Capitolo XVIII
All my
fear is coming home, And it’s ripped out for the show.
You can’t be me, I will become you.
(Crush,
Pendulum)
Londra,
Diagon Alley. Laboratorio di Rupert Stevens.
Pomeriggio.
Those who came before me lived
through their vocations
From the past until completion they will turn away no
more¹…
“Non dovresti
essere a casa a
quest’ora, Thomas?”
Tom si impose di non sobbalzare quando sentì la voce del
proprio datore di
lavoro invadere il suo spazio personale; doveva essere un po’
che tentava di
attirare la sua attenzione, perché di solito
l’uomo si guardava bene dal fare
quell’errore.
“Perdonami.”
Disse infatti
quando abbassò di malavoglia le cuffie con cui aveva cercato
di isolarsi dai
clienti; non si era accorto che se ne fossero andati. “Ti ho
chiamato tre
volte.”
“Stavo leggendo.” Chiuse il plico di fogli
spillati, copia delle cartelle
mediche che Albus ormai si portava in giro come se fossero
un’estensione di sé
stesso. “Non volevo essere interrotto.”
“L’avevo capito.” Sorrise
l’altro sfiorando con dita leggere la carta sparsa
sul tavolo. “Non mi sembra una bacchetta.”
“Perché non lo
è.” Convenne
per niente turbato dall’essere
stato scoperto a non lavorare.
Se
sono qui, non è per guadagnarmi un salario. Sono qui
perché amo l’Arte delle Bacchette.
Che
al momento non è una mia priorità.
“Stai battendo la
fiacca?”
Ironizzò infatti senza acrimonia. “Di cosa si
tratta? Non è un libro, sembrano
documenti.”
“Sono referti medici.” Alla sua espressione
sorpresa si strinse nelle spalle.
“Sto dando una mano ad Albus con un caso.”
L’artigiano aggrottò le sopracciglia.
“Questo tipo di documenti non è coperto
da segreto professionale?”
La domanda non meritava neanche una risposta e quello dovette intuirlo,
perché
fece un mezzo sorriso. “Cosa ha attirato la tua attenzione,
Thomas?”
Quello che gli piaceva di
Rupert Stevens era la curiosità: se gli interessava qualcosa
non c’era niente
che potesse frenarlo: in questo erano maledettamente simili.
“In teoria,
nulla.” Fece una
smorfia tirata, aprendo il blocco degli appunti su cui aveva annotato i
suoi
pensieri. “Il sergente auror dell’unità
di James è stato contagiato da una
malattia apparentemente mai vista né sentita … e
ovviamente, neppure curata.”
“Albus non si occupa di Lesioni da Incantesimo?”
L’artigiano Appellò una sedia
e vi si sedette sopra, avvicinandola al suo tavolo da lavoro. Tom non
poté
nascondere un sorriso: era un miracolo che riuscissero a finire le
proprie
consegne con solo qualche mese di ritardo data la reciproca propensione
a distrarsi.
“Sì, ma
hanno chiesto un
consulto al suo Capo Guaritore e lui ha colto l’occasione
… Sai com’è con la
sua famiglia.”
“Niente viene prima, niente viene dopo .” Convenne
divertito. “E tu come
rientri nell’equazione? Albus ti ha chiesto di aiutarlo a
smaltire del lavoro?
Non sembra da lui.”
“Non sa che ho
copiato le sue
cartelle.”
“L’ha fatto di nascosto, mentre dormiva?”
Non si scompose. Era per questo che
aveva deciso di bussare a quella porta e mettersi al suo servizio:
Stevens non
faceva mai domande sui mezzi a volte opinabili che adoperava, solo sui
risultati che raggiungeva. Non era stato affatto sorpreso –
piuttosto
rinfrancato – quando aveva scoperto che aveva militato nelle
file gloriose dei
verdi-argento.
“Pensavo la
Medimagia non ti
interessasse.”
“Infatti, la trovo
noiosa.”
