Note
dell'Autrice: Che questa volta non ha niente da dire. Signori
e signori, sì, capita anche ai migliori.
- Durante la seconda visita di Harry al San Mungo, ad
accompagnare lui e gli altri ragazzi sono Moody e Remus. Tonks
è assente. Mi sono presa una piccola licenza narrativa e ho
cambiato questo particolare.
- Ci sono numerosi riferimenti alla cultura Babbana.
Tonks, dopotutto, è figlia di un NatoBabbano e J.K. Rowling
ha affermato che Remus è un Mezzosangue.
- Partecipa al contest The
Canon Lovers indetto da ornylumi.
*
Bicchieri
di carta e bottiglie di vetro
«Ehilà».
Remus
sollevò gli occhi dalla punta delle proprie scarpe. Tonks
era
appoggiata allo stipite della porta della stanza di Arthur con le
braccia incrociate e un cipiglio vagamente preoccupato. Le sue labbra
sottili si arricciarono in un sorriso consolatorio.
«Cos'è
successo?».
Lui
distolse lo sguardo e iniziò a scrutare distratto le pareti
di
quercia del Reparto Dai “Pernicioso” Llewellyn. La
luce soffusa
di quel posto e l'esubero di ritratti appesi lo aveva sempre
infastidito – o forse era solo il San Mungo, forse era tutta
una
convinzione dovuta alle decine di volte in cui suo padre ce lo aveva
portato in braccio, sanguinolento o privo di conoscenza, e l'unico
aiuto che aveva ricevuto era stato: “Signor Lupin, suo figlio
è un
Lupo Mannaro. Qui non possiamo curarlo”.
«Nulla».
«Sai
che succede quando qualcuno si ostina a tenersi tutto dentro?
Esplode. Bum!».
Il suo urlo
attirò l'attenzione di un Guaritore dalla faccia cavallina
che
rivolse loro una torva occhiataccia. «Signori e signore,
affrettatevi ad assistere a Remus Lupin, l'uomo d'artificio. Bum!
Bum!».
Remus
cercò di sorridere, ma tutto ciò che ottenne fu
una smorfia cupa.
Sul suo volto era calata un'ombra altrettanto penosa. Tonks si
agitò
esasperata, gli piantò le unghie nel avambraccio e lo scosse
con
veemenza.
«Ehi,
non fare quella faccia o ti prendo a calci».
«Buon
Dio, e quale faccia starei facendo?».
«La
faccia da “ehilà, sono un famelico Lupo Mannaro e
sto digerendo un
bambino di nome Chuck Banks”.
Remus
aprì la bocca per replicare al suo sfrontato umorismo, ma
poi si
immobilizzò con aria assente e la fissò in
silenzio. Il suono roco
che risalì la sua gola si trasformò rapido in
un'irrefrenabile
risatina. Si coprì il volto con una mano e si
appoggiò alla parete,
mentre Tonks lo scrutava confusa.
«Chuck...
Chuck Banks?» le chiese divertito.
«Che razza di nome è
Chuck Banks?».
Comprendendo
il motivo di quell'inaspettata ilarità, Tonks
scoppiò in una risata
cristallina talmente fragorosa da far sobbalzare il Guaritore.
Quello si volse con un grugno arcigno e sollevò un dito con
aria
minacciosa.
«Questo
è un reperto di malati»
intimò seriamente loro. «Abbiate
rispetto».
«Siamo
costernati. Ci perdoni» si scusò con tono contrito
Remus, ma
sfoggiava un sogghigno malandrino per nulla credibile. «Ce ne
andiamo immediatamente».
Appoggiò
la mano sulla schiena di Tonks e la sospinse con delicatezza lontano
dal reparto Llewellyn, con gli occhiacci del Guaritore puntati
addosso. La gente rivolgeva loro sguardi perplessi, così
affrettarono il passo.
«Tu
sapevi che c'era gente malata,
qui?» commentò vivacemente Tonks.
«Accidenti, io ero venuta per
vedere gli Unicorni».
Remus
scoppiò nuovamente a ridere.
«Sei
incorreggibile».
«Io?
Eh, no. Qua c'è gente malata.
Checché possa dire il dottor Frankenstein là
dietro, la gente
malata ha bisogno di ridere. Ha capito, signora?»
apostrofò a una
strega depressa con una mano incastrata in una grossa teiera.
«Rida
della sua sventura, suvvia. Se a mangiarle un braccio fosse stato...
non saprei, diciamo una scarpiera?
Ecco, in quel caso capirei la sua espressione funerea. Al Quartier
Generale degli Auror stiamo diventando matti per arrestare tutte le
scarpiere cannibali ancora in circolazione».
Le
sopracciglia della donna schizzarono verso l'alto. Assunse
improvvisamente un'aria piuttosto intimorita. Remus si morse il
labbro inferiore per non ridere ancora, afferrò Tonks per le
spalle
e la sospinse con più decisione verso l'ingresso.
«Non
riescono a far svanire gli effetti dell'Incanto Confundus»
spiegò
accorato, enfatizzando le proprie parole con un eloquente gesto
dell'indice sulla tempia. «Sarà mia premura
accertarmi che venga
internata a vita, non
si preoccupi».
Le
loro risate non si placarono fin quando non furono usciti
dall'ospedale. Tonks si accasciò sul marciapiede accanto
alla
vetrina di Purge & Dowse e affondò le mani nei
capelli.
«Oh,
Tosca... ma l'hai vista? Una teiera! Si è fatta mangiare la
mano da
una teiera!».
«Non
è educato ridere delle disgrazie altrui».
«Ma
quella si è fatta mangiare la
mano dalla teiera!».
Remus
inarcò un sopracciglio con un sorrisetto scaltro.
«Beh,
tu continui a inciampare imperterrita nel portaombrelli di Grimmauld
Place. Dovresti iniziare a valutare la possibilità che un
giorno
possa azzannarti una gamba».
Tonks
si finse risentita e gli sferrò un calcio al polpaccio
destro. Remus
si lasciò sfuggire un'esclamazione sorpresa e rise di nuovo.
Poi si
sedette accanto a lei, intrecciò fra loro le dita ed
entrambi
rimasero in silenzio per qualche secondo.
«Ti
va un caffè?» propose d'un tratto Tonks.
«C'è un chiosco
ambulante proprio dall'altra parte della strada».
«Volentieri».
Il
proprietario era un grosso omone con due possenti baffi neri e la
pelle scura. Indossava una sformata t-shirt unta, ma a giudicare
dall'espressione estasiata che comparve sul volto di Tonks, la stampa
era il simbolo di una band musicale di suo gradimento.
«Ascolta
i Judas Priest!» declamò con un sorriso
smagliante. «Porca
miseria, Remus, il signore che ci fa i caffè ascolta i Judas
Priest!
Signore del caffè, le hanno mai detto che ha un sacco di
buon
gusto?».
L'uomo
sbatté le palpebre un paio di volte, poi si diede una forte
manata
sulla pancia e scoppiò in un grassa risata.
«È
una vecchia maglietta di mio figlio».
Tonks
parve un poco delusa, ma non abbastanza da perdere la voglia di
chiacchierare a ruota libera. Schioccò le dita a mezz'aria e
gli
fece l'occhiolino.
«Il
padre di un figlio così mitico
da ascoltare i Judas Priest deve comunque avere un sacco di buon
gusto. Scommetto che a casa ha almeno un paio di calzettoni dei
Rolling Stones. E una bella borraccia piena di lustrini dei Kiss,
magari».
Incapace
di soffocare il centesimo risolino della mattinata, Remus si
massaggiò le palpebre e indicò un gigantesco
thermos.
«Ce
ne servirebbe gentilmente due? E se non è chiedere troppo,
potrebbe
aggiungere un goccio di latte in uno di loro?».
«Tu
prendi il caffè con il latte?» domandò
stupefatta Tonks. «E da
quando?».
«È
il tuo, quello con il
latte».
«Oh...
ma tu lo hai
ordinato».
«Sì...»
rispose piano Remus. «Perché tu
lo
prendi sempre con il latte».
«Come
lo sai?».
Le
mostrò i palmi con aria incredula.
«Facciamo
colazione insieme da almeno sei mesi».
«Giusto»
disse semplicemente Tonks, scuotendo pensierosa il capo.
«Cavolo,
Remus, che capacità di osservazione. Io ti ho visto un sacco
di
volte bere il tè, ma non ricordo cosa tu ci metta
dentro».
