Nota
di inizio:
nonostante io abbia letto il settimo libro, ci tengo a precisare che questa
storia si basa su una speculazione da me sostenuta a prescindere dalla lettura
del libro stesso, che faceva parte delle mie teorie già da prima di aprire
Deathly Hallows. Dunque, sentitevi liberi di leggere questa storia senza il
pericolo di incappare in spoiler, perché non verrà tenuto alcun conto di ciò
che è accaduto nel settimo libro. La maggior parte dei riferimenti
riguardano Harry Potter e Il Principe Mezzosangue.
Questa
fanfiction è stata scritta per partecipare al concorso estivo Storie
Inquietanti, indetto da Harriet sul forum di EFP. Non posso
certo dire che sia stata un’impresa facile, in quanto per me era la prima volta
che sperimentavo questo genere di storia; in più, sono andata a scegliermi un
personaggio protagonista e una forma (la scrittura in seconda persona) su cui
non avevo mai lavorato prima (sicuramente una campionessa della furbizia). Però
la pensata che ho avuto è stata questa, e per fortuna non ho avuto problemi a
portarla fino in fondo.
Preciso
che il titolo è ripreso da una canzone dei Paradise Lost, la stessa che cito
anche in apertura alla fanfiction.
Altra
piccola precisazione. Gli spazi nel testo sono voluti. Sono pause o respiri,
che mi servono per dare una cadenza al testo.
Detto
tutto ciò, vi auguro buona lettura.
Jane
Marzo 1979
I'm sent for eradication
By whom I cannot know,
But I'm lost without a chance in Hell,
I'm the last one out, I can't avoid this.
Exposed to fire, but I'll burn another way.
A victim of the future, I embrace the tourniquet.
(Paradise
Lost, “Isolate”)
Sei stato
scelto.
Da Lord
Voldemort.
Non è una
cosa che ti capita tutti i giorni, Regulus.
Ti senti
eccitato. È la tua prima missione di una certa importanza, questa, e hai
intenzione di svolgerla per bene.
Non farai
errori.
La casa è
stata evidentemente abbandonata da parecchio tempo. La pioggia di quel tetro
pomeriggio oscuro scroscia con insistenza sopra il tetto scalfito dai colpi del
vento, scivola freneticamente nelle grondaie e si riversa sul giardino incolto
che ti toccherà attraversare per riuscire ad arrivare alla porta scardinata che
ti attende all’ingresso.
Ti sporcherai
tutti gli stivali di fango, Regulus.
Sospiri,
rassegnato, solo una lieve smorfia a solcare il tuo volto signorilmente
contratto. Devi fartelo entrare in testa. Per Lord Voldemort, questo e altro.
Sai che
non puoi più scegliere cosa fare e cosa no.
Sforzarti
di recitare sempre la parte del figlio ubbidiente ti è servito ad assuefarti in
fretta ad una simile logica.
È solo la
tua parte più sconsiderata che scalpita in simili frangenti.
Vai,
Regulus.
Attraversi
il viale calandoti con più energia il cappuccio del mantello da viaggio sulla
testa, per poi scostarti una ciocca di capelli umidi dagli occhi. I tuoi piedi
affondano nella melma in cui il sentiero si è trasformato e il picchiettio
incessante delle gocce d’acqua ti riempie le orecchie, impedendoti quasi di
udire il frusciare delle tue vesti appesantite.
Ancora
poco e sarai all’asciutto, non preoccuparti.
I tuoi
passi si sforzano di essere sicuri, a dispetto della scivolosità del terreno.
Pare che il sole stia per tramontare; il cielo si è tinto d’un bigio più fosco,
e la casa sembra essere diventata ancora più buia.
Il
giardino è davvero in uno stato pietoso, comunque.
Le
erbacce hanno invaso tutto il selciato. Un peccato, perché sembrava suggestivo.
E a te piacciono le case ben tenute, Regulus. Ma non hai tempo da perdere in
futili contemplazioni; hai un compito da svolgere per conto dell’Oscuro
Signore, e hai la ferma intenzione di dimostrarti all’altezza delle sue
aspettative.
Il tuo
timore va di pari passo con la tua determinazione, del resto.
