Capitolo XVIII
Oh and
if there's any love in me, Don't let it show.
Oh and if there's any love in me, Don't let it
grow.
(Shape
of my heart, Noah &
The Whale)
2
Luglio 2028
Londra,
Diagon Alley.
Il
Paiolo Magico. Mattina.
Era un grigio
lunedì mattina,
umidiccio e piovoso come poteva essere solo in un’isola
flagellata da un clima
orrendo.
Milo, che in
un’isola ben più
grande e variegata adesso viveva, si stiracchiò, varcando
l’ingresso fumoso del
Paiolo Magico.
Cosa
c’è di meglio dell’odore di uova e birra
stantia
la mattina? Ti rimette a posto con il mondo.
Se
vivi in un cassonetto.
Con una lieve smorfia
alzò gli
occhiali da sole per non vagare nella penombra del locale –
erano scomodi anche
fuori, con quel tempo, ma era una questione di immagine - e andò alla
ricerca del motivo per cui era
tornato in quella bettola sudicia; il principino, che consumava la
colazione
con la solita aria da eroe tragico, ma con il tovagliolo sulle
ginocchia e ogni
singola posata disposta.
“Ti manca una
cappa che ti
nasconde il viso e una candela e sei un perfetto
cospiratore.” Lo salutò
stravaccandosi sulla sedia di fronte a lui. “Buon
lunedì, padrone.”
Sören alzò appena lo sguardo dal suo piatto di
porridge – Merlino, davvero?
“Dov’eri finito?”
“Dici sabato sera o tutta questa domenica? A prendermi il mio
giorno libero.”
“Non hai giorni liberi.”
“Curioso, mi sembrava di sì.”
Ghignò agganciandosi i Ray-Ban al taschino e
tirando una sigaretta fuori dal pacchetto sgualcito. “Sentito
la mia mancanza?”
Lo guardò attentamente e registrò i cerchi
attorno agli occhi e l’aria tirata.
“Delle mie pozioni post-sbronza?”
Suggerì ignorando l’occhiata luciferina che
gli venne scoccata. “Qualcuno ha passato un’alba
del giorno dopo niente male,
vedo.”
“Non pensavo di aver bevuto così tanto.”
Mormorò rimestando nella poltiglia
grigiastra che aveva di fronte con aria assente. “Non penso
di aver mai bevuto così
tanto.” Si corresse.
“Perché ne sento ancora gli effetti?”
“Perché
è la tua prima vera
ciucca!” Ridacchiò accendendosi la sigaretta e
passandogliela magnanimo; era
certo che non fosse strisciato a comprarsele in quei due giorni.
L’altro la
prese con un guizzo grato negli occhi arrossati.
“Complimenti, sei diventato un
ometto!”
“Ti prego di
evitare
inadeguata ironia.” Borbottò con il tono di un
bambino con il mal di pancia.
“Penso di aver contratto un virus. La promiscuità
a quella festa…” Avvampò
quando notò come lo
stava guardando.
“… intendevo lo scambio di bicchieri.”
“Sì, certo.” Convenne facendo aderire la
schiena contro la sedia; con un guizzo
schifato si accorse che vi aderiva fin troppo. “Non ti sei
ammalato, è che non
sei abituato alle bombe che confezionano i tuoi amici maghetti durante
le
feste. Alcool magico con quello babbano? Senza una Pozione Anti-Sbronza
ti senti
un cadavere per le trentasei ore successive.”
“Te ne intendi.”
“Ehi, io so
divertirmi.”
Sören fece una smorfia infilandosi una coraggiosa cucchiaiata
di quella sbobba
in bocca. Inghiottì con la fermezza di un soldato con il
proprio rancio. “Mi
servirebbe quella pozione.” Mormorò con un
sospiro.
“Sì,
sì ricevuto.” Convenne
godendosi il semplice fatto che si sentiva da urlo mentre il maghetto
si
sentiva uno straccio.
Per
una volta, lunedì i ruoli sono invertiti. Ah!
Aveva passato una domenica
niente male, in giro per una città che si era dimostrata
piuttosto
interessante. Aveva dormito nel letto di un architetto Babbano che si
era poi
offerto di accompagnarlo in giro e di pagargli ogni singolo pasto,
commosso
dalla sua storia strappalacrime di modello la cui fortuna aveva smesso
di
baciarlo. Era stata una buona domenica sì, ma soprattutto
era stato un grandioso sabato sera.
Ho
smerdato quel coglione di Purosangue. Ho chiuso la
storia, garantito.
Meglio
di una scopata!
Ora però era il
momento di
rientrare nei panni della balia. Batté le mani, facendo
sobbalzare l’altro con
una smorfia di dolore. “Allora, raccontami
com’è andata.”
Sören distolse prontamente lo sguardo, in una ritrosia
adorabile se non fosse
stato per il tono da piccolo dittatore che ne seguì.
“Non sono affari che ti
riguardino.”
“Per favore.”
Alzò gli occhi al
cielo. “Parliamoci chiaro, principino … Mi hai
trascinato a quella stupida
festa di bambocci magici. Il minimo è dirmi se sei riuscito
finalmente a
mettere le mani addosso…”
“Ti avverto.” Ringhiò, ed era talmente
teso che sembrava una frusta pronta a
schioccare. “Se osi mettere in mezzo…”
“… Insomma, hai scopato o no?”
Stornò perché aveva capito l’antifona e
non
aveva intenzione di farsi Maledire, non di lunedì mattina.
Meglio dunque tenersi
sul generale.
Sören si
rilassò visibilmente.
“No.” Scosse la testa, imbarazzato ma non
più aggressivo. “Come ho detto, non
ero in me e preferisco essere nel pieno possesso delle mie
facoltà mentali…”
“… e fisiche…” Lo
stuzzicò e per un momento pensò che gli avrebbe
tirato un
calcio.
Questa
faccenda londinese ci sta avvicinando? Ugh. No.
“…
delle mie facoltà mentali
quando mi approccio ad una
donna.” Concluse pieno di sussiego. “E comunque ho
passato la serata a
chiacchierare con Lily e il suo ragazzo.”
… Merlino, che fesso.
“Ah,
sì?” Interloquì
diplomatico. Fare battute sarebbe stato come sparare sulla croce rossa.
“Beh,
che tipo è? A parte avere un culo da sogno ma molto etero,
si intende.”
“Ha una cultura
notevole.” Non
si sbilanciò ed era chiaro non volesse parlare di quello.
Diede infatti un
sorso al proprio caffè – un po’
inquietantemente color inchiostro – e serrò le
labbra. “Ad ogni buon conto questo ho fatto. Poi sono tornato
alla locanda.”
“Ti sei divertito?” Un’ombra di sorriso
passò negli occhi dell’altro e Milo si
trovò a sorridergli di rimando. “Che
t’avevo detto? Questi britannici non sono
poi tanto male.”
“Non ho mai
sostenuto il
contrario. Non di tutti, almeno.” Ammise con un sorrisetto
che gli cancellava
dalla faccia almeno dieci anni. Quando si ricordava di fare battute
sembrava
finalmente avere vent’anni e non cinquanta.
“Scorpius è stato un ospite
eccellente.”
Ah, ora lo chiama per nome. Buon segno.
Si sentiva tremendamente
una bambinaia apprensiva.
“E Zenzero?”
Sören sbuffò al nomignolo, ma non lo corresse.
“Lilian è stata meravigliosa.”
Ed era una constatazione che veniva così naturale da far
tenerezza.
“Ci
mancherebbe.” Si passò una
mano trai capelli, che li sentiva già appiccicarsi
sgradevolmente sulle tempie.
Questo
posto fa schifo. Se dobbiamo star qui più di una
settimana conviene trasferirsi.
“E tu
invece?”
Milo batté le
palpebre
sorpreso; era raro che l’altro si informasse circa i suoi
spostamenti,
informasse sul serio, e non per dar aria alla bocca o colmare un
silenzio. Dallo
sguardo però sembrava sinceramente incuriosito.
“Non ti ho visto tornare, sei
andato via con qualcuno?”
“Sì e
no.” Si strinse nelle
spalle. “Diciamo che ho fatto un po’ di guai a
Notturn Alley e poi sono andato
a fare il bravo nel letto di qualche Babbano non impegnativo.”
Sören inarcò le sopracciglia con aria divertita.
“Come al solito insomma.”
“Ho anche fatto il turista.” Aggiunse sulla
difensiva, perché di
fronte allo sguardo dell’altro realizzò
che la sua domenica non era stata poi tanto esaltante.
Al
diavolo, lui l’ha passata sulla tazza del cesso.
Almeno io ho scopato.
Sören
annuì. “Ho capito.”
Dietro l’aria stordita sembrava diverso dal solito, lo
registrò incuriosito.
Meno ombre nello sguardo, più vita.
Qualcuno
finalmente ha avuto un sabato sera autentico.
Ne era contento, il che fu
un
po’ spiazzante. Accantonò quell’anelito
filantropo e lo classificò come
l’opportunità di potersi fare i fatti propri.
Se
non rimane chiuso in se stesso a rimuginare io ho
più giornate libere. Semplice.
“Allora
… pozione!” Si alzò in
piedi. “Vado a preparartela. Per quando ti serve?”
“Subito.”
Tornò in modalità
padroncino pretenzioso. “Io lavoro.”
Fece schioccare la lingua, trattenendosi per non mandarlo al diavolo.
