- Fai il bravo, altrimenti viene l'uomo nero e ti porta via.-
Era una delle frasi più comuni usate dai genitori per far
stare buoni i loro figli, eppure Desmond non l'aveva mai sentita; non
da suo padre, almeno.
- Mamma, chi è l'uomo nero?- ricordava di averlo chiesto
quando aveva forse quattro o cinque anni, dopo aver sentito quella
frase da uno degli altri bambini alla Fattoria. Sua madre
aveva riso.
- Non aver paura Desmond, l'uomo nero non esiste.- gli aveva risposto.
- E allora perchè gli altri adulti ne parlano sempre?-
- E' solo un modo per far spaventare i bambini quando non vogliono
ascoltare i loro genitori.-
Sua madre lo aveva abbracciato, baciandolo sulla fronte.
- Tu hai sempre fatto il bravo, perciò non te lo abbiamo mai
detto.- di colpo lo aveva stretto a sè, con forza, quasi a
voler impedire a qualche invisibile aggressore di strapparglielo via.
- Nessuno ti porterà via. Nessuno.- aveva
concluso, a bassa voce. Desmond era rimasto in silenzio, non capendo il
tono improvvisamente serio della madre: aveva appena detto che l'uomo
nero non esisteva, di chi avrebbe dovuto avere paura?
C'era anche un'altra parola che Desmond sentiva spesso alla Fattoria,
una parola che stavolta sembrava preoccupare più gli adulti
che i bambini: "Abstergo".
Nonostante fossero una trentina scarsa di persone, c'era sempre
qualcuno alla Fattoria che parlava dell'Abstergo, e quando poco dopo
aveva imparato a leggere, aveva trovato la parola scritta sulla loro
cassetta del pronto soccorso. La scoperta lo aveva confuso: era di
questo che avevano paura gli adulti?
- Impegnati, Desmond!- la voce irata di suo padre lo raggiunse mentre
cadeva rovinosamente a terra dall'albero sul quale avrebbe dovuto
arrampicarsi. Desmond, dodici anni, si rialzò cercando di
prendere fiato.
- Io... io ci provo.- rispose, posando una mano sul tronco dell'albero
per sorreggersi. Alle orecchie gli arrivò il sospiro
spazientito del padre.
- Invece non ci provi affatto, Desmond. Lo vedo che non ti impegni.-
William Miles lo squadrò, le mani sui fianchi.
- Perchè non prendi l'allenamento sul serio come gli altri
ragazzi, Desmond? E' per il tuo bene, lo sai. Riprova. -
Desmond inspirò.
- No.-
disse, stringendo i pugni.
- Che cosa hai detto?- suo padre abbassò la voce, poco
più di un calmo sussurro, ma chiarissima al ragazzo che
aveva imparato da tempo ad associare quell'apparente calma con la
collera del genitore. La calma prima della tempesta.
- Ho detto che non voglio.- ripetè. Era la prima volta che
rifiutava.
- Pensi che tutto questo sia un'esagerazione?- la voce del padre
esplose dopo un breve, ma intenso, istante di silenzio.
- Pensi che viviamo nascosti e isolati dal resto del mondo per
divertimento? Questo non è un gioco, Desmond!- Il viso di
William Miles era contratto in una smorfia di rabbia, rabbia e
frustrazione per quel figlio che non voleva saperne di capire, di
accettare la verità.
- Non capisci? Se i Templari...-
- I Templari!- sbottò Desmond, senza riuscire a trattenere
una risata.
- Parli sempre dei Templari, ma non è mai successo niente...-
- E lo sai perchè?- William lo interruppe di nuovo, alzando
la voce e stringendo i pugni. Desmond si ritrasse leggermente dalla
figura paterna: suo padre non lo aveva mai picchiato, ma quando era
arrabbiato Desmond non poteva mai escludere che non lo avrebbe fatto.
- Perchè ci sono altri là fuori che rischiano la
vita per sviare i sospetti e far perdere le nostre tracce!-
Desmond scosse la testa alla sfuriata del padre, lo sguardo basso;
aveva sentito quelle parole decine di volte, per lui avevano ormai
perso qualsiasi significato... un attimo dopo però, William
lo sorprese posandogli una mano sulla spalla.
- Desmond, ascoltami.
