Note dell'Autrice:
Oh, al diavolo, avevo detto che avrei aspettato qualche giorno e,
invece, eccomi qui a presentare il seguito, sono una bugiarda, ma mi
avete straziato il cuore con le vostre recension. Iimmaginavo di
rattristarvi, ma non pensavo di causare un dolore di proporzioni
così titaniche e... insomma, devo ancora farmi le ossa come
autrice angst, sono davvero troppo tenera.
Vi scoccio in pre-capitolo per dirvi solo una cosa che non dovete
dimenticare in questa nuova storia: NON DATE
NULLA PER SCONTATO, NIENTE E' COME SEMBRA.
*Il sipario si alza e la scena riprende.*
Il Mausoleo
- Una volta mi hai detto:
"sarò il detentore dei tuoi segreti". Questo sarà
il mio
ultimo. Non sarà un bambino come tutti gli altri. Dimmi
di no, Clint, e non lo farò nascere. -
- Farò tutto quello che vuoi, Loki. Tutto. Ma ti prego...
non andare. Lo cresceremo
insieme, anche se non mi ami, anche se non è figlio mio. Ho
già perso Natasha... io... io non ce la faccio!.. -
- Il mio destino è scritto e
nessuno lo può cambiare. Morirei comunque, mi sono spinto
troppo
oltre. Stark non è pronto per crescere un figlio e, ad ogni
modo, quello di padre non è un ruolo consono ad un re. So
che
saprai accudirlo, che lo proteggerai dal mondo e da se stesso
e
che saprai donargli tutto l'amore che serve. -
- Mi prenderò cura di lui. Lo prometto. -
- Grazie. Resta fuori da questa battaglia. Spero davvero che
tu possa avere una vita serena, con lui, lontana dagli incubi del
passato... -
Il giovane uomo sedeva nella sua stanza, incurante e indolente
dell'affollamento di quel fetido cubicolo. Abituarsi al fetore era
stato semplice e, in un certo senso, indispensabile. Aveva imparato a
camminare nell'ombra, a tenere un basso profilo, a rubare e a uccidere
come un uomo normale, mescolandosi alla macchia di feccia che abitava
il complesso Nord H25D del Nordest degli, un tempo, Stati Uniti
d'America.
Thomas Barton, quello era il suo nome completo, anche se il cognome non
aveva mai potuto usarlo per ragioni che solo intorno ai suoi dodici
anni aveva potuto comprendere. Alla fin fine, comunque, i cognomi non
avevano più importanza, le persone non erano altro che
sigle,
di scarsa rilevanza, per di più, in quel tragico nuovo mondo.
Suo padre glielo aveva detto. Gli aveva spiegato molte cose, ma troppe
ne aveva taciute, prima che gli venisse strappato via da quelle stesse
macchine che imperversavano su ciò che restava del pianeta.
Erano passati vent'anni da allora, ma il dolore era ancora tutto
lì, radicato nella sua mente, come una serpe in attesa di
stringere tra le spire il suo stesso cacciatore. Si rigirò
tra
le mani il diario sfilacciato che l'aveva accompagnato per tutta la
vita. Un feticcio dei primi anni della Grande Dittatura.
Chi ancora era
in grado di ricordare quel periodo, lo ritraeva attraverso un sipario
di speranze svanite. Tutto era bello, allora, tutto era giusto, a
nessuno mancava nulla. Poi Anthony "Tony"
Stark, il Supremo Benefattore, il Filantropo,
come ancora lo chiamavano i vecchi, era scomparso alla vista,
tramutandosi nel Carnefice Spettro e i cieli si erano tinti di rosso.
Thomas non li ricordava azzurri, era stato, ancora una volta, suo padre
a descriverglieli. Se pensava a come doveva essere stato il cielo,
trentadue anni prima, lo immaginava proprio come gli occhi di suo padre.
Aveva riempito solo poche di quelle pagine ingiallite dal tempo,
dall'umido e da una vita di stenti e l'aveva fatto neanche in modo
sentito, non era portato per tenere un diario ed era, comunque,
inutile. In quel complesso in cui risiedevano oltre cinque milioni di
unità, erano pochi quelli in grado di leggere.