«Non
ci metto dentro niente».
«Ed
ecco spiegato perché non ricordassi cosa ci metti
dentro» esclamò
vittoriosa. Afferrò il bicchiere che l'uomo del chiosco le
stava
tendendo, infilò una mano nella tasca posteriore dei jeans e
poi
fece una smorfia. Guardò Remus di sottecchi e
tossicchiò
imbarazzata: «Ho solo falci e zellini...».
Remus
pagò i caffè tre sterline e le propose di
accomodarsi su una
panchina rivolta verso Purge & Dowse, in attesa che la signora
Weasley e i ragazzi uscissero dal San Mungo. Tonks si sedette sul
bordo dello schienale e iniziò a picchiettare i grossi
anfibi neri
l'uno con l'altro. Remus la guardò di sottecchi e
portò il
bicchiere di carta alle labbra per nascondere un sogghigno
inopportuno.
Quel
giorno i suoi capelli erano di un comunissimo castano scuro, ma
indossava un paio di jeans stracciati sulle ginocchia (aveva perfino
le calze spaiate) e un paio di scarponi di pelle di drago; lui aveva
dovuto rattoppare i gomiti del vecchio completo da uomo appartenuto a
suo padre. Gli orli dei polsini erano ormai del tutto sfilacciati.
Dovevano apparire davvero una buffa fotografia: due emisferi
completamente diversi che bevevano caffè nei bicchieri di
carta.
«Chi
è Chuck Banks?» le chiese con istintiva
curiosità.
Colta
alla sprovvista, Tonks rischiò di soffocare con il
caffè. Le sue
gote si tinsero di un acceso rossore che fece apparire ancora
più
chiara la sua carnagione.
«Nessuno»
negò con troppa rapidità.
Remus
sogghignò.
«Davvero?».
«Giuro».
«Come
non crederti?».
«Lo
giuro sui Judas Priest».
«Sei
una tremenda bugiarda» la derise.
Tonks
si mordicchiò l'interno della guancia. Il tono della sua
voce
ricordava quello di una rea confessa per omicidio.
«Era
un ragazzo di Corvonero. Un abissale idiota di
Corvonero.
Siamo... usciti insieme per qualche tempo dopo i M.A.G.O.».
«“Usciti
insieme” è un resoconto letterale o è
solo un tentativo di
nascondere il fatto di essere stata fidanzata con un –
perdona la
testuale citazione – abissale idiota di Corvonero?».
Tonks
strinse le labbra, chinò il capo e ridacchiò
appena.
«Va'
al diavolo, Remus».
«“Tonks
e Banks”» continuò lui imperterrito.
«Sembra il nome di un
discount di articoli da pesca».
Lei
gli colpì la spalla con un pugno leggero, ma sembrava
particolarmente divertita.
«Senti
chi parla. Scommetto che nascondi un sacco di relazioni sentimentali
finite nel cesso».
«Cose
te lo fa credere?».
«Non
so...» si finse pensierosa. «Forse una storia che
ho sentito su una
tizia di nome Lavinia».
Remus
trasalì come se lei avesse brandito una frusta incendiata
contro di
lui. La scrutò sconcertato, scuotendo impercettibilmente il
capo.
Poi sul suo volto comparve una luce di comprensione.
«Te
l'ha detto Sirius».
Tonks
sghignazzò sotto i baffi.
«Per
cortesia, ricordarmi di ucciderlo» aggiunse tetro.
«Quanti
particolari imbarazzanti ha infilato in mezzo a questa penosa storia
del mio passato?».
«Centinaia,
Remus, centinaia...».
«Gli
sono grato di averne omesso qualcuno».
Lei
lo studiò con profondo interesse e appoggiò il
mento al palmo della
mano.
«A
giudicare dalle smorfie che stai facendo, questa Lavinia era peggiore
di Chuck “Ravanello” Banks».
«Primo:
Lavinia è stata l'equivalente femminile della decima piaga
d'Egitto,
del disastro di Sodoma e Gomorra e dell'Apocalisse.
Contemporaneamente». Tonks
ridacchiò e lui proseguì:
«Secondo: non ho la minima intenzione di dirti oltre,
perché
preferisco conservare quel poco di dignità che
quell'esperienza mi
ha lasciato. E terzo: non desidero in alcun modo sapere cosa mai
possa aver portato il simpatico Chuck Banks a meritarsi l'appellativo
di “Ravanello”».
«Non
è vero, stai morendo dalla voglia di scoprirlo».
«Nemmeno
per sogno».
«E
invece sì» lo stuzzicò Tonks.
«Te lo dico solo se tu mi dici che
fine ha fatto Lavinia».
Remus
inarcò un sopracciglio.
«Sirius
non te l'ha detto?».
«No»
si lamentò lei. «Molly lo ha interrotto
perché in cucina c'era
anche Ginny».
«Ginny
era...?» pigolò sconfortato,
passandosi una mano sul volto.
«Questo lo aggiungerò all'infinita lista dei buoni
motivi per cui
Sirius Black dovrebbe rimanere fuori dalla mia vita: “Si
diverte a
raccontare le mie umiliazioni sentimentali in presenza di
un'ex-studentessa”».
«E
di Molly. Non puoi immaginare quanto fossero divertenti le sue facce.
“Per la gorgiera di Merlino, Sirius! Non posso credere che il
caro
Remus abbia fatto una cosa del genere!”. La tua buona
reputazione è
perduta per sempre, Remus, mi spiace».
«Sono
cresciuto con Sirius Black e James Potter: l'unica reputazione che mi
hanno lasciato è una reputazione cattiva,
fidati».
«È
a causa della tua mancata buona reputazione che ti sei infilato in
relazioni autodistruttive con donne dai nomi discutibili?».
Remus
sorseggiò lentamente dal proprio bicchiere e
osservò con fare
distratto l'andirivieni di gente che attraversava la strada. Un
allampanato mago con un paio di scarponi da sci e uno scolapasta in
testa si affrettò a svanire oltre la vetrina magica.
«Lavinia
non era autodistruttiva» commentò vago.
«Era solo un po'...
complicata».
«Sirius
ha detto che era una Vampira».
«Questo,
in effetti, era ciò che la rendeva complicata».
Tonks
lo fissò con gli occhi sgranati e la bocca dischiusa in una
muta
esclamazione di sorpresa.
«Credevo
fosse uno scherzo di Sirius».
«Ah...
no, temo non lo sia».
«Sei
andato...?» biascicò confusa. Poi
iniziò a ridacchiare. «Porca
miseria! Sei stato davvero con una
Vampira!?».
«Devo
confessarti una cosa, Ninfadora, ma devi giurarmi che manterrai il
segreto» replicò lui, nascondendo un sogghigno
divertito fra le
dita. Le fece cenno di chinarsi e avvicinò la bocca al suo
orecchio.
«Io sono un Lupo Mannaro».
Lei
si morse le labbra nel tentativo di soffocare una risata, si
rialzò
e gli sferrò un pugno un po' più forte del
precedente.
«Ahi»
si lamentò appena Remus. «Screanzata».
«Idiota»
ribatté svelta. «Bevi il tè, fai le
parole crociate sul giornale e
porti la cravatta. Sei un Lupo Mannaro di serie B, rassegnati: Judy
Garland nella terra di Oz era più spaventosa di te.
È ovvio
che io mi stupisca di scoprire che sei andato a letto con una
Vampira».
«E
scurrile. Screanzata e scurrile».
Tonks
inclinò pensierosa il capo e iniziò a
picchiettare i polpastrelli
sul bicchiere di carta. Remus scorse una luce pericolosamente
maliziosa nei suoi occhi scuri.
«Ehi,
cosa si prova ad andare a letto con un Vampiro?».
Lui
si coprì il volto con una mano e sbuffò
esasperato.
«Questa
conversazione sta degenerando. Non ho intenzione di parteciparvi
oltre».
«Ma
sono curiosa».
«Posso
ben capirti, ma non parlerò delle mie...»
roteò una mano a
mezz'aria alla ricerca delle parole più adatte.
«Delle
tue perverse storie di sesso? Che peccato, non vedevo l'ora di
scoprire come funziona fra i Vampiri. Ehi, mordono anche
mentre...?».
«Basta».
«E
cosa si prova a fare sesso con un Lupo Mannaro?».
Remus
iniziava ad avvertire un imbarazzante rossore in volto.