Ecco, sei
sotto il portico. Sali i gradini, li senti scricchiolare. Sono di legno, marcio
probabilmente. Non osi attaccarti al corrimano; di sicuro è ridotto anche
peggio. Non sai da quanto questa catapecchia sia stata abbandonata; la persona
a cui apparteneva è morta sei mesi fa, uccisa di persona dall’Oscuro Signore.
Particolare
di estremo interesse, senza dubbio.
L’Oscuro
Signore si scomoda personalmente soltanto per pochi, eccezionali soggetti, che
tu sappia.
Per il
momento, oltre ai Paciock e ai Potter, questa Dorcas Meadowes è l’unica che tu
abbia appreso essere stata cacciata personalmente da Lord Voldemort. Non
conosci i dettagli, non sei ancora arrivato così in alto da poterti permettere
un simile privilegio, purtroppo; tuttavia, con la missione che ti è stata
affidata, è probabile che finirai per scoprirne di più.
Per
questo il tuo passo è sicuro e il tuo volto deciso, mentre entri dentro quella
casa fatiscente.
All’inizio
c’è solo il buio, il cigolio acuto dei cardini e il vento che ulula rabbiosamente
all’esterno, dopo aver fatto richiudere la porta con un colpo secco che ti fa
quasi sobbalzare.
Poi la
tua vista comincia ad abituarsi, e comprendi di trovarti in un grande salone
semivuoto illuminato dalla scarsa luce proveniente dalle poche finestre non
sigillate.
La fretta
di fuggire, forse.
Cominci a
riflettere su quanto debba essere terribile essere braccati da Lord Voldemort
in persona mentre compi i primi, esitanti passi nell’ingresso. La tua sicurezza
è svanita quasi di colpo di fronte a quel vuoto fatto di mobili coperti da
bianchi teli grezzi, con le finestre sigillate da una fuggitiva, con quel
corridoio che là in fondo sembra condurre alle scale per il piano di sopra.
Avanzi, e
uno spiffero gelido ti percorre sinuosamente la nuca.
Volgi lo
sguardo attorno, una, due volte, estrai la bacchetta e sussurri Lumos.
Fuori
ancora imperversa lo scrosciare dell’acqua.
Non ti ha
detto che cosa cercare, Regulus.
Sai
soltanto che devi liberarti di tutto ciò che potresti considerare compromettente.
Riguardo
l’Oscuro Signore, probabilmente.
Ti sembra
tutto molto strano e non credi di aver davvero compreso qualcosa di quella
storia, ma prosegui ugualmente.
Soltanto
la tua fedeltà sarà ricompensata.
Le assi
del pavimento scricchiolano. Come i gradini. Di legno marcio. Senti
improvvisamente gocciolare, e ti accorgi che il soffitto ha un buco da cui
entra l’acqua che infanga il mondo esterno.
È un
ticchettio costante che rompe il silenzio come un fastidioso rubinetto che
perde, solo più incisivo e amplificato dal vuoto.
Un altro
soffio d’aria gelida ti induce ad infilare una mano in tasca, mentre l’altra
continua ad illuminare il pavimento con quel flebile fascio di luce.
Forse
devi cominciare a dare un’occhiata intorno.
Ci sono
degli scaffali, alla tua destra. Immerso nel suono del pavimento che
scricchiola, ti avvicini per esaminarli. Libri, fogli di pergamena, lettere,
vasi da fiori, candelabri e statuette di porcellana. Decidi che brucerai tutto
il materiale cartaceo; non puoi perdere l’intera nottata ad esaminare pagina
per pagina tutta quella piccola biblioteca. Appena la pioggia cesserà,
ammucchierai tutto quanto in giardino e accenderai un bel falò, così magari
riuscirai a riscaldarti. Il freddo ti sta penetrando nelle ossa, e l’aria è interamente
satura di umidità.
Il
tavolino circolare è completamente vuoto, carico soltanto di polvere. Sollevi i
cuscini delle poltrone uno ad uno e ottieni solamente di farti scappare un
poderoso starnuto, che sembra rimbombare sinistramente in tutta l’abitazione
per poi placarsi e ripiombare nel silenzio. Ti fermi un attimo a scrutare
l’oscurità, senza emettere suono. Ricordi con fastidio quando tuo fratello
Sirius ti prendeva in giro perché da piccolo avevi paura del buio, prerogativa
che ti aveva evitato, fortunatamente, di possedere lo sconsiderato coraggio
necessario ad essere Smistato a Grifondoro.