Confermò. “È tutto un distillare
pozioni, ascoltare idioti convinti di avere
morbi incurabili e sopportare le loro lamentele. Non è come
voglio impiegare il
mio tempo e la mia intelligenza. Però … questo
caso è diverso.” Serrò le
labbra, perché in quel rompicapo vi era caduto con tutte le
scarpe: aveva
sempre amato le sfide mentali e Medimagia o meno, quei referti urlavano
battaglia di ingegni ad ogni riga.
Capisco
perché Al si sia convinto che è
un’opportunità
d’oro per il suo curriculum.
“Di solito una
malattia altera
o indebolisce le capacità magiche di un mago …
questa no, le aumenta al punto
che la persona perde coscienza di sé e diventa un
agglomerato di potere fuori
controllo.” Spiegò riassumendo quando aveva
appreso in quei giorni di letture e
riflessioni. “Il periodo di incubazione è breve e
i sintomi non sono stati
riscontrati in nessun altra malattia conosciuta fin’ora
… Quelle che ho copiato
sono cartelle di casi provenienti da tutti i Ministeri del Mondo che
presentano
casistiche simili.”
“Ma non uguali, quindi sono state un buco
nell’acqua.”
“Esatto.” Guardò la propria bacchetta
posata sul tavolo, silente e fedele
compagna da quando era diventato un mago. “La cosa
più sconcertante è l’uso di
magia senza bacchetta … Né Samuel Howe, il primo
paziente, né il Sergente
Flannery, l’auror che è stato contagiato, erano
capaci di usarla eppure hanno fatto
magie che hanno messo in difficoltà degli agenti armati.”
“Non sembrerebbe una malattia se non facesse
ammalare.” Ironizzò l’artigiano.
Tom ricambiò il
sorriso,
pensando a cosa si doveva provare a padroneggiare il proprio dono senza
il
bisogno di avere un ausilio.
Non
esistono molti maghi al mondo capaci di esser tali
senza una bacchetta.
Sia Harry che Hermione,
rispettivamente
il mago e la strega più potenti e precisi nei loro
incantesimi che conoscesse,
non vi riuscivano e lui stesso, con tutto ciò che era stato
in un’altra vita, a
meno che non fosse in preda alla rabbia sapeva a malapena scaldarsi una
tazza
di the.
“È
stato ipotizzato che si
tratti di un esperimento di Magia Oscura andato storto
…” Aggiunse per radunare
i pensieri. Avere un interlocutore, aveva scoperto, aiutava.
“Ma non si riesce
a capire come si sia passati da un esperimento Oscuro ad una
malattia.”
“Pensi di
riuscirci tu?”
Era una domanda neutra e non vi era sarcasmo, tuttavia Tom si
sentì a disagio:
non era un guaritore né un auror e non aveva le competenze
né il diritto di
mettersi in mezzo.
Solo
che lo stai già facendo, vero? E ti piace.
Hai
tanto criticato Albus perché si è immischiato
rinunciando alla vostra serenità… Ma tu?
Ipocrita.
Questa faccenda ti affascina, non negarlo.
“Penso di aver
affrontato
misteri e problemi peggiori.” Si limitò a dire.
Stevens non
commentò,
limitandosi ad un cenno della testa simpatetico; quell’uomo
dai sensi offuscati
ma dalla mente brillante era la perfetta spalla per pensare. Tom non
l’avrebbe
mai ammesso apertamente – non era nelle sue corde
né mai lo sarebbe stato – ma
tornare a casa dopo una giornata in laboratorio e realizzare di aver
fatto un
discorso più lungo di qualche frase con qualcuno che non
fosse Albus o Meike
era … gradevole.
“E come la si
contrae?” Gli
chiese. “Perché è il punto della
faccenda, non credi? Una malattia sconosciuta
e per ora senza cura … C’è da chiedersi
se il mago della strada debba preoccuparsi.”
“Non hanno ancora
scoperto la
modalità di contagio.” Fece una smorfia.
“L’unico ad essersi ammalato della
squadra auror è stato Flannery.” Scosse la testa.
“Cos’aveva di diverso?”