«Ho
giurato molti anni fa che non avrei mai risposto a simili
quesiti».
Esalò
un sospiro di sollievo nel vedere Molly e Moody comparire d'un tratto
davanti alla vetrina di Purdge & Dowse in compagnia dei
ragazzi.
Stava per sollevare un mano per attirare i loro sguardi, quando Tonks
portò l'indice e il pollice alle labbra ed emise un fischio
acuto
che lo fece sobbalzare.
«È
una fortuna che Alastor ti abbia rimproverato giusto questa mattina
di non attirare troppo l'attenzione».
«Ehi,
ho i capelli marroni» tagliò
corto lei con aria disgustata.
«Non esageriamo con la vigilanza costante».
Saltò
giù dallo schienale della panchina con un guizzo agile, ma
appoggiò
male il piede sinistro. Con uno slancio altrettanto repentino, Remus
la afferrò al volo per un braccio e la tenne stretta qualche
secondo.
«Sai,
Ninfadora...» mormorò con voce roca nel suo
orecchio. «Non sono
abituato alle donne che cadono ai miei piedi dopo un solo
caffè».
Lei
gli piantò il gomito in un fianco.
«Fottiti,
professor Lupin» sibilò con un sorriso allegro.
«Il mio nome è
Tonks».
Furono
entrambi molto lieti di scoprire che i tentativi di Arthur e del
giovane Guaritore Tirocinante Pye di sfruttare la medicina Babbana
non avevano causato problemi insanabili al tremendo morso di Nagini.
Nonostante ciò, Molly era ancora furibonda con il marito e
nessuno
fu in grado di placarne lo spirito battagliero fino a quando
l'automobile guidata da Mundungus non si fermò davanti al
numero
dodici di Grimmauld Place.
I
ragazzi si dileguarono nelle loro stanze e Remus e Tonks seguirono
Molly nella cucina. Di Sirius si riuscivano a vedere solo le mani che
stringevano la Gazzetta del Profeta e i piedi appoggiati sulla
tavola.
«Sirius!
Giù!» lo ammonì
Molly con piglio deciso.
Mentre
Remus e Tonks gli si sedevano accanto, lui abbassò appena il
giornale e sfoggiò un sorrisetto sfrontato.
«Bau
bau» scherzò, ma si mise comunque a
sedere in una posizione più
composta. «Come sta Arthur?».
«Non
abbastanza bene da poterlo strangolare» replicò
secca lei,
appoggiando la borsetta al tavolo. «Bill è ancora
qui?».
«Ti
aspettava. Credo sia in soggiorno insieme alle planimetrie del
Ministero. Parola mia, Molly, quel ragazzo si sta innamorando di
quelle cartacce. Sospetto che ci nasconda in mezzo riviste
pornografiche».
La
donna gli lanciò un'occhiata incendiaria, ma c'era un blando
sorriso
sul suo volto paffuto. Quando se ne fu andata, Sirius
abbandonò la
Gazzetta del Profeta, intrecciò le braccia dietro la testa e
guardò
il proprio amico con aria interrogativa.
«Che
ha combinato Arthur? Si è fatto sfilare gli intestini per
farsi una
corda da saltare Babbana?».
«Ha
cercato di farsi ricucire».
«Ricucire?»
ripeté Sirius con la fronte aggrottata. Poi
guardò Tonks.
«Ricucire... con cosa?».
«Punti
di sutura» spiegò tetramente lei.
«È un espediente Babbano per
risanare le ferite più gravi: ti staccano la carne da una
chiappa,
la stendono su un pezzo di legno, la allungano con un mattarello e
poi ti fanno un adorabile berrettino. Il pon pon
è fatto di
peli umani. A volte ti fanno scegliere da quale parte del tuo corpo
preferisci vengano presi» si interruppe per grattarsi
distratta la
nuca. «Avevo un zio di nome Abraham che si fece fare una
bombetta di
soli peli ascellari. Non puoi immaginare quanto gli costasse
mantenerlo a deodorante».
Sirius
assottigliò gli occhi e si voltò nuovamente verso
Remus, che
ridacchiava sotto i baffi.
«Qualcuno
gradisce del tè?» propose vago.
«Aggiungici
un vassoio di biscottini appena sfornati e sarai declassato a Lupo
Mannaro di serie C» ridacchiò Tonks.
«Declassato
a serie C? E quando mai Remus è stato un Lupo Mannaro di
serie B?»
rincarò Sirius. «Oggi mi sento caritatevole: lo
propongo per la
serie D».
«Credi
abbia mai azzannato le gambe di qualcuno?».
«Sì,
quelle del tavolo della Stamberga Strillante».
«Niente
particolari sanguinosi, niente storie truculente...»
elencò lei.
«Porca miseria, Remus. Sei veramente noioso».
Sbuffando
sonoramente, Remus accese la fiamma sotto il bollitore e
fissò
entrambi con le braccia incrociate e un sopracciglio alzato.
«Se
siete tanto interessati all'argomento, vi suggerisco di attendere un
paio di settimane: sarò lieto di mostrarvi la dinamica di un
Lupo
Mannaro che sbrana due sciocchi pettegoli».
«E
usa vocaboli come “lieto” e
“dinamica”» riprese Sirius con
foga crescente. Scosse la testa e rivolse a Remus uno sguardo deluso.
«Ma quale Creatura Oscura è mai
questa?».
«È
non è tutto» gli fece eco Tonks. «Ci ha
chiamato “sciocchi
pettegoli”. Altroché zanne, di questo passo lo
vedremo scendere a
colazione con un cappellino floreale, una sottogonna di pizzo e uno
stupido Yorkshire in braccio».
Sirius
scoppiò in una rimbombante risata.
«Diavolo,
te lo immagini!? “Felice mattinata a voi tutti, cari amici
miei”»
disse, arrangiando una ridicola voce in falsetto e fingendo di
salutare un pubblico invisibile come una nobildonna d'altri tempi.
«“Non riuscirete mai a credere cos'ho potuto fare
quest'oggi al
punto croce”».
«“Oh,
caro, questa tua nuova acconciatura alla coda a ciuffo è sublime”».
Tonks rideva così tanto che i capelli avevano preso a
cambiare
colore da soli. Ora erano di un vivace arancione.
«“Ti slancia
come una principessa!”».
Remus
benedisse l'improvviso bussare alla porta che interruppe il loro
demenziale teatrino. Harry si affacciò sull'uscio e li
scrutò con
leggero imbarazzo.
«Disturbo?».
«Non
dirlo nemmeno per scherzo» lo rassicurò con un
sorriso
incoraggiante Remus, mentre spostava il bollitore dalla fiamma.
«Si
stavano solo divertendo alle mie spalle».
«Alle
sue spalle?» ripeté perplesso il ragazzo.
«Beh,
Harry, hai mai sentito di un Lupo Mannaro che beve tè e
porta la
cravatta?» puntualizzò sfacciato Sirius.
Sul
viso di Harry comparve un'espressione insolitamente malandrina. Si
grattò pensieroso il mento e rispose divertito:
«Beh,
Sirius, c'è il professor Lupin che sta facendo il
tè nella tua
cucina. Fra l'altro, professore: bella cravatta».
Tonks
scoppiò a ridere con un ululato dirompente e
affondò la testa fra
le braccia incrociate. Remus, altrettanto divertito, fu costretto ad
appoggiare il bollitore per evitare di rovesciarlo. Sirius
sghignazzava con affetto verso Harry.
«Sei
proprio il degno figlio di Prongs, non c'è che
dire».
«Di
Prongs?» s'intromise dubbioso Remus, mentre afferrava un paio
di
tazze dalla mensola. «Temo di dover dissentire. Metterti a
tacere
con sagacia lo rende il degno figlio di Lily. Gradisci del
tè,
Harry?».
Il
giovane sorrise appena, infilò nella meni nelle tasche e
fece un
cenno di diniego con la testa.
«Speravo
di poter parlare con te, veramente» disse a Sirius. Parve
d'un
tratto molto a disagio. «Ecco... soli».
L'atmosfera
allegra e frizzante della cucina si fece tesa. Sirius e Remus si
scambiarono un'occhiata preoccupata. Tonks schioccò la
lingua con
aria battagliera.
«Ehi,
Harry, non ci saranno mica ancora problemi con il Ministero? Quelli
lasciali a me: mi piace prendere a calci nel sedere le
autorità».
«Oh...
no. Non è il Ministero».