I ricordi che contavano li teneva ben saldi nella memoria, l'unico
posto dove avevano ancora ragion d'essere.
Ad ogni modo, presto tutto sarebbe finito.
All'alba il popolo avrebbe posto fine alla tirannia di Stark e sparso
per
il globo le sue membra stracciate e sanguinanti, lasciandole alla
mercé dei cani e dei corvi, cosicché tutti
potessero
vederle. Non voleva parteciparvi, non voleva più violenza di
quanta fosse necessaria alla sopravvivenza, ma forse, nel profondo,
sperava che quella rivoluzione avesse buon esito. Ci sperava per se
stesso e per il proprio padre, un padre che
aveva insultato una volta di troppo, un padre che non c'era
più
e che gli sarebbe mancato per il resto della vita.
E poi... poi lo faceva per lei, dolce, fragile, armata di un
ardore
puro ed estinto. Così sbagliata, eppure
così preziosa a livello strategico: una principessa in un
mondo
di schiavi.
Era un'idealista, lei, forse la sola rimasta, laddove anche solo la
parola "idealismo" era andata perduta. L'aveva trovato e stretto a
sé, salvandolo da se stesso e dai troppi fantasmi che gli
affollavano la mente. Erano tutti lì, volti di persone che
non
aveva mai conosciuto.
In passato si era spesso chiesto se tra di loro ci fossero anche quelli
dei suoi veri genitori, ma da quando l'uomo che l'aveva cresciuto,
l'unico che, a ben vedere, si fosse mai meritato il titolo di "padre",
era svanito, le sue domande su un passato ormai trascinato via dalle
rapide del tempo si erano fatte via via più sporadiche, sino
a
perdersi nel nulla.
Si alzò, avvicinandosi alla porta e coprendosi i
capelli con il cappuccio, lercio e sfilacciato. Non sarebbe riuscito a
dormire quella notte. Tanto valeva passarla fuori da quella
trappola per topi.
Un suo compagno lo guardava con attenzione e impallidì,
quando lo vide raggiungere la porta di metallo. Gli ricordò
che
il coprifuoco era passato da diverse ore e che gli Osservanti stavano
sicuramente pattugliando la zona: non poteva correre il rischio di
farsi neutralizzare; non quando erano così vicini alla
rivoluzione.
Non lo ascoltò e spinse la maniglia verso il basso con un
gesto meccanico.
- I- K0L! -
- Thomas. Mi chiamo Thomas, Andrew. -
Scivolò fuori dall'alloggio, mescolandosi con le ombre come
aveva imparato a fare. Sentiva il sibilo degli Osservanti che volavano
tra i cunicoli del complesso; le loro luci erano l'unica cosa che, di
tanto in tanto, ne illuminava gli angoli bui. Guardò sotto i
propri piedi, oltre il vetro-plastico sporco della pavimentazione. Un
tempo si poteva scorgere ciò che rimaneva della
città vecchia che ivi sorgeva prima della dittatura. La
chiamavano New York, gli
sembrava. Tony Stark aveva costruito tutto in "vetro"
affinché tutti potessero avere sotto gli occhi la
devastazione del
passato: nessuno l'avrebbe dimenticata; così facendo, forse,
nessuno l'avrebbe ripetuta.
Cos'aveva da dire invece su quella presente?
Molti, negli ultimi trent'anni, si erano posti questa domanda. Lui
compreso.
Ma non suo padre: Mai suo padre.
Aveva spesso sospettato che lui avesse
conosciuto personalmente lo Spettro, ma non era mai riuscito a
strappargli alcuna conferma.
L'ennesimo rimpianto, l'ennesima colpa
inconfessata.
Un uomo gridò, da qualche parte, nella notte. Thomas si
accucciò
nel buio, tra la sporcizia e i rifiuti di quella strada grigia, che un
tempo doveva esser stata bianca e rilucente. Il pover'uomo gli corse
innanzi, scivolò e cadde. Piangeva come un bambino e
continuava
a gridare in preda al panico, ebbro e folle d'alcool.
Nemmeno le sue lacrime lavavano via lo sporco dal suo volto rugoso,
invecchiato anzitempo.
Non doveva, in realtà, aver più di quarant'anni.
Thomas non poteva far nulla per lui. Ma anche se, assurdamente, avesse
deciso di aiutarlo (mandando all'aria vent'anni di cautela per sembrare
uno qualunque), non
l'avrebbe fatto. Quell'uomo valeva meno di niente: il mondo non si
sarebbe neanche accorto della sua assenza.
Tre Osservanti discesero, illuminando a
giorno il centro del vicolo. Il loro'aspetto era tutt'altro che
innocuo: sfere tentacolate di un metro di diametro.
L'alcolizzato si pisciò addosso, strisciando indietro,
tremante.
- Vi prego..! Ho dei figli... -
Mentiva.
Comunque, le suppliche erano inutili con le macchine:
avevano sensori per ascoltare, ma non sentimenti per comprendere.
Fu un lavoro rapido e pulito, come tutte le volte. Una gelida luce
azzurra e del malcapitato non vi era più traccia, come se
non
fosse mai esistito. Non una goccia di sangue: urla, piscio e
disperazione; questo è quel che era stato
Thomas chiuse
gli occhi.
"Corri, Tom! Scappa!"
Aveva cercato per anni di dimenticare il grido disperato di suo padre,
inutilmente. In cuor suo sapeva che ogni qual volta avesse
provato a rievocare il suo volto, non avrebbe visto altro che i
suoi occhi sgranati dalla paura della lotta. Non era stato patetico
come quel poveraccio: era
un combattente, lui, il Migliore dei combattenti. Prima di venir
sopraffatto aveva trascinato con sé cinque di quegli esseri.
La scritta STARK sulla superficie curva dell'Osservante
risvegliò un poco
la sua antica rabbia. Ciò nonostante, Thomas rimase immobile
e
silenzioso fino a quando le
tre macchine non si furono allontanate. Non gli fu mai chiaro
perché non riuscissero ad individuarlo, ma col tempo
riuscì ad intuire che i loro rilevatori termo-cinetici non
funzionassero
con lui. Ma questo era il meno: lui non era un uomo come gli altri, era
qualcosa di più. Lungo tutta la sua esistenza aveva
incontrato
solo
una persona come lui. Diversa come lui, ma, al tempo stesso, diversa da
lui: questa era lei.
Ancora accucciato si domandò dove fosse. Non la vedeva da
giorni. Nel
complesso H25D, questo poteva anche significare che non l'avrebbe
vista mai più.
R- 0HT, la conosceva solo tramite il suo
identificativo. Non sapeva se avesse anche un nome; nonostante le sue
insistenze, non aveva mai voluto dirglielo. Ignorava persino in quale
complesso fosse nata. O se ne fosse nata al di fuori, come lui.
Basandosi
sull'osservazione aveva dedotto che avessero all'incirca la stessa
età, ma questo era quanto.
Si scrollò di dosso quei pensieri. Non erano utili a nessuno
e
proseguì per la sua strada, diretto chissà dove.
I passi di corsa lo indussero, ancora una volta, ad appiattirsi contro
la parete. Non si sorprese quando lo squadrone lo sorpassò.
Non c'erano solo macchine nel complesso H25D, c'erano anche uomini. No,
non uomini: soldati. Persino più sordi e spietati delle
macchine
stesse. Si aggiravano per le strade ricoperti dalle loro corazze nere,
alla costante ricerca di dissidenti.
Non mostravano pietà per nessuno.
Li chiamavano gli Shielders, per via della sigla stampata sulle loro
giubbe: S.H.I.E.L.D., appunto. Nessuno aveva idea di cosa volesse dire,
ma a nessuno era mai realmente importato. Arrivavano di notte, senza
preavviso e con metodi molto meno "puliti" di quelli delle macchine
loro colleghe. Trascinavano le persone fuori dai cubicoli, anche a
decine alla volta. E le facevano sparire.