Era una frase che aveva
sentito borbottare ad Albus durante quei giorni ed era la stessa che
gli era
rimbalzata tra le sinapsi, in gran segreto, per lo stesso lasso di
tempo.
Perché
Flannery e non James … o Malfoy?
Stevens si strinse nelle
spalle. “Una predisposizione?” Suggerì.
“A costo di sembrare razzista,
differenza tra Purosangue e Mezzosangue? È cosa nota che
alcune malattie, come
il Vaiolo di Drago, colpiscono i Purosangue con maggiore
incidenza.”
“Perché vi è una predisposizione
ereditaria.” Obbiettò. “È per
via degli
incroci tra consanguinei, non accade solo ai maghi. Non è
questo. Non riesco…”
E gli costava dirlo. “… a capire.”
“Perché
non sei un guaritore,
Thomas, né lo sono io. Siamo artigiani.”
Sospirò l’altro alzandosi in piedi e
orientandosi per tornare al proprio tavolo da lavoro.
“Capisco la curiosità e
la tua voglia di aiutare Albus, ma temo che non riusciremo a venirne a
capo con
il solo aiuto dei nostri, seppur notevoli, cervelli.”
Concluse con un sorriso
che sfumò in una palese frecciatina.
Tom non la
contestò, per
quanto trovasse frustrante esser finito di fronte ad un muro che non
era capace
di superare. “Con le bacchette non mi è mai
successo.” Sbottò sentendosi
piuttosto ridicolo e non riuscendo comunque a frenarsi.
Stevens inarcò le
sopracciglia. “Questo perché, se permetti, hai
avuto chi ti ha guidato e ti ha
introdotto all’arte. Molto rimane inavvicinabile da
autodidatti senza
qualcuno che si prenda sulle spalle la
responsabilità di introdurti ad uno studio o ad una
professione.”
Se l’accendersi della famosa lampadina – o Lumos
– non fosse stata solo una figura retorica, Tom se la sarebbe
vista apparire
davanti. “La responsabilità.”
Mormorò. “Il Sergente Flannery aveva la responsabilità della
squadra.”
Ricordò di colpo quanto James aveva raccontato durante il
compleanno di Malfoy;
Al lo aveva obbligato a sedersi allo stesso tavolo del fratello e Lupin
(‘Perché non possiamo
passare tutta la serata
a ignorare gli altri, sì, anche se li consideri capre
indegne della tua regale
attenzione, razza di misantropo’) e aveva
così finito per ascoltare
l’intero resoconto della battuta di caccia
all’americano.
“Liam Flannery è stato l’ultima persona
a colpire Samuel Howe.” Si alzò in
piedi e fece levitare i fogli fin dentro la la sua tracolla,
passandosela su
una spalla. “So qual è il veicolo di
contagio.”
Stevens batté le palpebre in piena confusione, ma quando lo
sentì muoversi
verso di lui e in direzione dell’uscita si scostò
per lasciarlo passare. “Temo
che il filo logico mi stia sfuggendo completamente
…”
“È stata davanti al nostro naso e a quello dei
guaritori per tutto il tempo.
Naturalmente era invisibile.” Prese la bacchetta per
Smaterializzarsi, perché
aveva fretta di condividere la scoperta con Albus: se fosse stata
corretta - e
lo era – sarebbe stata un’informazione da pestare
nella zucca degli auror il
prima possibile.
O
rischiamo di avere una maledetta epidemia.
“È la
magia.”
“È
la magia.”
Chiunque
conosceva Tom quanto lui sapeva
quanto adorasse le entrate ad effetto; annunciarsi e far capire ad
un’intera
platea che era lui l’evento era una delle sue gioie segrete.
Al lo aveva sempre
saputo, come aveva sempre saputo di essere mago.
Una
di quelle certezze della vita.
Alzò lo sguardo
dalla cartella
medica del paziente che stava seguendo, un brutto caso di Spaccamento
che aveva
lasciato il poveretto di fronte a lui privo delle orecchie e di due
dita della
mano.
“Sto visitando un paziente…”
Tentò indicando l’uomo che ad onor del vero non
sentiva assolutamente nulla e fissava Tom come se fosse
un’allampanata
apparizione.