Ecco,
quello era il botta-e-risposta che ricordava e che lo metteva a suo
agio. “Stessa
situazione qui, Prince. E credimi, non è un lavoro
part-time.”
Quando Milo l’ebbe
lasciato
solo, Sören si permise di emettere un basso lamento,
passandosi una mano sul
viso; l’emicrania non gli dava tregua da ormai quarantotto
ore e non aveva la
minima idea di come sarebbe riuscito a presentarsi
all’ufficio Auror in quelle
condizioni.
Se
non mi riprendo sarò facile vittima per Potter.
Non era pentito
però; per
quanto male si sentisse, quello che aveva vissuto e provato era
qualcosa di
annoverabile trai suoi pochi, buoni ricordi.
Lily
mi ha accettato. Perdonato forse non ancora. Ma mi
ha accettato.
Normalmente non si sarebbe
spinto in considerazioni così audaci, ma l’amica
aveva passato un’intera serata
con lui e non c’era stato momento in cui, alzando lo sguardo,
non l’aveva vista
sorridergli. Non si era sentito lasciato a sé stesso o alle
sue paure neppure
una volta. Lily era una LeNa: aveva avuto modo di mostrargli la sua
vicinanza
anche senza parlare.
E
poi…
Ficcò il
cucchiaio nella zuppa
di avena ormai fredda: poi c’era stato un episodio che non
sapeva come
classificare e che aveva semplicemente accantonato come effetto
dell’alcool.
La
vista aveva cominciato a sfuocarglisi ed aveva
dunque lasciato il bicchiere ancora colmo di whisky al suo destino,
preferendo
concentrarsi sulle parole di Scott Ross. Non aveva idea di come fosse
finito a
parlare di linguistica indoeuropea con il fidanzato di Lily, ma era una
conversazione interessante e gli dispiaceva intenderne che pochi
sprazzi.
“Amico,
sei cotto.” Gli aveva detto ad un certo punto
lo scozzese di fronte a lui, con un sorriso storto. “Mi
segui?”
“Temo di no.” Aveva confessato, sentendo il peso di
Lily appoggiarglisi alla
spalla; quel contatto aveva smesso di turbarlo almeno un paio di
bicchieri
prima. La ragazza si era fatta insolitamente silenziosa, limitandosi ad
ascoltarli con un pigro sorriso dipinto sulle labbra rosse.
“Vado
a prenderti un bicchiere d’acqua.” Lo scozzese si
era alzato un po’ scoordinato, appoggiandosi alle sua spalla
per tirarsi
dritto. “Oops!”
“Nessun problema.” Aveva trovato giusto notificare,
che il contatto fisico
davvero non gli stava dando problemi, ed era fantastico, meraviglioso.
Non gli
era mai successo. “Sei sicuro?”
“Credo
di averne bisogno anch’io.” Aveva scrollato le
spalle. “Tienila d’occhio, okay?” Aveva
indicato Lily che profumava di gigli
esattamente come quando aveva quindici anni.
Non ha mai cambiato
profumo…
Perché dovrebbe? Le sta bene.
Quando
Scott se n’era andato aveva abbassato lo sguardo
sull’altra. “Come ti senti?” Aveva
chiesto, perché era il genere di cose che si
supponeva si dovesse chiedere. Aveva
sentito Scorpius domandarlo alla propria fidanzata mentre la suddetta
aveva la
testa ficcata fuori dalla finestra ‘per prendere
aria’. “Hai bisogno di un
bicchier d’acqua?”
Lily
per tutta risposta gli era scivolata addosso: non
c’era stato termine migliore per descrivere
l’evento, dato che un momento prima
gli era accanto e quello dopo sulle sue ginocchia a cingergli il collo
con le
braccia mentre nascondeva il viso contro il suo petto.
Un
lontano, lontanissimo campanello d’allarme era
risuonato nella sua testa. Avrebbe dovuto preoccuparsene? Forse no.
“Ho sonno.”
Aveva bofonchiato. “Ho bisogno di dormire.”
“Credo non sia opportuno che tu ti
addormenti…”
“Ren, chi era la ragazza da party di noi due? Chi se ne
intende?” Aveva
argomentato con un sospiro che gli aveva solleticato il collo, caldo
come il
vento del Messico. Da ubriachi – perché lo erano,
nessun dubbio su questo – i
paragoni venivano così facili…
Da
qualche parte l’impianto stereo suonava imperterrito
ed era tutto perfetto.
Memories fade, like looking
through a fogged mirror
Decisions too, decisions are made and not bought…
“Tu.
Sei tu l’esperta.” Aveva convenuto. Il campanello
continuava a trillare, e doveva dargli un senso. Andò a
tentativi. “Vuoi che
chiami Scott?”
“Perché? È conciato peggio di noi due
messi assieme, starà con la testa sotto
il rubinetto adesso, lascialo perdere.”
“Allora…”
C’era sicuramente una risposta alla domanda
che aleggiava tra di loro, ma non l’aveva e quindi aveva
aspettato che fosse
l’altra a trovarla: era sempre stata più brava di
lui in quelle cose.
Come
un tempo, Lily non l’aveva deluso. “Portami a
letto.”
Il campanello aveva cominciato trillare insistentemente ma
l’aveva ignorato,
perché aveva un ordine ed era un agente e quello che
facevano gli agenti era
obbedire. “Ce la fai a stare in piedi?”
“Domanda
stupida, Ren. Se fossi in grado, credi che te
l’avrei chiesto?”
C’era
un metodo nell’ebbrezza di Lilian, molto più che
nella sua, quindi vi si era affidato, passandole un braccio sotto le
gambe e
tirandola su. L’aveva sentita ridacchiare, deserto del
Messico contro la sua
pelle. “Come una principessa, eh Ren? Un principe e una
principessa!”
“Nessuno di noi due è di sangue reale.”
“Non mi freghi, con il cognome che ti ritrovi.”
Era
parsa ad entrambi una battuta molto divertente,
perché avevano ridacchiato salendo le scale. Avevano
così incrociato la
ex-Campionessa di Beaux Batons nonché una delle innumerevoli
cugine che aveva
ghignato loro facendoli passare mentre cercava di aiutare una brunetta
a
tirarsi in piedi. “Ehi Rossa, ti sei trovata un altro
cavalier servente?”
“Sono
una principessa, vero Ren?” Aveva ribadito
l’altra con una felicità così alcolica,
ma tenera che Sören si era trovato ad
annuire.
“Sì,
lo sei.”
“Ed eccone un altro. Convinci proprio tutti i maschietti a
stendere il mantello
per farti saltare la pozzanghera, ah?” Aveva ribattuto la
francese
strizzandogli l’occhio. “Buona fortuna
mangiapatate!”
Lo
sono. Sono fortunato.
L’aveva poi portata nella prima
camera
indicatagli e Lily si era lasciata posare sul letto per poi
rannicchiarsi tra
le coperte. “Lilian?” L’aveva chiamata.
“Non puoi dormire con i vestiti addosso,
devi cambiarti.”
Non
vi era stata risposta e dubitava che l’avrebbe
avuta a giudicare dal respiro denso e regolare dell’altra.
Aveva quindi
sospirato, sedendosi sul ciglio del letto sia per far smettere la testa
di
vorticare impazzita sia per …
Per guardarla.
Non
aveva ancora avuto modo di farlo adeguatamente,
sempre preso a non esagerare, a non mostrare, a non far capire quanto e
come
gli fosse mancata in quei cinque anni.
Ti può mancare
una cosa che
non dovresti avere?
Forse persino più
di quanto dovrebbe.
Era
bella Lily. E non era solo il suo aspetto a
renderla tale, ma l’aura luminosa che emanava, il raggio di
luce che aveva
bucato l’oscurità in cui era stato immerso dalla
morte di suo padre.
Era
molto ubriaco per fare considerazioni simili, se ne
rendeva conto. Era molto ubriaco o non le avrebbe mai tolto una ciocca
di
capelli dalla fronte per sfiorarle lo zigomo, sentendo le lacrime
pungergli gli
occhi per il semplice fatto che l’altra fosse lì,
con lui. Che fosse venuta al
mondo.
Grazie.
Si
riscosse quando la vide battere le palpebre. “Ehi,
soldatino…” Gli sorrise cercandogli la mano per
stringergliela. “Mi fai la
guardia?”
“Pensavo più che altro a come farti stare
comoda.” Aveva risposto, schiarendosi
la voce e ringraziando le luci soffuse della camera.
“Sto
benissimo.” Aveva sbadigliato, cercando di
calciare via i tacchi elaborati e dall’aria scomoda che
indossava. “È più
semplice di quel che sembra.” Motteggiò scoccando
loro un’occhiata frustrata,
prima di premere di nuovo il viso sul cuscino. “Puoi andare
Ren, non devo
essere uno spettacolo esaltante…”
Non
c’è altro posto in cui vorrei
stare.
Non
lo disse però, limitandosi a sfilarle quelle che
ormai avevano assunto le dimensioni di trappole per piedi, cercando di
non
rimanere turbato dal gesto. Non aveva calcolato quanto potesse essere
intimo
sfiorarle le caviglie e la pelle morbida delle gambe nude, quasi
…
Erotico?
Le
posò a terra, dove la mattina dopo l’altra avrebbe
potuto trovarle e si passò una mano sul viso.
Alzati e vattene. Hai
assolto
al tuo compito soldato, adesso va’.
Non
voleva.
“Ah, siete
qui!”