Per una volta.-
Con una smorfia, il ragazzo obbedì, alzando lo sguardo e
fissandolo in quello del padre.
- Se ci scoprono, se un giorno per un malaugurato errore dovessero
attaccarci... devi essere pronto, Desmond. Loro non si fermeranno solo
perchè sei un bambino. Devi essere pronto a scappare, a
lottare per salvarti la vita.- il tono del padre era insolitamente
calmo, preoccupato, più una leggera sfumatura di qualcosa
che Desmond non riuscì a identificare.
- Perciò promettimi Desmond, che qualsiasi cosa
accadrà tu farai esattamente ciò che ti dico...
d'accordo?-
Il ragazzo deglutì e abbassò lo sguardo. Avrebbe
voluto credere a quelle parole, avrebbe voluto farlo con tutto
sé stesso, perchè suo padre suonava davvero
preoccupato, eppure... non ci riuscì. Per quanto a volte si
sforzasse, ormai non riusciva più a prenderlo sul serio.
- Va bene.- mormorò, a capo chino. Il padre sorrise incerto,
consapevole come lui di quanto poco valesse quella promessa.
- Bravo. Ricominciamo, forza.-
Aveva deciso d'impulso, anche perchè,
sinceramente, non si aspettava che il suo piano funzionasse. A notte
fonda aveva scavalcato la cancellata e si era tuffato verso la macchia
di alberi che circondavano la Fattoria. A quel punto aveva
semplicemente iniziato a correre alla cieca, spinto da un misto di
esaltazione e dalla paura di venire riacciuffato.
- Desmond! Desmond, torna indietro!- aveva sentito la supplica quasi
disperata di sua madre e aveva accellerato il passo, rifiutandosi di
voltarsi a guardare anche solo un attimo per paura di vedere le luci
accese e la figura della madre stagliata sulla porta, i capelli
scompigliati e lo sguardo orripilato di un genitore che vede il figlio
fuggire di casa.
No, doveva solo continuare a correre e tutto sarebbe andato bene;
finchè non si fermava, finchè il rumore dei
passi, dei rami spezzati e delle foglie secche copriva quello delle
grida che ancora sentiva risuonare non avrebbe dovuto preoccuparsi. Non
era eccezionalmente veloce, ma aveva una grande resistenza, dote che
suo padre aveva cercato di fargli sviluppare facendolo correre per
più di due ore al giorno da quando aveva 5 anni. Ora che
finalmente quell'addestramento che aveva preso a odiare fin dalla
tenera età gli tornava utile, Desmond sorrise all'ironia
della situazione; il sorriso si trasformò in una risata
sguaiata alla sensazione di inebriante libertà quando si
rese conto che le voci alle sue spalle erano cessate. Orano c'erano
solo lui e la foresta.
- Ehi Desmond! Come si chiama quel drink che mi hai fatto l'altra
volta?-
- Sharley Templar.-
- Sharley Templar? E cosa ci hai messo?-
- Il solito, più un po' di gin.-
- Era spettacolare! Daccene quattro!-
Desmond sorrise mentre si chinava a prendere lo shaker da dietro il
bancone. Gliene avevano messo in mano uno dal primo giorno di lavoro, e
aveva imparato a usarlo piuttosto in fretta. Dopo due anni che lavorava
lì, aveva ormai imparato anche tutti i piccoli trucchetti e
acrobazie con l'oggetto, che lo avevano reso piuttosto popolare al
locale: spesso i clienti chiedevano che fosse espressamente lui a
preparare loro i drink, e se era di turno solo nelle ore più
tarde, alcuni di loro preferivano addirittura aspettare che arrivasse
prima di ordinare. Si era fatto un cerchio di conoscenze piuttosto
ampio in quei nove anni, ma nessun amico. Per quanto cercasse di
convincersene, sapeva che nessuno dei clienti abituali del bar poteva
essere definito "amico".
- Ehi Des, noi andiamo un party. Il tuo turno è
quasi finito, no? Ti unisci a noi?-
Ci pensò su un attimo, poi scosse la testa.
- Nah, non mi va di uscire stasera.- rispose, afferrando uno
strofinaccio ed iniziando a pulire il bancone.
- La verità è che hai paura di fare una
figuraccia mentre balli come è successo l'altra volta, eh?