Inutile dire che di essi non si sapeva più nulla.
Non si negoziava con gli Shielders, non li avevano neanche mai sentiti
parlare. Qualcuno sosteneva che fossero macchine a loro volta, anche
perché vederli in faccia era impossibile, dietro a quegli
elmi
con la visiera nera.
Ad ogni modo, l'unica cosa certa era: se vuoi rimanere vivo, tienti
lontano da loro.
Thomas li seguì con lo sguardo fino a che non si infilarono
in
una delle gallerie che conducevano ai piani superiori del complesso. A
quel punto si allontanò a capo chino.
Una volta sul ponte indugìò. Sapeva che era
rischioso, ma
non seppe resistere alla tentazione di fermarsi e guardare di sotto.
Senza il "vetro" era ancora possibile scorgere i ruderi della
città vecchia. Era l'unica cosa che ancora
riusciva ad
affascinarlo.
Com'era il mondo, prima?
Quale sarebbe stata la sua vita, se fosse nato nel duemila o, ancora
meglio, nel millennio precedente, invece che nel 2012?
Altri passi di corsa e nessun posto per nascondersi.
Una donna apparve dall'altra parte del ponte. Una prostituta,
evidentemente. Erano molte ormai le donne che barattavano il proprio
corpo in cambio di beni di prima necessità.
Uno Shielder la stava inseguendo.
- LI', GUARDA LI'! PRENDI LUI E LASCIAMI ANDARE! -, strillò
lei-indicando Thomas-mentre il soldato l'afferrava per la vita.
Le conficcò un ago nel collo, e quindi si
afflosciò tra le braccia del suo carnefice.
Lo Shielder la buttò a terra e gli si avvicinò,
passandosi la pistola da una mano all'altra. Thomas si
risollevò
dalla balaustra, guardandolo. Era uno, ma già sapeva che ne
sarebbero arrivati altri. Non restavano soli a lungo.
Sollevò le mani e avanzò a sua volta, mostrando
di non
voler essere ostile. Il ronzio di un Osservante alle sue spalle gli
suggerì il piano da seguire.
Venne illuminato da un faro e a quel punto decise di agire.
Afferrò il soldato per un braccio e lo slanciò
alle
proprie spalle fra i tentacoli della macchina. La luce azzurra
disintegrò lui.
Avrebbe potuto distruggere entrambi semplicemente volendolo, ma non
sarebbe stato opportuno, avrebbe attirato su di sé tutti gli
Osservanti del complesso. Lo sapeva, c'era già passato.
Prima che la macchina potesse afferrarlo con uno dei suoi magli,
scavalcò la balaustra e si lanciò nel vuoto.
E la caduta fu rovinosa: si schiantò contro quel che restava
di
un palazzo e rotolò giù per una decina di metri.
Precipitò nella polvere e lì rimase, stordito,
per un
paio di minuti.
Si risollevò con estrema lentezza, massaggiandosi il petto.
Poi
si guardò intorno, ma vide ben poco. Se sopra era buio,
là sotto l'oscurità era totale. L'Osservante non
l'aveva
seguito e questo era un bene, ma non una soluzione: doveva andarsene da
lì e trovare una via alternativa per tornare in superficie.
Rovistò nelle tasche alla ricerca della torcia: mai andare
in nessun posto senza una torcia e un coltello.
Una delle regole fondamentali di suo padre, almeno quella l'aveva
imparata bene...
Tenne il fascio di luce puntato verso terra e proseguì,
accucciato, fino a quando non si trovò al di sotto dei
cunicoli.
Il vetro sporco lo avrebbe celato dagli occhi degli Shielders e dalle
telecamere degli Osservanti. Era al sicuro, almeno per il momento.
Continuò quindi ad avanzare con maggior sicurezza. Se aveva
calcolato bene le distanze, a circa un chilometro a Nord della sua
posizione c'era l'impianto di scarico fognario del complesso. Non
sarebbe stato piacevole, ma era l'unica via per risalire.
La luce illuminò un vecchio cartello ricoperto di detriti.
Si
chinò e lo ripulì col dorso della mano. "5 th
Avenue",
diceva.
Quinta Strada. Forse era così che venivano chiamati i
cunicoli nel passato.
Sollevò la torcia e si sorprese: quello non era un cunicolo,
era
una via immensa, ci sarebbero potuti passare cinquanta uomini
affiancati, forse di più. Scorse anche strani fabbricati,
costruiti in vetro e metallo, abbandonati l'uno accanto all'altro.
"Chrysler", lesse su uno di essi.
Il nome non gli disse nulla, ma il vetro era rotto, quindi
sbirciò dentro. Aveva tutta l'aria di essere un mezzo di
trasporto o, forse, una casa mobile. Ricordò le parole di un
vecchio che aveva incrociato in passato, gli aveva parlato di
automobili. All'epoca aveva pensato che se le fosse inventate e,
invece, eccole lì, a centinaia: abbandonate e morte.
Provò tristezza e un senso di solitudine opprimente. Non era
mai
sceso nella città vecchia: era proibito e, per quanto
possibile,
aveva sempre cercato di mantenersi invisibile e di non andarsele a
cercare. Uscire era stata un'imprudenza imperdonabile.
Il silenzio era quasi assordante. Tutto era immobile ed inerte, e non
soffiava neanche un alito di vento. Si strinse nella felpa in cerca di
conforto. Non aveva mai provato freddo in tutta la sua vita,
né
si era mai ammalato; ma aveva sempre trovato un'inconscio conforto
nello scomparire dentro vestiti troppo grandi per lui.
Proseguendo verso Nord si imbatté in altri ruderi. I palazzi
erano enormi, la gente doveva aver avuto un sacco di spazio per vivere.
Com'era possibile che una società come quella fosse giunta
al
tracollo? Che cos'era successo?
I vecchi narravano ai bambini di un mostro con gli occhi di fiamma che
aveva ridotto il pianeta in cenere. Era stato Stark ad ucciderlo. E
poi, a farsi carico di ciò che era rimasto. Sempre lui aveva
costruito i cinquecento distretti, affinché i tre miliardi
di
sopravvissuti avessero una casa dove vivere. Infine, aveva costruito le
macchine per far sì che a nessuno mancassero i beni di prima
necessità: acqua, cibo, cure mediche, cultura.
...Allora perché i cieli rossi?
Era questo che aveva rivoluzionato le colture. E, nonostante
l'incessante lavoro delle macchine agricole, il cibo non era
più
stato sufficiente per sfamare tutte le bocche. Lo Spettro era
scomparso, venendo meno ai suoi compiti. Si era trincerato dietro le
mura della sua fortezza di vetro, lasciando il popolo al proprio
destino e alla mercé delle macchine che lui stesso aveva
costruito per il bene comune. Molte di esse non erano più
ricomparse, disattivate chissà dove e chissà
come.
Restavano le Braccianti, gli Osservanti e qualche sparuta
unità
medica mal funzionante.
E poi, poi c'erano gli Shielders, che non erano d'aiuto a nessuno.
Era stato suo padre ad insegnargli a leggere e scrivere, quando si
erano rifugiati a vivere nei boschi, al di fuori dei
distretti.
Era stata colpa di Thomas se si erano dovuti allontanare dalla
società. Una colpa che Clint, suo padre, non gli aveva mai
fatto
pesare.
Ricordava con estrema nitidezza quel giorno di trent'anni prima. Era
seduto a terra, intento a giocare con un piccolo falco di legno
intagliato. Era inverno e in quel cubicolo sovraffollato la fame si
sentiva più che mai. Suo padre era uscito per barattare quel
poco che aveva per un tozzo di pane.
Thomas aveva cinque anni, all'epoca, e non aveva notato come gli uomini
e le donne del suo cubicolo lo guardassero. Giocava con il suo
falchetto, in attesa che il padre tornasse e gli raccontasse un'altra
delle sue belle storie. Storie di un mondo tramontato, di sentimenti
giusti, di amore incondizionato e di speranza. Non aveva mai pianto,
Clint, non si era mai lamentato, non si era mai infuriato né
con
lui, né con chiunque altro... nemmeno con lo Spettro. Aveva
la
capacità di mostrare sempre e solo il lato migliore delle
cose
-celando ciò che realmente provasse- agli occhi del suo
bambino.
Quindi quando quegli uomini si avvicinarono per ucciderlo e
trasformarlo nel loro prossimo pasto, Thomas era del tutto impreparato
alla cosa. Lo strattonarono, minacciandolo con i loro coltelli, e lui
si spaventò. Non avrebbe voluto far loro del male, ma fu
così che suo padre lo ritrovò: ricoperto di
sangue, tra
le membra lacerate di decine e decine di persone.
Non gli aveva detto nulla, l'aveva sollevato tra le braccia ed era
corso via, lontano dal complesso E89D, unico avamposto della vecchia
Florida.
Thomas si addentrò all'interno di una struttura fatiscente.
Sembrava una cupola di vetro, ma ne restava solo l'ossatura in acciaio.
Non riusciva a immaginare a che cosa fosse mai servita. Non aveva
l'aria di un'abitazione.
Qualcosa s'illuminò: per un secondo temette di esser stato
individuato, poi però si rese conto che non era altro che la
luce della sua torcia, riflessa da qualcosa. Si avvicinò
lentamente, guardingo, e...quasi urlò!...quando mise a fuoco
una
figura umana. Si tranquillizzò, quando capì che
era fatta
di pietra...e si portò una mano al petto, scosso
dall'affanno.
- Ah! Ah! Ah! E' solo una statua, non ti fa niente!-
La voce alle sue spalle lo fece balzare di lato. Puntò la
torcia in avanti.
- E levamela dalla faccia, Tom, dai! Sono io!-, si lamentò
la
donna. La torcia produsse un riflesso acceso sui capelli biondi di lei.
- R-0HT?! C-cosa..? Come ci sei arrivata, qua sotto?! -
- Ho seguito te.-, sorrise lei, avanzando con tutta
tranquillità.
Da quando si conoscevano, Thomas non l'aveva mai vista aver paura di
nulla, in nessuna situazione. Da principio l'aveva giudicata molto
stupida per questo. Poi ci aveva fatto l'abitudine e l'accettazione
l'aveva portato ad innamorarsene, senza mai confessarglielo. - Io sono
finito qui per
necessità, non per fare una gita.-, ribatté,
guardando il
pesante martello che portava appeso al fianco. Non gli aveva mai
permesso neanche di toccarlo e questo aumentava la sua
perplessità su come una donna così gracile
potesse
trasportare un oggetto tanto pesante senza batter ciglio.
- Oh, andiamo, puoi mentire a te stesso, ma non a me. Non vedevi l'ora
di venire nella città vecchia, aspettavi solo la scusa
giusta.-
gli strappò di mano la torcia e illuminò la
statua -
Ebbene, che ne pensi? -
- Non ne penso niente. Andiamocene.-
L'afferrò per un polso, ma lei non si mosse, imbambolata a
guardare il volto di pietra.
- "Tony Stark, Iron Man."-, lesse nell'epigrafe.
- ...quindi è questo il volto dello Spettro...-, la
sentì mormorare.
Sollevò lo sguardo. Stark, stando alla statua, non aveva
nulla
di straordinario. Non era altro che un uomo normale: non era alto tre
metri come in molti millantavano e non aveva neanche un aspetto
mostruoso. L'unica sua particolarità era che indossava
un'armatura.
- R-0HT, andiamo!-
Lei illuminò il pavimento e scostò i detriti. -
"I Vendicatori..."-, lesse sulle mattonelle.
Si divincolò dalla sua stretta e proseguì,
illuminando
un'altra statua. Raffigurava una donna con il viso d'angelo, ma armata
di tutto punto.
