The heart is a lonely hunter

di Athenryl
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Altro frammento della mia storia, stavolta dal punto di vista di un altro personaggio: Mel Aneesh.
Qualche indizio per capire meglio la lettura: è un elfo, è stato esiliato anni prima dalla sua tribù perchè accusato di aver ucciso suo padre, in seguito è diventato un assassino al servizio del re.
Avvertimento: rating arancio-rosso soprattutto per l'ultima parte. Se vi disturba la violenza sconsiglio la lettura.
Sayonara :)

Lost
 
"Mormora il vento tra il fogliame,
e chiede la quercia:
cosa vuoi, o folle cavaliere,
con questo tuo folle sognare?"

 
 
Sognò un sogno antico: era tornato a casa.
Pallidi raggi di luna tracciavano sentieri remoti sull'erba alta della brughiera, agitata dalle invisibili dita del vento. Inspirò profondamente l'effluvio familiare della terra bagnata, del muschio, delle radici, quello più acre del sottosuolo in putrefazione e delle foglie morte: odori discordanti tra loro, che tuttavia andavano ad incastrarsi in un mosaico più grande e, nella sua testa come nei ricordi, perfetto. Erano gli odori della notte, che per lui prendeva il nome di casa. Ma forse non aveva mai avuto una casa.
Il vento spinse tentacoli di nebbia opalescente intorno a lui, oscurando per qualche istante la falce di luna che brillava in un cielo profondo come una ferita. Una figura iniziò a prendere forma dentro alla foschia, dalla foschia stessa, turbinando nell'acquistare i contorni, delineandosi via via con più chiarezza, finché Mel non ebbe più alcun dubbio.
La consapevolezza e il dolore lo fecero cadere in ginocchio, a stringere l’erba secca tra le dita, mentre il vento urlava sulla sua testa, facendosi beffe di lui.
Il vento. C’era sempre stato, il vento, nella Terra delle Piogge. Quando non riusciva ad addormentarsi, gli bastava uscire al chiaro di luna e ascoltare il rumore della brezza che agitava i giunchi della prateria e gli ululati lontani dei lupi.
La figura si era avvicinata, e Mel poteva vederla bene in viso: Aseldor era esattamente come lo ricordava. Il tempo non aveva alterato i suoi lineamenti: duri, spigolosi e aspri come le rocce spazzate da quel vento selvaggio.
Da quando era diventato capo della sua tribù – molti inverni prima che Mel nascesse – non aveva mai perso una battaglia, e i suoi capelli lo testimoniavano: lunghi, lisci e lucenti, gli arrivavano alla vita. Mel aveva sempre voluto diventare come lui: forte, coraggioso e veloce. Eppure suo padre non l’aveva mai accettato.
Quando parlò, la sua voce era come un coltello che gli affondava nel cranio. «Tu hai il mio stesso sangue, sei cresciuto sotto il mio tetto, hai mangiato le prede che io cacciavo per te. Come hai potuto farlo, Meliorn? Come?» Il suo era lo sguardo che nessun padre dovrebbe mai riservare ad un figlio, per nessun motivo. Uno sguardo di delusione e di accusa, che bruciava sulla pelle come veleno.
Mel non aveva bisogno di chiedergli a che cosa si riferisse.
Non ti ho ucciso io, avrebbe voluto dirgli, è stato Arek, è stato tuo fratello! Ma gli sembrava di aver dimenticato come si facesse a parlare. Fu il suo corpo a rispondere, prima ancora che potesse capire come fermarsi: le mani di Mel si serrarono sull'elsa del suo pugnale d'osso, dono di Aseldor, lo sguainarono e, con un unico affondo, lo piantarono a fondo nel petto di suo padre.
Uno spruzzo di sangue caldo gli macchiò il viso mentre suo padre, stupefatto, fissava la lama spuntargli dal petto. Afferrò la spada debolmente e Mel la sfilò in un gesto deciso, osservando come il metallo lasciasse solchi sanguinolenti tra le dita di Aseldor. Il corpo si accasciò a terra e una chiazza scarlatta iniziò ad allargarsi tra l’erba.
Il vento continuava a flagellare i lembi del suo mantello. Si esaminò le mani: alla luce della luna, il sangue di suo padre sembrava nero.













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