PREMESSA
Questa breve fic
in tre capitoli tratta di male pregnacy, ovvero di gravidanza maschile. Per
quanto ciò non sia fisiologicamente possibile nella realtà (mi sento abbastanza
cretina a dirlo), ho cercato di trattare l’argomento nel modo più verosimile e
serio possibile, e mi auguro di tutto cuore di esserci riuscita, ma questo
sarete voi a giudicarlo.
Va da sé quindi
che il contenuto della storia è piuttosto delicato, e potrebbe risultare
sgradito a qualcuno. Ho scelto il rating arancione perché non ci sarà nessuna
scena esplicita di nessun genere, ma se pensate che un rating rosso sia più
adeguato, non fatevi scrupoli a dirmelo.
Meglio abbondare
che deficientare, come diceva quella saggia donna della mia prof di latino.
Ah, come di
consueto, niente spoiler, nada de nada.
Un
sentitissimo, enorme ringraziamento ad Elyxyz, per essersi prestata a betare la
storia e a darmi qualche prezioso consiglio. E per essere un tesoro di donna,
soprattutto.
I owe you
one.
Enjoy!
Stateira
1_ Collapse
- Roy. –
Roy Mustang fece un
sorriso sghembo e intenerito, quando una mano gli solleticò furtivamente il
fianco sinistro nel bel mezzo della notte. La afferrò con le dita intorpidite
dal calore e dal sonno, prendendosi un po’ di tempo per coccolarla e per esplorare
pigramente la forma affusolata di quelle dita.
- Sono sveglio, Ed.
–
Rumori lievi,
fruscii sommessi e confusi di coperte, il cigolare stridulo del materasso, e
alla fine, una testa bionda che emerge dal tutto, con due occhi color oro che
guardano Roy seri seri.
- Sai Roy, c’è una
cosa a cui stavo pensando. –
Edward Elric aveva
ventuno anni. Il bel viso di sempre, i capelli lunghi di sempre, e una vecchia
maglietta sformata color blu sbiadito come pigiama. Era di Roy, quella
maglietta, tra l’altro. Gli arrivava quasi alle ginocchia. Roy vestiva spesso
di blu, anche fuori dall’uniforme. Era un colore che gli donava moltissimo.
- E’ una cosa
importante? –
- Sì. Sì,
abbastanza. –
- E allora come mai
ti è venuta voglia di parlarmene proprio alle due del mattino? –
- Ecco… - Ed non
badò allo sbadiglio divertito con cui Roy aveva sottolineato la sua
osservazione. Non lo stava nemmeno guardando negli occhi. – Perché penso che ti
arrabbierai. –
Roy Mustang aveva
trentaquattro anni, e un gran sonno. Però Edward aveva bisogno di sentirsi dire
che no, non si sarebbe arrabbiato con lui, qualunque cosa fosse la misteriosa
idea che gli frullava per la testa, e lo preoccupava tanto da avergli
cancellato persino il suo solito broncio.
- Ti ascolto. –
sussurrò affondando teneramente le labbra proprio dietro l’orecchio destro di
Edward.
- Sì. Beh ecco, io
stavo pensando che… - Edward deglutì rumorosamente e scattò alla ricerca delle
dita di Roy, quanto di più simile per lui ad un appiglio per non annaspare nel
mare di cose che stava per dire. – L’alchimia. – sputò.
Nonostante tutto il
tempo passato insieme – quattro anni, ormai, mio dio, quattro interi anni – Ed
non era cambiato quasi per niente. Faceva sempre una fatica del diavolo a
parlare di ciò che provava, e più intensa era l’emozione che si teneva dentro,
più tempo impiegava ad esprimerla, e alla fine, più goffo era il risultato. Roy
ricordava molto bene la prima volta, ed una delle pochissime, che Edward gli
aveva detto di amarlo. Aveva tergiversato per ore, rintronandolo con i suoi
“ehm, ecco, dunque”, e alla fine aveva strizzato forte gli occhi, e gliel’aveva
detto con una vocina piccola piccola, nemmeno avesse dovuto confessare un
qualche tremendo crimine.