Non ti
importa. Sai bene di avere qualità di molto superiori rispetto alla cieca
audacia del tuo rinnegato consanguineo, e ormai il suo ricordo ti brucia
soltanto un poco.
Per te è
come se non esistesse più, dopotutto.
L’attaccapanni
alla sinistra della porta è carico di mantelli, ma le tasche sono tutte vuote.
Ti pulisci con una smorfia le mani impastate di ragnatele; una simile sporcizia
non è certo adatta ad uno del tuo rango. Lord Voldemort avrebbe anche potuto
mandare Travers o Rosier ad occuparsi di un simile compito, anziché l’unico
erede della Casata dei Black; sei certo che se Walburga lo venisse a sapere
s’infurierebbe non poco.
Peccato
che tu non sia nella posizione più adatta per contestare gli ordini dell’Oscuro
Signore.
Nessuno
lo è.
Nemmeno
tua cugina Bellatrix, che tanto si vanta della sua collocazione nella gerarchia
dei Mangiamorte.
Poco ti
importa anche di lei, ormai. Verrà il giorno in cui giungerà anche per te
l’occasione adatta a dimostrare a tutti quanto vali davvero, e allora persino
tua cugina ti porterà il rispetto che meriti.
La
credenza sulla parete di fondo contiene solo un vecchio servizio da tè, perciò
ritieni di poter passare a ispezionare il piano di sopra; più prosegui e più ti
domandi che cosa Lord Voldemort vuole che tu estrapoli da quella casa, ma per
poterlo dire con sicurezza sai di dover prima perlustrare tutte le stanze
mancanti.
Conosci
l’arte della pazienza, a differenza di tuo fratello Sirius, e non ti poni alcun
problema.
Ti avvii
verso il corridoio che dà sulla sala d’ingresso con passo sicuro e misurato,
guardandoti attentamente intorno e indirizzando con mano ferma il fascio
luminoso della bacchetta di fronte a te. L’androne su cui sbuca il corridoio è
più illuminato della stanza all’ingresso, e sul fondo vi si affaccia una scala;
ha delle grandi finestre, ma al suo interno vi sono solamente un vaso
portaombrelli e dei quadri appesi alle pareti. Nulla si muove, lì intorno,
soltanto la polvere vortica tumultuosamente illuminata dai fasci di luce che
attraversano le finestre.
È
all’improvviso che quel suono ti raggiunge l’orecchio.
Il suono
di un pianoforte, limpido, triste e fioco al tempo stesso. Proviene chiaramente
dal piano di sopra. Sul momento hai uno scatto, poi ti irrigidisci in un
attimo, domandandoti chi diavolo ci possa essere in quella casa a suonare un
pianoforte; ti viene in mente che potrebbe semplicemente essere stregato, ma
procedi con estrema cautela nonostante i mille pensieri rassicuranti che la tua
confidenza in te stesso ti espone razionalmente in sequenza per sedare la tua
momentanea agitazione.
Una cosa
è sicura, e te ne rendi conto, Regulus; devi andare al piano di sopra.
È una
nenia cupa, quella che senti suonare. Una melodia ipnotica, insinuante,
qualcosa che ti attira più di quanto vorresti. Il silenzio della casa ti pesa
addosso mentre sali le scale. Sembra che ogni crepa nel muro ti osservi, che
ogni lampada pendente dal soffitto tenga d’occhio i tuoi movimenti, pronta ad
approfittare della tua prima distrazione. Tieni la bacchetta ben alzata di
fronte al viso, preparato a reagire non appena ce ne sia bisogno; non sai che
cosa ti troverai davanti, riesci a vedere solo la penombra delle scale e la
polvere che vortica illuminata dai fasci di luce provenienti dalle finestre
rotte, e più sali più il suono del pianoforte si fa limpido nelle tue orecchie.
I battiti
del tuo cuore accelerano irrimediabilmente.
Sai che
non devi aver paura, che sei un mago abile e che hai i riflessi pronti,
all’occorrenza; ma l’inspiegabilità del fenomeno t’inquieta, e non riesci ad
impedire al tuo corpo di reagire.
Senti le
pupille dilatarsi e le ginocchia tremare, quando arrivi in cima.
