Capitolo XV
And
the walls kept tumbling down in the city that we love
Great clouds roll over the hills bringing
darkness from above
But if you close your eyes, does it almost
feels like
Nothing changed at all?
(Pompeii,
Bastille)
30
Giugno 2028
Farringdon,
Magazzino Purge&Dowse, ovvero…
Ospedale
San
Mungo per ferite e malattie magiche.
Il buio l’aveva
fatta
svegliare con un urlo bloccato in gola.
Con il cuore che le batteva
come una grancassa, il respiro irregolare e brividi freddi come se
fosse stata
gettata nell’acqua gelida, Lily si svegliò dai
propri incubi.
Ci mise più di
qualche attimo
a realizzare che erano tali, dato che prima dovette mettere a fuoco la
stanzetta degli allievi guaritori in cui si era addormentata alle prime
luci
dell’alba, dopo un lungo e noiosissimo turno di notte.
È
tutto a posto. È tutto a posto, sei al San Mungo,
è
giorno. È tutto a posto.
Si alzò a sedere
sulla
brandina, togliendosi ciocche fradice di sudore dal viso, pregando che
nessuno
oltre a lei fosse presente; ebbe fortuna, gli altri letti a castello
erano
vuoti come era vuoto quello sotto di lei.
Okay.
Vatti a sciacquare il viso, ora.
Scese con gambe malferme e
si
diresse verso i bagni al lato opposto del corridoio tenendo gli occhi
bassi ed
ignorando l’ambiente circostante. Fu solo con il viso
rinfrescato e la
bacchetta sicura nella sua presa che riuscì finalmente a
respirare e a non aver
voglia di rimettere la colazione che aveva fatto prima di addormentarsi.
Sapeva benissimo
cos’era
accaduto ed era una paura totalizzante, che per quanto irrazionale le
faceva
venir voglia di scappare il più lontano possibile.
Incubi.
Incubi di quel che è successo cinque anni fa …
di quel che è successo con il Sergente Flannery.
Pensava di averli superati.
Pensava che con il tempo, la terapia e la certezza di vivere in un
mondo
tranquillo e ovattato non sarebbe più tornato niente di
quello che aveva
vissuto dopo il rapimento.
Sbagliato.
Era probabile che fosse
stato
l’episodio al San Mungo ad averle innescato quella reazione
dato che il
cocktail delle sue peggiori paure si era realizzato alla perfezione.
Buio,
incantesimi e un’aggressione. Non ci siamo fatti
mancare niente, eh Rossa?
Chiuse gli occhi e li
riaprì
cercando di tornare alla realtà, una realtà di
una luminosa mattina estiva in
un ospedale sorvegliato e sicuro.
Non funzionava.
Non
lo è. Nessun posto è sicuro.
Per un attimo
sentì il respiro
bloccarsi in gola e desiderò con tutta se stessa
Smaterializzarsi in un posto
aperto, più luminoso, persino accecante.
Il
buio. Odio il buio, lo odio … lo…
Quasi saltò in
aria quando
sentì la porta del bagno aprirsi. Si ricompose al meglio,
voltandosi per
incontrare le iridi d’ossidiana della Psicomaga Patil.
“Potter.”
La apostrofò con
aria sorpresa. “Va tutto bene?”
Ti sei ricomposta una meraviglia, direi.
“Sì
… io. Sì.” Balbettò con
un’incoerenza che avrebbe rivaleggiato con quella della
povera Alice Paciock. “Cioè
… no.” Buttò fuori riluttante.
“… per niente.”
“Vedo.”
La strega le si
avvicinò con la stessa accortezza che avrebbe usato per un
paziente e questo la
rasserenò e inquietò al tempo stesso. Le mise poi
una mano sulla spalla
stringendo, facendole sentire che c’era e che il tocco era
reale. “Hai fatto il
turno di notte.” Ricordò pensierosa. “Ti
sei svegliata adesso?”
“Se svegliarsi
è il termine
giusto…” Mormorò.
“… avere un infarto e quasi cadere dal letto direi
che è più
adeguato.”
“Incubo?”
“Peggio.”
“Uno dei tuoi.” Stimò
la Psicomaga scandagliandole il viso
con l’espressione acuta con cui l’aveva conosciuta
e imparata a stimare. Era
stata proprio lei a curarla, quando al Sesto anno aveva cominciato a temere il sonno come il suo
peggior
nemico.
E
quando sono collassata a colazione perché erano
giorni che bevevo Pozione Stimolante mischiata al succo di zucca per
non
addormentarmi mamma e papà mi hanno spedito da lei.
Certo,
mi era piaciuto il suo articolo, ma non avrei
mai pensato che mi avrebbe aiutata davvero.
E
invece…
“Credo sia per
quel che è
successo la settimana scorsa… il black-out.” Si
passò una mano trai capelli
sentendosi un pochino più stabile. Parlarne con qualcuno che
trattava quei
problemi di mestiere la faceva sentire meglio.
La strega annuì, guardando il suo orologio da polso.
“Ho una lectio magistralis
a Madrid tra venti
minuti, ma tornerò con la Passaporta di mezzogiorno. Ad ora
di pranzo vieni nel
mio ufficio.”
“Non
è…”
“Non voglio
sentire scuse,
Potter.” La redarguì, prima di concederle uno dei
suoi rari sorrisi. “Non devo
fare la ramanzina ad una mia allieva sull’importanza di non
sottovalutare
un disturbo da stress post-traumatico, spero.” A volte le ricordava sua
cugina Roxanne ed
era questo ad averle sempre reso facile parlare con lei.
Vado
d’accordo con chi parla poco e ascolta tanto.
“Adesso
però mi sta parlando
come ad una paziente.” Osservò ricambiando
debolmente il sorriso.
“Allora sai che
non ha senso obbiettare.
Sciacquati il viso e prenditi il tuo tempo. Se ti fai vedere dai nostri
pazienti con quella faccia si preoccuperanno per te.”
Lily annuì, cercando di sorridere finché
l’altra non fu uscita dal bagno, poi tornò
al lavabo e si schiaffeggiò di nuovo con l’acqua
gelata del rubinetto.
****
Ministero
della Magia, Ufficio Auror.
Mattina.
Harry aveva pensato ad uno
scherzo di cattivo gusto.
Ci aveva pensato, poi aveva
realizzato che Ron, per quanto fosse un tipo facile
all’ironia, non avrebbe mai
portato alla ribalta quell’argomento in una battuta.
John
Doe.
Il braccio destro di Von
Hohenheim
non solo era vivo e vegeto – ancora
–
ma era coinvolto in un caso sotto la giurisdizione
dell’ufficio Auror, in
collaborazione con niente meno che la nuova versione della task-force
Anti-Thule.
Solo
una coincidenza?
La materia era la stessa;
Magia Oscura, della più disgustosa e moralmente
raccapricciante.
Perché
cambiare settore quando passi una vita sempre
nello stesso?
Ron di fronte a lui, a
braccia
incrociate e cipiglio d’occasione, aspettava una sua
reazione. Nonostante gli
anni, l’esperienza e il suo ruolo, Harry si trovò
nella posizione di non sapere
cosa dire.
“Cosa
facciamo?” Lo incalzò;
aveva ragione. Non c’era tempo da perdere.
“Informiamo la
SAGITTA.”
Rispose; Nora doveva essere la prima a sapere, sempre che Prince non
avesse già
pensato a spedire un Gufo Transcontinentale.
Già.
Come se non bastasse è stato lui a riconoscerlo.
Ordinò alla
propria segretaria
un Camino Portatile e aspettò che la chiamata si
connettesse, osservando le
fiamme verdognole senza vederle veramente.
“Miseriaccia, come
diavolo fa
ad essere ancora vivo?” Sbottò l’amico
dopo qualche attimo. “Ha nove vite come
i gatti?!”
“Gli agenti
tedeschi non hanno
mai trovato il corpo.” Gli fece eco senza distogliere lo
sguardo dal focolare
in miniatura. “Hanno pensato fosse bruciato e sepolto sotto
le rovine del
castello dei Von Hohenheim e Sören stesso ha giurato di averlo
lasciato esamine
nelle segrete…”
“Ha mentito?” Scattò subito con sguardo
allarmato.
Scosse la testa.
“No, penso
abbia detto la verità. Ma ci hai parlato tu, sembrava
sorpreso dall’averlo
riconosciuto?”
Ron ci rifletté,
poi sospirò.
“Sembrava essersi trovato un infero nel gabinetto. Era
così pallido che pensavo
stesse per sentirsi male.” Fece una pausa e poi aggiunse a
voce più bassa. “Era
sorpreso quanto noi. Non si può fingere fino a
‘sto punto.”
John
Doe. Johannes. Il Camaleonte. Un mercenario e poi
il braccio destro di Von Hohenheim … Per chi sta lavorando
adesso?
Erano domande che non
avevano
ancora una risposta, ma ne suggerivano diverse, tutte con conseguenze nefaste.
Un
virus che modifica la capacità magica, John Doe,
l’America coinvolta…
Avrebbe dovuto passare il
caso
ad una squadra più esperta, rifletté. Suo figlio
e gli altri ragazzi erano in
gamba, ma alle prime armi ad eccezione di Prince. Avrebbe dovuto e
tuttavia c’era
una parte di lui che non era convinta. Dare un caso simile a chi non
conosceva il
Camaleonte e non aveva vissuto sulla propria pelle i piani della Thule
non
sarebbe stata una mossa saggia.
Perché
lasciarlo nelle mani di quattro ventenni sì?
Non si sentì
affatto pronto quando
la voce di Nora attraversò la cortina verdognola di fiamme.
“Ci sono novità…”
Esordì e poi lasciò che fosse Ron a parlare e
aggiornare la
strega sulla situazione. In certi frangenti non era mai stato un bravo
comunicatore. Quando il breve dialogo si concluse la voce di Nora era
prossima
allo zero assoluto, in completo assetto da battaglia. Fu stranamente
consolante.
Non
essere soli genericamente lo è.
“Potreste farmi
parlare con il
mio agente?”
“Certamente.” Convenne. Scrisse un Promemoria
Ministeriale e lo fece librare
con la bacchetta; il ragazzo doveva essere al piano di sotto con la
squadra perché
non ci mise che una manciata di attimi per bussare alla porta.
“Avanti.”
Prince entrò ed ogni espressione sembrava essergli sparita
dal volto pallido; era
la copia del Luzhin che era stato cinque anni prima, ma stavolta Harry
non ne
fu inquietato. Ne fu amareggiato.
John
Doe è il suo molliccio personale. E come potrebbe
essere diversamente? Incarna tutto ciò da cui è
scappato.
“Sören.”
Il tono di voce di
Nora era formale, ma comunque tinto di un affetto che non voleva
nascondersi e
Harry, per la prima volta da quando conosceva il ragazzo, fu felice che
la
strega lo avesse preso a cuore.
“Comandi,
Capitano.” Rispose
questo, il tono di voce controllato e
propositivo; quanto doveva Occludersi per avere ragione delle sue paure?
“Sei assolutamente
certo di
aver riconosciuto il Camaleonte?” Andrò dritta al
punto.
“Sissignore.” Fu la replica priva di incertezza.
“L’identikit è fedele, si
tratta di Johannes.”
“Un tuo parere
sulla
questione?”
Il ragazzo serrò
le labbra
come se non fosse sicuro di poter davvero dar voce ai suoi pensieri.
Harry
immaginò fosse una cosa a cui doveva ancora abituarsi.
“Johannes è nato come
Mercemago.” Disse infine. “È cresciuto
in seno alla Thule, ma privo di un ruolo
definito. Si occupava degli affari sporchi di mio zio …
È diventato col tempo
il suo principale sodale, ma questo perché mio zio gli
assicurava grosse
entrate finanziarie e libertà di azione.”
“Pensi quindi che
adesso si
sia legato ad un’altra organizzazione? O un altro
mago?” Chiese Harry.
“Non lo escludo.”
“Avevi detto che
era morto.”
Esordì Ron, rimasto in silenzio fino a quel momento.
“L’hai detto agli agenti
tedeschi, no?”
C’era un’accusa dietro, e neppure troppo velata.
Prince dovette coglierla
perché il tendine della mascella scattò violento.
Ron,
dannazione.
“Lo
pensavo.”
“Non hai
controllato?”
“Ero
più occupato a salvare la
vita di sua nipote.” Ribatté con uno scatto
rabbioso che Harry si era
aspettato, ma non Ron che lo squadrò come se gli avesse
appena rivolto un
affronto personale.
“E di
chissà…” Iniziò.
No,
non riusciremo mai ad andare avanti così…
“Il punto
è che è vivo.” Lo
interruppe lanciandogli un’occhiata ammonitrice.
“Per qualsiasi lavoro sia
stato ingaggiato, chi l’ha fatto non dev’essere un
mago da pochi galeoni, è
corretto?”
Prince annuì.
“Pochi maghi
possono permettersi i suoi servizi.”
“Quindi chiunque
lo abbia
assoldato ha mezzi finanziari notevoli.”
“Se
posso…” Aspettò un suo
cenno prima di continuare. “Stilerò una lista
degli alias usati da Johannes. Per
i pagamenti potrebbe aver usato una
banca magica.”
“Faremo controlli anche noi.” Gli fece eco Nora.
“È una buona idea Sören,
mettiti subito al lavoro.”
“Sissignore.” Rispose pronto il ragazzo. Sembrava
che l’idea gli avesse dato
forza perché uscì dalla stanza con un
po’ più di colore addosso e l’aria meno
stravolta. Quando si fu congedato, Harry si massaggiò la
fronte, sentendo il
lieve rilievo della cicatrice. Non avrebbe mai pensato che quella
gestualità
potesse diventare confortante.
“Questa non ci
voleva.” Ron
diede voce ai suoi pensieri. “Se è coinvolto
quello psicopatico … Quant’è grave
la situazione?”
La risposta di Nora non si fece attendere.
“Molto.”
Era come se qualcuno gli
avesse costretto la testa sott’acqua. I rumori, le voci, i
suoni tutti attorno
a lui rimanevano un rumore sfuocato.
Johannes era ancora vivo; il
braccio armato di suo zio, il mago con cui aveva lavorato per anni,
rubando e
uccidendo in nome della Thule, l’uomo che più di
tutti aveva capito e sfruttato
i suoi punti deboli … era vivo.
Se
scoprono che mi crea problemi … il Capitano, Harry
Potter … Mi considererebbero ancora una persona affidabile?
Dubitava che la risposta
sarebbe stata affermativa.
“Ehi!”
La voce di Malfoy che
lo chiamava dallo stipite della porta lo riscosse bruscamente.
“Sei qui allora.”
“Mi sto preparando del the. Ne vuoi?” Ottimo, il
tono era fermo come avrebbe
dovuto.
“No, grazie. Se ne
bevo più di
due tazze mi agito e comincio a diventare molesto, secondo
l’opinione comune.”
Gli sorrise avvicinandosi e saltando sul ripiano accanto a lui con
l’agilità di
un gatto.
Rimasero brevemente in
silenzio, ma alla fine l’altro lo ruppe per chiedergli quello
che voleva
evidentemente sapere da quando era entrato nella stanza. “I
Capi ti hanno fatto
il terzo grado?”
“Mi hanno chiesto
di
confermare l’identità del ladro.”
Replicò ma poi vedendo che l’altro non era
soddisfatto dalla sua risposta, soggiunse. “Devo stilare una
lista di tutti gli
alias di John Doe, può
aver aperto un
conto a nome di uno di essi per farsi pagare la …
prestazione.”
“Cioè
il furto?”
“Il
furto.” Confermò.
“Pensi abbia aperto un conto
alla
Gringott?” Malfoy aveva tutte le ragioni a fare domande,
tuttavia dovette
reprimere l’irritazione.
Non
può aspettare che lo dica davanti agli altri?
Ignorarlo sarebbe
però stato
scortese, e non gli sembrava il caso dato che era l’unico che
si fosse sempre comportato
in modo corretto ed amichevole con lui. Non voleva rischiare di
rovinare tutto
con uno scatto di nervi. “Forse una banca straniera
…” Ipotizzò. “Forse
addirittura Babbana.”
“Mai cose semplici.” Commentò
l’altro schioccando la lingua. Gli lanciò poi
un’occhiata di traverso. “Tu … stai
bene?”
La domanda lo
spiazzò. Era
sincera però e gli doveva dunque una risposta.
“No.” Tolse il bollitore dal
fuoco e si versò una generosa tazza di Earl Grey, unico the
presente nella
dispensa. Non gli piaceva granché. “Johannes
… o come lo chiamate voi, John Doe
… è un mago che avrei preferito saper
morto.”
“Come non darti ragione.” Sospirò.
“Hai … lavorato …”
Apprezzò il tentativo di
farla sembrare una cosa normale. “… con lui,
vero?”
“Da quando ero
bambino.” C’era
un modo per non provare quella nausea feroce all’idea di aver
aiutato Johannes a
compiere la triste serie di atti per cui era famoso in tutto il Mondo
Magico?
Temo
di no.
“Lo conosci bene
allora.”
“Come si può conoscere un uomo che finge di
esserne dieci.” Replicò con un
sorrisetto amaro; nessuno sapeva davvero
chi era Johannes, neppure la famiglia che gli aveva dato i natali.
“Non abbiamo
nessun vantaggio su di lui, se è questo che speri.
Saprà già che stiamo
conducendo le indagini.”
“Intendi proprio noi?” Soffocò
un’imprecazione. “Ne sei
sicuro?”
“Conosco il suo modus operandi. Sa sempre chi
è il suo
antagonista.”
Malfoy gli lanciò una lunga occhiata valutativa.
“Sei pallido come uno
straccio.” Stimò estemporaneo ma neppure troppo;
sembrava che la sua capacità
di osservazione andasse oltre i suoi doveri di auror.
“Dovresti prenderti la
giornata libera.”
Ha
capito come mi sento?
Era un Occlumante come lui
dopotutto. “È quel che mi è stato detto
di fare.” Posò la tazza sul ripiano
ancora piena di the bollente. Davvero, non gli piaceva
quell’Earl Grey. “Sai
dove posso trovare un Accademia di Duello?”
“C’è
quella a Diagon Alley, e
come agente di Polizia Magica puoi entrare senza bisogno di iscriverti,
perché?”
Provò sollievo a quella notizia; svuotarsi la testa dai
brutti pensieri
attraverso la bacchetta era ciò di cui aveva bisogno in quel
momento. “Voglio
andarci. Puoi darmi l’indirizzo?”
L’auror parve
capire al volo, perché
non commentò. “Non serve è proprio
accanto al Paiolo Magico. Però stasera ci
vediamo alla mia festa?”
Non era affatto
dell’umore, ma
Milo gli aveva detto che certe manifestazioni sociali non potevano
essere
accantonate, neppure quando si aveva il profondo desiderio di rimanere
soli.
“Certo.”
Il biondo gli diede una
pacca
sulla spalla che si impose di non vanificare spostandosi o
irrigidendosi.
È
un gesto amichevole, idiota. Non vuole farti del
male.
“Sta’
tranquillo Sören.” Disse
con un tono che doveva essergli valso l’appellativo di
persona affidabile.
“Prenderemo quel bastardo.”
Non credo.
Non espresse parere,
limitandosi a lasciare la stanza: l’Occlumanzia non bastava
più.
****
San
Mungo. Ora di pranzo.
“Pensavo fossero
passati.”
Esordire con un tono lamentoso e debole era l’ultima cosa che
voleva, tuttavia
l’unica che le riusciva di fare; aveva passato la mattinata a
rifugiarsi sul
terrazzo – il punto più luminoso
dell’ospedale - senza riuscire ad avere un
solo pensiero sensato in testa.
Non
possono ricominciare. Non adesso. Non adesso che sto bene.
La Guaritrice Patil si
limitò
a lanciarle un’occhiata da dietro la sua scrivania.
“Sai bene quanto me che non
esiste cura, per quanto efficace, che dia effetti definitivi. Non la
abbiamo
noi maghi, non la hanno i Babbani.”
“Lo so.” Serrò appena le labbra.
“Ma avevo fatto progressi. Ne ero fuori!”
“E lo sei.” Convenne pacata. “Sei una
persona molto diversa dalla ragazza che
ho incontrato nel mio studio quattro anni fa… Spero che tu
ne sia cosciente.”
“…
Certo.” Guardò fuori dalla
vetrata; era un ufficio arioso, quello della Guaritrice Patil, pieno di
luce e
mobili chiari. L’aveva fatta sentire a suo agio sin dalla
loro prima seduta. “È
solo … è trascorsa una settimana e pensavo
…”
“La mente umana non ha scadenze. Ha tempi di reazione che
variano da persona a
persona.” Le fece notare passandosi le dita sul vezzo di
perle che aveva al
collo, l’unico gioiello che la natura austera della sua
personalità le aveva
concesso. “Parlami di quello che è
successo.”
“Lo sa cos’è successo. A Londra non si
parla d’altro!” Ritorse bruscamente.
Arrossì quando capì che non era un resoconto
giornalistico quello che le chiedeva,
ma quello che era successo a lei.
“Quando
c’è stato il black-out
… Mi sono controllata.” Esordì.
“C’era … mio fratello, c’era
Al. Stavo per
andare nel panico quando è arrivato. E poi dovevo badare ai
pazienti. Mi sono
tenuta occupata, in quel momento non pensavo … Non pensavo a
me.” Spiegò
precipitosamente, mangiandosi le parole, ma non importava. Con una
Psicomaga
per fortuna non importava mai.
“Pensavi ai
pazienti e a tuo
fratello.” Ripeté la donna. “E
poi?”
“Poi sono arrivati gli auror e…” Si
bloccò. L’altra sapeva di Sören, ne
avevano
parlato a lungo dato che era stato spesso parte dei suoi incubi e
inevitabile
personaggio recitante dei suoi traumi.
Solo
che non le ho dato l’ultimo aggiornamento.
“… e
Sören.” Mormorò.
“Sören
Prince?” L’espressione
di sorpresa fu comprensibile ma non vide nient’altro. Una
delle cose che più
apprezzava della sua mentore era il non gettarle mai addosso i suoi
sentimenti.
Riusciva a tenerli per sé non con l’Occlumanzia,
ma con una predisposizione
naturale a non lasciar trapelare niente di ciò pensava: era
un pregio nel loro
lavoro.
Un’Occlumante
Naturale, in un certo senso. Se
esistessero, sarebbe una di loro.
“Adesso collabora
con
l’ufficio Auror per un'indagine.”
Spiegò stringendosi nelle spalle.
“Non sapevo fosse qui finché non me lo sono
trovato di fronte, in pratica, ma…”
“E come ti senti?”
Lily esitò, poi
scosse la
testa optando per la brutale verità. Non aveva mai avuto
paura di offendere o
turbare i sentimenti di nessuno in quell’ufficio. Neppure i
suoi. “Confusa.
Preoccupata e … spaventata, anche.” Si
passò le dita trai capelli, chiudendo
gli occhi e sentendoli bruciare. Nei suoi piani avrebbe dovuto passare
la
mattinata a dormire, ma così non era stato. “Sono
contenta di vederlo, certo,
ma non so come comportarmi. Abbiamo mantenuto i rapporti, ma
finché erano su
carta era … semplice.”
“Era una giusta distanza?”
“Era
l’unica che pensavo di
poter sopportare.” Confessò. “Adesso non
posso permettermi il lusso di
scegliere. È qui e mi ha chiesto di vederci
ancora.”
“Vuoi vederlo?” Erano le stesse domande che si era
fatta e che le erano state
fatte. La differenza era che nel tono della Guaritrice non
c’era pregiudizio o
morbosa curiosità.
Sono
solo domande.
“Sì. Ma non è solo questione di
volontà, credo…” Aggrottò le
sopracciglia,
mentre un pensiero orribile, sbagliato le si affacciava alla mente. Non
era la
prima volta che usciva fuori, durante quella lunga mattinata, ma
stavolta aveva
qualcuno con cui affrontarlo quindi lo tirò fuori,
all’impietosa luce del sole.
“Pensa che Sören
possa essere la causa scatenante?”
La strega inarcò
le
sopracciglia. “Tu cosa pensi?”
“Lo sto chiedendo
a lei!”
“Ed io non ho
risposte a
questa domanda.” Fu la replica inevitabile. Lily lo sapeva,
studiava la
Psicomagia e conosceva la strega di fronte a lei, eppure fu comunque
frustrante.
Sarebbe
bello se qualcuno avesse sempre la risposta che
cerchi.
Quella
giusta però.
“Beh, neanche
io.” Mormorò
guardando il London Eye stagliarsi nel familiare profilo della
città. “O forse
non voglio cercarla…” Dire certe cose ad alta voce
faceva più male che Maledirsi
con la propria bacchetta.
“Hai paura di
Sören?”
La domanda la
colpì come un
pugno allo stomaco. Una parte di sé le imponeva di
protestare e gridare con
tutte le forze che no, non avrebbe mai avuto paura di quel ragazzo
dagli occhi
intensi e il cuore gentile, perché conosceva la sua anima e
la apprezzava come
poche. Un’altra parte di sé, la patetica ragazzina
spaventata che era stata, non
riusciva invece a chiarirsi le idee in merito senza aver voglia di
raggomitolarsi da qualche parte e piangere.
“Ho paura
… di quello che mi
ricorda.” Mormorò infine, perché era un
buon compromesso ed in fondo era vero.
“Hai paura che
Sören possa
farti del male?”
“Non fisicamente,
ma lo ha già
fatto.” Abbassò lo sguardo, vergognandosi dei suoi
stessi pensieri. “Voglio
solo sbagliarmi.”
****
Diagon
Alley, Appartamento Thomas Dursley e Albus
Potter.
Sera.
Tom non apprezzava
l’atmosfera
che precedeva una festa.
Che la festa in questione si
tenesse a casa sua – mai successo per fortuna – o
che dovesse presenziare la
sostanza non cambiava; detestava la prospettiva di passare
un’intera serata
lontano dai suoi libri e dalla sua musica in favore di un
ipersocialità che non
sarebbe mai stata nelle sue corde.
“Ma Mutti
non è ancora pronto? Sono ore che è barricato in
bagno!” Si
lamentò Meike, in tenuta da concerto e dunque con troppa
pelle esposta e troppo
trucco. “Non è che ci è morto
lì dentro?”
“L’unica cosa morta ce l’ha in
testa.” Replicò facendola sghignazzare. Si
sistemò la sottile cravatta nera allo specchio e
considerò meditabondo l’idea
di cambiare la camicia grigio fumo di Londra in una ancora
più scura, per
dimostrare cromaticamente il suo stato d’animo.
Il
compleanno di Malfoy … Esploderanno cose e la gente
finirà per togliersi i vestiti di dosso.
Se
c’è una cosa che odio più dei
grifondoro sono gli ex-grifondoro.
Non
c’è cura.
Meike lo distolse dalla
tragica deriva dei suoi pensieri voltandolo e allentandogli senza
troppe
cerimonie la cravatta. “Guarda che non è mica un
funerale, Ian Curtis.” Lo
prese in giro ricordando ad entrambi il falso nome con cui si era
presentato a
lei e Cordula. “Lo sanno tutti che alla fine non ti fa poi
schifo.”
“Tutti si
sbagliano.” Non vacillò,
tirandole uno schiaffetto per liberarsi dalla sua presa spiegazzante.
Si sistemò
la camicia e chiuse i polsini che gli aveva dispettosamente sganciato.
“E
smettila di starmi attorno.”
“Ingrato… Cercavo di non farti sembrare un
manichino.” Roteò gli occhi al
cielo. “Ma dimentico sempre che solo Mutti
può osare sfiorare la tua nobile pelle.”
“E anche altro.” Sogghignò facendola
avvampare orripilata.
“Troppe
informazioni!” Sbuffò
buttandosi sul letto e dondolando le gambe. Sospirò: il suo
folletto di Rügen
era cresciuto per diventare una teppistella linguacciuta e con troppo
kajal.
Poteva
andare peggio. Poteva diventare come Lily.
“Anche se
…” Esitò aggrottando
le sopracciglia su cui brillavano i più lustri dei suoi
piercing. “Lo sei più
del solito.” Osservò.
“Non direi, mi
sento
disgustato dall’umanità come sempre.”
Motteggiò sedendosi sul davanzale per
godere della poca brezza che quella serata aveva loro concesso.
Da
quando fa così disgustosamente caldo in Inghilterra?
“Ed è
affascinante, davvero.”
Celiò Meike arricciando il naso. “Non è
che tu e Al avete litigato? Devo
preoccuparmi che i miei mutti e vati divorzino?”
Sgranò gli occhi in
un’imitazione passabile di cerbiatto ferito, sebbene in
quella casa fosse Al il
campione. “Mi farete passare un’adolescenza
tormentata!”
“Mi pare tu faccia
un’eccellente lavoro già da sola.”
“Quello che tu
chiami periodo
turbolento io lo chiamo avere una vita
sociale.” Ritorse con una boccaccia, prima di
tornare seria. “Va tutto
bene, vero? Cioè … Al sta bene, no?
Perché anche lui mi è sembrato un po’
fuori
fase in questi giorni. È per quel che è successo
al San Mungo?”
Tom guardò fuori
dalla
finestra; da lì si vedeva un angolo di strada e persino il
Finnigan’s: nei
pochi secondi che lo fissò la porta dipinta di un acceso
color verde questa si
aprì per lasciar entrare almeno una mezza dozzina di persone.
Grandioso.
“Al sta bene.
È abituato a
rompersi la testa per mano di maghi psicotici.”
Sono
io che non mi abituerò mai.
“Non
pagherò per le tue
consumazioni selvagge stasera.” Stornò il
discorso. “Quindi vedi di non
dimenticarti il portafoglio.”
“Ci pensa Scorpius a pagarci, bacchettone! Noi suoniamo, lui
sgancia. Accordo
vecchio come il mondo.”
Il campanello della porta le
evitò
per un soffio uno scappellotto, dato che si precipitò ad
afferrare chiodo di
pelle e custodia del basso per raggiungere Louis e il resto degli amici
venuti
a prenderla. “Ci vediamo dopo, Signor Misantropia!”
Gli gridò prima di
sbattersi rumorosamente la porta di casa dietro.
Quindicenni.
Tom tornò alla
finestra,
lasciando che Zorba gli saltasse in grembo e pretendesse la sua
quotidiana dose
di vezzeggiamenti.
Al
sta benissimo, sì. Ha un obbiettivo. Sono io che
vorrei Maledirlo per le sue idee imbecilli.
Non poteva mostrarsi
però
apertamente contrario; cinque anni prima aveva imparato che scontrarsi
in campo
aperto con l’altro era una partita persa in partenza.
Come
ogni Potter che si rispetti odia sentirsi dire che
sta sbagliando.
Se Al avesse fiutato il suo
opporsi
avrebbe finito per nascondergli delle cose e cercare di minimizzarne
altre. La
sola idea era sufficiente a farlo infuriare.
Non
fasciarti la testa prima di essertela rotta. Non ha
trovato ancora il momento giusto per parlare il Capo Guaritore ma
quando lo
farà, dovrai solo lasciare che l’antipatia di
quell’uomo faccia il suo corso.
La porta del bagno si
aprì e
Albus, neppure i suoi pensieri l’avessero richiamato,
uscì.
Due
ore e mezzo. Neppure Alicia ci mette tanto.
Sentì
però un sorriso premere
sulle labbra, perché il ragazzo stupendo che gli sorrideva
di rimando era suo ed era una
considerazione capace di
soddisfarlo ogni singola volta, non importava quanto pessimo fosse il
suo umore.
È
mio.
“Due ore e
mezzo.” Trovò
giusto notificare.
“Colpa dei capelli
corti.” Fu
la spiegazione serena. “È sempre un inferno
cercare di dargli un senso!” Gli si
avvicinò e gli mise le mani sulle ginocchia, chinandosi per
un bacio languido e
spodestando così il gatto che miagolò
infastidito. “Non è personale, Zorba. A
giudicare dalla faccia del tuo padrone devo farmi perdonare.”
Scherzò.
“Tu e il gatto conversate abitualmente?”
“Solo quando devo
sottolineare
chi appartiene a chi.” Tom gli passò una mano
sulla stoffa sottile della
maglietta che si tendeva su un fisico armonioso e asciutto. Mal
sopportava il
Quidditch che l’altro si ostinava a praticare nei fine
settimana con i vecchi
compagni di squadra, ma ne apprezzava gli effetti.
Al sospirò
deliziato quando
gli baciò la curva del collo. “Ehi, se
è arrivato Lou a prendere Mei siamo davvero
in ritardo.”
“Nessuno noterà la nostra assenza in quella bolgia
dantesca. Abbiamo del
margine ed io ti ho aspettato.”
Mormorò tirandoselo contro per avere un accesso migliore a
tutta quella pelle
morbida e profumata di doccia.
“Come se potessi
affrontare da
solo la temibile folla …” Sogghignò
l’altro passandogli le dita trai capelli e
serrando appena la presa, tra il fastidio e il piacere. Tom dovette
ingoiare
quelle che sarebbero sembrate impropriamente
fusa.
“Infatti eviterei.
È un favore
che faccio a te … e mi aspetto sia ripagato.”
Sussurrò contro la pelle della
sua clavicola nuda.
Tom sapeva bene di essere
sistematicamente manovrato, con uno sguardo, un tocco o un
incresparsi malizioso delle
labbra; Al non era mai troppo manifesto nei suoi desideri, per un
irrisolto
desiderio di essere studiato, investigato e infine scoperto
– crescere in nel clan Weasley ti dava la malata idea di
essere parte di un gruppo a scapito della tua unicità.
E
Al è un individualista. Come me.
“Cos’è
che vuoi?” Gli chiese
infatti con un desiderio vorace annidato negli occhi verdi.
Indovina.
“Te.”
Disse semplicemente tirandolo
contro di sé. “Da sempre.”
Se doveva farlo desistere
nell’insana idea di seguire il caso Flannery doveva iniziare
colpendo i punti
deboli. Sarebbe stato un compagno supportivo, sì. Ma alle
sue condizioni.
****
Diagon
Alley, Finnigan’s Wake.
Sera.
And this is me trying to be
kind I want you to know
You seem to pardon all my favours now
Sometimes!
Le feste magiche inglesi ci
provavano, bisognava dar loro credito di questo; si sforzavano di
assomigliare
a quelle Babbane, sia nella musica che nelle bevande dai nomi estrosi,
ma
mancavano sempre di qualcosa. Di
stile, solitamente.
Milo dovette ammettere
però
che il compleanno a cui il principino era stato invitato –
trascinandoci di
riflesso anche lui – prometteva di esser decente. Se eri un
tipo che amava
scolarsi pinte su pinte ululando il ritornello di qualche canzone in
compagnia
di gente ubriaca quanto te, era la festa perfetta.
Posso
essere quel tipo stasera.
Il principino
d’altro canto
non sembrava pensarla come lui; era vestito e pettinato a dovere, ma
aveva il
viso grigiastro tipico dei suoi peggiori umori umbratili. Quel
pomeriggio era
tornato alla locanda sudaticcio e con gli occhi vuoti e non gli ci era
voluto
molto per capire che qualcosa era andato terribilmente storto.
Solo
che quando sono riuscito a cavarglielo finalmente
di bocca…
“Allora
avevo visto bene.” Aveva commentato quando
Sören, dopo essere tornato da una doccia gelida vista la pelle
illividita,
aveva vuota il sacco.
L’altro
ci aveva messo qualche attimo per capire il
significato della frase. “Sapevi di
Johannes?”
“Non
ne ero sicuro!” Aveva messo le mani avanti vedendo
i lineamenti dell’altro accendersi di rabbia. “Ho
fatto un paio di domande in
giro e nessuno sembrava aver notato gente strana girare per i
bassifondi, e
quel tipo è un tipo da bassifondi,
quindi…”
“Perché non me l’hai detto? Lavori per
me, devi dirmi tutto!”
“Tutto?”
Aveva inarcato le sopracciglia. “Anche
chi mi porto a letto?”
Con orrore aveva visto il braccio dell’altro emettere
inquietanti scintille
rosse. “Non prendermi in
giro.” Aveva
ringhiato. “Rispondi. Perché non me
l’hai detto?”
Merda. Okay. Momento
verità.
“Perché
avevo paura di questa reazione!”
Aveva sbuffato cercando di ignorare i campanelli d’allarme.
Se fossero stati
spaventati in due non sarebbe finita bene. “Avevo paura che
tu perdessi la
testa … e per qualcosa che non ero certo di aver visto.
Volevo avere delle
certezze prima di far rapporto, fammi causa!”
Il
mago aveva serrato le labbra, prima di afferrare
l’asciugamano che gli porgeva e strofinarselo violentemente
sui capelli ancora
stillanti acqua. Era una resa e Milo aveva tratto un sospiro di
sollievo.
“Non
ho perso la testa.”
Sì,
certo.
Infrangendo
una delle sue regole d’oro che recitava di
non iniziare mai contatti fisici con gente che non voleva scoparsi,
afferrò
l’asciugamano e glielo strattonò via di mano.
“Calmati.” Aveva detto. “Johannes
è ancora vivo, e allora? L’hai preso a calci in
culo una volta. Puoi farlo
ancora.”
La linea tesa delle spalle di Sören era sembrata cedere
leggermente. “Cosa ci
fa qui?” Aveva sussurrato. “Perché
è in Inghilterra?”
“Che
ne so.” Si era stretto le spalle. “Lo scoprirete.
Non è il vostro lavoro?”
“Sì.”
Gli aveva scoccato un’occhiata valutativa. “Hai
detto che hai chiesto in giro … A chi?”
“Gente.”
Non si era sbilanciato. “Ho qualche contatto.
Ce l’ho sempre, lo sai.”
“Continua
a farlo.” Gli aveva ordinato prima di indossare
i vestiti che gli aveva accuratamente preparato sul letto. Li aveva
messi con
furia, quasi fossero una punizione contro un crimine.
“Continua a chiedere.
Chiedi anche ai morti, se necessario. Devo sapere perché
è qui.”
Non gli era restato che annuire.
Poteva capire
l’ansia, ma
rompersi la testa in quel modo non gli avrebbe giovato.
Pensare
ad altro invece sì.
Non era riuscito
però a farsi
dar retta e mentre entravano nel locale, Milo si chiese se non fosse il
caso di
riportarlo a casa.
Con
un umore così è pronto per un funerale. E poi chi
la regge la sua sbronza triste?
“Chi è
il festeggiato?” Chiese
lanciando un’occhiata complessiva; erano nel classico pub
inglese, legno appiccicoso
ovunque, musica assordante e bicchieri pieni di birra in dirittura di
rovesciarsi. La fauna maschile però era passabile.
Abbastanza
jeans stretti e bei sederi … Sì,
c’è un buon
margine di manovra anche per me.
“Scorpius Hyperion
Malfoy.” Gli
fu risposto con tono assente. “È
l’ultimo erede dei Malfoy … una delle famiglie
magiche più influenti d’Inghilterra.”
“Purosangue?” Indovinò.
“Com’è allora che tutto qua grida Amiamo i Babbani?”
“È un
tipo particolare.”
Riassunse cominciando finalmente a guardarsi intorno. Era ovvio chi cercasse, dato che quel genere di
evento attirava sempre un tipo particolare di ragazza.
E
la sua Rossa è un animaletto da party tanto quanto
me.
Lasciò quindi
perdere la sua
caccia per aiutare quella dell’altro, perché era
un bravo ragazzo e perché
soprattutto non vedeva l’ora di potersi sganciare. Non ci
misero molto a
trovarla; Lily Potter era in mezzo alla pista da ballo con un vestito
che
avrebbe seccato le ghiandole salivari a qualsiasi maschio eterosessuale
dotato
di occhi.
I'm a sober boy, you're a
lonely girl
So let's give it up and stay out of each other's worlds!
Milo cercò di non
ridere
quando vide ogni tragicità eroica cancellarsi dalla faccia
del mago,
rimpiazzata dalla classica espressione ebete del ragazzo a cui era
partito
l’ormone.
Potrà
dire a destra e a manca che la considera solo un
amica, ma qui si tratta di chimica, di desiderio sessuale. E quella
ragazzina è
una calamita per la bava.
Grazie
Rossa.
La ragazzina in questione
ballava
però allacciata ad una montagna di muscoli.
Mmh
… dev’essere il ragazzo.
La cosa doveva averla notata
anche Sören da come si irrigidì distogliendo lo
sguardo. “Ah,
ecco Zenzero.” Indicò girando il dito
nella piaga.
Ma
ehi, è divertente.
“Zenzero?”
Il tono di voce
uscì strozzato, prima che si ricomponesse. “Di chi
stai parlando?”
“Di Lily
Potter.” Ghignò.
“Trovo sia un nomignolo appropriato. Ragazze come quella
… beh, pizzicano.”
“Non dire cose insensate.” Lo redarguì
brusco mentre le guance sembravano
prendergli fuoco. “Cercami piuttosto un tavolo.”
“La fai facile tu!” Sbuffò guardandosi
attorno. “Non so se hai notato, ma sarà
un miracolo se riusciremo ad arrivare al bancone per prendere da
bere.” Si
passò le dita trai capelli e sospirò.
“Non possiamo aggregarci a qualcuno?”
“No.” Fu
la risposta
immediata, prima che facesse una smorfia rendendosi conto esser stato
forse
troppo tranciante. “Malfoy mi ha invitato, ma non sono in
buoni termini con
nessuno qui, lo sai bene.”
“E con Lily?”
Lo sguardo
dell’altro scivolò
di nuovo sulla pista da ballo, dove l’inglesina sembrava
divertirsi un mondo a
volteggiare tra le braccia del suo cavaliere. “Sta ballando,
non voglio
disturbarla…”
“Sei scemo?” Gli uscì naturale.
“Dobbiamo passare l’intera serata a fare da
tappezzeria
perché non hai il coraggio di andarla a salutare e chiederle
se possiamo
sederci con lei e i suoi amici?”
Sören
aggrottò le
sopracciglia, serrando le labbra. “Tu non capisci.”
“Non rifilarmi lo sguardo da adolescente incompreso,
perché hai venticinque
anni, principino. Sei un po’ fuori fascia.”
“Ne ho
ventitré.” Lo corresse
sostenuto, come se dovesse passare i suoi giorni a contare quelli
dell’altro.
“Quello che
è. Vai a
salutarla.”
“No.”
Dodici anni. Lavoro per un ragazzino di dodici
anni che pensa che le ragazze abbiano appena smesso di avere i pidocchi
per
diventare santuari irraggiungibili. A meno che non gli si buttino
addosso, ma
non è il caso della Potter.
…
quanto mi manchi, Boston.
“Allora sei da
solo, bello.” Comunicò.
“No…”
Lo bloccò prima che potesse
partire con la storiella che era compito suo occuparsi di quelle cose.
“… non posso
sempre pararti il culo. Mi paghi per lavarti le mutande, non per farti
fare
amicizia.” Ignorò l’espressione
sconvolta dell’altro e si tuffò tra la calca.
Un
giorno mi ringrazierai principino. Una statua.
Davvero, sarò materiale da statua di bronzo.
Cause if I take your words in
the song I sing,
Like the rock the paper, the scissors that sort of thing
The question is how long has it been since you've fell in love with a
boy like
me?
“Katy
Perry.”
“Come scusa?”
“Prima
… hanno messo Katy
Perry. Oltre il tollerabile, me ne torno a casa.”
“Non ho idea di chi diavolo sia, Tom. Falla finita e dammi
una mano a trovare
Scorpius.”
A
volte portarlo alla feste equivale a trascinarci un
ippogrifo morto. Stessa verve.
“Ehiii!”
Sentirono una voce
squillante alle loro spalle, e Al dovette reprimere una risata quando
vide
l’espressione del proprio ragazzo mutare da morente a morente
patibolare. A quanto sembrava
Scorpius
aveva trovato loro. “Ci sono i miei Serpeverde
preferiti!”
Albus venne così strizzato in un abbraccio che lo
staccò di qualche centimetro
da terra. Si sarebbe arrabbiato per essere maneggiato come un pupazzo,
se non
fosse provenuto da quel ragazzone innocuo come un labrador. Lo
ricambiò affettuosamente.
“Buon compleanno Sy.” Lo salutò dandogli
una pacchetta sulla testa. “Grazie per
i preferiti.”
“Oh, in
realtà lo siete tutti,
voi verde-argento. Genetica!” Sogghignò mollando
la presa e mostrando così la
maglietta che indossava, recitante un ovvio ‘baciate il
festeggiato’. Meno
ovvia era la frase aggiunta sotto a pennarello ‘e
sfidate l’ira della mia promessa sposa.
“Carino.”
Commentò divertito.
“È stata un’aggiunta tua o di
Rosie?”
“Comune
accordo!” Replicò
con un gran sorriso; Al ricordava come non
avesse festeggiato fino al Sesto anno quindi non trovava esagerata
quell’euforia alcolica.
Per
anni ha avuto solo una cena formale con i suoi,
Mike e Lo. È in debito.
“Rendi utili le
tue feste imbarazzanti
e trovaci un tavolo, Malfoy.” Lo apostrofò Tom,
tenendolo fisicamente a
distanza con una mano dato che l’altro sembrava intenzionato
ad abbracciarlo.
“E non toccarmi.”
“Un
tavolo?” Ridacchiò l’altro
scuotendo la testa. “Chiedi troppo, Dursley. Continua ad
entrare gente e credo anche
di aver calpestato qualche quindicenne mentre andavo in bagno. Sul
serio, non è
tutto meravigliosamente fuori controllo?”
Cinguettò con gli occhi che gli
brillavano.
“E non sono ancora
le dieci.
Meriti la palma per sobillatore dell’ordine
comune.” Si inserì la voce di sua
cugina, già sgocciolante via pazienza. “Violet ti
sta cercando per darti il suo
regalo da mezz’ora. Tra poco te lo lancerà in
testa e considerando che è
dall’altra parte della sala potrebbe uccidere qualcuno.
Vieni?”
L’altro le
passò un braccio
attorno alla vita e le baciò la fronte. “Ricevuto,
non vogliamo morti stasera.”
“Non li
vogliamo.” Confermò
sorridendo loro con aria falsamente esasperata; come tutti gli Weasley
era
cresciuta nel caos e quel genere di eventi non la sconvolgevano
più di tanto.
Lo
fa solo per farsi coccolare da Sy.
“È
troppo chiedere un posto a
sedere?” Le chiese vedendo che Tom cominciava a spazientirsi,
e lui purtroppo
non fingeva.
“Direi.”
Convenne la cugina
con aria dispiaciuta. “Credo che finirò io
per sedermi sul registratore di cassa se continua con questo ritmo.
Quanta
gente hai invitato, demente?” Si rivolse al fidanzato che
comunicava ad ampi
gesti di prendergli da bere a qualcuno nei pressi del bancone; a
giudicare
dall’aggiunta di gesti osceni doveva trattarsi di James.
“Mah,
chiunque.” Scrollò le
spalle disinteressato, allungando una pacca ad un tizio che nessuno di
loro
aveva mai visto. “Ehi, non so chi sei, ma penso che tu voglia
sapere che sono
il festeggiato!”
“Tanti auguri
amico!”
“Oh mio Dio…” Sussurrò Tom
ormai sull’orlo di una crisi di nervi.
Rose dovette intuire lo
stato
d’animo di quest’ultimo, perché
sbuffò indicando con un cenno verso il fondo
della sala, dove i Banshees stavano finendo di cenare prima di montare
la
propria attrezzatura. “Provate a chiedere a Lily, ha un
tavolo enorme vicino al
palco.” Gli si rivolse.
“Ha sempre la capacità di trovarsi uno scranno da
cui fare la regina, quella
stronzetta.”
“Ricevuto.”
Intrecciò le dita a
quelle gelate del suo misantropo e gli sorrise incoraggiante.
“Andiamo a
vedere?”
“E chiuderci
così ogni via di
fuga? Un piano brillante.” Borbottò malmostoso.
Quando però strinse la presa sulle
dita fece una smorfia ed annuì.
Da
quando è così accomodante? È sospetto.
Ignorò quel
pensiero: al
momento la cosa più sensata da fare era approfittarne senza
farsi troppe
domande.
Stasera
voglio rilassarmi. Me lo merito. Ce lo
meritiamo tutti.
“Ancora buon
compleanno
Malfoy!”
Take me with you when you go, I
don't want to stay here alone
Remember when we were golden? Well, that was a long time ago…
“Stasera non ti
fermi un
attimo, eh?”
Lily rivolse un sorriso al suo ragazzo, che era dovuto rimanere in
canottiera
per evitare di avere un colpo di calore in mezzo alla pista da ballo.
Sapeva di esserne la
responsabile,
ma perché avrebbe dovuto sentirsi in colpa? Gli
allacciò le mani dietro la
nuca, puntellandosi sugli stiletto
per baciarlo. “È quello che si fa di solito ad una
festa, Scotty!”
L’ex-tassorosso sbuffò divertito, stringendosela
contro. “È difficile starti
dietro quando salti come un grillo, Lils.”
“Sei stanco?” Lei non lo era; si sentiva elettrica,
come sempre le succedeva
quando era in mezzo ad un caos di luci, suoni, colori e persone. Se non
era il
suo ambiente naturale quello, beh, ci andava maledettamente vicino.
Ne
avevo bisogno. Bel tempismo, Sy.
“Non
sono mai stanco di averti tra le
braccia.” Rispose preparato. Era un ragazzo sveglio.
“E devo ammetterlo…” Si
guardò attorno. “… Malfoy sa come
organizzare una festa. Di questa se ne
parlerà per settimane.”
“Oh, ha imparato dai migliori. E con migliori intendo la mia
famiglia.” Gli
strizzò l’occhio. “Vuoi tornare al
tavolo e bere qualcosa? Reintegrare
liquidi?” Lo punzecchiò.
“Idea
meravigliosa.” Convenne
passandole un braccio attorno alla vita per allontanarla gentilmente
dall’ennesima canzone trascinante. “Speriamo di
averlo ancora, il tavolo…”
“Ho messo a presidio Hughie, morderà chiunque si
avvicini … Andiamo al bancone
ad ordinare!” Lo rassicurò, guardandosi attorno
per trovare il passaggio
migliore per arrivare a destinazione.
E poi il mondo diede una brusca frenata.
Sören era
appoggiato alla
balaustra del piano superiore, quello dell’ingresso e del
bancone. Era lui,
nessun dubbio persino in mezzo a tutti quei volti; fumava una sigaretta
assorto
nei suoi pensieri e sembrava impermeabile all’atmosfera che
lo circondava, come
un ritaglio incollato in un quadro che non gli apparteneva.
Ren?
Cosa ci fa … oh, certo. Malfoy ha invitato tutta
l’Inghilterra magica e non. Perché non lui?
Ciao
Ren.
A quel punto i loro sguardi
si
incrociarono, perché lo facevano sempre, indipendentemente
da quante persone ci
fossero tra loro a far muro. L’altro fece un cenno impacciato
con la mano e
tentò un sorriso. Ricambiò automaticamente.
“Scott?” Chiamò il suo ragazzo.
“Ci
vediamo al tavolo, devo andare a salutare una persona.”
“Mh?” L’altro parve cogliere qualcosa
nella sua espressione perché aggrottò le
sopracciglia. “Chi?”
“Sören.”
Disse semplicemente
perché era semplice, non importava l’espressione
che aveva appena messo su
l’altro.
“È
qui?”
“Sy
l’avrà invitato, lavorano
assieme.” Rispose stringendosi nelle spalle. Vedendo che non
dava segno di
allontanarsi capì. “Vuoi che te lo
presenti?”
“Sì, mi piacerebbe.” Il tono
dell’altro era gentile come sempre ma era anche macchiato
di evidente desiderio di fare l’uomo della situazione.
Gli diede un bacio sulla
guancia. “È tutto a posto ragazzone. Ren
è uno dei buoni adesso.” Inarcò le
sopracciglia. “Te lo presento, ma tu devi fare il
bravo… Ha ricevuto già troppi
pesci in faccia.”
“Sarò bravissimo.” Confermò
poco convincente ma era comprensibile, quindi non
protestò e lo portò verso l’argomento
di conversazione in persona. Si
incontrarono a metà strada dato che Sören
si mosse verso di loro.
“Ciao
Lilian.” La salutò,
trincerato dietro il muro di Occlumanzia più massiccio che
avesse mai visto.
Come
mai adesso? È per la festa, la gente? Ho capito
solo che il vestito ha fatto colpo, ma grazie tante, è fatto
apposta.
“Ehi.”
Salutò sentendo la
presenza massiccia di Scott alle sue spalle mentre le posava le mani
sui
fianchi. Era come avere una specie di orso bruno che la considerava una
delle
sua cucciolata. Sarebbe stato esilarante se non si fosse sentita
così
stupidamente nervosa. “Precettato per la festa anche
tu?”
“Malfoy mi ha invitato, quindi sì.”
Convenne lanciando un’occhiata alle sua
spalle e dunque allo scozzese. “Scott Ross
immagino.” Gli tese la mano con la
cortesia un po’ fuori moda che Lily ricordava usasse quando
si sentiva a
disagio. Più era convincente più era sulle spine.
Occlumanzia
… cortesia … Molto a
disagio.
“Sì, il
suo ragazzo.” Sottolineò
e forse non era necessario, ma Lily glissò. Erano
rivendicazioni testosteroniche
e la sapeva più lunga che defletterle. “E tu devi
essere Sören. Lily mi ha
parlato di te.” L’aspetto che più
apprezzava del suo ragazzo era la capacità di
essere cordiale con chiunque, indipendentemente dai suoi sentimenti
personali.
Scott rispose infatti alla stretta di mano come se fosse un autentico
piacere
aver a che fare con lui e Sören, che vi credesse o meno, si
rilassò
visibilmente. “Stavamo andando a prenderci qualcosa da bere
… Com’è al
bancone?”
…
Troppo dialetto, troppe metafore.
“Come
scusa?” Sören lo guardò
perplesso prima di lanciarle un’occhiata confusa e desiderosa
di spiegazioni.
“Si riesce ad
ordinare al
bancone o c’è troppa gente?” Tradusse
divertita. “Scotty, non lasciarti
ingannare dal suo ottimo inglese, il ragazzo è tedesco fino
alla punta dei
capelli!”
“Non si direbbe, non dai capelli. I tedeschi non sono tutti
biondi?” Replicò
ironico. “Scusa comunque, mi scordo sempre che il mio inglese
non è esattamente
quello della Regina.”
Sören tentò un mezzo sorriso nervoso.
“Non è un problema. Vivo in America, ho
sentito di peggio.” Si voltò verso il bancone,
tornando alla domanda che gli
era stata posta. “Ho mandato Milo a prendermi da bere quindi
non saprei.”
“C’è anche Milo?” Fu contenta
che non fosse venuto lì da solo. Non aveva mai
capito con esattezza la natura dei rapporti trai due, ma sapeva che il
Magonò
si occupava dell’altro abbastanza per essere un punto di
riferimento.
“Potevo portare
una persona …
La scelta non poteva cadere molto lontana.” Si strinse nelle
spalle. Calò
quindi il silenzio, fortunatamente ovattato dalla musica e dal rumore
delle
chiacchiere altrui. “Vi lascio alla vostra serata.
È stato un piacere, Scott.” E
prima che potesse avere il tempo di dire o fare qualcosa,
l’amico si accomiatò
e sparì tra la calca di persone.
Ma
che cavolo …
Inspirò quando
sentì le labbra
del suo ragazzo sulla fronte. Dovette frenarsi per non scostarsi.
“Va tutto
bene?” Le chiese con aria preoccupata.
“Sì,
certo. È stato … strano,
tutto qui.” Sospirò. “Devo ancora
abituarmi a trovarmelo davanti.”
“Ti ha dato
fastidio?”
“No!”
Lo
guardò confusa prima di
realizzare il motivo della domanda. “Perchè, ho
dato quest’impressione?”
Scott si strinse nelle
spalle.
“Sei stata un po’ fredda.”
… ecco perché se
n’è andato. Come riesce
a sentirsi indesiderato lui…
Dannazione.
Excuse me if I spoke too soon
My eyes have already followed you around the room
I'm holding on and waiting for the moment to find me
La faccenda aveva del
ridicolo. Se era stata fredda, non era stato perché la
presenza del vecchio
amico l’aveva infastidita, tutt’altro. Era stato
perché, per l’ennesima volta, non
aveva saputo cosa fare di tutte le sensazioni che l’avevano
travolta come un
Centauro infuriato.
“Scotty?”
Richiamò l’altro. “Ti
secca se vado a cercarlo?”
L’altro fece un mezzo sorriso e scosse la testa.
“No che non mi dispiace … Solo
non passare tutta la serata a preoccuparti di averlo fatto restar
male.” Fermò
le sue proteste. “È un mago adulto e a quanto mi
hai detto ti conosce. Capirà.”
No che non capirà. Non ti sei reso
conto
che era solo? È sempre così, e io l’ho
mandato via.
Non lo disse però perché a dare
spiegazioni quando aveva l’urgenza di far
altro non era mai stata brava. Preferì
invece ringraziarlo con un bacio. “Ci vediamo
dopo.”
I know you didn’t realize that
the city was gone
You thought there would be advertisements
To give you something to go on
“Ho finito le
sigarette.”
Dirlo a Loki era come parlare ad un muro. L’altro ragazzo
infatti si voltò a
malapena, ridacchiando di qualcosa che la tizia sulle sue ginocchia gli
aveva
detto. “Mio buon Mike, vuoi il mio tabacco?” Chiese
togliendosi la pipa di
corno dalle labbra.
“Il tuo tabacco ha un gusto atroce.”
Sbuffò Michel. “No, vado a comprarle. Non
mi va di elemosinarle in giro.”
“Bel problema quando a fumare quella roba orribile siete solo
tu e i Nati
Babbani, non è vero?” Ghignò Violet
sorseggiando il suo Melatini con
una certa, femminea perfidia. Era questo il lato che
più apprezzava di lei, oltre all’occhio che aveva
per la moda; dubitava che
esistessero altre Purosangue educate come tali capaci di indossare un
mini-abito di Alexander MacQueen come se fosse una cosa che facevano da
tutta
la vita.
Mi
fa quasi dimenticare il suo cattivo gusto in fatto
di donne, cioè la … cosa … che tiene
nel letto.
La suddetta Cosa, che aveva
invaso il tavolo di boccali di birra dozzinale, gli rivolse un ghigno.
“Sei
assurdo, lo sai cioccolatino?” Disse. “Fai tanto il
sang-pur e poi ti incatrami i
polmoni con roba Babbana!”
“Nicky, tais-toi…” La
riprese blandamente Violet. “Lascialo nei suoi
controsensi ipocriti.”
Michel roteò gli
occhi al cielo,
rifiutandosi di registrare il
commento come un’offesa.
Però
ha ragione. Fumi sigarette Babbane e ti porti a
letto Magonò.
…
Sì, ma quest’ultimo non era previsto.
“Tenetemi il
posto.” Raccomandò
sperando che il messaggio fosse chiaro alle due, se non a Nott.
Scivolò in mezzo
alle persone,
registrando visi sconosciuti e poi, perché una serata al
Finnigan’s non poteva
esser altro che foriera di malessere, vide Albus nei pressi del
bancone,
ridacchiare con la fronte reclinata sulla spalla ossuta di Dursley: da
come lo
tirava sembrava cercare di portarlo a ballare.
Dieci
Galeoni che alla fine ci riesce.
We can’t escape the basic facts
how cold it can get
There’s nothing to protect ourselves
when
the rain gets us wet
Per quanto non avesse mai
smesso di pensare che Albus era sprecato con Thomas, non poteva non
notare la
spontaneità con la quale si toccavano e come il viso torvo
di quest’ultimo si
addolcisse quando posava lo sguardo sul compagno. Sin da quando erano
bambini
si erano ronzati attorno, cercati e ancor prima che lo sapessero,
amati. Chi
meglio di lui, che era stato spettatore della loro storia, poteva
saperlo?
Qualcuno
ti ha mai guardato così? Non con lussuria,
desiderio o passione … ma con amore.
Fece una smorfia, scacciando
quella deriva di pensieri. Sarebbe stato più semplice se i
suoi sentimenti
verso Albus si fossero spenti anni prima, di fronte
all’evidenza che non
avrebbe mai potuto averlo.
Non
come lo ha Dursley almeno.
Era innamorato di Al?
Naturalmente lo era, lo era sempre stato. Gli era chiaro di non avere
speranze?
Certo, dallo stesso lasso di tempo, da quando aveva capito che dove
c’era il
secondogenito dei Potter c’era inevitabilmente anche un
ragazzino torvo che gli
stava dietro come un’ombra.
C’erano teorie
secondo cui per
ogni persona al mondo ne esisteva un'altra, sua esatto complemento.
Ed
io non sono quella di Albus Severus Potter.
Si infilò le mani
in tasca ed
uscì dal locale prendendo un grosso e grato respiro, dato
che l’aria calda
della sera estiva era un venticello fresco rispetto al magma bollente
all’interno
del pub.
Sigarette.
Gli era stato detto come ci
fosse una sorta di emporio Babbano a Notturn Alley, messo su dal niente
ma con
una vasta selezione di vizi, dall’alcool ai tabacchi.
Meglio
che mi sbrighi. Se mi perdo il taglio della
torta Scorpius sarebbe capace di mettersi a piangere.
È
talmente sentimentale…
Ci mise una manciata di
minuti
irritanti per trovare il posto, incuneato tra una taverna e un palazzo
in
rovina. Entrando si coprì il viso con un fazzoletto; il
tanfo di miseria
aleggiava su tutto dandogli la nausea, anche a causa della massaccia
dose di shots che si era fatto in
compagnia di
Violet e la Weasley.
“Buonasera.”
Apostrofò il
ragazzetto brufoloso a presidio del posto. “Un pacchetto di
Davidoff Light.”
“Come?” Chiese quello squadrandolo con grossi occhi
bovini. Notò anche
l’occhiata che lanciò al suo abbigliamento ma
decise di ignorarla. “Che hai
detto?”
“Sigarette.”
Indicò lo
scaffale. Vedendo che non recepiva sospirò. “Un
pacchetto di B&H allora, sono
quelle col pacchetto color oro.” Specificò
vedendolo rovistare dietro al
bancone senza speranza di trovarle.
Quando finalmente
uscì la
prima cosa che fece fu cercare l’accendino per accendersene
una. Con sconforto
si accorse di non averlo.
Deve
avermelo sfilato Loki mentre ero seduto. Lo fa
sempre.
Considerò di
tornare dentro il
negozio per acquistarne uno quando accanto a lui apparve un tipo
coperto da un
mantello estivo che sembrava però servire per ogni stagione
a giudicare
dall’usura. “Serve da accendere amico?”
Indovinò, anche se il balletto di
cercarselo nelle tasche doveva essere stato abbastanza esplicativo.
“No,
grazie.” Non era così
sciocco da fermarsi in quel genere di posto, specialmente con chi si
prendeva
troppa confidenza. Non era mai un buon segno. Fece per allontanarsi
quando la
strada venne sbarrata da un altro tipo, altrettanto cencioso.
Oh,
fantastico.
“Non ho denaro con
me.” Doveva
trovare un modo per cavarsi d’impaccio da quella situazione
senza tirare fuori
la bacchetta; se suo padre avesse saputo che aveva duellato con gli
amabili
residenti di Notturn Alley non gli avrebbe dato pace per settimane.
Pensa
al buon nome della nostra famiglia, Michel. Che
diavolo ci facevi a Notturn Alley poi?
Il cencioso numero uno fece
una smorfia derisoria mostrando carenze igenico-dentarie preoccupanti.
“Ci
prendi per il culo? Sei appena uscito dalla bottega di Swill!”
“E lasciatemi indovinare, vi ha avvertito il vostro amico
Swill che sono pieno di grana?”
Replicò sarcastico
scimmiottando il cockney strascicato dell’altro.
“Potrei far chiudere quella
bettola fetida con un Gufo entro domani. Lasciatemi passare.”
Il cencioso numero due
tirò
fuori la bacchetta, puntandogliela contro e rendendo la cosa
immediatamente più
preoccupante. “Tira fuori la borsa frocetto, o
l’ultima cosa che potrai fare
domani sarà scrivere un Gufo.”
Michel lanciò uno
sguardo
dietro di sé e vide che anche l’altro mago aveva
tirato fuori la sua. L’idea di
perdere tempo con
quei due lo riempiva
di rabbia, ma supponeva di non avere scelta. Fece per infilare la mano
dentro
la giacca, quando sentì un dolore lancinante ai reni. Si
piegò in due,
realizzando che il cencioso numero uno l’aveva colpito con un
pugno ben
piazzato, un colpo che non si era aspettato.
“Voi Nati Babbani
del cazzo
siete tutti uguali, sembrate cascarci tra le braccia! Non te
l’hanno detto che
Notturn Alley è un postaccio per quelli come voi?”
Come?!
L’equivoco doveva
esser stato
dato dai suoi vestiti, Babbani fino all’ultima fibra di
cotone costoso. Non
fece in tempo a protestare che il cencioso numero due gettò
la bacchetta a terra;
con sorpresa Michel si rese conto che era falsa come l’oro
dei Leprecauni; era
un prodotto dei Tiri Vispi, riconoscibile dal marchio
sull’impugnatura.
Una
bacchetta giocattolo? Ma allora sono Magonò!
Era caduto nel trucco come
un
idiota. I due lo afferrarono di malagrazia, trascinandolo
nell’ombra di un
vicoletto parallelo. Si divincolò cercando di sferrare pugni
alla cieca, ma il
risultato fu di farsi bloccare da quello più corpulento dei
due. “Sta’ fermo stronzo!”
Lo apostrofò rudemente mentre qualcosa di freddo, metallico
e appuntito gli si
appoggiò sulla guancia. Si immobilizzò,
agghiacciato: quello di fronte a lui gli
stava puntando addosso un maledetto coltello. “Scommetto che
ci tieni ad avere
la faccia che non sembra una grata metallica, ah?”
Indovinò questo, forse il
cervello del duo.
“Vi
farò pentire di avermi
toccato, feccia!” Gli sputò addosso, umiliato
perché terrorizzato. Capì subito
di aver fatto un grosso errore quando il coltello dalla guancia si
sposto sul collo,
premendo talmente forte che sentì il dolore del taglio in
prossimità della
giugulare.
“Mi sa che ti
sgozzo come un
maiale.” Ringhiò questo furioso e la puzza di
whiskey incendiario nel fiato lo
identificò come piuttosto sbronzo. “Le lingue
lunghe non mi sono mai…”
Non riuscì a terminare la frase che qualcosa lo
colpì alla testa, facendolo chinare
con un’imprecazione roboante. Michel vide con la coda
dell’occhio qualcuno entrare
nelle vicolo; capelli biondi e fisico ben piazzato. Ci mise
più di qualche
attimo a riconoscerlo.
E
lui che diavolo ci fa qui?
“Ehi.”
Sogghignò la sua
ex-conquista di una sera, nonché Magonò. Lanciava
e riprendeva quello che
sembrava un ciottolo di ghiaia sottile e appuntita. Doveva averla presa
dalla
piazza poco distante. “Perché non lo lasciate in
pace, eh?” Si rivolse al Cencioso
Capo che non ci mise molto per decidere che la cosa migliora da fare
era
neutralizzarlo, caricandolo furiosamente a coltello spianato.
L’altro però
doveva esserselo aspettato perché schivò con
facilità il fendente diretto
orribilmente allo stomaco. Michel vide poi brillare un lampo argentato
e il
Cencioso soffocò un grido crollando in ginocchio, tenendosi
la coscia.
È
armato anche lui. Certo, ovvio, quale Magonò non lo
è? Loro non possono usare la magia come arma di offesa.
Il tedesco si
allontanò di
qualche passo, con la lama in pugno, prima di farla rientrare nel
manico con
uno scatto. Gli lanciò un’occhiata spazientita.
“Devo salvarti per caso, signorina?”
Come?
Realizzò di colpo
che la presa
sulle sue braccia si era allentata perché il Cencioso numero
due aveva
abbassato la guardia quando il primo si era accasciato a terra. Doveva
approfittarne, subito. Sfilò quindi la bacchetta dalla
giacca e si voltò quel
tanto che bastava per puntargliela al petto.
“Stupeficium!”
Un lampo rosso dopo
c’erano due
corpi accasciati nel vicolo.
“Figlio di
puttana!” Gridò
l’accoltellato, ancora cosciente, in direzione del tedesco.
“Sei uno di noi! Da
che parte-”
Michel lo
schiantò con
autentica soddisfazione.
Il Magonò in
compenso inarcò
le sopracciglia. “Wow.” Commentò.
“Ti eri accorto che non poteva muoversi,
sì?”
“Sì.”
Replicò rinfoderando la
bacchetta. “E quindi?” Prese da terra il suo
borsello, spazzolandolo dalla
sporcizia. L’avrebbe potuto fare anche con la magia ma non si
fidava delle sue
mani in quel momento: tremavano troppo.
Dannazione.
Potevo morire.
Realizzarlo gli fece girare
la
testa e dovette appoggiarsi al muro dietro di sé per non
crollare
vergognosamente con il sedere a terra. “Ehi.” Si
sentì apostrofare e poi la
mano dell’altro fu sotto il suo braccio a sorreggerlo.
“Va tutto…”
Svicolò dalla presa. “Non ho bisogno
d’aiuto!” Sibilò sentendo il viso
accendersi di vergogna.
Lo fissò
perplesso, prima di
fare una smorfia. “Non hai bisogno d’aiuto
… da me?”
Indovinò con un tono di voce che grondava sarcasmo.
“Certo
che sei proprio stronzo. Avrei dovuto farti riempire di legnate da quei
due,
sarebbe stata giustizia karmica!”
Michel si morse le labbra.
“Avrei
potuto cavarmela da solo.” Replicò sostenuto ma
rimpiangendo al tempo stesso il
tocco gentile di poco prima. Aveva paura di staccarsi da quel muro in
autonomia.
Credo
non mi reggerebbero le gambe.
L’altro si strinse
nelle
spalle, mentre l’espressione sarcastica non mutava di una
virgola. Doveva in
effetti offrire un ben misero spettacolo, pallido e tremante
com’era. “Se lo
dici tu.”
“Cosa…” Si passò la lingua
tra le labbra, sentendole aride. “… cosa ti ha
fatto
cambiare idea?”
Perché mi hai aiutato se ti ho
trattato
come spazzatura?
“A differenza loro e tua, io
sono
un essere umano decente.” Persino alla luce malaticcia e
lattiginosa delle
lampade all’acetilene il biondo dei capelli
dell’altro sembrava brillare,
enfatizzato dalla t-shirt scura e dai pantaloni dello stesso colore.
“Io…”
Era la prima volta si
trovava in una posizione di debolezza così smaccata di
fronte ad uno
sconosciuto ed era frustrante; la sua solita sicurezza elegante
sembrava essere
stata sovrastata dalla sensazione orribile di un coltello alla gola.
“ … volevo
ringraziarti.” Terminò, perché andava
detto. C’era un codice preciso quando
qualcuno rischiava la vita per salvare la tua, ed intendeva
rispettarlo.
Il biondo batté
le palpebre
sorpreso, prima di ghignare. “Allora quella bocca non serve
solo per sparare
stronzate razziste!” Gli si avvicinò di nuovo,
fino a che non furono a pochi
centimetri di distanza. Profumava di colonia costosa e di bucato
pulito. La sua
pelle aveva un odore inebriante.
Non
ha senso. Lo ha?
“Che ci facevi
qui?” Gli uscì
poco intelligentemente, ma era l’unica cosa sensata a cui era
riuscito a
pensare, avendo quel corpo vibrante e caldo premuto contro il suo.
“La
stessa cosa che ci facevi tu, avevo finito
le sigarette.” Si voltò verso l’emporio.
“Se è per questo ero anche alla festa
di quel tizio matto.”
“Non ti ho visto.” Deglutì quando si
specchiò nelle iridi dell’altro; erano
castane, ma c’era qualcosa di dorato all’interno,
qualcosa che aveva già visto,
e non in un letto.
Com’è
possibile? Prima di portarmelo a letto non lo
conoscevo, ne sono sicuro.
Dove
l’ho visto?
“Io
però ho visto te.” Ignaro
dei suoi pensieri, il Magonò piegò le labbra in
un sorrisetto indolente. “Sei
un pezzo di merda, ma sei uno schianto. Avrei voluto metterti le mani
addosso,
sai…” Si chinò per lambirgli
l’orecchio con le labbra. Bruciavano. “…
anche là
in mezzo, con tutta quella gente.”
Michel percepì un
principio
d’erezione premergli lungo i pantaloni e soffocò
un sospiro. Non era un
ragazzino alle prime esperienze eppure di fronte a quel tipo vi
regrediva
inesorabilmente. Avrebbe dovuto scostarsi, ringraziarlo formalmente e
andarsene
con una dolorosa erezione tra le gambe.
Proprio
no.
Afferrò una
manciata di stoffa
dalla sua maglietta e lo tirò giù per un bacio
violento e senza garbo.
L’adrenalina, lo sapeva come sportivo, giocava brutti
scherzi. L’altro soffocò
un ghigno sulla sua bocca, prima di ricordargli quando fosse
dolorosamente
bravo a mandargli il cervello in panne con la lingua, con le labbra e
con le
mani che gli afferrarono il basso schiena premendoselo contro.
Come esplose quel bacio
però
finì. Di colpo il biondo si staccò da lui,
tenendogli una mano sul petto.
“Scusa.” Disse con il tono di voce di un ragazzino
che stava combinando una
marachella e se la godeva fino all’ultima goccia.
“Non mi scopo i Purosangue.”
Cosa?
Non fece in tempo a capire
che
diavolo stava succedendo che l’altro gli aveva già
dato le spalle,
incamminandosi tranquillo in direzione di Diagon Alley.
“Tu!” Gli uscì
strozzato. “Fermati!” Il tono imperioso
suonò ridicolo alle sue stesse
orecchie.
Il Magonò si voltò quanto bastava per fargli
vedere che se la stava ridendo.
“Ce l’ho un nome, sai?”
“Milo.”
Ricordò. Come avrebbe
potuto dimenticarselo? La sua erezione aveva una memoria fotografica.
“Non puoi
lasciarmi così!” Poteva eccome, quindi
cercò di essere razionale. “Sei … lo
vuoi anche tu!”
“Certo che lo voglio, sono un ragazzo di sana costituzione e
tu sei provocante
come l’inferno.” Fece spallucce. “Non
è questo il problema.”
“Allora qual
è, di grazia?!”
Nessuno l’aveva rifiutato con quella tranquillità.
Mai.
Beh,
tranne Albus. Ma Albus non è mai venuto a letto
con me.
“Il problema non
è il tuo
corpo, maghetto.” Milo si picchiettò la tempia.
“È la tua testa che non mi tira
neanche un po’. Buona erezione!” Soggiunse allegro
prima di voltarsi e tirare
dritto.
Michel non credeva nelle
voci
interiori e, in generale, nella coscienza; ma per la prima volta in
vita sua
ebbe la distinta sensazione che la suddetta gli avesse dato del coglione.
****
“Tra poco dovremo
usare una
scacciacani.”
“Eddai, Rosie! Che festa è, se non si rischia il
collasso della struttura che
la ospita!”
“Tu hai passato troppo tempo con i miei cugini.”
Scorpius ridacchiò, perché sapeva che dietro il
cipiglio sconfortato della sua
fidanzata si nascondeva divertimento perché Rose Weasley
amava le feste
rumorose esattamente quanto lui. La strinse a sé, mentre i
Banshees facevano
ballare e cantare l’intero pub.
Would you write? Would you call
back baby if I wrote you a song?
I been gone but you're still my lady and I need you at home
“Mia amata
rosellina… Ho
passato tanto tempo anche con te.” Le baciò la
punta del naso facendola
ridacchiare, cullandola e sentendola sua
tra le braccia: sul serio, come diavolo potevano i novelli sposi aver
paura
dell’avvicinarsi della data del proprio matrimonio?
Okay,
quel giorno vomiterò e vorrò morire, ma ehi,
quella è ansia da prestazione, non c’entra niente.
L’altra fece un
sorrisetto,
posandogli la testa sul petto. “Mh, anche questo è
vero. A sentire tuo padre ti
ho irrimediabilmente rovinato.”
“Oh, sono sempre stato favoloso di mio.”
Scrollò le spalle. “Ci voleva però,
no?” Soggiunse. “Questa festa dico … Son
successe cose un po’ orribili e
destabilizzanti.”
Rose alzò il viso
e fece una
piccola smorfia. “È vero.”
Confermò. “Anche Teddy … con tutta
quella faccenda
del Mannaro.” Guardarono verso quest’ultimo che
chiacchierava con Bobby Jordan
e fidanzata. I capelli erano settati su un tranquillo celeste pastello,
ma
forse era dovuto al fatto che James ci stava passando oziosamente le
dita.
“Perché ho l’impressione che si stiano
profilando casini all’orizzonte?”
Mugugnò stringendosi a lui.
Le appoggiò una
guancia sulla
testa, sapendo che l’altra aveva una capacità
tutta particolare di fiutare i
guai. “Ssh, fingiamo che non stia accadendo. Carpe
diem, no? Godiamoci l’attimo o roba del
genere.”
“Molto Grifondoro, ma poco pratico.” Scosse la
testa.
“Aspettiamo il
matrimonio e
scappiamo a Honolulu?” Suggerì.
“Ancora, poco
fattibile.”
Sospirò alzando gli occhi al cielo con una
tragicità assolutamente comica. “Sai
che finiremo sempre per preoccuparci, io e te. E rimanere a raccogliere
i cocci
di questo branco di pazzi.”
“Siamo le uniche persone sane qui attorno.”
Confermò. “Il che la dice lunga.”
“Lunghissima.”
Scorpius le diede un bacio grato e innamorato, perché era la
festa dei suoi ventidue
anni e stringeva tra le braccia la strega più favolosa della
sala, anche se
aveva una famiglia che attirava guai come una calamita gigante e
sfigata.
Quando si staccò vide con la coda dell’occhio un
paio d’occhi bastonati e
capelli neri.
Tho,
parli di guai e spunta Prince.
Il ragazzo era a bordo della
pista e beveva la sua consumazione come se non la sentisse neanche,
immerso nei
suoi pensieri. Sembrava esser lì più per dovere
che per vero piacere.
Certo
che come non sa godersi la vita lui…
“Rosie, ti
abbandono un
attimo.” Avvertì l’altra.
“Vado a fare i miei doveri di padrone di casa.”
“Tralasciando che non è casa tua ma un
pub…” Aggrottò le sopracciglia e
seguì
la direzione del suo sguardo. “Hai invitato Sören?”
Inarcò le sopracciglia, mentre il pregiudizio le esplodeva
nello sguardo.
“Perché?” Preferì
però chiedere invece di accusare.
Ah,
la mia bambina sta imparando. Non la cambierei per
niente al mondo … ma certe sue eredità paterne,
per Merlino, sì.
“Perché
c’è, ed ignorarlo mi
sembra brutto tanto quanto avercela con lui.”
Spiegò stringendosi nelle spalle.
“Se ci perdi tempo due minuti capisci che è un
bravo diavolo. Ha solo
frequentati cattive compagnie, tutto qui.”
Rose esitò, avvertendo il pesante sottotesto che le aveva
appena sbattuto
addosso. Fece un sospiro, alzando le mani in segno di resa.
“Vado a controllare
che nessuno si spogli o spogli qualcuno. Lily potrebbe fare
entrambi.” Sbuffò
facendolo ridacchiare. “Mi devi ancora molti balli Malfoy!
Ricordatelo!” Lo
accusò puntandogli il dito addosso.
Scorpius non poté
fare a meno
di sorridere. “Tutta una vita di balli, mia Rosey.”
Quando fu certo di averla
fatta letteralmente sciogliere se ne trotterellò via.
Prince se parve sorpreso di
trovarselo davanti fece del suo meglio per non mostrarlo.
“Malfoy.” Sorrise
alzando il bicchiere. “Buon compleanno.”
“Grazie!” Come faceva qualcuno ad essere la
rappresentazione stessa della
mestizia quando c’era alcool gratis e musica dal vivo, per
lui rimaneva un
mistero.
Ma
del resto io sono un tipo che si fa trascinare dalle
cose. Anche troppo.
“Dov’è
la tua dama?” Chiese
scherzoso. “Ti avevo detto che ne potevi portare una, ma ehi,
tu hai
esagerato!”
L’altro lo
guardò preso in
contropiede, prima di capire lo scherzo ed arrossire come avrebbe fatto
un
dodicenne ritroso. C’era qualcosa di dolorosamente tenero in
quel tipo
dall’aria rigorosa. “Ho portato il mio
servi…” Si bloccò, scuotendo la testa.
“… il mio assistente personale. Ma adesso non so
dove sia.”
Scorpius a quel punto
ritenne
inevitabile passargli un braccio attorno alle spalle. Era un
po’ brillo, quindi
lo si poteva perdonare per la confidenza eccessiva, no? “Non
si passa una
serata del genere da soli! Hai preferenze?”
“Prego?”
“Sulla
ragazza!” Squadernò un
ghigno, sperando con ardore che nessuno del Clan Potter Weasley fosse
in
ascolto. Rose odiava che qualcuno le ricordasse che non gli si era
votato sin
da tenera età e che c’erano state altre
prima di lei. “Ci sono un sacco di tipe che conosco che
farebbero follie per il
tuo sguardo che conquista! Te le faccio conoscere, ed ehi, nessuna
pressione!”
“Il mio cosa…?” Mormorò il
tedesco sconcertato. “Malfoy…”
Tentò.
“Dai, è un momento di maschia condivisione, dammi
retta!” Chiocciò querulo
trascinandolo via dalla sua triste posizione di stasi. “Che
tipo di ragazza ti
piace? Bruna, Bionda, Castana, lentiggini, senza … alta,
bassa?” Snocciolò
cercando di non ridere all’aria disorientata
dell’altro. “Dai, qual è il tuo
ideale? Tutti ne abbiamo uno!”
Prince aggrottò
le
sopracciglia, come se ci stesse riflettendo. “Tu ce
l’hai?”
“La mia fidanzata,
mi pare
ovvio.” Rispose a colpo sicuro. “Beh?”
“Ce
l’ho, certo.” Alla sua
espressione incalzante capitolò con un sospiro.
“È …” Si
immobilizzò e Scorpius
sentì tutti i muscoli tendersi di colpo per poi rilassarsi.
“… Lilian.”
Lilian?
È la piccola Potter?
Poi realizzò che
la suddetta
ce l’avevano davanti, sorridente e con gli occhi brillanti e
accaldati. Avendo
passato la serata a saltellare sulla pista da ballo era uno spettacolo
piuttosto ovvio, ma comunque notevole.
Non.
Guardarle. Le. Tette.
“Ehi.”
Sorrise loro, sfumando
un ghigno nella sua direzione. Beccato. “Buonasera splendori.
Festa da sballo
Sy, i miei complimenti.”
“Sempre a
disposizione del
divertimento Piccola Potter.” Le diede il cinque.
“Dove hai lasciato il tuo
gigante delle Highlands?”
“A tenermi il posto, la borsa e da bere.”
Replicò con nonchalance, prima di
occhieggiare Sören con qualcosa che sembrava, incredibilmente
data la persona,
timidezza. “Hai un momento Ren?”
“Sì.”
Fu svelto a rispondere
l’altro. Era sollievo quello che sentiva nel suo tono di
voce? “Malfoy, ti
dispiace…”
“No, per niente!” Scosse la testa. “Devo
comunque andare a sedare la mia
ragazza. Credo di averla sentita urlare contro Dom a proposito di non
lanciarsi
da palco o qualcosa del genere.”
Lily gli rivolse un sorriso
radioso. “Grazie, a dopo!”
Vide i due andarsene e si
grattò la nuca, perplesso.
Ma
ha salutato la Piccola Potter o ha ammesso che è il
suo ideale di ragazza?
O
entrambi?
Romeo, Juliet, balcony in
silhouette
Makin o's with her cigarette, it's Juliet
Non riusciva a capire
perché
Lily fosse venuta a cercarlo.
Non che non gli facesse
piacere, tuttavia pensava che dopo il mortificante incontro di poco
prima non
l’avrebbe più rivista per l’intera
serata, se non di sfuggita, un lampo di
fiamme in un nugolo di volti senza importanza.
Una
cosa è vedersi da soli. Un’altra è
farmi interagire
con i suoi amici. Forse non vuole.
Lily si chiuse la porta del
locale alle spalle, appoggiandosi ad una delle vetrate coloratissime
con la schiena.
Si voltò nella sua direzione e gli sorrise.