Sirius
si alzò in piedi e gli fece un rapido occhiolino.
«È
ora dello spuntino di metà pomeriggio di Fierobecco, ti va
di
accompagnarmi?».
«Benissimo».
«Problemi
di ragazze, eh?».
Harry
arrossì fino alle orecchie come una barbabietola. Remus
alzò la
testa dalla tazza di tè sulla quale stava soffiando e disse:
«Buon
Dio, Harry, so che Sirius è il tuo padrino, ma ti suggerisco
di non
ascoltare i suoi consigli per quanto concerne la sfera femminile.
Fidati. Potresti pentirtene per tutta la
vita».
«È
colpa di Sirius se sei finito con una Vampira di nome
Lavinia?»
domandò con candore disarmante Tonks.
«Ehi,
ehi, ehi» ribatté Sirius. «Diamo a
Merlino quel che è di Merlino:
nel mortale casino che passerà ai posteri come “la
peggiore idea
di sempre” quel genio ci si è infilato da solo. Io,
e
sottolineo io, fui il disgraziato che lo
tirò fuori dai guai
prima che quella folle lo dissanguasse. Se c'è una persona
in questa
stanza che non dovrebbe permettersi di dare
consigli sulle
donne, quella persona risponde al nome di Remus».
«C-cosa?»
balbettò titubante Harry.
«Puoi
giurarci, Harry, quell'uomo è una calamita per disastri
amorosi.
Devo forse ricordarti di Eloise?».
«Oh,
e chi era Eloise?» chiese con morbosa curiosità
Tonks. «Una Gnoma?
Una Sirena? Una teiera?».
Remus
sorseggiò placido un sorso di tè.
«Tralasciando
il dettaglio che si chiamava Elmira, e non Eloise, vorrei ricordarti
che è stato un tuo disastro amoroso. Non
mio».
Sirius
aprì la bocca
per dire qualcosa, ma si interruppe. Si passò una mano sul
mento e
rimase con lo sguardo perso nel vuoto qualche secondo.
«Accidenti»
commentò
poi. «È vero. Usciva con me, non con te. Beh,
aveva buon gusto».
Sirius
sospinse Harry
fuori dalla cucina e si richiuse la porta alla spalle. Remus
afferrò
la Gazzetta del Profeta e ne lesse distrattamente la prima pagina.
«Non
mi hai ancora
raccontato di Lavinia».
Le
labbra dell'uomo si
arricciarono attorno al bordo della tazza.
«E
non lo farò».
«Vorrà
dire che
stasera ti porterò a bere qualcosa, ti farò
ubriacare in modo
subdolo e impietoso e ti strapperò ogni più
sordido dettaglio».
«Sono
onorato
dall'offerta, ma temo di dover rifiutare».
«Per
favore?».
Remus
la guardò. Con
quei capelli arancioni sembrava una lampadina, ma aveva la stessa
espressione supplichevole di una bimba davanti a una vetrina di
giocattoli. A modo suo, era innegabilmente adorabile.
«Oh,
dai, Remus...» continuò con veemenza.
«Stasera sono a cena dai
miei genitori e questo significa che uscirò a
pezzi da
qualunque
argomento verrà tirato in ballo da mia madre.
Avrò bisogno di
ridere, capisci?».
«Avrai
bisogno di
ridere delle mie disgrazie?».
«Oh,
sì... sarò in
lacrime».
Lui
sospirò. L'idea di
trascorrere la serata in compagnia di Tonks era allettante. Lei era
una carica di dinamite piena di vivace umorismo e doveva ammettere di
non aver mai riso nei precedenti quindici anni quanto negli ultimi
sei mesi trascorsi in sua compagnia. Sapeva vedere il lato divertente
anche negli aspetti più tetri e la sua risata era dirompente
e
coinvolgente. Tutto, in lei, era dirompente e coinvolgente.
«D'accordo»
acconsentì d'impulso. «Ma non sarà
facile per te convincermi a
parlare di Lavinia e dei suoi canini».
Aveva
la sensazione di aver appena commesso un tremendo errore, ma non
riusciva a rendersi conto di quanto
grosso
fosse.
*
«E
così...».
Remus
alzò lo sguardo dalle pagine di una vecchia copia tascabile
di
Delitto
e castigo
e scrutò Sirius con un sopracciglio inarcato. Il rampollo
della
nobile casa dei Black era stravaccato su una delle poltroncine
dell'elegante salotto, con le gambe accavallate l'una sull'altra e un
calice raffinato pieno di vino elfico in mano. Sorrideva vago, ma
Remus conosceva fin troppo bene quell'espressione ingannevole.
«Cosa
c'è?».
«Niente»
replicò in fretta lui. «C'è qualcosa in
particolare di cui dovrei
voler parlare stasera? Non saprei... i Cannoni sono riusciti a
vincere una partita? Il Ministero Caramell è stato
finalmente
divorato dalla sua orrenda bombetta? Nemmeno, eh?». Fece un
drammatico sospiro. «No, temo proprio di non aver niente da
dire.
Già... a meno che tu
non abbia qualcosa da dire».
«Non
ho niente da
dire».
Sirius
emise un verso
che poteva voler dire solo una cosa: “va' a quel
paese”. Remus lo
ignorò e tornò a immergersi nella lettura.
«Oh,
andiamo, Moony... parla
con me».
«No».
«Gli
anni trascorsi a
bighellonare senza meta ti hanno reso un dannato bastardo».
«Probabilmente».
«Il
fatto che tu non
voglia confidarti con me mi rattrista molto».
«Me
ne farò una
ragione».
«Sei
diventato
mortalmente noioso».
«Me
lo ripeti da
anni».
«Non
è vero» lo
corresse Sirius. «Io ho sempre detto che eri
“terribilmente
noioso”. Ora ti sei evoluto al livello superiore: quello
“mortale”».
Con
un lungo sospiro rassegnato, Remus richiuse il libro e gli fece cenno
di dire qualsiasi cosa volesse dire. Gli anni avevano logorato con
durezza i ragazzi che erano stati un tempo, ma c'erano
caratteristiche di entrambi che non avrebbero mai potuto scomparire.
E Remus sapeva per esperienza che l'unico modo di vedere Sirius muto
era che diventasse narcolettico e si addormentasse di colpo nel
soggiorno.
«E
così...».
«Hai
già ottenuto la
mia attenzione per sfinimento, non c'è bisogno di
ricominciare
dall'inizio».
«E
così esci con
Tonks, stasera».
Remus
rimase
impassibile. Se l'era aspettato – non avrebbe potuto
aspettarsi
diversamente. Non credeva tuttavia di potersi sentire ancora a
disagio in compagnia delle mordaci allusioni di Sirius. Non avevano
più sedici anni, eppure l'amico sembrava aver conservato
l'abilità
di metterlo immancabilmente nel sacco. Era sempre stato
così, fra
loro due: Sirius proponeva una follia, Remus cercava di convincerlo a
desistere e alla fine era lui, quello responsabile e maturo del
gruppo, il primo che metteva in atto i loro piani malandrini.
«Qualunque
cosa tu
stia pensando, Padfoot, è la cosa sbagliata».
«Come
fai a sapere a
cosa sto pensando?».
Remus
gli rivolse
un'occhiata eloquente.
«Oh,
va bene, hai
ragione» riprese Sirius. «Ma non è
sbagliata».
«Certo
che lo è».
«Bugiardo.
Lei ti
piace».
«Era
questo,
ciò
a cui stavi pensando?» replicò Remus con teatrale
stupore.
«Davvero? Credevo fossimo in procinto di disquisire sulle
controversie dell'Inquisizione spagnola del XV secolo».
«Quella
risparmiala nel caso dovessi restare senza argomenti umani
di cui parlare al tuo appuntamento con Tonks».
«Non
è un
appuntamento».
«La
stai aspettando»
commentò con tono inequivocabile Sirius, scolando di colpo
il
contenuto nel bicchiere e allungandosi verso il tavolino per
afferrare la bottiglia.
«Certo
che la sto
aspettando».
«La
stai aspettando perché
avete
intenzione di
uscire».
«O
forse perché
la
tua compagnia è seccante».
Sirius
scoppiò in una
risata profonda che rimbombò nella stanza come un feroce
latrato.
«Vorrei
ben vedere: io
non ho le tette».
Remus
chiuse
stancamente gli occhi, ma Sirius incalzò subito:
«Inoltre
sei vestito».