Di scatto
ti guardi indietro, giù, preso da un istintivo timore. Potrebbe essere una
trappola, e ti rendi conto che devi stare molto attento. Lord Voldemort non
aveva previsto tutto questo, ma la proprietaria della casa era una strega, e tu
sei solo, lì dentro, solo con la tua bacchetta.
O almeno
lo speri.
Deglutisci
ed avanzi, determinato a non farti intimorire da queste sciocchezze, deciso a
farla finita una volta per tutte. Il suono triste e ovattato ti guida fino alla
seconda stanza sulla sinistra del corridoio del piano di sopra, e ad ogni
scricchiolio del pavimento ti maledici e rallenti. La porta è aperta, lo vedi,
dà sull’interno. Scorgi già un angolo del locale, ancora un pavimento in legno
e un muro bianco e spoglio, il tutto immerso nella penombra. Il tuo cuore, ormai,
batte al ritmo flebile e rapido della melodia. Abbassi la bacchetta, stringi i
pugni, ti appoggi con la schiena alla parete e poi conti fino a tre, prima di
agire.
Uno.
Due.
Tre.
Nulla.
Lì dentro
non c’è assolutamente nessuno, perciò puoi riprendere a respirare. Il
pianoforte ha smesso di suonare, come hai posato un piede all’interno della
stanza. Non c’è altro, lì dentro; solo quello strumento a coda che, per quanto
Babbano, ti è sempre sembrato oggettivamente piuttosto elegante. Ma
nient’altro.
Decidi di
entrare e ti avvicini, lentamente.
Il tuo
mantello scivola sul pavimento al ritmo dei tuoi passi.
Il
fruscio per poco non ti fa voltare.
Vorresti
sederti allo sgabello e sfiorare i tasti d’avorio in preda a pensieri
malinconici, ma ti rendi conto che tutto ciò a cui hai assistito finora non è
immediatamente spiegabile e comprendi che quel nobile oggetto potrebbe
benissimo essere stato maledetto per mettere fuori combattimento gli intrusi
non graditi. Un piano piuttosto ben congegnato, senza dubbio. Ma tu sei un
Mangiamorte. Non ti farai certo mettere nel sacco da una persona così stolta da
schierarsi contro Lord Voldemort.
Non hai
avuto molta possibilità di scelta, Regulus, e lo sai.
Era con
lui, o contro di lui.
E non
avresti mai potuto resistergli, se avessi optato per la seconda possibilità.
Così come non potranno resistergli il tuo sciocco fratello e i suoi amici.
Dicono di essere pronti a dare la vita, ma chi poi, di fronte al momento
conclusivo, accetta con totale serenità il suo fato avverso? Chi può
trattenersi dal protestare a gran voce nell’attimo in cui tutte le sue speranze
future, i suoi progetti e i suoi anni ancora da vivere vengono stroncati con un
colpo netto?
Nessuno
sarebbe felice di andare incontro alla morte.
Ancor
meno consapevolmente.
Perciò tu
hai fatto quello che dovevi fare.
Hai
scelto. In nome della tua pragmatica razionalità, non di qualche stupido e
vanesio ideale.
E sarai
tu che porterai avanti il buon nome della tua famiglia, non Sirius.
Sirius
farà la fine del cane con il mero conforto dei suoi pseudo fratelli accanto a
sé.
Tu non
sarai così, Regulus.
Tu non
hai nessuno per cui valga la pena dare la vita.
Decidi
che è ora di proseguire. Quel pianoforte è riuscito ugualmente a metterti di
malumore, anche se ti sei mantenuto a debita distanza. Ti incammini verso la
porta, gettandoti un’ultima occhiata alle spalle per controllare che tutto
rimanga immobile al suo posto, poi sollevi di nuovo la bacchetta ad illuminarti la via e
ti dirigi verso la stanza di fronte a quella del pianoforte, dalla cui porta
socchiusa filtra decisamente meno luce.
Anche
stavolta ti avvicini con circospezione. Anche stavolta trattieni il respiro,
mentre la mano sudata quasi ti scivola sulla maniglia. Spalanchi la porta con
un colpo secco e illumini freneticamente ogni angolo, dopodiché puoi stare
sicuro che anche lì dentro non vi è anima viva.