- "Nathasha Romanoff, la Vedova Nera." -
Andò ancora avanti, mentre Thomas, fermo nel buio,
l'osservava, nervoso.
- "Clint Barton"..."Occhio di Falco"! Questo è tuo padre,
Tom! -.
- Cosa?-
La raggiunse.
Il fiato gli mancò, quando riconobbe il volto dell'uomo che
l'aveva cresciuto. La sua raffigurazione era perfetta, come se suo
padre stesso fosse stato ricoperto da uno strato di roccia bianca.
Stringeva il suo arco teso, pronto a scoccare una freccia.
Salì sul piedistallo e gli sfiorò il volto con le
dita,
gli occhi lucidi di commozione. Non sapeva spiegarsi perché
ci
fosse una statua di suo padre nella città vecchia, ma non
aveva
importanza, non sul momento.
R-0HT lo distolse:
- Vieni a vedere! Questo ha il mio martello! -
Balzò giù e seguì il fascio di luce.
Gli si seccò la gola di fronte alla statua di quell'uomo
possente, accucciato a terra con il martello proteso verso il cielo.
Aveva un espressione dura e determinata e sembrava essere molto
potente. Lanciò uno sguardo a R-0HT: la loro somiglianza era
fuor di dubbio.
- "Thor, Dio del Tuono". Era tuo padre, vero? -
La donna non rispose e si strinse nella giacca che indossava,
improvvisamente infreddolita. - Non lo so. Non so niente dei miei
genitori... solo che mia madre è morta prima della mia
nascita. -.
Thomas la guardò perplesso.
- Al limite può essere morta con la tua nascita, non
prima... -
R-0HT si strinse nelle spalle.
- Così mi è stato detto da mio zio, ma non ha mai
voluto perdersi in dettagli. -
Lui si sedette sotto la statua di Clint, mentre la donna continuava ad
ammirare il dio con il martello.
- Ma tu chi sei? Da dove vieni? -, le domandò.
- Mi chiamo Tara Selvig. Sono nata poche settimane prima della grande
devastazione da una donna che si chiamava Jane Foster, di mio padre non
so nulla. So solo che, in qualche modo, fu responsabile della morte di
mia madre. -.
Si sganciò il martello dalla cinta e glielo
lasciò cadere di fronte.
- Prova a sollevarlo. -.
Thomas la guardò, confuso. Poi si sistemò in
ginocchio e
ci provò, senza riuscure a spostarlo neanche di un
millimetro.
- Il suo nome è Mjolnir... -, riprese Tara, - Ed ho ragione
di
credere che non sia di questo mondo. Ci sono altre realtà al
di
là dei cieli rossi. -.
- Dove sei cresciuta? -.
Lui ignorò di sana pianta i discorsi su altri popoli. Non
gli
interessavano. Si levò la felpa e gliela lanciò
perché la indossasse.
La donna lo ringraziò, poi gli si sedette accanto.
- Prometti di non rivelarlo a nessuno? -, gli domandò.
- Certo. -
Tara appoggiò la nuca al piedistallo e prese un profondo
respiro.
- Io vengo dalla fortezza, Thomas. Prima che tu me lo chieda: no, non
ho mai visto Stark e non ho idea di dove sia finito. Gli Shielders sono
uomini come me e te, ma non hanno mai voluto rispondere alle mie
domande. Ad ogni modo credo che solo pochi di loro conoscano la
verità. Mio zio, forse, era uno di questi, ma da quando
è
morto nessuno mi ha più prestato ascolto. Non credere che la
vita dentro alla fortezza sia molto meglio di quella nei distretti: il
cibo è razionato, abbiamo solo più spazio. Quei
corridoi
sono opprimenti, puoi percorrere miglia e miglia senza incontrare anima
viva. -
- E potete uscire quando volete? Nel senso, un tizio qualunque che
incontro per la strada durante il giorno potrebbe essere uno Shielder? -
- Nessuno può uscire, eccetto i soldati di pattugliamento.
Io ci
riesco grazie al martello, ma solo qualche volta. Non ho ancora chiaro
come funzioni. -
Thomas si alzò bruscamente.