«Avrei
forse dovuto
presentarmi nudo?».
«Avrebbe
generato un
sacco di argomenti più allegri dell'Inquisizione
spagnola» ghignò
apertamente. «Quello che intendevo è che... beh,
questa volta sei
vestito... normale».
Sulla
faccia di Remus
comparve una smorfia infastidita.
«Normale...
certo.
Difatti è noto a tutti che sono solito andare in giro
vestito come
Freddy Mercury nel videoclip di “I want to break
free”».
Sirius
storse il naso
senza capire.
«Di
che diavolo stai
parlando?».
«Lascia
stare».
«Sai
che ti odio
quando citi dettagli Babbani con il solo intento di sviare la
conversazione, vero? Dettagli Babbani che, fra l'altro, non hanno mai
funzionato allo scopo» lo informò Sirius.
«Tornando al punto
principale della questione...».
«C'è
un punto
principale?».
«Certo
che c'è: tu
che esci con Tonks. Tu. Con Tonks. L'adorabile,
affascinante e
divertente Tonks. Tu. E non hai addosso nessun...
beh, nessun
giacchetto. Niente che possa ricordarle il
guardaroba di sua
nonna, in pratica. E non vuoi parlarne. Questo non è strano,
perché
tu non
ti sei mai
fidato
del mio parere,
ma se Tonks non ti piacesse sul serio, tu
me l'avresti detto. “Ehi, Padfoot, stasera io e Tonks andiamo
a
bere qualcosa insieme”, e io avrei detto: “Ah,
begli amici che mi
ritrovo. Vanno a bersi un cuba
libre mentre
io faccio
la muffa insieme ai mutandoni di mia madre”. Invece tu
sei stato zitto. Tu
nascondi
qualcosa. Tu
sei
molto interessato a
Tonks. Tu. Tu.
Tu».
L'unico
movimento di
Remus fu un repentino battito delle ciglia.
«Sembri
un telefono
staccato».
Sirius
spalancò
scandalizzato la bocca, ma prima che potesse replicare
all'indifferente reazione dell'amico, dal corridoio si levò
lo
strillo indemoniato della signora Black.
«Aberranti
mostri! Luridume! Empie creature senza onore! Come osate infangare la
casa dei miei padri!? Mezzosangue, ibridi e traditori!».
«Credo
che la tua
damigella sia in difficoltà con il portaombrelli».
Remus
gli rivolse
un'ultima occhiataccia e si diresse verso l'ingresso. La voce di
Sirius lo fermò sulla soglia.
«Non
fare le solite
cavolate, Moony. Una come lei non la troveresti
più».
«Un
consiglio di cui
ti sarei grato, se solo lei mi piacesse».
Sirius
alzò drammatico
il calice di vino.
«Ridi,
ridi... ormai
sei fregato. Un brindisi agli sposi».
«Sei
un imbecille,
Padfoot» lo salutò seccato.
La
risata canina di
Sirius continuò a risuonargli nelle orecchie perfino dopo
essersi
richiuso la porta alle spalle. Il ritratto della signora Black
continuava a strillare improperi all'indirizzo di Tonks, che aveva
afferrato la tenda con entrambe le mani e stava disperatamente
cercando di richiuderla.
«Tu,
sporca Mezzosangue! Feccia! Meretrice!».
«Meretrice
sarà
quella puttana di tua sorella!» ribatté con astio
la ragazza,
strattonando con forza. «E poi vaffanculo, brutta vecchia,
sei morta
da anni! I morti non urlano!».
Remus
si avvicinò a
lei e la aiutò a richiudere il rumoroso ritratto dietro la
sua
tenda. Una volta che il corridoio fu ripiombato nel silenzio, fece un
sospiro stanco e disse:
«“Meretrice”...
Walburga Black si sta facendo sempre più
originale».
«Ieri
mi ha chiamato
“sediziosa concubina”».
«Può
fare di meglio.
Io sono un “mefistofelico quadrupede”».
Mentre
si avviavano
verso l'uscita, Remus si chinò per raddrizzare il pesante
portaombrelli. Tonks si grattò imbarazzata la nuca.
«È
sempre dove non
dovrebbe stare, quell'affare».
«Ci
serve per
scongiurare l'arrivo dei Mangiamorte».
«Credi
che i
Mangiamorte ci inciamperebbero sopra?» le domandò
interessata.
Remus
soffocò una
risata.
«Certo.
Poi cadrebbero
l'uno sull'altro e diventerebbero un grosso sandwich di
Mangiamorte».
Tonks
ridacchiò mentre
superava la soglia. Era una serata gelida e la neve fresca si
attaccava alle suole dello loro scarpe. Remus sollevò il
bavero del
cappotto e infilò le mani nelle tasche.
Lei
sembrava
particolarmente più graziosa del solito. I capelli rosa
cicca
spuntavano in ciuffi scarmigliati da un buffo berretto di lana
variopinto e aveva rinunciato agli anfibi di pelle di drago per un
paio di stretti stivaletti che le fasciavano metà polpaccio.
«Buon
Dio, le tue
scarpe hanno i tacchi».
Tonks
fece una smorfia.
«Ero
da mia madre».
«Sei...»
iniziò
incerto. “Carina” pensò d'istinto.
“Incredibilmente carina”.
«Stai benissimo».
Nonostante
la luce
soffusa dei lampioni fosse misera, Remus non poté fare a
meno di
notare un vago rossore diffondersi sulle sue gote.
«Grazie»
mormorò
sincera. «Dove preferisci andare?».
«Che
ne dici di bere cuba
libre?».
«Cosa?»
esclamò sconcertata. «Tu
vuoi un cuba libre?».
«No,
ma sapere che
l'ho bevuto irriterebbe notevolmente Sirius. Ad ogni modo, propongo
una zona priva di maghi e streghe che potrebbero tentare di
ucciderci».
Lei
si finse delusa.
«Oh...
ma volevo
andare a Villa Malfoy a giocare con i pavoni di zio
Lucius».
«Temo
non si possa
fare».
«Che
vita ingiusta.
Oh, aspetta: mi porti a lanciare uova di Doxy alle finestre della
casa di Caramell? Ti prego...».
«Non
si può fare
nemmeno questo».
«Possiamo
infilare dei
Fuochi Forsennati nei calderoni di Piton?».
«Questo
si può fare».
«Sul
serio?».
Remus
osservò la sua
espressione ingenua e scoppiò a ridere.
«Certo
che no». Si
passò una mano fra i capelli e aggiunse: «Hai
ideato qualche
programma per la serata?».
«Sì,
ho deciso che
voglio un gelato».
Lui
rimase per un
lunghissimo istante in silenzio, con le palpebre socchiuse e l'aria
perplessa.
«È
Natale, Tonks».
«Già,
quindi prenderò
un gelato molto grande perché
quest'anno sono stata molto
buona».
«Perfetto.
Speravo
proprio che decidessi di farmi morire assiderato, stasera».
Gli tese
galantemente il braccio. «Dopotutto, chi non vorrebbe
mangiare un
freddo gelato in una fredda sera di un freddo inverno?».
«Ho
come l'impressione
che tu abbia freddo» ridacchiò Tonks. Si
aggrappò a lui con una
naturalezza sconcertante. «C'è una gelateria un
po' più avanti».
S'incamminarono
verso
Stepney Road senza dire nient'altro. Erano all'aperto solo da pochi
minuti, ma Remus iniziava già ad avvertire una spiacevole
sensazione
di intirizzimento alla punta del naso. Dalla sua bocca si levavano
copiose nuvolette di vapore. Il gelo iniziava a entrargli fin dentro
il cappotto. Si maledì di non aver voluto indossare un
comodo
maglione: non ne aveva nemmeno un paio senza toppe e alla fine pareva
proprio che il suo raziocino avesse lasciato posto a un poco di amor
proprio. La sola camicia che si era messo addosso era la più
decente
del suo miserevole armadio. Aveva rinunciato anche alla cravatta
–
e Sirius ne aveva riso fino a star male.
Fu
Tonks la prima a
parlare.
«Tre,
due, uno...
battuto!».
Remus
la scrutò
sconcertato.
«Cosa?».
«Il
record del mondo
di tempo trascorso fra i convenevoli e il silenzio imbarazzato in cui
nessuno sa che cavolo dire».
Lui
rise di cuore.
«Ti
va di parlare
dell'Inquisizione spagnola del XV secolo? È un argomento
suggerito
da Sirius».