Questa
stanza è decisamente più piena delle altre che hai esplorato finora. Ha un
tavolo circolare, al centro, delle sedie intorno e sulla sinistra un camino in
pietra. Un cassettone sulla destra, una credenza in fondo, un divano di fianco
al camino e un comodino di fianco alla porta. E non è grande come le altre,
anzi. Per questa volta ti è andata meglio, Regulus.
Ti avvicini
lentamente al camino. Spazzi elegantemente via le ragnatele con una mano e ti
trovi di fronte ad una serie di fotografie incorniciate. Sono tutte
completamente prive di vita; soltanto un turbine di foglie secche vortica
nell’angolo di un boschetto autunnale che si scorge nella terza da sinistra.
Passeggi lentamente davanti a quelle immagini vuote, osservandole con un certo
interesse; non hai mai visto verificarsi un fenomeno simile. Sei sempre stato
abituato alle fotografie animate, anche se non hai mai amato molto farti
ritrarre; il vanesio della famiglia è sempre stato Sirius, con la sua
tracotante bellezza, la sua ostentazione ribelle.
Ancora
pensi a Sirius, e un po’ ti brucia.
Non lo
vorresti.
Ti sembra
crudele che la memoria continui a tormentarti, perché tutta quella rabbia che
covavi dentro di te quando il suo abbandono si è dimostrato definitivo è
soltanto un ricordo umiliante, una manifestazione di una debolezza che non ti puoi
più permettere; ora sei grande, Regulus, esegui gli ordini dell’Oscuro Signore,
presto i tuoi meriti verranno riconosciuti e non hai certo tempo da perdere in
simili elucubrazioni. Perciò, sarà davvero meglio per te che tu ci dia un
taglio…
Un
momento.
Il
pizzicore alla nuca aumenta, mentre tieni gli occhi fissi su quell’ultima
fotografia nell’angolo destro della mensola.
Fai un
passo dopo l’altro, lentamente, per avvicinarti, ed è all’improvviso che lo
noti; con il cuore in gola, ti sforzi di mantenere la calma ma hai paura di
avvicinarti troppo.
Ragiona.
Sei abbastanza sicuro che poco fa non ci fosse nessuno riflesso in quello
specchio.
L’immagine
ritrae una stanza, forse una camera da letto. Tutto ciò che l’inquadratura
comprende è un muro spoglio, un attaccapanni con dei mantelli logori sulla
destra, una cassettiera di legno con un candelabro acceso e un grosso specchio
appeso sopra di essa, incrostato di vecchiaia e ormai appannato.
Distogli
un attimo lo sguardo. Forse ti sei sbagliato.
No, ci
hai visto giusto, Regulus: il cuore ti batte più forte e nello specchio è
riflessa l’immagine di una donna, inquadrata dal busto in su, un volto magro e
incavato incorniciato da capelli crespi.
Provi a
pensarci. Forse prima l’hai confusa con le ombre riflesse, e non ti sei accorto
della sua presenza. Forse non ci hai fatto caso perché eri distratto, forse hai
solamente preso un abbaglio.
Eppure la
donna ora è lì, nella foto, lo sguardo basso e l’espressione muta.
Ti sembra
razionalmente ridicolo che qualcuno si faccia fotografare in quel modo, ma hai
già sentito il pianoforte suonare da solo e questa potrebbe essere soltanto
l’ennesima stranezza.
Fai
ancora un altro passo e ora le sei di fronte, immobile, hai quasi paura di
respirare per non svelare la tua presenza. Osservi in silenzio i suoi lievi
movimenti, sforzandoti di trattenere il fiato.
Ma a un
certo punto la donna alza il volto e ti guarda fisso negli occhi, con uno
sguardo di fuoco che ti fa sobbalzare di colpo. Il tuo respiro accelera e ci
metti un attimo a recuperare la calma, mentre il fascio di luce tremola nella
tua mano destra.
Ti
domandi come sia possibile che quel ritratto fotografico abbia avvertito che ti
trovavi al suo cospetto, e non riesci a staccare gli occhi di dosso dal suo
sguardo nero, da quel volto incavato, da quell’espressione di morte che ti
guarda nell’anima.
Sembra
passare un’eternità prima che la donna faccia qualcosa, poi la vedi voltarsi
lentamente all’indietro e mettersi a sfogliare qualcosa che sembra un grosso
libro poggiato su un tavolo, un tavolo che sta davanti a quella che, sullo
sfondo, sembra essere la mensola di un caminetto.
Aspetta.
