Scacco Matto

di Le Lolita
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Ahahahah! Daniela, mi odierai dopo questo racconto, o forse mi vorrai morta :D ...
 
 
 
- Dai, muoviti, idiota! - il ragazzo, nonostante avesse bisbigliato la frase, era riuscito a farsi udire dall'intero gruppo. Danielle, la più avanti, si girò per un istante verso di lui, per poi, aggrottando la fronte, continuare il tragitto verso un edificio di fronte a loro. Si trattava di un castello molto vecchio, tanto che molti si chiedevano come fosse possibile che non fosse ancora crollato su sé stesso; tuttavia, il sindaco non aveva mai provato a distruggerla, ma si era limitato a costruire una cortina spinata alta dieci metri, in modo che nessuno potesse accedervi. Di notte, vi passava una pattuglia di polizia, controllando che nessuno ci si avvicinasse troppo e che nessun incosciente, raggirando tutte le precauzioni adottate dal primo cittadino, ci entrasse a passarci la notte. Erano decenni, se non secoli, che nessuno viveva lì e tutte le persone di quella cittadina concordavano nel dire che avesse strani poteri, troppo terribili per poter essere rivelati.
- Arrivo, Alex! - il ragazzo, incespicando su alcun piccoli massi, lo raggiunse, appoggiandogli la mano sulla spalla, intento a riprendere fiato. I capelli biondi erano appiccicati alla testa e la maglietta rossa sembrava essere un tutt'uno con il proprio corpo. - Che caldo! Sto sudando troppo, per i miei gusti. - aprì gli occhi grigi, guardando la luna di quella notte di mezza estate.
- Staccati subito da me, Carl! - Alex, abbassando velocemente la spalla, lo fece quasi cadere a terra. Si voltò verso di lui, facendo muovere i propri folti e lunghi capelli castano ramato. Si guardò la manica della propria maglietta verde, dove si era formata una chiazza di sudore del proprio amico, per poi guardarlo con un cenno di disgusto.
- Chiedo scusa... - disse l'altro, abbassando il capo. 
Alexander Strong non replicò, prendendolo per un braccio e avvicinandoselo, in modo che non dovesse aspettarlo nuovamente mentre proseguivano il loro cammino. I due ragazzi camminarono velocemente, in modo da unirsi al resto del gruppo, distante una ventina di metri.
- Finalmente! - bisbigliò Esmeé. La giovane ragazza dai capelli neri e la pelle bruna si voltò verso di loro, alzando un sopracciglio.
- Per quale motivo siamo venuti qui? - chiese Carl asciugandosi la fronte con il dorso della mano.
- Perché devo riprendere alcune scene per il film dell'orrore di mio fratello maggiore. - rispose una terza ragazza, da molte lentiggini sul volto, dal sorriso birbante e dai capelli castano chiaro, di nome Jane. - Gli devo cinquanta sterline e non riesco a racimolarli; mi ha detto di fargli questo piacere e, se le riprese saranno buone, - estrasse una videocamera dalla propria borsa a tracolla. - annullerà il debito. - gli fece l'occhiolino. - Ho bisogno del vostro aiuto in modo che mi copriate le spalle.
Senza dare il tempo all'altro di rispondere, continuò il proprio cammino, fermandosi solamente quando era vicina ad un freddo muro, nel retro del castello. Per non dare nell'occhio, si erano intrufolati da un foro nella cortina, non molto largo, qualche cinquantina di centimetri, e, silenziosamente, si erano addentrati fino a quel punto. La ragazza, in modo alquanto elegante, appoggiò le mani sull'apertura di una finestra e, con uno sforzo troppo grande per lei, riuscì ad elevarsi per poi, appoggiando il piede su qualcosa all'interno, girarsi verso i propri amici. Porse la mano in direzione di Alex, il più vicino e, facendolo entrare, aiutò anche il resto dei compagni. Nel giro di cinque minuti, tutti e cinque erano all'interno di una grande sala, completamente polverosa e silenziosa. Al proprio interno, sparsi in modo singolare e confuso, si trovavano poltrone, sedie, tavoli, candelabri, vasi, quadri appoggiati a questi, scrivanie o divani coperti da uno strato di polvere o lenzuoli bianchi; a dare altre note di malinconia e trascuratezza, erano le ragnatele che sembravano regnare in quella stanza e il quasi totale buio, schiarito, a tratti, dalla luce della luna che filtrava dalle tende di alcune portefinestre o finestre grandi o piccole. - Harold mi ringrazierà così tanto che perderà la voce. - esclamò Jane, iniziando a riprendere il luogo in cui si trovava. - Aspettatemi qui: andrò a dare un'occhiata al castello.