«Neanche
sotto
tortura» replicò vivacemente Tonks.
«Ehi, Sirius ti ha suggerito
degli argomenti?».
«Un
paio».
«Quali?».
«Stiamo
parlando di
Sirius Black. Che genere di argomenti supponi possa
suggerire?».
«Sperando
che
l'Inquisizione non sia l'apice del divertimento, direi... tette?».
«Sei
una strega
perspicace» rispose lui con un sorriso. «Ti
dispiace se non ne
parliamo?».
«Di
tette? Solo se
l'alternativa è l'Inquisizione spagnola».
Stepney
Road
costeggiava un piccolo parco recintato. La neve avvolgeva le panchine
e i muriccioli, e una lunga serie di impronte era rimasta impresse
sul sentiero. Nonostante il marciapiede all'altro capo della strada
fosse ben pulito, Tonks lo trascinò senza indugi sotto le
fronde
degli alberi. Pochi secondi dopo aveva l'orlo dei pantaloni fradicio,
il fianco sinistro caldo a causa della stretta vicinanza della
ragazza e una sensazione un po' ottenebrante nello stomaco.
«Ehi,
guarda!»
esclamò improvvisamente lei. «Un market Babbano.
Ti va una birra?».
«Niente
gelato?».
Negli
occhi di Tonks si
accese un bagliore malizioso.
«Se
vendono birre al
gelato o gelati alla birra, giuro che sposo il titolare».
«Possiamo
trovare un
pub».
Lei
scosse la testa.
«Qua
è figo. Ci sono
gli alberelli, la neve e un sacco di cose carine».
«Fa
freddo».
Tonks
si mordicchiò il
labbro inferiore e gli fece cenno di avvicinarsi a lei.
Appoggiò la
bocca al suo orecchio e sussurrò:
«Devo
confessarti un
segreto, Remus, ma devi giurarmi di non dirlo a nessuno... io
sono
una strega».
Lo
lasciò a ridere da
solo nel parco e sfrecciò di corsa verso il piccolo negozio,
rischiando di scivolare su un gradino di pietra e restando in piedi
per miracolo.
Ridacchiando
ancora,
Remus sfregò fra loro le mani infreddolite e si
guardò attentamente
attorno. Certo che non ci fossero Babbani nelle vicinanze, estrasse
la bacchetta dalla tasca interna del cappotto e la puntò su
un
panchina a pochi passi da lui. La neve che la ricopriva
iniziò a
sciogliersi e formò una grossa pozza bagnata sul terriccio
umido.
Agitò il polso e fece un incantesimo Riscaldante per un
raggio di
qualche metro. La sensazione di calore lo colpì
piacevolmente alla
pancia. Era come ritrovarsi d'un tratto davanti a un camino
scoppiettante.
Si
sedette in un angolo
ad aspettare il ritorno di Tonks.
“ Lei ti piace” gli
aveva detto Sirius. Nessun giro di parole, nessun tentativo di
indagare oltre. “Lei ti piace”, aveva detto. Tutto
qui. Remus lo
aveva negato in tronco, senza concedere a quell'insinuazione la
più
remota possibilità di attecchire nella tua testa. Sirius era
in
errore, di questo era certo. Tonks non gli piaceva – non in quel
modo, perlomeno. Gli piaceva nello stesso modo in cui lei
riusciva a piacere a tutti. Era genuina, era simpatica, era in gamba.
Era impossibile non nutrire un debole per lei.
Tonks
uscì dal negozio
ridendo e salutando a gran voce il commesso con una piccola sporta di
plastica trasparente in una mano. Quando fu tornata alla panchina
sulla quale lui si era accomodato, non riuscì a contenere
l'euforia.
«Indovina
che t-shirt
meravigliosa aveva il ragazzo del market».
«Judas
Priest».
«Sei
un mago
perspicace» ridacchiò divertita. «Oh...
che fantastico calduccio,
Remus. Sei un mago perspicace e meravigliosamente accorto».
Si
sedette accanto a
lui, accavallò le gambe e gli tese una bottiglia di Beck's.
Remus non riuscì a nascondere un sogghigno divertito.
«Tuo
padre è rimasto
molto legato al mondo Babbano, vero?».
«Già»
annuì lei. Si
accorse solo in quel momento che le bottiglie erano ancora chiuse.
«Accidenti, mi sono scordata di farle aprire».
«Ci
penso io».
Prese
la sua bottiglia,
la portò alla bocca e staccò con un morso deciso
il tappo di
alluminio. Tonks sgranò gli occhi e lo fissò
stupefatto mentre
ripeteva l'operazione con la propria.
«Ecco
qua. Salute».
Il
tintinnio del vetro
risuonò flebile fra di loro.
«L'hai...
stappata con
i denti».
Lui
ne sorseggiò un
primo lungo sorso e sogghignò orgogliosa.
«Mi
sono servite un
sacco di bottiglie per imparare farlo. E anche un sacco di sbronze,
in effetti, ma per ognuna di loro darò la colpa a Sirius
Black
finché campo».
Sul
volto di Tonks era
comparsa un'espressione di solenne ammirazione.
«Che
figata. Con
questo gesto da barbaro torni a essere un Lupo Mannaro di serie
B».
Lui
scoppiò a ridere e
si lasciò scivolare lungo lo schienale di legno.
«A
volte mio padre non
sembra nemmeno un mago» commentò improvvisamente
Tonks. «Sai, lui
è un Nato Babbano. Quando gli arrivò la lettera
ci mancò poco che
a mia nonna partisse un embolo. Non è un gran mago, eh, a
dirtela
tutta. Se la cava abbastanza bene con le pozioni, ma la grande strega
di casa è mia madre. Quando non ci sono io,
almeno» aggiunse
con un eloquente movimento della bottiglia. «Mio padre non ha
mai
scordato le sue origini. Non è un caso che lavori con i
Babbani,
adesso».
«Al
Ministero?».
Tonks
scoppiò in una
vaga risata.
«Channel
4 News.
L'ultimo telegiornale rimasto in Gran Bretagna a contrastare la
BBC».
«Lavora
in una
televisione Babbana?» chiese stupito Remus.
«Davvero?».
«Davvero.
È bravo. È
il buffone delle notizie, in pratica. L'unico speaker che riesce a
fare battute stupide sulle leggi esattoriali del Parlamento».
Tonks
fece le spallucce. «E i tuoi? Che fanno? Scommetto che sono
tipo due
adorabili signori britannici che abitano dalle parti di Bath e hanno
un'ordinata casetta piena di librerie».
Remus
si umettò le
labbra, poi abbassò la testa e sogghignò sotto i
baffi.
«Non
hai idea di
quanto tu sia lontana dalla realtà» le disse.
«Mia madre è
Babbana. Villaggio di Kinsale, profondo sud dell'Irlanda... un
posticino dimenticato da Dio in cui tutti si ricordano di Dio. Vive e
litiga ogni giorno con le mie tre zie per motivazioni sostanzialmente
inutili, come... il sale nel brodo di pecora. È un cosa molto
irlandese».
«Non
sembri
irlandese».
Remus
inarcò un
sopracciglio.
«Questo
perché non
sono irlandese. Ho vissuto a Kinsale giusto il tempo di
impazzire
durante la pubertà e poi... beh, ho girato un po' qua, un
po' là».
«Un
po' su e un po'
giù...» gli fece il verso lei con allegria.
«Sembra una storia
fighissima. E tuo padre?».
Lui
arrangiò
un'improvvisa smorfia sarcastica e si grattò la nuca. Tonks
parve
intuire di aver toccato un nervo scoperto e si affrettò a
scuotere
una mano.
«Lascia
stare. Parlo
tanto, ma so quando tacere. Parliamo dell'Inquisizione spagnola,
okay? Scommetto che tu ne sai un sacco, di quella roba
noiosa».
«Mio
padre lavora
all'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche»
la
ignorò Remus, rigirandosi la bottiglia fra le dita.
«Sei una
ragazza sveglia. Non c'è bisogno che ti dica per quale
motivo non
andiamo molto d'accordo».
«Mi
dispiace» mormorò
Tonks con incredibile sincerità. «Ora che ci
penso, Remus, tu hai
davvero passato una cazzo di vita piena di merda».
Fu
incapace di
trattenersi e scoppiò in una risata dirompente. Si
piegò in avanti
e affondò il volto in una mano, incapace di fermarsi. Tonks
parve
turbata dalla sua inspiegabile reazione.