Edward si faceva
adorare per cose come queste, che davano a Roy la possibilità di sentirsi
adulto.
- Mi chiedevo se
potessimo usarla per… per noi. –
- Per noi? –
Dal punto in cui
era nascosto, Ed riuscì a sentire la fronte di Roy che si aggrottava, e le
sopracciglia che si inarcavano. – Perché, a cosa dovrebbe servirci? –
- All’unica cosa
che non siamo in grado di fare da soli, Roy. –
- L’unica cosa
che…? – Roy Mustang si sollevò di scatto sulle braccia, dimenticandosi di
tutto, dell’ora, del sonno, degli anni. – Ed, ma di cosa…? –
Edward cercò di
accumulare e condensare tutto il suo orgoglio nello sguardo con cui affrontò il
suo compagno nella semioscurità quieta e tesa della loro camera da letto.
Doveva giocarsi la sua carta ora, lo sapeva bene, o non avrebbe mai più trovato
il coraggio di farlo.
- Un bambino. –
pronunciò, rompendo ogni decenza con voce suo malgrado delicata, esitante e ben
scandita allo stesso tempo.
Il tabù dei tabù
andò in frantumi fracassandosi sul pavimento della bella camera da letto della
casa di Roy, dove lui e Ed vivevano insieme da un paio di anni, e schizzando
schegge acuminate in ogni direzione, investendo in pieno Roy che, incredulo, le
ascoltava conficcarsi e scricchiolare dentro il suo petto.
Non servì molto
altro per capire che qualcosa, fra loro due, aveva cominciato a sanguinare.
- Un bambino. –
ripeté Roy, scavando qua e là nella federa del cuscino per cercare di estrarne
fuori un qualche significato inafferrabile che lo salvasse e gli spiegasse. –
Edward, io non credo che… -
- Aspetta, ti
prego. Possiamo almeno parlarne? –
Parlare? Oh,
parlare non portava mai a niente di buono. Roy si ritrovava sempre in balia di
Ed e della sua voglia di fare, finendo con l’assecondarlo a prescindere. Era
sempre stato così, fra di loro, anche quando non stavano insieme, quando non si
era ancora innamorato di lui, se poi c’era mai davvero stato un tempo in cui
lui non lo aveva amato.
- Roy, senti, se
solo noi provassimo. –
Roy trasalì e stirò
le braccia per ricacciare indietro un brivido freddo che minacciava di rigargli
la schiena.
Stava dicendo sul
serio. Edward, il suo Edward aveva sempre avuto la testa piena di sogni. Le
ricerche per recuperare i vecchi corpi, suo e di suo fratello, a cui lui non
aveva mai rinunciato in quegli anni, e la volontà ferrea di sostenerlo nella
sua lenta conquista del potere, erano tutte cose che lo animavano di energie
inesauribili, dando l’impressione che uno come lui non si sarebbe mai potuto
spegnere.
- E’ nostro
diritto, non credi? Abbiamo il diritto di volere una cosa del genere, e non
faremmo del male a nessuno. -
Edward voleva
soltanto sentirsi dire da Roy che ciò che desiderava non era cattivo, che non
era sbagliato, che non era criminale. Glielo si leggeva negli occhi, che aveva
bisogno innanzitutto di trovare la pace con sé stesso. Non c’era da stupirsi;
sogni del genere corrodono dentro, fino ad arrivare all’anima e ridurla in
brandelli. Aveva sempre avuto un rapporto morboso con le cose impossibili, fin
da quando aveva cercato di derubare la morte da piccolo, finendo quasi per
esserne preda. Ma Edward non era uno che imparava dal passato.
- Hai quasi
trentacinque anni, Roy, e io vorrei soltanto che… -
Che poi non fosse
troppo tardi.