- Ma è gigantesco! - esclamò Carl, lasciandosi cadere, stancamente, su un divano; facendo così, della polvere si elevò in aria e, dopo qualche secondo, cadde nuovamente sul lenzuolo che copriva il mobile. Si accorse che, stranamente, aveva smesso di sudare e che quella sala era molto più temperata dell'esterno, quasi come se fosse in un posto dal clima primaverile. Starnutì.
- Perderai troppo tempo nel riprendere tutti gli interni! - Esmeé si appoggiò su un muro osservando, alzando un sopracciglio, un grande quadro dall'altro lato della stanza. Ritraeva una ragazza molto abbronzata, dai capelli neri ed un sorriso misterioso dipinto sul viso; alcuni tratti del viso erano tipicamente orientali, come se provenisse dall'Arabia o da posti simili. Indossava un vestito bianco e teneva in mano qualcosa, qualcosa di forma rettangolare. - Una scatola? - si chiese, infine, la congolese, senza accorgersi di aver parlato.
- Non ti preoccupare, Esmeé. Se proprio insisti, riprenderò i corridori e qualche stanza di questo piano: giuro di far presto; del resto, domani ho il compito di biologia con il signor Roster, e non ho ancora studiato. - le sorrise a trentadue denti. La compagna si limitò a sbuffare, ritornando attenta a fissare il dipinto; senza spiegarsi il motivo, deglutì, nonostante avesse la bocca secca per quell'afosa notte di luglio.
- Questo posto deve essere stato una sala da ballo, non credi? - Danielle le si avvicinò, quasi confondendosi, a causa del proprio colorito quasi cadaverico, con il posto tetro in cui erano.
Esmeé la ignorò, abbassando lo sguardo e guardandosi le scarpe, trovandole più interessanti della propria amica, così per dire, al proprio fianco. Questa, resasi conto dell'interesse che l'africana nutriva per sé, se ne allontanò, abbassando sempre più la voce, fino a rimanere in silenzio. Alla fine, si sedette su una poltrona coperta da un fitto strato di polvere, cominciando a dondolare le gambe, poiché il mobile era più alto di quanto si fosse aspettata.
 
- Ne sono sicura, non smetterà più di ringraziarmi! Nei titoli di coda comparirò anche io; e questo è solo l'inizio della mia carriera come regista! - sghignazzò. Si voltò in direzione di un quadro di una dama quattrocentesca, dallo sguardo severo e con in mano un bastone con il manico arrotondato; sobbalzò quando si accorse di come i suoi occhi fossero profondi; avrebbe, tranquillamente, potuto giurare sulla possibilità di vedere questi potersi muovere o di poter udire, in qualsiasi momento, la voce della donna, fredda e profonda dirle: "Che ci fai qui, ragazzina? Non dovresti essere nemmeno nel nostro giardino! Sparisci primo che liberi i miei cani e chiami le guardie!". Le fece la linguaccia, ridendo per qualche istante per poi ritornare, un poco più nervosa, a filmare il posto.
Fece per fare un altro passo, ma si dovette bloccare, udendo un forte brusio di voci di adulti e bambini e un forte lampo di luce bianca provenire dalla sala da dove, circa un quarto d'ora prima, era uscita. Aggrottando la fronte e serrando le labbra, rifece il lungo e largo corridoio, lasciando, di tanto in tanto, un distratto sguardo ai candelabri o eleganti comodini. La luce si fece tanto intensa che dovette socchiudere gli occhi e starnutì, avvertendo un improvviso cambio di temperatura. - Che sta succedendo? - chiese a voce alta; non ricevendo alcuna risposta, cominciò a correre, iniziando a preoccuparsi. - Ragazzi! - svoltò a destra. - Ragazzi! - si appoggiò sullo stipite della porta, trattenendo il respiro, nonostante i propri polmoni ne avessero un serio bisogno in quel momento. - Ragazzi... - bisbigliò.