Pur
avendo quasi paura di staccare gli occhi da quell’immagine, ti volti con
circospezione e te lo trovi lì alle spalle, quel mobile, illumini lo specchio
con la bacchetta ed esso ti restituisce l’ombra riflessa del tuo volto pallido
e contratto in un irreale gioco di somiglianze, ed eccolo lì, tra te e la
cassettiera, quel tavolo verso cui la donna si è voltata mentre ti guardava.
Non hai
fatto molto caso a tutto questo, prima.
Ti
avvicini, sei al centro della stanza. I cuscini delle sedie sono completamente
tarlati, la polvere ricopre quell’unico, vecchio volume dimenticato sul bordo
insieme ad una tazza da tè. Ne osservi la copertina, ormai pienamente coinvolto
in ciò che quella casa ti sta svelando; il titolo è illeggibile, così ne sfogli
le pagine, con febbrile curiosità. Improvvisamente, il contenuto ti fa
pizzicare la nuca. Te ne accorgi. È un libro di magia nera, pieno di
incantesimi in grado di far accapponare la pelle a chiunque; la tua fronte si
corruga mentre lo osservi, ti domandi che cosa se ne facesse un membro
dell’organizzazione che lotta contro il Signore Oscuro di un simile testo, e la
paura comincia ad insinuarsi dentro di te. Non capisci che cosa stia
succedendo, Regulus, la tua razionalità non ti è d’aiuto e tutto questo
potrebbe farti impazzire, se tu non fossi perfettamente in grado di mantenere i
nervi saldi.
Il
controllo di te stesso prima di tutto, Regulus.
Te
l’hanno insegnato bene.
E tu hai
sempre imparato la lezione con diligenza e applicazione, a differenza di tuo
fratello.
Respira.
Prova a pensare, non fare caso alle atrocità che ti passano sotto gli occhi. La
finestra è stata sbarrata e la poca luce che fino a un momento fa filtrava
dall’esterno sta lentamente svanendo, insieme al sole che se ne va inghiottito
dalle colline all’orizzonte. Puoi soltanto immaginarlo, mentre ascolti ancora
il ticchettio incessante e confuso della pioggia. Ora si fa più forte, è uno
scroscio continuo, ti invade le orecchie e sembra quasi rimbombare nella stanza,
tra poco giungerà il lampo e poi il tuono, improvviso e terribile. Il freddo ti
fa sudare e quasi non ti senti più i piedi, ma devi andare avanti, Regulus.
Oramai la curiosità è troppa.
Le pagine
sembrano intrise di gocce di sangue, in certi punti; alcune sono strappate in
un angolo con il segno che pare quello di un morso, e le immagini sono soltanto
buchi neri, tracce fumanti di teschi confusi sullo sfondo, un ghigno vuoto che
perseguita l’immaginazione per poi svanire e lasciare il posto a grida sottili
di sottofondo. Non hai mai sfogliato un libro come quello. Non c’è nulla che
descriva minuziosamente gli effetti degli incantesimi, soltanto accenni
mostruosi che fanno contorcere le viscere. Movimenti di bacchetta e formule
sussurrate per riprodurre la morte. Hai sempre nutrito un certo segreto terrore
per cose come quelle, Regulus, e mentre il silenzio ti circonda come una cappa
di nebbia ti dimentichi che ti sei votato a quel genere di magia, stupefatto e
inorridito.
Poi torni
a riflettere, attentamente, con metodo.
L’Oscuro
Signore voleva che tu trovassi questo libro e lo distruggessi, o non è neppure
al corrente della sua esistenza? E se così fosse, che ne devi fare, tu, di una
simile mostruosità? Che ne devi fare di quella casa? Perché…
Ti volti,
improvvisamente all’erta, puntando con violenza il fascio di luce della
bacchetta sulla fotografia in cui è apparsa la donna. Spalanchi gli occhi di
colpo. Ti fissa, terribile, ti squadra da sotto in su, tenendo in mano il libro
aperto circa verso la fine. Ne spiana le pagine con una mano, come per lasciare
il segno, poi lo richiude e si volta di nuovo a posarlo sul tavolo, tornando a
tenere lo sguardo immobile verso il basso.