Ok, ok, ti capisco... ci si vede, amico.-
Salutò con un cenno il rumoroso gruppo che uscì
dal bar lasciandolo nel silenzio più assoluto, poi riprese a
pulire il bancone. Alzò lo sguardo per la seconda volta in
pochi secondi quando udì aprirsi la porta.
- Siamo chiusi.- annunciò, secco: il suo turno era finito,
se qualcuno entrava mentre era impegnato a pulire non era tenuto a
servirlo.
- ... lei è il signor Miles?- chiese una delle due figure
entrate: indossavano entrambi lo stesso giubbotto blu scuro e cappelli
con la visiera; scrutandoli per un istante si
sentì improvvisamente a disagio, pur senza riuscire a
spiegarsi il perchè, oltre al fatto che i due sembravano
conoscerlo.
- ... nel caso lo fossi?- chiese, lentamente, passando lo sguardo
dall'uno all'altro. Uno dei due uomini alzò appena la
visiera del cappello, lanciandogli un'occhiata affatto divertita.
- Desmond
Miles?- chiese solo, per avere conferma. L'inquietudine
aumentò. Lo stavano cercando, lo conoscevano. Ma chi poteva
essere interessato a lui?
- Cosa volete da me?- chiese, uscendo da dietro il bancone. I due lo
precedettero e si spostarono davanti alla porta, bloccandogli la via di
fuga.
- Dovrebbe essere così gentile da seguirci, signor Miles.-
l'agente infilò una mano nella tasca interna del giubbotto,
e fu in quel momento che notò il marchio stampato in bianco
sulla manica. Tre trapezi disposti a formare un triangolo bianco e,
sotto, la scritta "Abstergo."
Rimase a fissarla, impietrito. Non poteva essere. Doveva essere un
caso. Non potevano essere sulle sue tracce per quello... l'Abstergo era
una ditta farmaceutica, per l'amor del cielo, le ditte farmaceutiche
non pedinavano le persone per poi... per poi cosa? Cosa gli avrebbero
fatto?
"Loro non si fermeranno
solo perchè sei un bambino."
Scattò quasi senza rendersene conto, rifilando una spallata
all'agente davanti a lui e lanciandosi verso la porta: l'importante era
uscire, e una volta fuori, fare quello che gli riusciva meglio,
correre...
La convinzione di potercela fare durò meno di un istante,
quando il secondo agente gli sferrò un colpo alla mascella
con il calcio della pistola estratta dalla giacca.
Cadde a terra bocconi, troppo stordito per reagire. Quando lo tirarono
in piedi a forza riuscì a riscuotersi abbastanza da agitarsi
debolmente, ma un pugno allo stomaco lo fece desistere. Rimase inerte,
senza fiato, mentre lo bendavano e trascinavano verso una macchina
parcheggiata davanti al locale. Non riuscì a muoversi
nemmeno quando lo spinsero rudemente sul sedile posteriore, dove
atterrò di faccia. Rimase immobile anche quando la macchina
si mise in moto, nelle narici l'odore intenso di polvere tipico delle
macchine vecchie.
Da piccolo non aveva mai avuto paura dell'uomo nero di cui tanto
parlavano gli altri bambini. Sua madre gli aveva detto che era una
finzione e la storia era finita lì. Suo padre invece, per
tutti quegli anni, aveva cercato di metterlo in guardia contro altri
mostri. Non si nascondevano sotto il letto, tantomeno nell'armadio, non
avevano occhi rossi o lingue biforcute. Erano antichi e potenti e si
nascondevano ovunque, proprio come gli aveva sempre detto suo padre. Ma
Desmond non gli aveva mai prestato ascolto.
E ora, per punizione, i mostri lo avevano portato via.
"La prossima fic che
scrivo sarà sugli antenati, sì."
...
LOL, nope.
:°D
L'idea di una fic sul momento in cui Desmond viene catturato
dall'Abstergo mi è venuta a notte fonda qualche
giorno(notte?) fa. L'idea includeva anche il motivo per cui ho deciso
di inserire tutta la storiella dell'uomo nero, ma non lo ricordo. Avevo
sonno, pazienza. xD
E fu così che Desmond venne catturato dall'Abstergo
perchè non sapeva ballare.
ù___ù
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