La sala da ballo era sparita ed era stata rimpiazzata da una completamente bianca, dove, in modo molto più ordinato e curato, erano sistemati alcuni mobili; tuttavia, affissi su alcuni muri, vi erano ancora i quadri, mentre quella della misteriosa ragazza era sparita. Vi era una terrazza, sospesa a circa venti metri da terra; su di essa, vi erano vari personaggi, tutti vestiti secondo le mode antecedenti al novecento. Una donna era appoggiata su un albero, anch'esso bianco, e sorseggiava qualcosa da bere da un bicchiere di cristallo. Un uomo tondo e dai bizzarri baffi era seduto su uno sdraio intento a rilassarsi mentre uno più giovane e slanciato, era seduto su un altro. Più vicino ai bordi della piattaforma, vi era una ragazza, forse la stessa del dipinto scomparso, seduta in modo sconveniente (a gambe spalancate e con gli avambracci appoggiati sulle cosce) ed era china a fissare in basso, forse su un piccolo tavolino.
- Turno del bianco. - disse una voce proveniente dal nulla.
Jane abbassò il capo, guardando meglio dove si trovava: era su un'enorme scacchiera e lei era posta all'estrema destra, nella casella corrispondente ad H2. - Dove mi trovo? - si chiese.
- In una scacchiera, non lo vedi?! - le rispose, istericamente, Danielle, posta di fronte ad un cavallo completamente nero. Jane sgranò gli occhi quando si accorse che la bionda indossava una lunga veste bianca e di avere un cappellino di forma circolare ben calcato sul capo. Inconsciamente, si diede uno sguardo, scoprendosi vestita allo stesso modo; si guardò le mani, incredula a quello che stava accadendo, vedendole coperte da uno strato bianco, forse gesso. Cercò, con lo sguardo, il resto del proprio gruppo: Esmeé era un alfiere, dietro di lei, di qualche casella più a sinistra; Alex era il Re, più o meno in mezzo, nella sua stessa fila; mentre Carl era un pedone, come lei e Danielle, del resto, sistemato accanto a quest'ultima. Vi erano, infine, qualche altro pezzo sparso qua e là ma non troppo lontani.
- Che cosa è successo? - chiese Jane, indecisa se ridere o piangere.
- Non lo so. - le rispose, con tono confuso, Esmeé. - Chiedi a Danielle; è colpa sua. - si girò verso la bionda che arrossì vistosamente. - Spiegale tutto, Danielle! - le urlò.
- Ecco... - Danielle Vavarot si grattò la nuca, abbassando il capo. - Dondolando le gambe ho calciato qualcosa, una scatola polverosa. L'ho aperta e ho trovato dei pezzi da scacchi, penso; le ho sistemate bene, ne sono sicura perché ho visto Esmeé farlo qualche volta a casa sua, qualche anno fa. Poi è comparsa una luce bianca sprigionata dalla scatola e siamo stati catapultati nella scacchiera. - provò a togliersi il cappello di metallo, invano. Sentendosi pungere gli occhi, li chiuse, senza evitare, però, che delle lacrime le scendessero lungo le guance. - Non l'ho fatto a posta! - strillò.
Jane non disse nulla, ritornando con gli occhi puntati sulla ragazza sistemata sulla terrazza sospesa.
- Alex è sotto scacco. - disse Esmeé.
- E con questo? - chiese Carl.
- Significa che, se vogliamo far cambiare qualcosa, lo dobbiamo, innanzitutto, spostarlo da lì.
- Turno del bianco. Il bianco è invitato a muovere un pezzo. - ripeté la voce sconosciuta.
- Alex! Muoviti in avanti! - urlò Esmeé. - penso che sia così.
- Di quanto? - gli chiese Strong.
- Una casella, solo una. Essendo il re, non puoi muoverti di più di una in ciascuna direzione. - vedendo il compagno alzare un sopracciglio, aggiunse subito: - Non farmi domande! Muoviti!
Alzando un po' il mantello che lo avvolgeva e che lo avrebbe ostacolato, avanzò di un passo, leggermente esitante e titubante. Esmeé Wuomba aveva iniziato a fare scacchi quando aveva circa dieci anni, per poi fermarsi circa cinque anni più tardi, ovvero due anni prima di quella strana notte. Era molto brava, aveva vinto qualche medaglia ma, con il tempo, si era dimenticata di alcune tecniche; Alex l'aveva battuta una sola volta, soprattutto perché lei gli aveva spiegato le funzioni di ciascun pezzo della scacchiera e, man mano che gli mostrava le possibili tecniche, aveva mosso i pezzi; di conseguenza, Esmeé, per farlo un po' felice, nonostante ne fosse rimasto piuttosto confuso, lo aveva fatto vincere. 
Un alfiere proveniente da l'altra parte della tavola si mosse in diagonale, finendo per mangiare un pedone, non molto distante da Jane. Il pezzo aprì la bocca, misteriosamente comparsa dal nulla, mostrando una terribile, trascurata, sporca e puzzolente dentatura. I denti affilati si chiusero sulla testa del pedone che, emettendo appena un suono a metà tra un urlo e un gemito, si contorse; dopodiché, l'alfiere gli recise il capo, letteralmente strappandolo dal collo. Il restante corpo cadde a terra con un tonfo mentre, copiosamente, le arterie e vene facevano fuoriuscire del sangue rosso scuro. - Alfiere Nero in G4. - continuò la voce.
Danielle gemette, portandosi le mani sulla bocca e cadendo a terra, in ginocchio. - Che cos'hai fatto?! - chiese, per poi, a occhi spalancati, voltarsi verso Esmeé. - Che cosa è successo?! - strillò. - Esmeé!!
- Lo ha mangiato, letteralmente. - disse, freddamente, la ragazza, fulminandola con lo sguardo. - Ho sbagliato, chiedo scusa.
- Hai sbagliato?! Hai appena fatto ammazzare qualcuno! - esclamò Carl. 
- Lo conoscevi? Sai se era una brava persona o meno? Sai, inoltre, se era un vero essere vivente? - gli chiese, in modo calmo.
- Come stai ragionando, Esmeé? - le chiese Alex, girandosi verso di lei. Quest'ultima, rendendosi conto del modo in cui stesse pensando in quei terribili attimi, scosse la testa, sentendosi in colpa.
- Chiedo scusa. - ammise, infine, guardando tutti i propri compagni. - Sei sotto scacco, Alex, di nuovo. - osservò dopo qualche istante. - Re in... - socchiuse gli occhi, cercando di vedere meglio la situazione. - avanza di un passo.
- Re Bianco in E3. - disse la voce.
Prima che il ragazzo potesse sistemarsi un po' meglio, si sentì un nuovo, straziante urlo e, nel punto in cui si trovava un pedone bianco, ormai steso a terra privo di metà cassa toracica, sporco di sangue, ce n'era uno nero; questo era situato in una casella in avanti, nella colonna vicino a dove si trovava Alex. Questo, vedendo che non era cambiato molto, deglutì, e, aggrottando la fronte, si spostò nella casella subito accanto alla propria. - Ora non sono sotto scacco. 
Dietro di sé, un cavallo nero fece un balzo, superando Danielle e Carl, piazzandosi, infine, dietro a quest'ultimo. - Pazzesco! - esclamò la francese, Vavarot. 
- Non muovetevi! Credetemi! Non muovetevi! - urlò in loro direzione Esmeé. - Non sapete che cosa potrebbe accadere! - aggiunse.