La
voce di Scott Ross era stata una vera e propria
doccia fredda. Sören aveva alzato la testa di scatto e aveva
visto il ragazzo
stagliarsi sulla porta con un bicchier d’acqua in mano.
È per me.
Si
era sentito una carogna, e si era affrettato ad
alzarsi. “L’ho portata a letto, aveva
sonno.” Aveva accettato il bicchiere e ne
aveva dato un grosso sorso. “Spero di non aver fatto
male.”
“No, per niente. Quand’è così
è l’unica cosa da fare…” Gli
aveva sorriso: era
un bravo ragazzo. Molti altri uomini l’avrebbero
antagonizzato, trovando facile
odiarlo per aver fatto soffrire la ragazza che amavano. Ross aveva
voluto
conoscerlo.
E tu hai desiderato rimanere
con la sua donna.
Che razza di mago sei?
Vergognati.
“È
il caso che vada.” Si era scollato dal palato. “Se
si sveglia dille che…”
“… che la saluti.” Lo aveva interrotto,
dandogli una pacca sulla spalla. “Grazie
per esserti preso cura della mia
ragazza.”
…
Ah, ecco.
Era
giusto. “Nessun problema, siamo amici.” Aveva
chinato la testa in un saluto. Perché tutto quello aveva il
sapore di una resa?
Era ridicolo. “Buonanotte.”
Scendendo
le scale aveva sentito uno schianto e un
freddo dolore alla mano; era dovuto arrivare in cucina per rendersi
conto che aveva
spaccato il bicchiere tra le dita.
Il moto di invidia che aveva
provato nei confronti dello scozzese era stupido, se ne rendeva conto. Doveva essere felice che Lily avesse
trovato un ragazzo capace di amarla e rispettarla; sembrava serena ed
era questo
che doveva importargli, nient’altro.
Strinse la mano che aveva
curato non appena era riuscito ad utilizzare la magia senza aver voglia
di vomitarsi
sulle scarpe.
Ti
può mancare una cosa che non puoi avere?
Persino
più di quanto dovrebbe.
****
Chelsea Embankment, Old Church
Street.
Mattina.
Michel non riusciva a
togliersi dalla mente il Magonò. Il che era umiliante.
Scacciò via per
l’ennesima
volta quel pensiero, arrotolando la Gazzetta del Profeta e mettendosela
sottobraccio mentre entrava nel suo caffè preferito il
quale, oltre avere il
pregio di un proprietario che non mancava mai di offrirgli la
colazione, era a
due passi da casa sua. Fece scivolare il quotidiano magico nella borsa
di pelle
e individuò a colpo sicuro la massa di ricci mollemente
acconciati del suo
inquilino abusivo. Sorrise quando vide un’altrettanto
familiare testa scura e
spettinata.
È
riuscito a farcela.
“Al, questo taglio
sta andando
fuori controllo…”
“Lo
so!” Mugugnò l’interpellato
riavviandosi i capelli corti con un
delizioso rossore sulle guance. “È quella mezza
lunghezza impossibile. Mi
raserei se non dovessi affrontare gli sfottò di
metà della mia famiglia!”
“Con che faccia osano? Metà di loro ha roba
assolutamente riprovevole in
testa.” Replicò facendolo sorridere con affetto.
“I capelli rossi sono
volgari.”
“No, sono
deliziosi. Sapete
cosa si dice delle donne coi capelli rossi, no? Rosse di capelli, rosse
di
pensieri.” Si intromise Loki con un sorriso lascivo,
schivando un calcio dall’amico,
la cui sorella era baluardo di quell’affermazione.
Credo
anche che siano stati a letto assieme, lei e
Loki. Ma francamente, chi non è stato a letto con la Potter?
Al si
spostò per fargli posto.
“Abbiamo ordinato anche per te. Cappuccino di soia,
giusto?”
“Sai come prendo il caffè, pulcino, sono
commosso.” Ironizzò contento; la
giornata, nonostante il tempo metifico, si prospettava rilassante. Al
lavoro lo
aspettava la solita pila di scartoffie ma la sua vicina di scrivania
era ancora
malata.
Potrò
fumare come e quanto voglio. Accontentiamoci
delle piccole cose.
“Abbiamo fatto
colazione
assieme per sette anni, avrei la memoria fallata se non fosse
così.” Rispose Al
scrollando le spalle. “Posso restar poco però
… Ho da fare al San Mungo.”
“Il nostro scricciolo ambizioso!”
Sogghignò Loki mettendosi una mano sul petto.
“Ti ricordo timido e buono a nulla … Con la nostra
paziente guida sei diventato
un vero arrampicatore sociale.”
“Voglio solo fare
bene il mio
lavoro!”
“Non essere modesto. Dillo a zio Loki, quante persone hai
calpestato fin’ora?
Rendimi fiero di te.”
“Lo!”
Michel ridacchiò ascoltando il battibecco giocoso trai due e
mentre consumavano
le loro flagranti ordinazioni – il proprietario non si era
smentito e aveva
dato loro una dose extra di cornetti a testa, con gran gioia di Albus
– il
pensiero scivolò di nuovo
nei lidi in
cui era stazionato per tutto il finesettimana.
Il Magonò. Chi diavolo
è? A parte … un
Magonò, certo.
Al
diavolo, sono sicuro, l’ho già incontrato.
Non riusciva però
a ricordare
dove: non aveva mai frequentato senza-magia, neppure nelle sue
spedizioni più
sordide appena uscito dalla claustrofobia di Hogwarts.
Ho
degli standard, grazie tante.
“Mike?”
La voce di Al lo
riscosse bruscamente. “Son dieci minuti che parliamo con te e
non ci rispondi.
Va tutto bene?”
“Sì,
ero solo perso nei miei
pensieri.”
“Voli pindarici dal mago più materialista di
Londra? È sorprendente.” Gli diede
manforte Loki sorseggiando il suo the con un piglio che gli stava
valendo occhiate
lussuriose da tutta
la popolazione
femminile presente nel locale. Sarebbe probabilmente uscito di
lì con almeno
cinque o sei numeri scritti sul complicato smartphone Babbano che usava
per
andare a caccia di gonnelle.
“Hai conosciuto
qualcuno?”
Sorrise Al e normalmente sarebbe stato un fraintendimento grossolano.
“Forse.”
Non si sbilanciò
staccando un pezzo dal proprio croissant: l’idea di
confidarsi con quelli che
riteneva i suoi più cari amici doveva venirgli naturale,
supponeva, ma Loki aveva
la deprecabile tendenza alla presa in giro.
Ti
chiederebbe sotto quale Pozione Stordente sei.
Penserebbe ad uno scherzo.
E lo avrebbe pensato anche
lui
a ruoli invertiti. Al tempo stesso non poteva però smettere
di pensare a quel corpo
bollente, alle dita che tracciavano la sua pelle come se ne
conoscessero la
mappa e…
“Mike?”
Albus sembrava
estremamente divertito dalla situazione e ne aveva ben donde.
Ti
stai comportando come un idiota.
“Nessuno di
interessante,
pensavo al lavoro.” Allungò un paio di sterline
sul tavolo per chiudere la
conversazione. Sperava non sembrasse una ritirata. “A questo
proposito temo di
dover scappare, sono in ritardo.”
“Lo sono anche io.” Fu lesto a ribattere il
moretto, gettando alla rinfusa un
paio di monete che valevano il doppio della sua consumazione.
“Ti accompagno!”
No, non è finita qui per Albus
Severus
Potter.
Salutato Loki,
già preso ad
ammiccare fascinosamente ad un gruppo di studentesse del vicino Chelsea
College,
si incamminarono di buona lena in direzione della City;
Albus avrebbe poi preso la metropolitana e proseguito per Farrindgon.
“Non ti Smaterializzi vicino alla fermata di South
Kensington?”
“No, preferisco
camminare con
te.” Fu la risposta allegra, nonostante il piccolo diluvio
che si stava
scatenando sopra le loro teste. Michel
non poté frenare un moto di sciocca contentezza; passare del
tempo con l’amico
era sempre più difficile trai rispettivi impegni e passarlo
da soli, senza
l’ingerenza di Dursley, Mael e Nott era merce ancora
più rara.
Fu Al a riprendere la
conversazione. “Insomma, lui chi
è?”
“Lui
chi?” Tentò senza troppa convinzione.
Aveva bisogno di parlarne con qualcuno, realizzò, e
l’amico era la persona più
indicata dato che aveva l’innata capacità di non
giudicare mai le scelte di
cuore altrui.
Con
le sue non può permettersi giudizi.
“Si chiama
Milo.”
“È un
nome carino.” Osservò
dandogli di gomito. “È carino anche lui?”
“Non carino. Bollente.” Ammise suo malgrado
facendolo
ridacchiare di rimando. “Il genere che non ti fa venir voglia
di alzarti dal
letto.”
“Già mi piace!” Ammiccò.
“L’hai conosciuto all’Heaven?”
“Sì, ma
non è un Babbano…” Lì
veniva la parte difficile e decise dunque di prenderla alla lontana.
“Credo di
averlo già incontrato.”
“Beh, noi maghi
inglesi non
siamo quella che definirei una popolazione numerosa.”
“È straniero, ma non è questo il punto.
Non riesco a capire dove l’ho
conosciuto, e di certo non l’ho fatto di recente …
Mi sarei ricordato di un
tipo simile, ho buona memoria tra le lenzuola.”
Al alzò gli occhi al cielo. “Magari
non te lo sei portato a letto. Forse l’hai semplicemente
visto in giro.”
“No.” Scosse la testa. “Non frequentiamo
gli stessi ambienti.”
L’altro gli restituì un’occhiata
confusa, tentando di schivare una pozzanghera
e finendoci comunque dall’imprecazione che mormorò
a mezza voce. “Ma scusa … se
vi siete incontrati al club…”
“Pensavo fosse un Babbano.” Inspirò
mentre la necessità di sfogarsi faceva a
pugni con l’umiliazione e lo sconcerto.
“È un Magonò.”
“Oh.” Se Albus era rimasto shockato non lo
mostrò, limitandosi ad una blanda
espressione sorpresa.
“Non assomiglia ad
un Magonò.”
Si ritenne in dovere di spiegare. “Non ne ha
l’aria, o il linguaggio … Il
cockney è il rifugio degli illetterati.”
“Michel…”
“Avanti, dimmi che
non è così.”
Sbuffò. “Comunque neanche lui pensa bene dei
Purosangue.”
“Allora…”
Al si grattò una
guancia. “… come diavolo siete finiti
assieme?”
“La prima volta
perché nessuno
dei due aveva capito cos’era l’altro.”
Dovette ammettere, perché riflettendoci
era ovvio che il Magonò non l’aveva rimorchiato
credendolo un mago. Gli aveva reso
ben manifesto il fastidio che provava per la sua categoria.
“La seconda…”
“C’è stata una seconda?” Gli
occhi enormi di Al diventavano tali quando era
sbalordito e Michel si chiese cosa ci fosse di così
sorprendente prima di
realizzare che probabilmente aveva frainteso.
“Non tra le
lenzuola. L’ho
incontrato a Notturn Alley, la sera della festa di Sy, mentre andavo a
comprare
le sigarette. Mi ha … salvato.”
“Salvato?” Al
fece quasi un saltello
per evitare la seconda pozzanghera e stavolta si inzaccherò
fino alle caviglie.
Ignorò la cosa e lo strattonò leggermente.
“Cavolo, racconta!”
Capitolò, un po’ per l’espressione avida
sul volto dell’altro – era raro
vederlo davvero interessato a qualcosa che non fosse il suo lavoro o
Dursley –
un po’ perché aveva ancora bisogno di
metabolizzare.
Sai
com’è, ti ha salvato il borsello … e la
vita.
“Wow.”
Commentò alla fine
quando erano ormai nei pressi della fermata metro.
“È stato una specie di
principe azzurro!”
“Hai saltato la parte in cui mi ha insultato?”
Ritorse sentendosi un po’ preso
in giro, specie dall’occhiata paziente che gli venne rivolta.
Se solo sapesse l’erezione che ti ha
lasciato per un’intera serata…
“Beh, tu hai fatto
un po’ lo
stronzo.”
“Io?”
“Dai, sei sei
stato piuttosto
sgradevole, e sono certo che non mi hai racconta
tutto…” Inarcò le sopracciglia
con un sorrisetto malizioso. “Comunque sembra un sacco
sexy.”
“È un Magonò.”
Ribatté fiacco perché lui, primo tra tutti, si
era stufato di
sottolinearlo. “Vorrei solo sapere perché mi
sembra così familiare.”
“Beh, ma non tutti i Magonò nascono
tali!”
Michel batté le
palpebre,
chiudendo l’ombrello e appendendoselo al braccio dato che si
era affacciato un
pallido sole. In estate era bene approfittarne.
“Ovvero?”
Albus lo guardò come se fosse un po’ tardo.
“Non tutti i Magonò nascono da
Magonò! Molti nascono in famiglie interamente
magiche … Anzi, l’incidenza statistica
è maggiore.” Lo guardò pensieroso,
prima
di schioccare le dita. “Ehi, senti se ha senso …
Puoi averlo incontrato prima degli
undici anni. So per certo che, anche per legge, prima degli undici anni
non
puoi essere considerato Magonò.”
“Prima degli undici anni?” Aggrottò le
sopracciglia; sì, aveva più senso di
tante altre teorie che aveva vagliato in quelle quarantotto ore.
“Ma prima di
Hogwarts ho frequentato solo famiglie come i Nott o i
Malfoy.”
“Appunto!”
“Pensi che sia un
Purosangue?”
In effetti c’era stato qualcosa nel tedesco che gli aveva
fatto pensare ad
un’infanzia agiata; il modo di parlare, farcito di
colloquialismi ma comunque
corretto, la postura dominante, il corpo curato e i vestiti
impeccabili. Poteva essere
cresciuto nel suo ambiente
e dunque la sua avversione per i maghi poteva essere stata scatenata
dal
rifiuto per un mondo a cui era appartenuto.
Terribilmente romanzesco, ma
aveva
senso.
“Quindi vi siete
incontrati da
bambini?”
“Se è
successo non me lo
ricordo.”
Ma a quel punto della
faccenda
era sua intenzione farlo.
****
Ministero
della Magia, Ufficio Auror.
Metà
mattina.
Scorpius sapeva che la
chimica
in un gruppo era cosa precaria. Certo, per anni era stato il paria di
Grifondoro, ma nella primavera della sua età adulta poteva
dire di avere amici
veri e compagni a cui avrebbe affidato la vita – e visto che
non voleva rendere
Rose vedova ancor prima del matrimonio non era cosa da poco.
Erano riflessioni che
l’avevano colto mentre consumava il primo the della sua
giornata lavorativa
seduto alla scrivania e, a giudicare dallo sguardo assorto di Jordan
accanto a
lui, erano condivise.
La mancanza del Sergente
Flannery
si faceva sentire; con il suo carisma innato e la capacità
di trattarli tutti
come cuccioli entusiasti era sempre riuscito a far funzionare le cose.
Il sergente Weasley era
invece
tutt’altro paio di maniche: non lo diceva solo
perché sarebbe diventato suo
suocero e perché era Ronald Weasley,
ma perché non era il coordinatore giusto, non per loro
almeno.
Vedendolo entrare in quel
momento, scherzando con James come il nipote che era e non come
l’auror che
avrebbe dovuto essere, fu avere l’ennesima riprova.
L’uomo non aveva capito che
per tenere buono il figlio del capo
bisognava
tenerlo emotivamente a distanza.
Diavolo,
James è un dannato maschio alfa. Come potrà
pensare di tenerlo buono quando avrà uno dei suoi momenti di
stronzaggine
acuta?
Sul
serio.
“Buongiorno.”
Salutò comunque
di buon grado. “Potty, devo comprarti una spazzola per
vestiti? Sei pieno di
cenere come un camino!”
“Oh, va’ al diavolo Malfuretto.”
Scrollò le spalle questo dandosi comunque una
veloce spazzolata al mantello. “Sono comunque uno
schianto.”
“Seminando nugoli di cenere sulla nostra scrivania,
certo.” Ribatté facendo un
cenno di saluto all’auror più anziano.
“Jordan è rimasto bloccato nel
traffico.” Notificò. “Mi ha mandato un
messaggio allo Specchio Comunicante
qualche minuto fa.”
“Lui e quella sua macchina su strada … Gli ho
detto mille volte che quelle
volanti sono migliori!”
“Costano anche il triplo, Potty.”
James si strinse nelle
spalle.
“Che ne sai tu, piccolo ereditiere?”
“Tra poco
diventerò un
capofamiglia, dovrò economizzare sulle mie enormi
fortune.” Ghignò notando come
le orecchie del futuro suocero fossero diventate paonazze.
Coprirò
la mia rosellina di Galeoni e gioielli. Fammi
causa.
“Qualcuno vuole un
caffè?”
Sorrise sentendosi molto ipocrita e molto soddisfatto.
“No, meglio
iniziare subito.”
Borbottò il mago quasi avesse letto nel suo empio cuore
Malfoy. “Voglio fare il
punto della situazione prima di lasciarvi. Ho un sopralluogo a
Birmingham alle
dieci, non voglio Smaterializzarmi all’ultimo
momento.” Fece un cenno a Bobby
che con il fiatone si stava dirigendo verso di loro, schivando sedie e
auror. “Dov’è
Prince?”
Era un po’ la
domanda che
aleggiava tra di loro ma che nessuno, neppure James, aveva ancora
formulato.
Si
apra il vaso di Pandora.
“Non lo so,
avrà avuto un
contrattempo.” Suggerì notando la smorfia
soddisfatta sul volto del migliore
amico; anche se aveva tagliato sensibilmente le esternazioni rabbiosa e
recriminatorie, nei confronti del tedesco continuava a tener vivo il
ridicolo nonnismo
da Accademia.
Ma
non gli si può chieder di più, però.
Potty è un
bullo. Se la prende solo con quelli della sua stazza e con chi crede
che se lo
meriti …
Ma
quello rimane.
“Magari
è stato bloccato a
Cooperazione.” Gli diede manforte il buon Jordan.
“Come agente di collegamento
non deve fare un rapporto settimanale ogni lunedì?”
“Macché,
secondo me non s’è
svegliato. Del resto questo sabato ci ha dentro coi
festeggiamenti.”
“In che senso?” Si informò il sergente e
Scorpius sospirò interiormente; era
ovvio che entrambi non vedessero l’ora di trovare una macchia
nella perfetta
corazza del poveretto.
“Nel senso ha
fatto meno
brindisi di quanti whiskey s’è scolato.”
“Non è
stato l’unico. Era una
festa in un pub irlandese.”
Osservò
blandamente. “Per esempio, domenica mattina io mi sono
svegliato abbracciato ad
un cane di peluche.” Quando vide che aveva
l’attenzione di entrambi fece il suo
miglior sorriso brillante. “Nessuna idea di come sia potuto
succedere!”
L’espressione di
James si ammorbidì,
perché non riusciva a non capitolare quando si metteva in
ridicolo a suo
beneficio. “Coglione.” Ghignò divertito.
“C’avrei scommesso.”
“Malfoy, non è il genere di cose che dovrei
sapere.” Sbuffò l’uomo più
anziano
con aria scocciata. “Non farmi pentire di averti dato la mia
benedizione.”
“Mai Signore, preferirei la morte.”
“Va bene, adesso
falla
finita…” Scosse la testa rassegnato prima di
arricciare le labbra in un
evidente moto di insofferenza. “Ah, alla
buon’ora!”
“Mi dispiace, ho avuto un contrattempo.” La voce
del tedesco era spossata
mentre compariva alle loro spalle; aveva l’aria di uno che
aveva passato tutta
la domenica con la testa dentro il gabinetto, al di là
dell’uniforme
impeccabile e i capelli in ordine.
Qualcuno
non ha preso la pozione Anti-sbronza quando
doveva…
Il Sergente Weasley gli
scoccò
un’occhiataccia ma per fortuna non infierì,
preferendo schiarirsi la voce. “Ora
che siete tutti, facciamo il punto
della
situazione.” Esordì. “Se
c’è un autorizzazione che va firmata per un
sopralluogo è il momento di metterla sul banco.”
Si voltò poi verso l’agente di
collegamento. “A che punto siamo con la lista degli alias di
John Doe?”
“Bastardo
immortale…” Borbottò
James riassumendo il sentimento comune. “Roba da pazzi,
avrà un miliardo di
pseudonimi!”
“Sono quarantadue.” Corresse
l’interpellato. “Sto facendo un controllo
incrociato con il mio ufficio. Abbiamo richiesto i movimenti bancari di tutti i conti
aperti a suo nome e
tramite pseudonimo. Per ora nessun riscontro, non
c’è attività.”
James inarcò le sopracciglia. “Quel tipo ha ancora
delle camere blindate a suo nome?
È un ricercato
internazionale, come diavolo è possibile?”
“Una volta aperta
è
impossibile chiuderla.” Spiegò Scorpius, che sulle
camere blindate e
impossibilità di disfarsene si era fatto una discreta
cultura sin dall’infanzia.
La
camera della biszia Bella. Sono anni che papà cerca
di liberarsene, anche solo per quanto ci tocca sborsare di
manutenzione. Un
giorno o l’altro la farà saltare in aria.
“Sono una specie
di deposito
per l’eternità. Scomodo, se non sei
interessato.” Concluse mentre Prince
annuiva a conferma.
“Usa un nuovo
pseudonimo
quindi.” Intuì il sergente Weasley aggrottando le
sopracciglia. “Idee su quale
potrebbero essere?”
“Posso lavorarci,
dobbiamo
comunque finire di controllare i movimenti bancari.” Il
tedesco non si
sbilanciò, ma a Scorpius non sfuggì la
contrazione nervosa che gli attraversò
le labbra; non pareva molto sicuro di poter venire a capo di quella
pista.
E
come dargli torto. Quel tizio ha avuto quarantadue
identità diverse. Inventarne di nuove dev’essere
un gioco da ragazzi per lui.
“Fallo…
A questo proposito, è
uscito niente su Sam Howe, la prima vittima?” Il mago
più anziano scorse con lo
sguardo il taccuino che teneva tra le mani e Scorpius provò
un moto di simpatia:
seguire due squadre, la sua e la loro, non doveva essere facile, specie
visto
che il caso che avevano tra le mani era criptico, per eufemizzare.
Dell’uomo
poteva non piacergli l’attitudine a giudicare e il nepotismo
smaccato di cui
omaggiava James, ma non poteva dire che non si facesse in quattro per
supervisionarli.
Prince scosse la testa
“Incensurato
per il nostro Ministero, ma il SAGITTA sta scavando a fondo. Se
c’è qualcosa, uscirà
fuori.”
“Le registrazioni
della video…video…”
“La videocamera montata di fronte alla stanza del Sergente
Flannery?” Venne in
soccorso Bobby che a giudicare dalla prontezza della risposta doveva
essersi
ingoiato il libretto delle istruzioni. “Le ho visionate io
ieri sera, lo faccio
giornalmente. Nulla di sospetto, Signore.”
Già,
nulla di sospetto. Perché diavolo John Doe non ha
ancora cercato di attaccare il Sergente Flannery?
Se
lavora per qualcuno che vuole mettere a tacere tutta
la faccenda del morbo, perché aspettare?
O
forse sta solo studiando la situazione…
“Aggiornamenti dal
San Mungo?”
Scorpius che era la persona
preposta a quello scosse la testa. “Nessuno. Le condizioni
del Sergente sono
immutate. Stanno facendo una ricerca storica del morbo per poter
risalire alle
cause scatenanti. Pare che non ci sia storia medica, quindi
è buona l’ipotesi
secondo cui sia stata creata in laboratorio.”
“Il fatto che ci
sia un tizio
della Thule di mezzo lo rende quasi certo.” Sbuffò
James.
“Bene.” Concluse l’uomo con
l’aria di non trovarsi affatto d’accordo con la sua
affermazione; comprensibile dato che anche quel giorno era iniziato con
un
nulla di fatto. “Aggiornatemi se ci sono
novità.” Fece un cenno al nipote.
“Jamie, a te il comando.”
Quando l’uomo se
ne fu andato
quest’ultimo si scrocchiò il collo, cercando di
non dare a vedere quanto lo
esaltasse essere stato considerato l’agente più
anziano e dunque meritevole di
comando ad interim; in sua difesa
ci
stava provando e si vedeva, ma il luccichio soddisfatto negli occhi era
altrettanto evidente. “Mettiamoci al lavoro, abbiamo altri
casi che ci
aspettano.” Esordì afferrando un fascicolo dietro
la scrivania su cui si era
seduto. “Ci hanno affibbiato un’ispezione ad un ex
burro birrificio a Reading.
Da soffiata certa sappiamo che un paio di stronzi stanno usando i
vecchi
impianti per raffinare Pozione Corroborante di contrabbando.”
“Partiamo subito?”
“Subito.”
Gli rispose
lanciando un’occhiata di sbieco al tedesco per poi sfoderare
un ghigno perfido.
“Crucco, per te scartoffie!” Indicò una
pila di fascicoli su cui fino a quel
momento aveva posato il gomito per puntellarsi. Era mostruosa.
“Dal tuo
Ministero.”
“Le aspettavo. Sono i movimenti bancari delle camere blindate
di Johannes.”
Rispose questo senza tradire il minimo scoramento all’idea di
dover seppellire
il naso in quel mare di carta polverosa. Forse gli piaceva.
“Ho pensato che
potevo dare una mano nella ricerca anche da qui.”
Meglio
che girarsi i pollici finché non torniamo,
suppongo…
Scorpius trovò
giusto fare la
parte del poliziotto buono anche in quel caso. “Puoi usare la
nostra
scrivania.” Ignorò l’occhiata
oltraggiata del partner e sorrise all’altro. “Per
qualsiasi cosa puoi trovarci agli Specchi Comunicanti.”
“Ti
ringrazio.”
“Non è la prima volta che lo lasciamo solo, non
fare la chioccia!” Grugnì James
con espressione tradita: c’erano momenti in cui, nonostante
tutto l’affetto che
provava per quella testa di Potter,
la tentazione di tirargli un calcio negli stinchi era fortissima.
“Siamo una
squadra, mi
preoccupo dei miei compagni, che c’è di
strano?” Replicò con un sorriso al
tedesco che ricambiò con aria rassegnata.
Solo
a me vien voglia di abbracciarlo? Mi ricorda papà,
solo meno incazzato col mondo. Proiezione. Psicologicamente
interessante.
James roteò gli
occhi al
cielo, ma si astenne da qualsiasi commento; per gli equilibri di una
squadra, lo
sapeva persino con tutta la sua tracotanza, sapere quando tacere era
cosa
importantissima.
****
Londra,
Diagon Alley.
Primo
pomeriggio.
“Questo
è perfetto.”
“No, è osceno.”
“Non è osceno, ti lascia intravedere un
po’ la scollatura, non fare
l’esagerata!”
“Se intravedere vuol dire mostrare le mie tette al mondo…”
“Ora la ammazzo.”
“Violet, porta pazienza, è una bigotta. Hai un bel
seno, mostralo!”
“Non sono te,
razza di donna
scarlatta!”
“Di capelli e di fatto, cocca.”
“Ragazze…”
“Mamma, dì loro qualcosa!”
Avrebbe dovuto sapere che
farsi
accompagnare da Lily e Violet nella boutique da spose di Madame Yvette
– dove
tutte le streghe per bene andavano a cercare l’abito del
Grande Giorno - avrebbe
significato uno stillicidio senza
fine. Avrebbe dovuto saperlo, pensò Rose fissando scornata
le sue tette balzare
fuori dal corpetto, eppure anche sapendolo … avrebbe potuto
fare qualcosa?
No,
non se la prima è la mia damigella d’onore e la
seconda è la rappresentanza sboccacciata di tutte le
mie cugine. Oltre che
un’impicciona.
Gli arbitri di quella
disputa
ad armi impari erano sua madre, che sorvegliava tutto con un sorriso
divertito
lanciando solo fugaci occhiate ad una cartellina di un caso che stava
seguendo
e Lady Astoria che per l’occasione aveva un inquietante
brillio negli occhi,
quasi fosse una bambina di fronte all’insegna di Mielandia.
“È
già il ventesimo vestito da
sposa che mi provo … A me piaceva…”
Annaspò sotto lo sguardo di ben quattro
donne. “… Boh.” Sussurrò
affranta mentre Violet alzava gli occhi al cielo.
“Sei un disastro
Weasley. Ma
come scegli di solito nel tuo armadio, ad occhi chiusi?”
“Nel suo armadio
trovi solo
jeans, magliette a tinta unita e maglioni monocolore. Una precauzione
visto la
sua totale mancanza di senso estetico. Qui però è
difficile, le sembreranno
tutti uguali…” Ghignò Lily passando le
dita su uno degli abiti accatastati
tutti attorno a lei.
“Tesoro,
l’abito nuziale è un
passo importantissimo.” Rincarò la dose sua madre,
mentre Lady Astoria annuiva
con aria distratta; era l’unica che non l’aveva
ancora subissata di pareri e le
era molto grata per quello, se non fosse che sembrava una silenziosa
sfinge
ieratica.
Che
tutti giudica dall’alto della sua eleganza.
“Non posso proprio
mettermi il
tuo, di vestito? Non è tipo una tradizione passarlo di madre
in figlia?” Tentò
per l’ennesima volta, cullandosi nell’idea di poter
mettere fine a quel
supplizio.
“Te l’ho
già detto tesoro, non
abbiamo la stessa altezza e proporzioni.”
Stupida spilungaggine Weasley!
Stava per avere un crollo di
nervi, se lo sentiva. Voleva
sposare
il suo Malfoy, non vedeva l’ora, ma tutta la follia
precedente al matrimonio se
la sarebbe volentieri risparmiata. Non riusciva a capire come persone
come
Violet e Lily ne fossero così estasiate; per lei saltare da
un negozio
all’altro, scegliere il colore di fiori che non aveva mai
sentito o indossare
abiti che le prudevano da tutte le parti era un motivo di ansia non di
gaudio.
Era ansia da prestazione
sopratutto: al matrimonio avrebbero presenziato tutti i suoi parenti,
sopportabili
quando una mandria di Quintaped, più i Malfoy al gran
completo – quelli non
linciati dalla guerra o dalle loro scellerate scelte di vita. Riunire
due
famiglie del genere sotto lo stesso tendone continuava a sembrarle una
follia.
Solo
perché hanno accettato il fatto che mi sposerò
Scorpius non vuol dire che ne siano contenti.
E
sto parlando dei miei.
La data si avvicinava e
forse
per questo le sue paranoie aumentavano in maniera esponenziale.
Sospirò mentre
Violet la volgeva bruscamente verso i camerini.
Scorpius,
aiuto…
Il suo fidanzato, con quella
sua meravigliosa capacità di sorvolare sui problemi e di
aver sempre un sorriso
in bocca, riusciva a calmarla. Ma non era lì;
c’erano piuttosto quattro arpie
pronte a farle provare l’intero assortimento del negozio, se
necessario.
“Ho bisogno di una pausa.” Sussurrò
terrificata quando la commessa entrò
nell’area camerini con l’ennesima bracciata di
vestiti.
“Ne hai fatta una
mezz’ora
fa!” Esclamò Violet, che aveva assunto
egregiamente il ruolo di poliziotto
cattivo. “Piantala di lamentarti tanto, devi solo entrare e
uscire da dei
vestiti!”
“Solo?”
Lily sorrise scioccamente al
suo cellulare raggomitolata su uno dei lezioso divanetti color crema.
“Ti
guarderanno tutti Rosie, non vuoi apparire al meglio? Penso di
sì.”
Stronza.
“Ehi,
siete qua?”
Non
c’era ma adesso c’è.
La voce del suo fidanzato
era
un balsamo per le orecchie, per quanto in realtà fosse una
voce come un’altra.
Rose fece appena in tempo a allentare la smorfia in un sorriso che fu
schermata
da Violet che si frappose tra lei e l’ingresso del ragazzo.
“Scorpius, levati
dai piedi!”
Sbottò. “Non devi vedere l’abito del
matrimonio!”
“Vergogna Malfoy.” Replicò Lily, che
dietro il tono serio certo se la stava
sghignazzando perché non faceva altro da che era nata.
Continuava a guardare
quel dannato cellulare come se ne andasse della sua vita e Rose
ricordò che
Scott era più un tipo da chiamate, che da messaggi.
Non
voglio sapere. Non. Voglio.
Alzò lo sguardo
il tempo
sufficiente per dire la cosa sbagliata. “Vuoi portare
sfortuna alla tua
promessa sposa?”
Gli occhi grigi di Scorpius
si
fece enormi, mentre faceva un passo indietro e se li copriva rapido con
una
mano. “No, mai!” Esclamò e Rose non
capì se stesse scherzando o fosse serio. In
ogni caso, era adorabile. “Volevo solo godermela un
po’ dopo una lunga giornata
di lavoro.” Fece una pausa. “Mi è uscita
male … Non mi è parso di aver visto mia
madre e la Signora Weasley all’ingresso, quando mi sono
Materializzato, vero?”
“Invece
sì, Scorpius.” Sospirò
da qualche parte della stanza principale sua madre mentre il ragazzo
diventava pallido
come un lenzuolo. “Farò finta di non aver
sentito.”
“Le sono mostruosamente
grato!” Si
era cambiato dall’uniforme da auror, indossando come al
solito un accozzaglia
di roba Babbana, da un gilet ad una camicia elegante ma manchevole di
qualche
bottone. Rose adorava quello stile sofisticatamente trasandato perché Scorpius
indossava ciò che si sentiva
di essere, dai suoi sentimenti a roba recuperata da una bancarella. Era
uno dei
molti motivi per cui lo amava: riusciva ad infischiarsene
dell’opinione altrui
come mai lei sarebbe riuscita a fare.
Lo
dimostra il fatto che mi sto facendo fare mobbing.
“Rosie?”
“Aiuto.”
Si limitò a dire: una
volta tanto fare la principessa in attesa di essere salvata non le
pesava affatto.
“Fammi uscire di qui.”
“Ma il
vestito…”
“All’inferno il vestito.”
Scorpius allargò le dita per lanciarle un’occhiata
valutativa. Dovette annusare
disperazione perché fece un sorrisetto furbo.
“Chiedo scusa in anticipo per
rovinare questo momento di muliebre condivisione.”
Esordì prima di
Smaterializzarsi alle sue spalle. “Torniamo tra un
po’, fate una pausa anche
voi al caffè qui accanto, offro io!”
Prima che le due ragazze potessero protestare, Rose sentì la
familiare
compressione della Materializzazione e di colpo la boutique fu ben
lontana. Quando
riaprì gli occhi si trovò nel bel mezzo la
campagna inglese, in un meraviglioso
nulla geografico disseminato di enormi prati verdi, staccionate e
alberi
ombrosi.
“Dove
siamo?”
Libertà!
“Da qualche parte
vicino alla
casa in campagna di Bobby. Oxford forse? Siamo ad un’ora di
scopa da Londra, so
solo questo.” Rispose l’altro sciogliendola dalla
sua presa e stiracchiandosi
con un lamento soddisfatto.
Rose sorrise, assaporando a
pieno l’odore d’erba e d’estate che le
riempiva i polmoni. Era bello respirare
dopo una giornata passata a strizzarsi in corpetti dalle dubbie
capacità
ortopediche.
Scorpius si
guardò attorno.
“Ombra?” Suggerì strizzando gli occhi al
sole. “Mi sono dimenticato i tuoi
occhiali da sole a casa.”
Rose guardò il voluminoso vestito che ancora indossava e le
venne da ridere.
“Forse avrei dovuto cambiarmi prima di farmi
rapire.” Osservò. “Dici che si
sporcherà da qui al primo albero?”
“Con quanto ha piovuto puoi giurarci rosellina, ma non ti
giudicherò.” Fece un
sorrisetto. “L’intera
Sorellanza del
Perfetto Abito lo farà.”
Rose lasciò andare un lamento, prima di soffocare
un’esclamazione sorpresa
quando l’altro si chinò e la prese tra le braccia,
come un perfetto, scoppiato
gentiluomo di altri tempi. “Scorpius!”
“Cosa?” La guardò con aria innocente.
“Ti soccorro come mi hai chiesto.”
Inarcò
le sopracciglia incredulo. “Dovresti ringraziarmi.”
Rose alzò gli occhi al cielo. “E come pensi di
portarmi fin laggiù?” Indicò la
grossa quercia che distava ad almeno cinquanta metri da
dov’erano.
“Con i miei
possenti muscoli?”
“Se mi fai cadere
nel fango ti
ammazzo.”
La camminata fu
più agevole di
quanto non avesse previsto: spesso dimenticava che l’altro
fosse, a conti
fatti, un Auror e dunque prendesse parte settimanalmente ad un
programma di
esercitazioni fisiche non indifferente.
Senza
contare il regime da soldato pazzo che ha avuto
durante l’Accademia.
“Suppongo di
doverti dare più
fiducia.” Concesse quando la posò su una coperta
che aveva Materializzato con
un colpo di bacchetta. “Non sei inciampato nei tuoi piedi
neppure una volta.”