Sospetto
trauma cranico? Bene … quello o trova il mio
ragazzo interessante.
Propendeva per la prima
ipotesi considerando che Tom non era molto attraente nella sua tipica,
sebbene ormai
rara, aria allucinata.
“Il tuo paziente
può
aspettare!”
“No, non
direi.” Incrociò le
braccia al petto. “Cosa succederebbe se entrassi nel
laboratorio di Rupert
gridando così quando lavori?” Non
aspettò la risposta. “Mi trasformeresti in un
pollo o mi sbaglio?”
L’altro ebbe il buongusto di non ribattere.
“È importante.” Ripeté
cocciuto,
passandosi la tracolla da una spalla all’altra: era
così piena che le cuciture
erano sotto sforzo ed era strano, visto che padroneggiava con
disinvoltura
l’incantesimo di Estensione Irriconoscibile.
Era
così di fretta da non lanciarlo sulla roba che ci
ha messo dentro?
Forse
la faccenda era meritevole di
qualche domanda in più. Sospirò, agganciando la
cartella al lettino del
paziente e mimando che sarebbe tornato tra qualche minuto.
“Non provare mai a
prendere la
patente per la Materializzazione per corrispondenza … Questi
sono i risultati.”
Disse. L’altro per tutta risposta lo tirò
nell’angolo più buio del corridoio
guardandosi attorno con fare sfuggente.
“Che hai
combinato?” La
domanda era inevitabile e venne ricompensato da uno sguardo da gatto
che si era
fatto le unghie sui mobili.
“Premetto che ho
preso le
cartelle mediche che hai portato a casa e le ho copiate con un Gemino.”
“Cosa?” Si
impose di non urlare né di
mettersi le mani nei capelli, perché il reparto Lesioni
aveva occhi e orecchie
ovunque. “È un reato!”
“Solo se viene
scoperto.” Fu
la sconfortante replica. “E prima che tu decida che debba
dormire sul divano
per il prossimo mese…”
“Troppo tardi.”
Tom fece una smorfia irritata ma continuò come se non
l’avesse ascoltato. “…
forse ti interesserà sapere cos’ho
scoperto.”
Oh.
Non sciolse però
le braccia
che aveva serrato al petto, in un’imitazione che avrebbe reso
fiera nonna
Molly. “Hai fatto una scoperta dall’alto della tua
profonda conoscenza della
Medimagia?”
“Si tratta di ragionare.” Ritorse e non fu
una sua
impressione, benché le luci del piano fossero soffuse,
arrossì. “E se
permetti…”
“Taglia corto, ho un paziente senza orecchie che mi aspetta e
Morgana solo sa
come farò a mimargli di prendere le pozioni senza
infilarsele dalla parte
sbagliata.” Poi fece mente locale sulla frase con cui il
disgraziato era
entrato in scena. “Cosa c’entra la magia?”
Il suddetto si
stampò in
faccia un sorrisetto soddisfatto che gli sarebbe valso un pugno, se non
fosse
stato tremendamente affascinante.
Ho
un debole per il suo cervello. Un tremendo debole.
“È il
veicolo del contagio. Il
virus si è trasmesso attraverso di essa.”
Spiegò come se fosse ovvio e lui
fosse scemo: erano in momenti come quello che gli prudevano le mani
dalla
voglia di pestargli in zucca un po’ di diplomazia.
O
almeno insegnargli come non far sentir cretino
l’umano creato. Un giorno qualcuno gli farà
saltare le chiappe con una Maledizione.
E
sarebbe un peccato.
“In che
senso?”
“Liam Flannery
è stata l’ultima
persona a scagliare uno Schiantesimo su Samuel Howe, giusto?”
Gli chiese ed era
retorico dato che sapevano entrambi com’era andata grazie al
resoconto cruento di
James la sera della festa di Malfoy.
“E con
questo?”
“Uno dei sintomi
è l’aumento
abnorme di capacità magica …
Come se il sergente fosse una pila e fosse stato caricato oltre la sua
capacità
di tolleranza. