Nuova pagina 1
Mi
Manca Da Impazzire
Camminavo
per quelle vie a passo veloce, non perché avevo paura di arrivare tardi, alla
fine, non avevo nemmeno alcun appuntamento, ma perché ero agitata, come non lo
ero mai stata in una situazione come quella.
Presto
sarei arrivata davanti a casa a sua, avrei suonato il suo campanello e mi
avrebbe fatto entrare in casa sua e forse in camera sua dove mi sarei seduta nel
suo letto e gli avrei chiesto come gli fosse andato l’esame, e dopo?
Le
parole di Sabrina mi ronzavano dentro la testa, come se fosse lì a ripetermi
sempre quelle cose e mi dava dannatamente fastidio.
Mi
fermai un attimo, in lontananza si poteva vedere una signora che portava a
spasso il suo cane, anche io da piccola avrei tanto voluto averne uno, solo per
poterlo portare in giro e giocare con lui. Mi erano sempre piaciuti di più di
gatti, ma loro sono più indipendenti e quindi avevo deciso che avrei preso un
cagnolino, un volpino. Una razza che mio padre odia, è disgustato dal suono
della sua voce e un giorno mi disse che quando ne vedeva uno, quando abbaiava,
aveva la voglia di calciarlo via, lontano, come se fosse un pallone da calcio.
Quella sua rivelazione mi fece ridere, e mi fece pensare: il volpino non
l’avrei potuto prendere, non avrei voluto vedere quella dolce palla di pelo
volare fuori dalla finestra per colpa di un calcio ben assestato di mio padre.
Guardai
il cielo e ripensai a Roberto, a quando parlavamo del nostro futuro, insieme.
Lui avrebbe voluto prendere un Bull Dog, il suo cane preferito, eppure io avevo
un tremenda paura dei cani di grossa taglia quindi decisi, io, che avremmo preso
due gatti, e sembrava che a lui non dispiacesse.
Roby
un giorno, non so se l’avesse detto per l’alcool che aveva ingerito, mi
disse che quando, finita scuola, avrei trovato un buon lavoro, mi avrebbe
sposato in una chiesa, dove avremmo potuto scambiarci le promesse di amore
eterno, fino a che morte non ci separi, e la morte ci aveva separato troppo
presto. Addirittura prima di avere il tempo di scambiarci quei giuramenti.
Ripresi
a camminare ed incrociai la donna che vidi poco prima. Il suo cane le camminava
a fianco, senza essere legato da un qualche guinzaglio, sorrisi quando notai che
era un volpino.
Ero,
finalmente, o forse non dovrei dire così, davanti casa di Simone. Mi avvicinai
al portone e suonai il campanello attendendo che qualcuno mi aprisse o che
chiedesse chi fosse.
«Chi
è?» mi sentii dire.
«Sono
Francesca..» Sentì aprire il portone e lo spinsi per poter entrare, chiamai
l’ascensore che mi avrebbe portato davanti alla sua porta d’ingresso.
«Permesso…»
enunciai entrando in casa.
«Ciao
Francy!!» il saluto caloroso di Giulia mi faceva sorridere, era sempre stata
così solare e spensierata, spesso mi chiedevo se lei avesse mai sofferto di
crisi esistenziali quando era una ragazzina come noi. Probabilmente sì, come
tutti.
«Ciao!»
salutai anche testualmente. «Umh… Simone?»
«Ah…
già, sei qui per lui! Beh, ancora non è a casa, però se vuoi puoi aspettarlo,
torna tra poco!» mi spiegò lei. «Caffè?»
«No,
grazie… mi agita!» Giulia faceva la psicologa e per questo ero un po’ in
agitazione quando parlavo con lei, avevo paura che se le avessi parlato un po’
troppo avrebbe capito qualcosa che nemmeno io so.
«Presto
ricomincia scuola, sei contenta?»
«Per
niente!»
Giulia
rise. «Sì, hai ragione, nemmeno io ho tanta voglia di tornare al lavoro dopo
queste tre settimane di ferie.»
«Il
tuo lavoro è noioso?» domandai senza accorgermene, nemmeno io sapevo perché
le avevo posto quella domanda, a me che me ne poteva importare se il suo lavoro
fosse o meno monotono? Eppure continuavo a sentire quel senso di agitazione
nello stare a parlare con una psicologa, preferivo che parlasse del suo lavoro,
non che lavorasse su di me.
Giulia
si sedette al mio fianco «Beh… non è noioso. Però è stancate. Sai, sentire
parlare persone dei loro problemi non è poi questo gran che.» mi rispose
sincera, o almeno così mi sembrava. «Spesso però…» cominciò ridendo sotto
i baffi «… mi diverte fare la psicologa con Simone, a lui da super fastidio!»
«Comprendo
il suo fastidio!» risi «Infatti, devo essere sincera, quando parlo con te ho
spesso la “paura” che tu possa farmi la psicologa e capire qualcosa che
nemmeno io so!» le ammisi sorridendole.
«Tesoro,
io non lavoro gratis!» mi fece l’occhiolino «Non faccio la psicologa con
nessuno se non è richiesto dal “cliente”» In quel momento suonò il
campanello, Giulia andò ad aprire «E’ arrivato Simo! Beh… io adesso vado a
fare la spesa! Ci vediamo dopo! Ciao!» La donna prese la borsa e le chiavi,
lasciò la porta di casa aperta per far entrare il figlio ed uscì. Per pochi
secondi rimasi in quella casa da sola che mi provocò un senso di solitudine.
L’entrata
si aprì «Ciao!» salutai alzandomi in piedi. Simone si fermò sull’uscio e
mi guardò per qualche istante senza proferire parola. «Ci sei?» domandai
ironicamente.
«Che
ci fai qui?»
«Eh…
ti sono venuta a trovare e volevo sapere come ti è andato l’esame!» risposi
sincera avvicinandomi a lui. Normalmente quando mi vede mi stampa un bacio sulla
guancia, ma forse, per ciò che era successo il giorno precedente si sentiva in
imbarazzo.
«Ma
tu, prima di andare a casa di altre persone non avverti mai?» mi ribatté
seccato.
«Se
ti disturbo… vado a casa!» esclamai prendendo tra le mani la mia borsa,
Simone era ancora lì dov’era prima, quindi comunque sia non sarei potuta
andare lontano se non passandogli attraverso.
«Ormai
sei qui…» fece due passi e chiuse la porta dietro di sé. Si buttò a peso
morto sul divano ed appoggiò le scarpe sul tavolino di vetro davanti a sé.
«Guarda
che sporchi e graffi il tavolo così!» affermai cercando, anche, di rompere il
ghiaccio.
«E’
tuo?»
«N-no!»
mi stava parlando come non aveva mai fatto, era freddo, seccato; forse non mi
voleva più vedere, ma allora perché non me lo diceva chiaro e tondo?
«Allora
sta zitta!» esclamò facendomi sobbalzare, non perché mi aveva messo paura ma
perché mi stava facendo infuriare.
«Ma
che cavolo hai? Si può sapere? Sei sempre così gentile con me, mentre oggi sei
veramente uno stronzo!» urlai senza rendermene conto «Se ti ho stufato, se
vuoi che non ci vediamo più, per me va bene. Basta che me lo dici!»
Simone
mi guardò sbalordito, non mi aveva mai sentito, se non sbaglio, alzare la voce
in tal modo. Credeva forse che io non avessi la forza di ribattere? Che stavo
zitta, qualunque cosa le persone mi dicessero? Pensava davvero questo? Io non
sto zitta, se c’è qualcosa che non mi va bene la dico subito.
«Non
ho niente!» mi rispose senza guardarmi negli occhi «Assolutamente niente. È
che tu, forse, hai cominciato a dipendere troppo da me, ed io comunque non potrò
starti vicino per sempre.»
Mi
rimisi a sedere, sul divano questa volta affianco a lui e gli presi una mano tra
la mia «Lo so.» dissi guardando l’arto che stringevo «Però… io sto bene,
con te, intendo.» ammisi appoggiando la mia testa sullo schienale del sofà.
Simone si allontanò da me.
«Non
dirmi queste cose. Non me ne faccio niente di tutte queste belle parole io, e sì,
mi sono stufato di doverti avere sempre attorno. Ho una mia vita.»
Sorrisi
guardandolo «Bene, sono contento che tu sia stato così sincero con me.»
replicai alzandomi e tenendo in mano la mia borsa con tutte e due le mie mani «Ciao.»
mi avvicinai a lui e gli stampai un bacio sulla guancia, quello che prima lui
non aveva dato a me.
Aprii
la porta, ed uscii da quella casa, senza sbatterla, scesi le scale con calma e
quando mi allontanai abbastanza da quell’edificio non riuscii a trattenere le
lacrime.
Non
sapevo perché era successo tutto questo, non sapevo perché l’avevo perso in
questi dieci minuti. Non avrei dovuto andare a casa sua per vederlo.
Cosa
avrei dovuto fare adesso? Avevo perso la persona che mi faceva stare bene, che
riusciva a farmi ridere, ma che, dovevo ammetterlo, se voleva riusciva anche a
farmi soffrire.
Pensai
un momento a tutto il tempo che, quella estate, avevo trascorso con lui, io
pensavo solo a me e non anche agli altri, non consideravo ciò che lui potesse
provare o sentire quando stava al mio fianco. Non lo facevo, e non l’avrei
fatto, forse.
Tirai
fuori il cellulare e notai che avevo ricevuto un SMS.
«Mi
dispiace, scusami è che l’esame mi ha un po’ innervosito. Mi puoi
perdonare?» alla fine, era un ragazzo così dolce, come potevo avercela con
lui? Di fatti non ce l’avevo, ma ciò che aveva detto erano verità e non
potevo fare niente
«Non
ce l’ho con te. Non preoccuparti.»
Mi
sedetti su una panchina, dovevo riflettere su ciò che gli avrei potuto dire per
non farlo arrabbiare ma allo stesso tempo per allontanarmi un poco da lui.
«Allora…
vuoi venire un po’ su a casa?»
«No.»
«Vedi
che sei arrabbiata?»
«No,
non lo sono!»
«Dai,
vieni un attimo qui, almeno chiariamo seriamente! Lo sai che odio gli SMS!»
Sì,
era meglio chiarire e poi non potevo certo pretendere di allontanarmi da lui
tramite un messaggio virtuale. Mi alzai di scatto e corsi verso casa sua, era
meglio parlare prima dell’arrivo di sua madre.
Suonai
e salii nuovamente a casa sua, entrai lo guardai.
«Chiariamo.»
dissi risoluta.
«Quello
che ho detto non lo pensavo, non mi hai stufato Francy!» era in piedi, davanti
a me, lo guardavo e mi dispiaceva per ciò che gli avrei detto da qui a breve.
Gli
sorrisi «Lo so che non lo pensavi.»
«Quindi…
tutto ok?» mi domandò un po’ in imbarazzo.
«No.»
feci una pausa «Ho pensato a ciò che mi hai detto ed è vero, sono dipendente
da te e ciò non va bene.» ammisi. «Forse è meglio se ci allontaniamo. Non
credi?»
Simone
sbatté un piede a terra, senza troppa forza. «No, non va bene, perché io ho
bisogno di te.» disse senza guardarmi in volto. Non capivo cosa volesse dire,
non capivo che significasse quel “ho bisogno di te”, però ero contenta di
sentirmelo dire da una persona alla quale volevo bene.
«Perché?
Io sono ancora ancorata al passato, non vedo un futuro, non vedo niente. Ti sto
sfruttando e basta. Lo capisci questo?»
«Lo
so!» esclamò «Ma anche se tu non mi ami io voglio rimanere vicino alla
persona che amo, non m’importa se mi sfrutta o meno, se sta con me o meno. Io
mi sento quando ti guardo e se non dovessi più vederti non lo sarei più. Sono
io che mi sono approfittato di te.»
Ascoltare
quella sua dichiarazione mi fece palpitare il cuore, ma io non me la sentivo di
stare con nessuno. Solo ora capii cosa voleva farmi capire mia madre quando mi
diceva che lui stava approfittando della situazione, mia madre l’aveva capito
ma non mi disse niente esplicitamente perché sapeva che se no sarei rimasta
sola.
Abbassai
lo sguardo e serrai i pugni «Io ti voglio bene, ma non ti amo!» gli risposi
sincera «Sono ancora innamorata di Roby. Mi dispiace. Io… io davvero, non
pensavo che io ti piacessi. Non volevo illuderti. Scusa.»
«Non
è stata colpa tua, ma mia. Sono io che ho cominciato a starti sempre vicino, è
normale che tu ti sia avvicinata a me.» mi rispose avvicinandosi a me, appoggiò
una sua mano sulla mia spalla e mi tirò a sé abbracciandomi. «Mi dispiace,
avrei dovuto dirtelo subito, ma non mi sembrava il momento, e neanche questo,
accidenti, è il momento!»
Lo
scansai da me, sentivo le lacrime salirmi agli occhi, non avrei mai voluto
allontanarmi da lui, ma non potevo continuare a prenderlo in giro. «Mi
dispiace, Simo, ma non posso… usarti ancora.» detto questo mi voltai e uscii
da quella casa dove avevo appena chiuso un’amicizia che riusciva a tenermi a
galla.
Dove
sarei finita adesso?
Lui
era diventato il mio tutto, il mio piccolo tesoro. Non lo amavo, però, e non
potevo star vicino ad una persona che consideravo solo amica sapendo che lui
vorrebbe qualcosa di più.
Magari
un giorno, quando mi sarò dimenticata di Roberto potrebbe nascere qualcosa, ma
era ancora troppo presto. Sentivo la sua presenza, e se avessi intrapreso una
nuova relazione mi sentirei come se lo stessi tradendo.
Forse
ciò che stavo facendo, però, era sbagliato. Chissà… Forse mi innamorerò di
Simone quando lui mi dimenticherà, perché so che non mi aspetterà ed io, non
aspetterò lui.
Se
dovessimo allontanarci per sempre, non cambierebbe nulla, non rimpiangerei i
giorni che ho trascorso con lui, ma ora non posso tornare sui miei passi solo
perché già, mi manca da impazzire.
|