargli
l'intensità che merita.
-Il titolo è riferito, ovviamente, a ciò che
Draco (e la società) pensa di se stesso. È il suo
punto di partenza per qualcosa di più viscerale.
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