Tuttavia, Danielle non le diede retta, avanzando di un passo. Per un attimo il cavallo, che fino a poco prima le era alle spalle, tremò, come se stesse esitando a fare qualcosa, per poi fermarsi. Una bellissima donna, cosparsa da qualcosa di nero, forse carbone, si mosse. - E' una trappola! - urlò, nuovamente, Wuamba.
Sentendosi vincitrice e più furba della congolese, Danielle avanzò di un passo, finendo in una casella vuota. - Sì! - disse, ridendo e grugnendo ogni tanto.
- Addio, Danielle. - le disse, gelidamente, Esmeé, accennando ad un saluto con la mano sinistra.
- Perché "addio"? - pronunciò l'ultima parola come se essa avesse potuto incarnare tutte le cose negative del mondo. Sentì uno scricchiolio provenire dalla Regina e, senza accorgersi che cosa stesse accadendo realmente, una lunga fascia nera le si attorcigliò al polso, sporcandolo un po' di nero. Dal nulla, le si materializzò davanti la Donna che, ghignando, le prese la testa, gentilmente. - No... non può essere. - bisbigliò, incredula. - Esmeé! Che cosa sta succedendo?!
- Ti sta mangiando, non lo vedi? - le rispose, a voce bassissima, Alexander, abbassando lo sguardo, sconfitto.
- Esmeé! Esmeé! Che cosa succede?! - la pressione sul proprio cranio aumentò fino ad arrivare a comprimere in modo doloroso le vene, arterie e i nervi. La voce della ragazza era diventata stridula sgraziata, disgustosa, insopportabile d'ascoltare. - Esmeé!! - grugnì di nuovo, mentre i propri occhi sembravano gonfiarsi sempre più ed essere sul punto di uscire dalle orbite. La Regina di fronte a sé manteneva, comunque, un'espressione dolce, sinistra e crudele.
- Sta' zitta, puttana!! - urlò infine, Esmeé, guardandola truce. Diceva raramente parolacce e, quando accadeva, erano sempre le più peggiori; d'altro canto, quasi per punirsi, si mordeva il labbro inferiore o superiore o la lingua. Non ricevette, tuttavia, alcuna risposta. Sentì un rumore di ossa rotte e di un urlo strozzato, e, alzando lo sguardo sul punto in cui, poco prima, si trovava la propria amica, sussultò, non riuscendo a trattenere una lacrima che le scivolò lungo la guancia destra. Tra le mani della Donna si trovava una carcassa informe, da dove spuntavano grumi di sangue, pezzi di cranio, muscoli, pelle o parti del sistema cerebrale. Gli occhi, di quella cosa che una volta era una testa, erano assenti; il restante corpo di Vavarot giaceva a terra. Sogghignando contenta, la Regina si portò la carogna alla bocca, mangiandone qualche pezzo; dopo poco, continuando a guardare Esmeé, si chinò e, estraendo un coltello dalla tasca, aprì in due la cassa toracica della francese. Infilò una mano all'interno e, dopo qualche attimo di controllo, ne estrasse il cuore, ancora caldo. Wuamba si rifiutò di guardare altro e, voltandosi e chiudendosi gli occhi, disse, rivolta ad Alex e agli altri due amici: - Dobbiamo vincere o proclamare patta. - aprì, timorosamente, un occhio, cercando di spiare la posizione di Alexander. - Non so che cosa possa succedere se dovessimo perdere. - deglutì. - O forse, sì. - delle gocce di sudore le colarono tra le sopracciglia.
- Dov'è? Dov'è mamma? - la interruppe, parlando per la prima volta da quando i cinque ragazzi si trovavano lì, la ragazza dall'oriente.
- In India, signora Anastasia. - le rispose, cortesemente, un uomo dalla chioma canuta e il viso magro ed elegante. - Non sappiamo quando arriverà.