“Mica faccio Weasley o Potter di cogno-ahu!”
Si lamentò quando trovò giusto rifilargli un
pugno sulla spalla. “Sono aggraziato,
fammene una colpa!”
“Se prendi in giro
la mia
famiglia di certo.”
“Solo la sua scarsa coordinazione motoria. Sai che vi
adoro.” Ribatté stendendosi
accanto a lei e facendosi aria con il cappello di feltro leggero che
indossava
d’estate per atteggiarsi, secondo James.
Assolutamente
sì.
“Grazie per avermi
salvato, non
ne potevo più.”
Scorpius le sorrise disimpegnato, infilando una mano sotto la spessa
gonna di
tulle e ricevendone uno schiaffo. La guardò imbronciato.
“Mi merito questo per
essere stato un cavaliere?”
“Se lo sgualcisco
lo pago, e
vorrei evitare visto che è orrendo.”
Guardò un paio di pecore che curiose brucavano
nella loro direzione dietro la loro robusta staccionata di legno
inglese. “Oggi
sei uscito presto dal lavoro … Come mai?”
“Uscita premio,
visto che
abbiamo passato tutta la mattina ad inseguire due idioti che si erano
asserragliati in un ex birro burrificio. Ci siamo dovuti cambiare
perché finito
l’arresto puzzavamo come … beh, come una burro
birreria. Tuo padre quando ci ha
visti ci ha dato il resto del pomeriggio libero. Credo gli facessimo
pena.” Si
puntellò su un gomito e Rose notò che
nell’incavo del collo, poco discosta dal
tatuaggio, aveva una scottatura da incantesimo piuttosto grossa.
Si morse le labbra,
preoccupata. “Non vi siete fatti male, vero?”
Scorpius le accarezzò un fianco. “Nulla di grave
fiorellino. Avevano una mira
schifosa.” Rotolò con la testa sulle sue
ginocchia. “Ma sono molto traumatizzato
e voglio conforto.”
Rose represse una risata, passandogli le dita tra le ciocche sottili e
sentendosi in pace con il mondo: non avrebbe potuto essere
così ogni giorno
prima del matrimonio?
Perché
devo passare le mie giornate ad angosciarmi del
fatto che le petunie non sono dei centrotavola adeguati?
Sul
serio.
“Possiamo sposarci
a Las
Vegas?” Le uscì fuori prima che riuscisse a
frenarsi, facendo sgranare gli
occhi all’altro.
“Rosie?
È una cosa che direi
io!” La guardò divertito prima di leggere le
intenzioni dietro la sparata. Aggrottò
quindi le sopracciglia. “Va tutto bene?”
“Penso di non
essere tagliata
per i preparativi.” Sospirò scornata ed ammettere
quella manchevolezza era un
po’ umiliante.
Non
posso essere la sposa meno eccitata dal vestito e
dai fiori della storia.
Scorpius fece spallucce.
“L’importante è essere tagliati per il
grande giorno, no?”
“E se combinassi
un casino? O
se uno dei nostri parenti decidesse che è una splendida
occasione per lanciare
una nuova faida familiare?”
“Ci penseremo a
tempo debito.”
Le passò una mano sulla guancia ed era fresca e confortante.
“Ehi, non avrai
dato retta alle frecciatine di quelle due streghette! Violet sbava su
questa
roba da quando era una nanerottola e Lily è una specie di
organizzatrice di
eventi mancata … Per loro è divertente, tu sei
fatta diversa.”
“Troppo diversa.”
“Ed è
questo il motivo per cui
mi sposo te, e non loro.”
Rose si chinò e
nonostante il
corpetto si stesse lamentando – quella stronza di Violet le
aveva rifilato
tutti abiti di una taglia inferiore, con un messaggio neanche troppo
velato –
baciò Scorpius a lungo e con soddisfazione. Probabilmente al
dannato affare
erano saltate delle cuciture ma se ne fregò.
“Comunque sai,
sono stato un
po’ egoista.” Riprese Scorpius dopo un paio di
minuti di rinfrancante
silenzioso interrotto solo dallo stormire delle fronde sopra di loro.
“Anche io
oggi ho avuto la mia buona dose di Puzzalinfa da ingoiare.”
“Sarebbe? Burrobirra sui vestiti?”
Scorpius sbuffò,
scuotendo la
testa. “James.” E il fatto che lo chiamasse per
nome era indicativo. “Ha avuto
una scopa piantata nel sedere per tutta
l’ispezione.”
Era il momento di ricambiare
il favore e farsi confidente. “Come mai?”
“Per
Prince.” Si morse un
labbro, aggrottando le sopracciglia. “Sto cercando solo di
essere umano con il
ragazzo, e lui non lo sopporta.” Emise un verso esasperato,
strofinandosi le
mani sul viso. “A volte capisco mio padre quando dice che i
Potter sono le
creature più irritanti dell’universo. Diamine, lo
sono!”
Rimase in silenzio
perché
codice familiare le imponeva di non esprimere giudizi negativi su
nessuno
portante quel cognome. Era una specie di riflesso pavloviano.
Se
lo faccio mi vien voglia di sbattere la testa contro
uno spigolo come un Elfo.
Cattiva
Rosie, cattiva.
“Prince ti
piace?” Chiese
invece, prendendola da un altro verso.
Scorpius ci
rifletté, poi
annuì. “È un tipo in gamba.
È umile, lavora sodo e porta a casa la giornata
senza un lamento, e t’assicuro che a volte James è
una spina nel fianco. M’ero
scordato quanto potesse esserlo…”
Sospirò. “Rimane il fatto comunque. Mi vien
voglia di picchiarlo con il manico della scopa.”
“Jam sa essere un vero stronzo.” Convenne
perché quella era una verità
condivisa. “E la sai la situazione con Prince … Fa
fatica a venire a patti con
il fatto che è dalla parte dei buoni adesso.”
Non
è l’unico.
“Buoni,
cattivi…” L’altro si alzò a
sedere con una smorfia. “Il mondo non si divide
così! C’è gente che fa scelte
sbagliate e gente che cerca di rimediare. Prince è nella
seconda categoria, e
non riesco a capire perché quella capra non ci arrivi.
Avremo tutti una
situazione lavorativa migliore se lo facesse!”
“Lo
farà.” Non ne era del
tutto convinta, ma del resto suo cugino aveva cambiato idea su Scorpius
al
punto di farne il suo migliore amico: poteva farlo anche con il tedesco.
Certo,
con quello che ha combinato con Lily non ne farà
magari il suo testimone di nozze …
“La situazione in
squadra è
tesa. Il Sergente Flannery è ancora al San Mungo e le
indagini sul tizio
americano sono in stallo.” L’altro si distese sulla
coperta strizzando gli
occhi. “È dura essere quello che vede sempre tutto
positivo … specie quando non
si ha granché materiale su cui lavorare.”
“Stanco di essere RaggioDiSole Malfoy?”
L’altro fece un
pallido
sorriso. “Te l’ho detto, oggi non sei stata
l’unica ad aver avuto voglia di
scappare.”
Rose si stese accanto a lui, posandogli la testa sulla spalla.
“L’ipotesi Vegas
è sempre aperta.”
****
Diagon
Alley, Accademia Magica di Duello.
Pomeriggio.
Finire le sue giornate
all’Accademia Magica di Duelli stava diventando una routine.
Sören chinò la testa verso il ragazzo che si era
offerto di fargli da compagno
di allenamento in quelle due ore, stringendogli la mano.
“Buon movimento della
bacchetta.” Offrì anche se le barriere e i
contro-incantesimi che gli erano
stati lanciati non l’avevavano mai messo in seria
difficoltà.
Ma
almeno mi sono sfogato.
Il
ragazzo fece un breve sorriso
stanco e dopo aver eseguito l’inchino di commiato si
slacciò il corpetto
scarlatto che tutti gli allievi indossavano e si allontanò
verso gli spogliatoi
lasciandolo solo.
Sören tornò quindi alla pedana, stirandosi il collo
e le spalle per scacciare
gli ultimi rimasugli di tensione rimasta. Era ancora presto; poteva
spostarsi
nella sala attigua dove, grazie ad una serie di manichini incantati da
un Locomotor, avrebbe potuto
allenarsi senza
dover chiedere assistenza di nessuno.
Di
solito preferisco avere qualcuno di vivo a parare i
miei colpi…
Non
gli andava però di disturbare uno
dei maestri per chiedergli un incontro, dato che molti erano impegnati
ad
insegnare. Quello e il fatto che non gli andava di attirare troppo
l’attenzione
su di sé. Si rendeva infatti conto da solo che le sue
tecniche di duello erano
un po’ troppo avanzate, se non violente – come
aveva sentito sussurrare ad uno
dei ragazzi che aveva sfidato in quei giorni.
Non
puoi biasimarli. Queste persone si allenano per diletto
o per migliorare le proprie capacità magiche. Tu ti allenavi
per uccidere.
Serrò le labbra:
aveva bisogno
di scaricare la tensione accumulata al lavoro e quello era
l’unico modo che
conosceva.
Per
quanto possa spaventare gli allievi.
Venire a sapere che Johannes
era ancora vivo e che le loro strade si erano di nuovo incrociate
… no, non era
ancora riuscito a metabolizzare la cosa; non avere punti fissi su cui
indagare
peggiorava solo la situazione.
“Sören!”