Non lo era,
dannazione, certo che no, ma si sa come vanno queste cose, il tempo comincia a
scorrere, e gli impegni si accumulano, i gradi sull’uniforme aumentano, e con
essi il rischio di fare passi falsi; e allora ci si comincia a ripetere che si
può aspettare ancora un altro po’, per aspettare un momento migliore, ma
intanto i giorni passano, e passano, e passano.
Roy sentì il suo
stomaco contorcersi e minacciare di andare a fuoco.
Un figlio, già, e
chi non lo desidera, quando la tua vita sembra aver preso la piega regolare e
tranquilla della quotidianità condivisa con la persona che ami? Se Roy non ci
aveva mai pensato era soltanto perché aveva sempre, professionalmente dato per
scontato che fosse semplicemente qualcosa di irrealizzabile. Lui e Edward si
erano guadagnati la loro pace lottando, e, maledizione, non era sempre stato
lui a dire che per questo si sarebbero meritati ogni gioia? Non era proprio
lui, l’uomo che avrebbe fatto qualsiasi cosa per rendere Edward felice? Dio,
glielo aveva giurato, gli aveva fatto una promessa vera, una promessa di quelle
serie, con gli amici come unici, silenziosi, inutili, commossi testimoni,
soltanto pochi anni prima.
- Io lo vorrei
tanto. Tanto da morire. –
Usare le armi di
Dio per diventare Dio per un momento. Roy avrebbe corrucciato severamente la
fronte e avrebbe pronunciato un no senza appelli, secco e definitivo, se non si
fosse trattato di Edward, del suo Edward.
- Ho imparato dai
miei errori, Roy, non sono più il bambino avventato di una volta. Faremo delle
ricerche approfondite, studieremo ogni particolare, non ci lasceremo sfuggire
nulla, faremo in modo che ogni cosa vada per il meglio. –
Miseria, la forza
del desiderio di un bambino che vuole un bambino. E la nebulosa immagine di
quel sogno che si avvera, così vicino, così a portata di mano. Così possibile.
L’alchimia ha un
potere davvero tremendo, Roy se ne rendeva conto soltanto in momenti come
questi. Ti seduce con promesse da puttana che poi non mantiene mai, come una
sirena vigliacca, nascosta fra gli speroni aguzzi degli scogli, e più male
faceva vedere Edward correre incontro a quella chimera, più lui si interrogava
su quale fosse il prezzo effettivo, se fosse poi un costo così elevato, e senza
nemmeno accorgersene si lasciava sedurre dalla stessa melodia assassina.
- Ed, non lo so. È
rischioso. –
- Sì, però ti
prego, ti supplico Roy, lasciami provare. –
Roy si strofinò
gravemente la mano sugli occhi. – Dio, è così difficile. –
- Offrirò il mio
corpo come incubatrice, penserò a tutto io, te lo giuro Roy, tu non dovrai fare
altro che stare a guardare, non ti sarò di peso in alcun modo, vedrai, andrà
tutto a meraviglia, riuscirò a… –
Roy premette le
labbra del compagno con le sue dita, fermando la frana di parole concitate che
sgorgavano inarrestabili dalla sua bocca. Lo squadrava seriamente,
profondamente, sondando fra i suoi pensieri confusi ed illusi, alla ricerca di
una paura a cui appigliarsi per smontare la sua fantasia. Un’esitazione che
molto probabilmente non esisteva.
- Tu ci credi così
tanto. Così tanto, vero Edward? –
Gli occhi di Ed si
riempirono di lacrime, facendosi ancora più grandi nella penombra. Si sentiva
un bambino stupido e capriccioso, e si vergognava da morire di non riuscire a
far finta di niente per quella volta, per quella cosa che si faceva desiderare
sempre di più, rodendogli lo stomaco pian piano con le prepotenti immagini che
formava a tradimento nella sua testa.
- No, Ed non… -
Roy se lo ritrovò
fra le mani che ormai era troppo tardi.