- Sciocchezze. - la ragazza fece per alzarsi, cambiando idea quasi subito. - So perfettamente che mia madre è originaria dell'India e che vi ritorna spesso, ma ormai sono passati anni, decenni, secoli! - lo fulminò con gli occhi. - E' dalla primavera del 1157 che continuo ad aspettare. Dov'è? Dov'è mamma? Deve vedermi vincere. - Esmeé sobbalzò, deglutendo e guardandola carica d'ansia. Non poteva perdere, non in quella occasione... quando vi si era stata catapultata, ormai c'erano poche possibilità di vincere, ammesso che non fosse stata come il proprio ex maestro, ormai defunto. Tuttavia, sentendosi rabbrividire, era sicura che nemmeno il signor Swanson avrebbe potuto fare qualcosa; forse quella Anastasia giocava a scacchi fin da quando era nata e, vedendo che la ragazza anglo-indiana fosse quasi una loro coetanea, forse poco più grande, ciò equivaleva che erano quasi novecento anni che giocava e doveva possedere moltissima esperienza e la possibilità di perdere era nulla.
- Re in... in... - balbettò la congolese. - in D2. - dopo qualche attimo in cui rimuginò la propria scelta, sgranò gli occhi, scoprendo Alex già spostato, avendo indietreggiato, in diagonale. - Ho sbagliato! Maledizione!
- Scacco Matto. Vince il Nero! - disse la voce, subito dopo che Anastasia aveva mosso nuovamente la Regina. Il pezzo aveva un sadico sorriso stampato sul volto e Strong era sul punto di svenire.
- Esmeé, abbiamo perso? - le chiese, preoccupata, Jane.
La compagna non le rispose, fissando Alexander, non attendendo che la sua fine, accompagnata dalla propria. 
- Regina, fermati. - Anastasia si sporse, guardando, finalmente, la propria avversaria, Esmeé. - Chi ha avuto il piacere di giocare con me? Oh... - accennò ad un dolce sorriso quando scorse l'africana, tremante di paura. - No, non posso tollerare che questa fanciulla si possa allontanare da me. Mi farà compagnia, come gli altri. - indicò, svogliatamente, ma anche con una certa delicatezza, i propri compagni alle proprie spalle, comodamente sistemati, anche se, nei propri occhi, conservavano ancora la paura e l'orrore della scomparsa dei propri compagni di sventura. - Come si chiama, mia fanciulla?
- Esmeé. - starnutì. - Esmeé Wuamba. - la guardò negli occhi, più seriamente le era possibile. - Mi può garantire che i miei restanti compagni possano andarsene, illesi?
La dama orientale esitò per un attimo, stupendosi dell'apparente spavalderia dell'avversaria. Gli altri non avevano mai protestato, ma quella misteriosa ragazza dalla pelle bruna sembrava sfidarla, di nuovo, anche se inconsciamente. - Certo - sospirò. - lo garantisco. - la signora appoggiata all'albero singhiozzò, coprendosi il volto con la mano, soffocando gli altri singhiozzi. Evidentemente, si vergognava di non aver provato a fare la stessa domanda quando aveva avuto la possibilità di vivere in quel mondo al confine tra la vita e la morte, rimanendo giovane e immortale, ma, tuttavia, eternamente infelice. 
- A che cosa serve la giovinezza e bellezza se non si può gustare la felicità, calma e amore con esse? - disse, più rivolta a sé che agli altri presenti.
- Filosofa, le tue parole sono meravigliose. - disse Anastasia. - Educato, mia madre potrà aspettare, nevvero? - si rivolse all'elegante signore accanto a sé.
 
- Quel misterioso castello è stato bruciato solamente tre giorni fa, che strano! - la bambina dai lunghi capelli castani si sedette, incrociando le gambe, sull'erba. - Non esiste più, se non le macerie! - rise.
- Hey! Ragazzi! Aspettatemi! - un bambino, con un'alta pila di scatole da giochi da tavola in mano, correva verso il gruppetto di bambini, messi quasi in cerchio. - Ho portato dei giochi, siccome Mark non può correre. - guardò, per un attimo, un ragazzo biondo dai capelli a caschetto, per poi sedersi accanto ad esso. - Guardate: Dama, Monopoly, Il Gioco dell'Oca... 
- E questo che cos'è? - chiese un altro bambino sudamericano, indicandone uno nero e dall'aspetto malandato.