“Ehi.” Esordì. “Mi sa che ti
devo
delle scuse.”
She'll lie and steal and cheat,
and beg you from her knees
Make you thinks she means it this time
Batté le
palpebre, confuso,
mentre pescava una sigaretta dal pacchetto. Dentro il locale la musica
suonata
dalla band stava sfumando in un’atmosfera intima, fatta per
le coppie e per i
discorsi a bassa voce.
“Per
cosa?”
“Per …
prima.” Esitò
lanciandogli un’occhiata incerta. Stava tentando di leggerlo,
riusciva a percepirlo
anche senza tenere le difese dell’Occlumanzia alzate.
“Scott mi ha fatto notare
che sono stata un po’ fredda.”
Scott. Scott Ross, il tuo ragazzo.
Si sforzò di fare
un sorriso
disimpegnato, mentre sentiva i polmoni gonfiarsi di fumo.
“Non mi è sembrato. A
proposito, mi ha fatto piacere conoscerlo, state bene
assieme.”
Scott
Ross.
Era un uomo fortunato e
sperava che se ne rendesse conto; perché riuscire ad
arrivare alla confidenza
di Lily, poterla tenere tra le braccia e farsi ammettere nel suo cuore
doveva
essere meraviglioso.
È
meglio per lui che se ne renda conto.
She'll tear a hole in you, the
one you can't repair
But I still love her, I don't really care
“Grazie, ce lo
dicono tutti.
Anche se la differenza d’altezza secondo me è un
po’ buffa.”
“Non ci ho fatto caso.” Aveva fatto caso ad altro;
al modo in cui lo scozzese
cingeva la vita morbida dell’altra, come le dita si posassero
con sicurezza
sullo stomaco piatto di lei.
Basta.
Smettila.
Strizzò gli
occhi, incolpando
il fumo che l’aveva infastidito. “Lily, non devi
preoccuparti … So che ci vorrà
un po’ prima che tu ti senta a tuo agio con me. Lo
accetto.” Fece una pausa,
sforzandosi mantenere un tono neutro. “Se la mia presenza
qui, stasera, ti ha
in qualche modo turbato…”
“Ren, falla finita.” Tagliò corto
brusca. “Hai il diritto di divertirti alla
festa di Scorpius come ce l’ho io e mi fa piacere che tu sia
qui, non è questo
il punto.” Si passò una mano trai capelli,
scoprendo il collo. Sören sentì la
salivazione azzerarsi e si diede dell’imbecille. Quante volte
l’aveva vista
fare quel gesto cinque anni prima?
Cinque
anni fa lei era una bambina e tu un disadattato.
Non sapevi neanche cosa volesse dire approcciarti ad una donna. Starci
assieme.
Adesso è diverso. Adesso puoi immaginare come sarebbe
chinarti e…
Inspirò, pregando
Merlino che
l’altra fosse troppo concentrata su di sé per
badare a lui. Per fortuna
sembrava di sì, perché si morse un labbro e lo
guardò di traverso. “Tu soffri
di incubi, vero?”
La domanda fu come una
doccia
fredda. “Sì.” Mormorò
confuso. “Sì, ne soffro da anni purtroppo.
Perché me lo
chiedi?” Seppe la risposta non appena ebbe formulato la
domanda. “Lily…”
“Sono tornati.” Buttò fuori stringendosi
le braccia attorno al corpo, quasi
l’aria tiepida della sera si fosse fatta gelida.
“Stamattina … sono stata poco
bene, mettiamola così.”
Fu come se qualcuno gli
avesse
tirato un pugno allo stomaco. “Per via del
black-out?”
“Penso di
sì.” Fece un sorriso
nervoso. “Il buio … e poi come se non bastasse
sono anche stata aggredita.” Si
morse un labbro. “Scusa.” Scosse la testa,
allontanandosi di qualche passo.
“Merlino, scusa … Non so neanche perché
te l’ho detto. Non sono affari tuoi, lo
capisco e…” Cominciò a parlare come un
fiume e persino dopo cinque anni
ricordava come fosse il suo modo di mettere una barriera contro il
mondo che le
si stringeva addosso.
“Lilian.” Eliminò la distanza fisica tra
di loro abbastanza per non essere
invadente, ma neppure distante e gettò la sigaretta a terra
perché forse
l’odore poteva infastidirla. Quando fu certo che non sarebbe
schizzata via, le
posò una mano sulla spalla coperta dal leggero tessuto
luccicante del suo
abito. “Lily, guardami.”
It's better to feel pain, than
nothing at all
The opposite of love's indifference
Altro pugno nello stomaco.
Gli
occhi della sua piccola amica erano grandi e spaventati. La sola idea
di aver
contribuito alla sostanza di quegli incubi gli faceva venir voglia di
spaccare
qualcosa a mani nude. “Stai dicendo delle
sciocchezze.” Bisbigliò, perché certe
cose andavano dette a bassa voce. “Sono
affari miei. Sei mia amica, sei la prima amica che ho avuto al
mondo.” Ed era
vero, ed era una cosa che poteva dire, giusto? “Quello che ti
fa star male sarà
sempre una mia preoccupazione. Puoi dirmi tutto.”
Lily piegò le
labbra in un
sorriso piccolo e delicato, niente a che vedere con quelli che
squadernava a
beneficio delle masse. Amava quel sorriso, e pensava di averlo perso.
“Ren il
cavaliere…” Sospirò divertita.
“È così che incanti le
ragazze?”
Se
dipendesse da me? Soltanto te. Ci sei sempre stata
solo tu.
Era come avere un ferro
incandescente ficcato nel cuore. Essere innamorati, per quanto ne
sapeva lui,
era tutto lì.
Per
te, mio caro, sarà sempre tutto qui.
Perché
l’amava. Cinque anni
prima non l’aveva capito, non era arrivato a pensare che il
grumo di sentimenti
che gli si era incollato addosso come una febbre fosse amore.
L’aveva
realizzato quando aveva capito che nessuna donna, per quanto bella,
intelligente e amorevole avrebbe mai potuto battere
l’immagine di Lily che
aveva scolpita nel cuore. L’aveva cercata nelle braccia di
altre, le prime
volte, prima di realizzare quanto non servisse a
niente.
Nessuna
è lei. E tu puoi avere chiunque … tranne lei.
Lily dovette leggere
qualcosa
nella sua espressione perché gli mise una mano sul braccio.
“Scusa, dico un
mucchio di sciocchezze quando sono nervosa. C’è
qualcosa, vero? Anche tu
stasera mi sembri un po’ fuori fase.” Per fortuna
con i suoi poteri di LeNa non
poteva arrivare fino a quel luogo
nella sua testa. Quel posto segreto che aveva custodito per anni
l’affetto di
suo padre e che ora proteggeva anche lei. “È per
il lavoro?”
“Non posso dirti
come stanno
andando le indagini, lo sai.”
L’amica fece una
smorfia
amara. “Stanno diventando pericolose, vero?”
“Lilian,
non…”
“Io ti ho raccontato dei miei incubi, tu dimmi i
tuoi.” Il tono era acciaio
adesso, come lo era la sua espressione. “È questo
che fanno gli amici, Ren.”
Vuotò il sacco.
Non riuscì a
frenare la corsa delle parole, del terrore che provava
all’idea che la strada
di Johannes fosse tornata ad incrociare la sua. Della paura che aveva
di dover
vedere il viso di un uomo che era il simbolo stesso dei suoi sbagli.
Se ne pentì nel
momento stesso
in cui finì di parlare; Lily era stata una vittima, e dai
soprusi di quell’uomo
orribile e di suo zio non si era ancora ripresa.
Te
l’ha appena
detto idiota. Perché le hai
vomitato
addosso i tuoi problemi?
Non
ne ha abbastanza per colpa tua?
“Sören.”
Si rese conto di aver
abbassato lo sguardo solo quando mise di nuovo a fuoco il mondo. Lily
gli aveva
circondato il viso con le mani e premeva le dita fresche sulla sua
pelle
accaldata. “Va tutto bene.”
“Non va tutto
bene.” Come
poteva?
“No, è
vero, va da schifo, ma
ora sei tu che devi guardare me.” Obbedì e vide
che non sembrava arrabbiata, paventata
o tradita. Lo guardava … era compresione quella? Lo capiva?
Era sempre stata la
più forte
tra loro due.
Era uno
schifo. Lily sentiva il cuore minacciarle di esploderle nel petto.
John
Doe.
Era spaventata, negarlo
sarebbe
stato stupido. Spaventata per James, Scorpius e Bobby … per
Sören e chiunque
avrebbe dovuto avere a che fare con quel mostro. Ma
non importava quello che provava lei,
nella solitudine dei suoi pensieri.
“Siamo proprio
messi male, io
e te.” Sospirò passandogli le dita trai capelli:
quando non erano imprigionati
in un litro di brillantina Purosangue erano morbidi e lisci.
L’altro socchiuse
gli occhi, gradendo il contatto. Quando sembrava che il mondo ti
crollasse
addosso era un modo per stare meglio.“Se facciamo una prova,
forse abbiamo
paura anche delle nostre stesse ombre.”
“Lily…”
“Ma non importa.” Inspirò.
“Non importa, perché siamo più forti di
Johannes e
di quello che ci succede quando ci addormentiamo, giusto? Abbiamo
più coraggio
di così.”
Aveva imparato in quei cinque anni che chiedere aiuto era sensato, mai
stupido.
Lasciare Sören a gestire da solo quel carico emotivo sarebbe
stato crudele,
insensato, quando l’altro pronto a farsi carico del suo.
Non
ho paura di te. Non ho mai avuto paura di te. Ho
paura delle stesse cose di cui hai paura tu.
Ho
paura con te.
Realizzarlo faceva tutta la
differenza del mondo. “Non … non lo so.”
Le confessò. “Credo invece di essere
un coda…”
“Non dirlo.” Lo fermò perché
quella parola era orribile, era un insulto a tutto
ciò che avevano passato. “Non azzarti a darti del
codardo davanti a me. Non con
quello che hai fatto.”
“Cos’ho fatto?” Fece una smorfia amara.
“Cose orribili.”
“Mi hai salvata.” Sospirò.
“Alla fine, Ren, mi ha salvata.”
Lasciò che le parole si depositassero tra di loro, che
prendessero forma e
importanza. Poi gli mise le mani sulle spalle, stringendo la presa.
“Adesso ho
bisogno di un abbraccio.” Lo avvertì
perché era una cosa di cui in realtà
avevano bisogno entrambi. Il modo in cui la strinse di rimando fu una
risposta
piuttosto ovvia.
“Grazie.”
Lo sentì mormorare
trai suoi capelli. Il respiro caldo le diede qualche brivido che
classificò con
certezza come logico. Era un abbraccio bello, saldo e Lily si
trovò a inspirare
l’odore della pelle dell’altro. Era assurdamente
confortante.
“Siamo migliorati
nel contatto
fisico.” Lo prese in giro per stemperare
l’atmosfera. “Una volta mi abbracciavi
con le braccia ad un miglio di distanza l’una
dall’altra!”
Sören
riuscì persino a
sorriderle quando si staccarono. “Non volevo fare brutta
figura per quando ti
avrei rivista.”
Morgana, è adorabile.
Stemperò il
desiderio di
abbracciarlo di nuovo – piccoli passi, era importante
– con una scrollata di
spalle. “Ti meriti un Oltre Ogni Previsione.” Si
voltò verso l’entrata. “Per
farmi perdonare di essere stata un’amica terrificante posso
rimediare offrendoti
una sedia, un drink e un po’ di chiacchiere assolutamente
vuote?”
Sören stavolta
sorrise sul
serio e diavolo, se gli si illuminava lo sguardo.
So keep your head up, keep your
love
Keep your head up, my love…
****
Note:
Non mi sembra vero, ho finito ‘sto capitolo! XD Devo
ammettere che ci voleva,
credo sia un buon punto di relax e anche di svolta.
La canzone che fa da
apripista
è questa.
Ho creato una
playlist con le canzoni della festa, che comunque
sono le seguenti.
Grace,
The
View
How Long, The View
Square Peg Round Hole, Wakey!Wakey!
If I Had a Gun, Noel Callagher’s High Flying Birds
Only The
Horses, Scissors Sisters
Flapper
Girl, The Lumineers
Stubborn
Love, The Lumineers.
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