Dev’essere
lei. Dorcas Meadowes. La proprietaria della casa. Ti sembra assurdo e
incredibile ma qualcosa dentro di te sa che sta cercando di dirti qualcosa
attraverso quella foto e quel libro e tutto il resto, e il tuo buonsenso
improvvisamente svanisce. Ti sforzi di staccare gli occhi da quella fotografia,
ormai del tutto terrorizzato da quello sguardo, assuefatto alla paura che torni
a fissarti di nuovo mentre non te ne accorgi. Deglutisci, ti costringi a
respirare e ce la fai. Apri il libro alla prima pagina e ci trovi dentro un
foglio di pergamena, con la calligrafia minuta di quello che dev’essere stato
il bibliotecario.
Londra. Data
del prestito. Nome. Data indicata per la restituzione.
È
evidente che quel libro non è mai tornato al suo posto.
Vai in
fondo, cercando le pagine più segnate dalla piega di chi ci si è chinato sopra.
Ignori i sussurri di morte, ti rendi solamente conto che la pioggia è cessata e
che il silenzio ti fa paura, arrivi dove ti sembra di intravedere il calco
maggiore sulle pagine e sfogli, febbrile, leggendo gli incantesimi riportati
uno per uno.
Maledizioni.
Anatemi. Cose orribili, Regulus.
Lo pensi,
e ancora te ne dimentichi.
Che tu
sei parte di questo mondo.
Ma cosa
ha più importanza per te, Regulus? La purezza del sangue, o il vederlo
sgorgare?
Ci sono
delle macchie di inchiostro, lì.
Un’orecchia
alla pagina, e delle macchie di inchiostro.
In un
punto preciso.
L’intestazione
della pagina dice Horcrux.
Horcrux.
Non hai mai sentito nominare quella parola.
Il tuo
sguardo si risolleva furtivamente dalle pagine, mentre ti accorgi del silenzio
spettrale che ti è calato attorno. Scruti con un diffuso tremore la fotografia
della donna, ma dopo diversi secondi in cui non osi sbattere le ciglia lei
continua a rimanere con gli occhi fissi sul libro, apparentemente intenta a
leggere.
Continui
a pensare che sia assurdo, ma non hai altre possibilità davanti a te.
Non puoi
mollare tutto e andartene da lì. Vorresti, Regulus, e lo sai, quella faccenda
sta diventando molto più complicata del previsto; ma poi come faresti a
presentarti di nuovo al cospetto dell’Oscuro Signore, sapendo che non hai
obbedito ai suoi ordini? Non solo non ne sarebbe contento, ma ti farebbe del
male, colpirebbe te e magari anche la tua famiglia soltanto per punirti della
tua negligenza. Sai di che cosa è capace l’Oscuro Signore; l’hai visto
scatenare tutta la sua fredda collera su alcuni dei tuoi compagni ben più di
una volta. Non puoi permetterti di fuggire, e anche se ciò fosse possibile la
tua smania di sapere che cosa c’è dietro tutto questo non potrebbe essere
placata, lo sai. Vuoi trovare una spiegazione razionale a tutto questo,
Regulus. Devi credere che ci sia. Il pianoforte stregato e la fotografia non
stanno lì per caso. E anche quel libro. Quell’incantesimo che non hai mai
sentito nominare.
Horcrux.
Sfogli le
pagine all’indietro dopo aver gettato un’altra fugace occhiata alla porta,
constatando che ormai il buio ha invaso la casa; arrivi all’apertura di quella
sezione del libro, e un sospiro spettrale si innalza dalle pagine, facendoti
sobbalzare e gettare il volume sul tavolo.
Sai che è
normale, che è incantato. Hai sfogliato altri libri di magia Oscura, mentre eri
a Hogwarts, approfittando del tuo incarico di Prefetto per trattenerti in
Biblioteca oltre l’orario consentito. Tuttavia ora non riesci a mantenere il
controllo sul tuo corpo, e questi scatti prevaricano la tua volontà; ti passi
una mano sulla fronte, sotto la frangia ricciuta che te la ricopre, scendendo
fino ad accarezzarti la gola mentre cerchi di calmare il respiro. È essenziale
che tu mantenga la calma. Qualsiasi cosa ci sia sotto tutto questo lo
scoprirai, ma non hai nulla di cui temere.
Quella
donna è morta, la casa è vuota.
Non
saranno certo una fotografia e un pianoforte a minare il tuo sangue freddo.