- Oh! Non me ne sono accorto. - il bambino, di nome Tod, osservò meglio la scatola, a bocca aperta. - Mark, potresti andare a prendere qualcosa da bere? Fa troppo caldo. - disse, distrattamente, troppo preso dalla scatola.
Il biondo, sbuffando, si alzò; prese le stampelle e si allontanò in direzione di una casa distante da lì di forse cento metri. Il sole gli batteva forte sul collo, la testa, le braccia e le gambe, mentre, ne era sicuro, sotto il gesso, doveva essere completamente bagnato di sudore. - Arrivo.
- Aprilo! - disse una ragazzina, dagli occhi a mandorla, rivolta a Tod.
- Sì, Ni. - titubante, l'aprì. - Che schifo! Scacchi! E' un gioco noioso. - sbuffò, quasi disgustato.
- A me piace. - disse Pablo, il sudamericano, estraendo dalla scatola i pezzi e una piattaforma a scacchi. Diligentemente, iniziò a mettere ciascun pezzo al proprio posto, anche se la memoria lo tradiva, scambiandone alcuni come gli alfieri con i cavalli.
- Dove l'hai trovato? - chiese Martha, la bambina che, poco prima, aveva espresso il proprio commento sul castello.
- E' la prima volta che lo vedo. - le rispose Tod. - Non l'ho mai visto prima. - alzò un sopracciglio, iniziando a preoccuparsi. - Forse l'ho portato a casa, senza accorgermene, una settimana fa, quando sono stato fuori città con i miei genitori...
- Ecco, penso di aver finito... - lo interruppe, Pablo.
 
- Ragazzi! - Mark, con gran fatica, procedeva verso il punto dove aveva lasciato i propri amici. - Ho portato del succo di frutta fresco! Mia madre lo aveva già preparato... - sobbalzò, abbassando la voce e rallentando la propria andatura; diede uno sguardo al vassoio colorato in cui erano appoggiati alcuni bicchieri colmi del liquido dolce dell'arancia e ananas. - ... prima...
Aggrottò la fronte, interrompendosi.
I propri amici erano spariti.
Se lo avesse saputo, avrebbe notato come una scatola nera fosse sparita insieme a tutti i propri componenti...
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolino della Pazzoide:
Salve a tutti! Ritorno con una nuova storiella ispirata alla mia esperienza con gli scacchi (medaglia d'oro ad un torneo ;) ) e ne sono soddisfatta. Certamente, è presente una scrittura un po' più "evoluta" rispetto alle altre precedenti, come me.
Penso che, in questo testo, siano presenti (mi piace leggere, e leggo moltissimo!) citazioni di grandi autori inglesi, alcuni tra i miei preferiti: Shakespeare e Wilde, rispettivamente: "[...] di quella notte di mezza estate" e " A che cosa serve la giovinezza e bellezza se non si può gustare la felicità, calma e amore con esse", rispettivamente, estrapolate da "Notte di mezza estate" e "Il ritratto di Dorian Gray".
Vi è, inoltre, un'altra cosa interessante, ovvero la nazionalità di Anastasia, indiana. Secondo alcuni storici, gli scacchi sono nati in India, o in zone vicino ad essa (come Iran).
Che cosa ne penso di questa storia? Ho tagliato pezzi che mi sembravano troppo simili a pezzi di Stephen King, come quando avevo pensato di far trovare al bambino, al proprio ritorno, una mano mozzata (come in "L'Occhio del Male" di Stephen King, sotto lo pseudonimo di Richard Bachman), ma non volevo farlo traumatizzare, diciamo XD . 
Forse avrei aggiunto qualcos'altro o toglierne altro, ma... no, va bene così. Preciso che non mi piace scrivere parolacce nelle mie storie, ma, se dovesse accadere, molto raramente, è perché il personaggio che le recita potrebbe essere molto, molto arrabbiato. 
In poche parole: non sono una volgare e cerco di leggere storie con meno parolacce possibili (parla quella che legge King .-. )
Bene!
Buonanotte [ironia]
Lolita
 
 
 
P.S.: Cara Daniela, sicuramente (???), quella Danielle non sei tu ;)




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