Lo sorprese una voce
accentata che conosceva bene. Voltandosi si trovò infatti di
fronte al sorriso
franco e sincero di Dionis che lo spinse a ricambiare; era raro essere
accolto
da un’espressione simile.
Per
il lavoro che faccio e per chi sono, nessuno è mai
troppo contento di vedermi.
“Dionis.”
Gli strinse la mano.
“Lieto di vederti.”
“Mi hanno detto che c’era un tedesco dalla
bacchetta veloce e dalla tecnica
impressionante che sfidava tutti i nostri allievi migliori …
Ho subito pensato
a te.” Inarcò le sopracciglia con aria di
rimprovero. “Perché non mi hai detto
che venivi ad allenarti qui?”
“Non volevo disturbarti, so che segui molte classi di
pomeriggio.”
“Si trova sempre tempo per un amico.” Rispose
l’altro con serietà facendogli
sentire un discreto calore al petto. Doveva essere questa la sensazione
di
essere apprezzato da qualcuno che stimavi. “Ti sei battuto
con Cooper, ho
visto. È uno dei miei, che te ne sembra?”
“Rapido negli
attacchi, ma le
sue barriere contro-incantesimo sono piene di sbavature, deboli. Si
distrae
quando pensa di aver messo a segno un punto.”
Osservò, prima di registrare
l’ultima frase. “Non intendevo
dire…” Annaspò a disagio.
Dionis lo guardò
divertito.
“Hai perfettamente ragione. Si culla troppo del successo a
breve termine e non
capisce che ciò che conta è il risultato finale.
Capita spesso, con questi
inglesi …” Si strinse nelle spalle con una lieve
smorfia. “Vengono da club di
Duellanti dove insegnano che l’importante è
partecipare e mettere a segno
quanti più punti possibile. E sono delle vere teste dure,
non riescono a capire
che il principio su cui si basa il Duello magico è
completamente diverso.”
Sören
aggrottò le
sopracciglia. “La vittoria dell’uno, la sconfitta e
probabile morte dell’altro?”
Dionis annuì come
se avesse
detto una profonda verità sconosciuta ai più.
“Purtroppo qui hanno smesso di
duellare seriamente da così tanto tempo che se lo sono
dimenticato.” Gli
rivolse un nuovo sorriso. “Volevo offrirti un
caffè, ma credo tu preferisca allenarti
ancora. Mi sbaglio?”
Sören sorrise di rimando. “Non sbagli.”
Battersi con Dionis era
stato
rinfrancante.
Con il fiato corto, i
polmoni
in fiamme e le ossa doloranti Sören si sentiva più
vivo che mai. Si era già
battuto con il rumeno, durante il suo soggiorno infausto ad Hogwarts,
ma era
felice di constatare che per l’altro quei cinque anni non
erano stati d’ozio;
aveva anzi lavorato su suoi punti deboli, migliorando i suoi talenti,
soprattutto la capacità di attacco – quella che
probabilmente insegnava come
prima cosa ai suoi allievi. Lo aveva messo in serie
difficoltà più di una volta
e l’incontro si era concluso con un punteggio pari.
Sören si
inchinò in un saluto
rispettoso, per poi andare a stringere la mano dell’altro,
sperando di trasmettere
con quel gesto la gratitudine che sentiva.
Erano
… giorni … che non mi sentivo così.
“Mi avevi promesso
uno scontro
ad armi pari.” Esordì. “Ti
ringrazio.”
“Felice di non aver deluso le tue aspettative.”
Rispose l’altro con aria
soddisfatta. “Una birra?” Ridacchiò alla
sua esitazione. “Non Burrobirra. Vicino
a dove abito c’è un piccolo emporio che importa pilsner ceca artigianale, ne ho qualche
bottiglia in fresco nel mio
ufficio. Davvero pensavi ti avrei offerto quella roba
dolciastra?”
“Confido che tu
abbia gusti
migliori.” Ironizzò accettando la pacca che gli
venne data sulla spalla. Si
sentiva meglio, indubbiamente.
Ma
almeno l’ho finita in compagnia di un amico.
Fu dopo una doccia e con un
boccale di birra meravigliosamente gelata in mano che, seduto su una
comoda
poltrona di cuoio nell’ufficio del rumeno, sentì
il proprio cellulare trillare
allegramente. Tirandolo fuori dalla tasca ci mise più di
qualche attimo a capire
che aveva ricevuto un messaggio.
Da Lily.
Si affrettò a leggerne il contenuto.
‘Buongiorno
Ren! Sopravvissuto al fine settimana?’
Sorrise, ignorando
l’espressione incuriosita del rumeno. “Scusa, un
messaggio.” Borbottò cercando
di premere sui tasti inesistenti per comporre una risposta.
‘Sì,
ti ringrazio, e tu?’
Non
sarebbe mai venuto a capo di quel
genere di comunicazione, sarebbe sembrato sempre un ritardato,
ormai se ne era fatto una
ragione.
‘Direi
di sì, visto che sto guardando Rose avere una
crisi isterica sul proprio abito da sposa. La promessa sposa
più divertente di
Diagon Alley!’
Lanciò
un’occhiata di scuse a
Dionis. “È Lily.” Spiegò.
“Una crisi familiare, credo.”
“Ah, sì … ce ne sono di continuo, ti ci
abituerai.” Scrollò le spalle l’altro,
dando un sorso al suo boccale. “Nulla di grave,
spero.”
“Dal tono del messaggio non direi.”
‘Ho
sentito parlare dell’agitazione tipica delle
promesse spose. Sei lì per consigliarla?’
‘Ridere
di lei, in realtà, ma la scusa ufficiale è che
sono qui in veste di consulente, sì.’
‘Chissà
perché, non lo mettevo in dubbio.’
‘Il
mio vero ruolo o quello supposto?’
‘Entrambi.’
‘Cattivo
Ren! Sono molto, molto offesa!’
“Le cose stanno
andando bene
tra di voi, mi sembra di capire.”
Sören oscurò lo schermo sentendosi stupidamente
imbarazzato dalle parole dell’altro.
Non c’era nessun motivo di temere un giudizio, tuttavia
sentiva che proteggere
quella neonata amicizia era suo dovere. “Sì, alla
fine ha perdonato le mie …
omissioni.” Non si sbilanciò. “Come hai
visto alla festa, stiamo cercando di
essere amici.”
Dionis annuì.
“Sono contento,
Lily Luna è una brava ragazza. A volte penso che molti degli
atteggiamenti che
ha servano per mascherare quelle che ritiene debolezze e che in
realtà, a mio
avviso, sono pregi.” Sorrise alla sua aria stupita.
“Lei e Roxanne si
somigliano molto.” Guardò una delle fotografie che
teneva sulla scrivania,
quella del suo matrimonio, a giudicare dalla preponderanza di bianco e
gente
coi capelli rossi presente nell’inquadratura. “Sono
donne che vanno scoperte.”
Gli lanciò un’occhiata strana. “Sono il
genere di sfida di cui un mago ha
bisogno.”
Sören non sapendo
come
rispondere senza rivelarsi drammaticamente, scrollò le
spalle. “È una visione
romantica.”
“Non la condividi?”
Sperò di non
essersi messo a
boccheggiare, perché sarebbe stato fin troppo palese.
Non fece in tempo ad
indagare
che qualcuno bussò con forza alla porta.
“Avanti.” Rispose l’altro guardando
perplesso il ragazzo affannato che vi si affacciò. Era
l’allievo con cui si era
battuto prima, Cooper. “Dionis, mi chiedevo se …
oh, perfetto!” Esclamò
individuandolo. “Lei è un auror, vero?”
Gli si rivolse.
“Non esattamente,
in America
non esistono…” Vedendo che non era il caso di
lanciarsi in spiegazioni data
l’aria agitata del mago, si alzò in piedi.
“Cosa succede?”
“Uno degli
allievi, Signore. È
impazzito. Si stava battendo quando è crollato a terra,
credevamo si stesse
sentendo male, ma poi ha aggredito il suo compagno di allenamento
e…” Si fermò,
squadrandoli con aria confusa. “Non riusciamo a farlo
ragionare, né a
fermarlo.”
“Avete chiamato i
Tiratori
Scelti?” Che erano gli agenti che lì, in
Inghilterra, gli sembrava di ricordase
si occupassero dell’ordine e la sicurezza dei cittadini.
La polizia Babbana.
“Stanno
arrivando.” Confermò. “Ma
…”
“Ho capito.” Si lanciò uno sguardo di
intesa con Dionis che gli si affiancò immediatamente,
quasi gli avesse letto nel pensiero. “Fa’
strada.”
La situazione si prospettò grave nel momento stesso in cui
mise piede nella
sala che aveva lasciato solo mezz’ora prima;
l’ambiente fortunatamente deserto era
stato messo a soqquadro, come se un Incantesimo Esplosivo fosse stato
scagliato
dove ora era fermo il mago aggressore.
A Sören ci volle
una semplice
occhiata per capire cosa stava succedendo. Un’occhiata e con
lo stomaco
contratto e la bacchetta a portata di mano si voltò verso
Dionis, alle sue
spalle. “Chiama gli auror.” Disse. “Il
caso è loro.”
E mio.
Perché
l’allievo che stava in
mezzo alla sala distrutta aveva la stessa, identica cosa di Howe e
Flannery.
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Note:
Capitolo un po’ di passaggio, ma dal prossimo si entra di
nuovo nel vivo
dell’azione.
La canzone della festa è questa
mentre questa
la
canzone ad inizio capitolo.
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