- Perché non mi hai mai detto niente?! Da quanto ci
conosciamo,
cinque anni?! Io ti ho raccontato tutto di me, sino al più
piccolo dettaglio, mentre tu... -
Scosse la testa per cercare di calmarsi. Non era opportuno che perdesse
le staffe: nonostante la rabbia non voleva farle del male.
- Mi dispiace, - ammise Tara - ma non potevo parlartene. Vivi con dei
rivoluzionari, Thomas, mi avrebbero fatta a pezzi solo
perché
vivo nella fortezza! -
- Dirlo a me non significava dirlo a loro! E poi sei tu quella armata
dal sacro fuoco della rivoluzione, di certo non io! Non ti fidavi di
me, questo è quanto! -
Tara gli si avvicinò.
- Se sono stata zitta era solo perché sapevo che avresti
avuto una reazione del genere! -
- Non me ne frega niente se vieni dalla fortezza o dalla Luna, R-0HT!
Sono stato sincero con te, è questo il punto! Pensi forse
che
sia stato meno rischioso? -
- Adesso basta. Allontanati da lui! -
Uno Shielder uscì dal buio, tenendo il fucile a tracolla e,
fissato al braccio, un imponente scudo nero. Non portava alcun elmo ed
aveva indicativamente la loro stessa età apparente.
Thomas si frappose tra lui e Tara: - Segui il consiglio, amico:
vattene. -
Tara gli afferrò un braccio.
- No! Non fargli del male, lo conosco: è il Generale Rogers.
-
Lo Shielder si fece avanti, fermandosi a un palmo dal giovane.
- Faccia a terra. -, gli intimò.
- Scordatelo! -
Steve Rogers concentrò la sua attenzione su di lei: - Hai
divulgato informazioni riservate con un uomo del popolo! Sei
impazzita?! Già è imperdonabile che tu sia fuori
dalla
fortezza. Avevo il sospetto che in qualche modo tu stessi facendo
qualcosa di sbagliato, per questo ti ho messo addosso un segnalatore,
ma mai mi sarei aspettato questo! -
Fu un gesto fulmineo: d'improvviso sollevò il braccio e
colpì Thomas in pieno volto con lo scudo, facendolo
schiantare
contro la statua di Stark, a qualche metro di distanza.
Afferrò
la donna per un braccio e la strattonò:
- Tu torni indietro con me! Il tuo amico sarà giustiziato! -
Una decina di Osservanti, giunti sul posto in modalità
silenziosa, si attivarono, illuminando a giorno il Mausoleo e tutte le
statue dei Vendicatori, disposte a cerchio.
Thomas, stordito per il colpo, ancora era a terra.
Sentì il grido di R-0HT che, divincolatasi dalla stretta di
Steve, si era slanciata in avanti. Il suo peso gli arrivò
addosso, poi la luce azzurra del laser lo abbagliò.
Un ultimo strillo e della donna non rimase più nulla. Thomas
se la vide sparire dalle braccia.
-Tara! -, urlò. Ma la sua voce si perse nel rimbombo di
quell'enorme salone di vetro.
Il tempo parve
dilatarsi e smettere di seguire il suo corso. La temperatura
calò bruscamente, proporzionalmente alla rabbia di Thomas.
Il giovane schivò i
laser delle macchine, si alzò in piedi e
spalancò
le braccia. Un onda d'urto si dipanò dal suo corpo e
investì gli Osservanti. I componenti delle macchine
scricchiolarono sino a smontarsi e le sfere caddero a terra, una dopo
l'altra, con sinistri tonfi metallici.
Steve sgranò gli occhi e imbracciò il fucile; ma
non
riuscì a fare nulla per impedire che Thomas si sollevasse in
volo e sparisse al di sopra della volta del mausoleo.
Le prime luci dell'alba già facevano capolino oltre
l'orizzonte, illuminando di fuoco il sorgere della rivoluzione.
Ci sarebbe stato un uomo in più a combattere e avrebbe fatto
la differenza.
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