«Remus,
cosa...?».
«“Una
cazzo di vita
piena di merda”» ripeté lui con le
lacrime agli occhi. «Giuro,
Tonks, sei straordinaria: erano trent'anni che cercavo le parole
giuste per spiegare alla gente che mestiere facessi. Ora posso
rispondere loro: “Faccio una cazzo di vita piena di
merda”».
Lei
rise con lui e lo
colpì al braccio.
«Beh,
è vero! La tua
vita fa schifo! Si può sapere per quale fottuta ragione non
sei
scappato in una dannata isola caraibica a stordirti di droghe
vegetali?».
«In
che casa sono
stato Smistato a Hogwarts?» fu la sua retorica replica.
«Ecco, hai
già capito tutto. La Casa degli audaci a cui piace la
sofferenza
perpetua. Piacere, sono Remus Lupin, e conduco una cazzo di vita
piena di merda».
Rise
ancora. Era un
avvenimento di cui non serbava nemmeno ricordo. Tutta quell'ironia
sulla sua situazione, sul suo passato, su tutta la sventura con cui
aveva dovuto convivere, su ciò che aveva perduto... era dai
tempi di
Hogwarts che non riusciva a trasformare quel vuoto nel petto in una
risata. Sirius e James trattavano i suoi problemi come uno scherzo
spigliato, come un gioco, come un nonnulla di cui andare perfino
fieri... e lo convincevano a ridere di ogni plenilunio.
Erano
trascorsi quasi
vent'anni da quel tempo. E ora era seduto su una panchina di un
misero giardinetto di Londra a bere una Beck's con
una strega
che conosceva da sei mesi e con cui, d'un tratto, credeva di aver
condiviso una vita intera. Aveva dimenticato quanto fosse
meravigliosa la sensazione di poter essere liberi.
Quando
le loro risate
si furono finalmente affievolite, si sentiva talmente ebbro di
felicità da dire:
«Cercò
di azzannarmi
la gola».
Colta
alla sprovvista,
Tonks sputò a terra un po' di birra e sgranò gli
occhi.
«Cosa?».
«Lavinia.
La Vampira
con cui sono stato da ragazzo» spiegò con
ovvietà lui. «Avevo
diciotto anni e c'erano almeno una cinquantina di Mangiamorte che mi
volevano uccidere. Uno si era perfino appostato dietro la mia
buchetta delle lettere... un'organizzazione criminale molto
originale, se non altro» s'interruppe per lasciarle il tempo
di
ridacchiare un'altra volta. «E io ero avventato. Incauto. E
tragicamente vergine».
La
risata di Tonks
iniziava a trasformarsi in un irrefrenabile ululato.
«Non
ci posso
credere!».
«Ti
assicuro che
Lavinia era adorabile. So che è difficile pensarla in questi
termini
ora che ti ho detto che ha tentato di dissanguarmi, ma nonostante
ciò, era davvero adorabile. E aveva quasi
centoquarantasei
anni».
«Remus!»
esclamò con
tono falsamente scandalizzato. «Avrebbe potuto essere la tua
bis-bis-nonna!».
«Grazie
al cielo non
le assomigliava» rispose lui con un sorriso. «E
questo drammatico
capitolo del mio passato si è concluso quando a lei
è venuta sete e
c'ero solo io. Nudo. Nel suo letto. Il che significa che sono fuggito
così com'ero nel primo posto che mi è venuto in
mente».
«Ovvero?».
«Nel
soggiorno di
James e Lily Potter. Credevo che Sirius sarebbe morto dal ridere sul
loro sofà, ma forse in realtà l'ho solo sperato
troppo vivamente».
Tonks
si strinse
ridendo al suo braccio.
«Ehm...
Ninfadora?».
«Non
chiamarmi
Ninfadora, maledetto» si lamentò piccata.
«Va
bene. Ma dovrai
raccontarmi comunque la storia di Chuck “Ravanello”
Banks».
«Non
è divertente
come la tua» confessò.
«Un
patto è un
patto».
Lei
sollevò un palmo
in segno di resa. Aveva le gote arrossate e gli occhi brillanti, e
Remus si chiese se le fosse parsa tanto graziosa anche prima, quando
l'aveva osservata sotto i lampioni di Grimmauld Place.
«“Ravanello”
è un
aggettivo...».
«È
un sostantivo».
Tonks
lo zittì con
un'occhiataccia.
«Perdonami.
Deformazione professionale».
«Grazie.
“Ravanello” è un sostantivo
che ho adottato come
aggettivo per descrivere... beh, una particolare
caratteristica di Chuck Banks». Si umettò le
labbra e annuì fra
sé, apparentemente fiera della scelta di parole.
«In pratica aveva
l'uccello a forma di ravanello».
Remus
assottigliò le
palpebre con una smorfia strana.
«A
forma di...
ravanello?».
«Sì,
era uno
spettacolo raccapricciante. Spero per te che tu possa sfoggiare un
uccello a forma di zucchina, o di carota, o di qualunque altra cosa
possa vagamente ricordare un uccello, porca miseria, perché
Chuck
Banks ce l'aveva a ravanello. Giuro. Io l'ho
visto» aggiunse
con espressione di nobile disgusto. «Tu ce l'hai a forma di
zucchina
o di carota?» domandò con improvvisa spigliatezza.
Remus
schioccò la
lingua.
«Di
carota,
naturalmente. Ci sono anche le foglioline sopra».
Si
susseguì tutto con
straordinaria naturalezza. Continuarono a ridacchiare saltando da un
argomento leggero a uno ancora più leggero: discussero su
quale
fosse il condimento migliore per le patatine fritte, su cosa
spingesse la gente a fare cose stupide nel periodo natalizio e su
quale fosse il peggior album dei Bee Gees della storia.
Risultò che
il ketchup era la scelta più succulenta, che la gente era
semplicemente stupida e che qualunque album dei Bee Gees sarebbe
potuto essere il peggiore album dei Bee Gees.
«Ehi,
il market sta
chiudendo» commentò d'un tratto Tonks.
«Che diavolo di ore sono?».
Remus
infilò una mano
nel cappotto e lanciò un'occhiata a un vecchio orologio da
taschino
dall'aria dismessa. Fece una smorfia stupita.
«È
già passata la
mezzanotte».
«Porca
miseria,
devo essere al Ministero alla sei o Kingsley mi appenderà
come una
bandiera al mio cubicolo».
«Saresti
una
bandierina molto graziosa».
Lei
storse le labbra in
un mezzo sorriso e si alzò dalla panchina. Remus
gettò entrambe le
bottiglie vuote in un cestino e s'incamminò al suo fianco
verso il
marciapiede. Il braccio di Tonks si intrufolò nuovamente
sotto al
suo. Fino a qualche ora prima, era stato solo il gesto di una ragazza
spigliata; ma in quel momento era il gesto di una ragazza con cui
aveva bevuto una birra in un parco pieno di neve, con cui aveva riso
e le cui dita avevano iniziato a giocherellare distratte sulla sua
mano.
“ Lei ti piace”
ripeté Sirius nella sua testa. “E sei
fregato”.
«Ehi,
siamo già
arrivati a Grimmauld Place» disse Tonks. «Abbiamo
camminato in
fretta. Sei così ansioso di liberarti di me?».
«Ovviamente
no»
replicò lui con troppa velocità, accorgendosi
tardi che la ragazza
lo stava prendendo in giro.
Tonks
ridacchiò senza
aggiungere altro. Si fermarono sul ciglio della strada e attesero che
il numero dodici si facesse spazio fra i numeri undici e tredici,
gonfiandosi come una grottesca palla di mattoni e sputando fuori
finestre e finestrelle.
«Beh...»
iniziò
Remus. «Grazie per la birra».
«Grazie
per avermela
aperta».
«Dovere
di
gentiluomo... e un'insospettabile desiderio di apparire come John
Travolta in Grease».
Lei
piegò in avanti la
testa e scoppiò a ridere. Quando sollevò lo
sguardo su di lui, i
suoi occhi scintillavano felici.
«Non
avrei mai creduto
che un professore potesse essere tanto divertente. Temo sia a causa
dei tuoi cardigan».
Remus
si umettò le
labbra e le mostrò rassegnato i palmi.
«Sono
comodi e
pratici, ma, ahimè, non particolarmente
indicati se chi li
indossa vuole apparire un poco meno noioso di quanto non sia in
realtà».