Gli accarezzò i
capelli sciolti più dolcemente che poté, sfiorandogli la fronte con le labbra
calde fra un tocco e l’altro. Se c’era una cosa che aveva sempre detestato con
tutto il suo cuore era proprio lo scoprirsi cieco. C’era qualcosa di grosso che
faceva star male Edward da chissà quanto, c’era questa cosa macroscopica che
gli offuscava il sorriso, e lui dov’era? Al quartier generale, a occuparsi di
documenti stropicciati? Edward non voleva farlo sentire in colpa, lo sapeva
benissimo, ma lui era il genere di uomo che era sempre scappato dalle
responsabilità che riguardassero il cuore invece della testa, e proprio perché
alla fine ci era cascato anche lui, ora si sentiva in dovere di assumersene fin
troppe.
- Non piangere. –
Gli sembrava di
impazzire, se solo vedeva gli occhi di Edward vacillare.
- Scusa. Mi
dispiace, è solo che… -
Ed si sforzò di
tirarsi su a sedere, e il risultato fu che si stropicciò gli occhi con troppa
forza, finendo con il diventare rosso.
- E’ solo che ci
penso. – sussurrò disperatamente. – Ci penso sempre. Penso sempre di più che
sia possibile. –
Così tanto
possibile.
Ed aveva smesso
subito di piangere, e del resto non era da lui farlo. Era stato un momento di
sconforto, un collasso, mettiamola così, ma la verità incontrovertibile delle
parole venute a galla quella notte sarebbe rimasta viva anche il giorno dopo, e
quello dopo ancora. Roy non era nessuno per negare ad Edward un figlio, ma non
c’erano dubbi sul fatto che lui volesse che quel bambino fosse davvero loro,
non di una donna, e non di chissà chi altro. E, siamo seri, Roy sapeva
perfettamente di essere troppo geloso ed egoista per suggerire qualcosa di
alternativo e di meno complicato.
E quella cosa,
quell’idea, quel miraggio, era davvero così possibile che sarebbe bastato
tendere la mano per afferrarla. Forse Roy non voleva farlo semplicemente per la
paura di dimostrare a sé stesso quanto fosse terribilmente concreta.
- Se ti accadesse
qualcosa non potrei mai perdonarmelo. –
- Ma non mi accadrà
niente. – rispose Ed, con quel suo sorriso inconsolabile che aveva il potere di
farlo a pezzi dentro. – Andrà tutto bene, sarà tutto magnifico, e vedrai, ti
piacerà tanto, potrai scegliere tu il nome, e potremmo risistemare la stanza
del tuo ufficio, che è grande abbastanza ed è proprio qui di fronte a camera
nostra; io ti cederò il mio, tanto non lo uso mai. E in salotto metteremo un
box, basterà spostare il tavolino un po’ più a destra. E in cucina un
seggiolone, e tutto quello che serve, lo spazio c’è, e per le cose ingombranti
come la carrozzina c’è sempre lo sgabuzzino, così magari ci decideremo a
buttare via quel tuo vecchio cassettone che ne occupa metà per niente. –
Le parole di Edward
fluivano come se fossero state pensate, pianificate e fantasticate per chissà
quanto tempo. Roy desiderò di non conoscere così bene il suo compagno, per
potersi illudere che quella non fosse altro che un’impressione.
Ed
insisteva nel sorridergli, accoccolato nel suo abbraccio caldissimo, fra le
coperte tutte stropicciate, imbacuccato com’era nella sua maglietta blu, e fu
così che Roy si tradì. Senza riuscire ad opporsi, si sorprese a immaginare, per
un momento soltanto, come sarebbero potuti essere gli occhi di Edward che
brillavano nel viso di un bambino.
ANGOLINO!
Ed
eccoci qui con questa nuova, breve avventura. Non credo ci sia granché da
aggiungere, rispetto a quanto già esposto nella premessa.
Tre
capitoli in tutto, che dovrei pubblicare con una certa regolarità, fra il
venerdì e la domenica.
Di
nuovo grazie ad Ely, che non è mai abbastanza, e grazie anche a tutti voi che
vorrete leggere, e perché no, lasciarmi le vostre impressioni.
Appuntamento
alla prossima settimana!