Leggi
bene l’introduzione della sezione, a cui prima avevi riserbato soltanto
un’occhiata rapida e distratta. Parte VII. Magia Oscura di livello alto.
Quindi, questa faccenda degli Horcrux è qualcosa di veramente terribile.
Torni
alla pagina precedente, rintracci la macchia d’inchiostro. Il carattere è
piccolo, ma tu hai ancora paura di avvicinarti troppo. Avvicini la bacchetta
per farti più luce e sforzi la vista, bloccando il respiro, mentre ancora nulla
si muove intorno a te.
Horcrux
Si
tratta di magia Oscura di livello elevatissimo. La cultura magica ha spesso
cercato di occultare l’esistenza di questo tipo di incanto, ritenendolo uno dei
più abominevoli mai inventati da mago o strega esistiti. La sua genesi è
tuttora incerta, essendo le fonti scarse e spesso di difficile credibilità; c’è
chi lo vorrebbe attribuire a Salazar Serpeverde in persona.
Creare
un Horcrux è uno dei metodi più efficaci per preservare l’immortalità
dell’anima di un mago. Una volta creato un Horcrux, l’anima si scinde in due
parti, e il mago o la strega non può essere annientato totalmente finché non
vengono distrutte tutte le parti della sua anima.
Il
primo e fondamentale passo per creare un Horcrux è compiere un omicidio, cosa
che ha comportato, nel corso dei secoli, la denuncia, l’attacco e il bando di
tale incanto. È l’omicidio a rendere possibile la scissione dell’anima. In
seguito al complesso rituale sotto elencato, la parte di anima scissa viene
confinata in un oggetto predestinato, oggetto che sarà possibile distruggere
solo tramite incantesimi particolari e poco noti ai più. La procedura per creare
un Horcrux richiede grande padronanza della magia Oscura e totale mancanza di
scrupoli nei confronti della vita altrui.
Sollevi
lo sguardo, mentre un brivido ti percuote.
La stanza
è diventata nera come la pece.
Non vuoi
sapere come si fa, Regulus. Provi una strana e spaventosa confusione di fronte
a ciò che sta sotto i tuoi occhi, ma non desideri proseguire oltre. Non capisci
perché debba essere importante sapere tutto questo. Non lo sai, non lo vuoi
sapere e non vuoi più perdere tempo in quella casa fatiscente.
Richiudi
il libro con un tonfo, e quello esala un gemito spettrale. Quando ogni rumore
cessa, torni a fissare la mensola del caminetto. Dorcas Meadowes è scomparsa
dalla fotografia.
Improvvisamente,
però, ti rendi conto che un’altra di esse si è improvvisamente animata. Ti alzi
dalla sedia facendo stridere le gambe contro il pavimento e ti avvicini
sollevando la bacchetta, ad occhi sgranati. Dove prima non c’era altro che una
sala comune di Hogwarts vuota, ora sta una piccola folla di ragazzi quasi
immobili.
È
Serpeverde. La sala comune di Serpeverde. Non è esattamente come la ricordi, ma
le sembianze sono le stesse. I volti sono seri, d’altri tempi. Acconciature
cotonate per le ragazze, scriminatura severa per i maschi. Dev’essere vecchia
di molti anni.
Mentre i
tuoi occhi si abituano lentamente al buio, fai qualche passo avanti per
osservare meglio quelle facce compunte. Una di loro sembra la tua Dorcas
Meadowes. Lo stesso viso spigoloso e appuntito, gli stessi capelli crespi, lo
sguardo basso. Speri che non si alzi a guardarti. Gli altri non li riconosci,
non hai idea di chi siano. No, un momento, forse lo sai. Uno di loro ti ricorda
molto Rabastan Lestrange. Un altro sembra un Marcus Avery molto più giovane di
com’è ora.
Un altro
ancora ti fissa con uno strano sorriso sulle labbra e uno sguardo sinistramente
ammaliante, anche se potresti giurare di non averlo mai visto in giro.
Eppure,
qualcosa di lui ti suona decisamente familiare.
L’immagine
ti attrae. Non hai più la forza di andartene. Ti chini maggiormente su di essa,
sollevi una mano e la sollevi dalla mensola polverosa.
Un attimo
dopo uno strappo allo stomaco ti coglie totalmente impreparato, e tutto intorno
a te prende a vorticare furiosamente.