«Hermione
e Ginny
dicono che sei stato il loro migliore professore di Difesa Contro le
Arti Oscure».
«Questo
non significa
che non fossi noioso».
Tonks
sbuffò con aria
esasperata.
«Hermione
e Ginny sono
due adolescenti! Certo che questo significa che
non sei
noioso». Osservò il sorriso imbarazzato sul viso
dell'uomo e
aggiunse: «Vedi? Faccio bene al tuo ego».
«Io
possiedo un ego?».
«Sì,
solo che lo
soffochi perché sei un colossale idiota».
«I
tuoi insulti stanno
facendo soffrire il mio ego».
Lei
sfilò il berretto
di lana e si passò una mano fra i capelli. La sua
espressione si
fece improvvisamente seria.
«E
il tuo ego ora ha
voglia di parlare di questa mattina?».
Remus
fu preso alla
sprovvista.
«S-stamattina?».
«Al
San Mungo». La
sua voce era poco più di un sussurro accorato.
«Hai scambiato
qualche parola con l'uomo nel letto accanto a Arthur e poi la tua
faccia è diventata una faccia da funerale. E non un funerale
qualunque, ma il funerale di un gattino, di un coniglietto o di una
di quelle bestiole carine che fanno tanta tenerezza alla
gente».
Lui
sorrise
impercettibilmente.
«È
stato aggredito da
un Lupo Mannaro. Ho creduto potesse... ecco, speravo che
potessi essere in grado di...».
«Confortarlo?»
terminò Tonks con una punta d'ironia malcelata.
«Tu?
L'incontrastato leader dell'autocommiserazione? Avresti dovuto
chiamare me».
«Mi
ha chiesto se era
vera la voce che il Ministero concede sussidi e agevolazioni ai Lupi
Mannari registrati» riprese lui. «Se è
vero che stanno scoprendo
una cura, se è vero che la maledizione può essere
facilmente
controllata, se è vero che potrà avere una vita
normale, se è vero
che sua moglie ci ripenserà e tornerà da lui...
sai, Ninfadora, a
volte è meglio mentire».
«Lo
hai fatto?».
«Gli
ho detto che non
c'era niente di vero».
Tonks
rimase immobile
davanti a lui e fece un respiro profondo. Poi si issò sul
primo
gradino, si alzò sulle punte dei piedi e appoggiò
le proprie labbra
alle sue prima che lui potesse impedirglielo. E addirittura prima
che se ne rendesse conto, la stava già baciando.
«Forse
hai mentito un
po' e non te ne sei neanche accorto» mormorò Tonks
dopo qualche
secondo.
Lui
deglutì a stento e
per un attimo non ebbe più aria nei polmoni. Aveva una mano
ancora
appoggiata al suo fianco e uno stormo di cavallette impazzite nello
stomaco. “Lei ti piace” si ripeté.
“E sei fregato”. Strinse
le labbra in una linea serrata e la allontanò gentilmente da
sé.
«Non
farlo».
«Cosa?».
«Questo»
replicò con secca eloquenza. «Salire sul gradino e
baciarmi. Non
farlo».
Il
suo tono imperioso
parve ferirla. Intrecciò le braccia al petto e gli
scoccò
un'occhiata di sfida.
«Ti
stai lamentando
del mio bacio?».
«No,
io non...
Ninfadora, ti prego».
«Il
mio nome è Tonks»
lo corresse stancamente. «E tu stai per fare uno di quei
discorsi
molto nobili e stupidi sul fatto che dobbiamo lavorare insieme e che
non vuoi rischiare di rovinare un'amicizia». Il suo tono
aveva
perduto del tutto la propria vivacità. «Lo conosco
a memoria, quel
discorso, quindi non farmelo: rischi davvero di
diventare
noioso».
«Sono
un Lupo
Mannaro».
Tonks
sgranò
comicamente gli occhi.
«Sul
serio?
Porca miseria, questo cambia ogni cosa. Come ho potuto non
accorgermene?». Incrociò l'espressione seria di
Remus e sollevò le
mani in segno di resa. «Va bene, facciamo finta di niente.
Dopotutto
non mi pare un problema insormontabile come le scampagnate della
creaturina di Tu-Sai-Chi nell'Ufficio Misteri. In fondo, mi hai sono
baciato...».
«Io
non ti ho baciato»
contestò con improvvisa rapidità.
Tonks
inarcò dubbiosa
un sopracciglio. Sotto il suo sguardo inquisitorio, Remus
esalò un
sospiro affranto e si passò una mano fra i capelli.
«Non
importa» le
disse. «Non è comunque un'idea
ragionevole».
«Era
solo un bacio,
Remus. Non mi sto per gettare ai tuoi piedi in un lago di lacrime
disperate».
«Scelta
della quale ti
sono grato, ma... tutto ciò che rischia di seguirlo
è
sbagliato. Io e te siamo sbagliati». Ci pensò un
po' e aggiunse:
«Io sono sbagliato,
principalmente».
Lei
inclinò enigmatica
il capo e si grattò distratta la punta del naso.
«Io
ti piaccio, eh?»
lo canzonò.
«N-non...
no».
«Sì,
solo che sei un
idiota complessato». Si sistemò la sciarpa e gli
fece l'occhiolino.
«Rasserenati, la mia non era una dichiarazione d'amore. Beh,
Remus... che ne dici di salutarci ed evitare altri imbarazzanti
silenzi?».
«Con
te non è
possibile sperare in un imbarazzante silenzio»
replicò con un
sorriso storto.
Lei
sorrise e gli
sferrò un colpetto al braccio.
«Starò
qui per tre
secondi dopo che avrai chiuso la porta» gli disse.
«Tre secondi,
Remus, non uno di più. Ti suggerisco di pensare in
fretta».
Lui
fece un respiro
profondo.
«Buona
notte, Tonks».
Non
gli sfuggì il
lampo deluso che attraversò il suo sguardo nel sentirlo
pronunciare
il suo cognome, ma si voltò lo stesso e sprofondò
nell'oscurità
dell'ingresso del numero dodici di Grimmauld Place. Aveva ancora la
mano sulla maniglia di ottone.
“ Tre secondi, Remus,
non uno di più”.
Uno.
Lui
chiuse gli occhi e
si passò una mano sul viso. La sua risata era trillante come
il
suono di una campanella. Era qualcosa che strizzava le viscere e
ribaltava il suo stomaco, era dirompente e meravigliosa, e aveva la
sensazione di avere ancora le sue labbra sulle proprie.
Due.
Lei
rideva come
ridevano i bambini, rideva un po' per tutto e un po' per niente, ed
ogni volta che la sentiva ridere Remus si sentiva sempre un poco
più
libero di quanto non fosse davvero. E faceva ridere, lei, faceva
ridere di mostri e orrori con una sfrontatezza che lui aveva
dimenticato di possedere. Era viva e rendeva vivo lui.
Tre.
Appoggiò
la fronte
alla porta e rimase immobile qualche istante. Poi abbassò la
maniglia e sbirciò in strada. Aveva ripreso a nevicare, ma
di Tonks
non c'era più alcuna traccia. Si trascinò oltre
lo stretto
corridoio, raggiunse il soggiorno e bussò un paio di volte.
Era
quasi certo che Sirius fosse in attesa del suo ritorno.
«Entri
da solo o vuoi
un invito in carta vergata?» gli giunse la voce dell'amico.
Remus
entrò nella stanza. Non fu affatto stupito di trovarlo
immerso nella
lettura dell'edizione di Delitto
e castigo.
Sirius
richiuse il libro e lo guardò. Gli bastò una sola
occhiata per
commentare:
«Lei
ti piace».
«Sì».
«E
la cosa ti turba».
«Sì».
«E
hai fatto una
cazzata».
Remus
storse appena le
labbra.
«Forse».
«Ci
avrei giurato». Gli indicò stancamente la poltrona
su cui era
solito sedere Remus. «Accomodati, amico mio. Illustrami i
tuoi
problemi. Non vedevo l'ora di ripetere per tutta la notte quanto tu
sia idiota».
Con
un ultimo sospiro sfinito, Remus si richiuse la porta alla spalle.
Aveva la sensazione di aver appena commesso un tremendo errore, ma
non riusciva a rendersi conto di quanto
grosso
fosse.
“ Forse hai mentito
un po' e non te ne sei nemmeno accorto”.
Forse
aveva mentito
davvero.
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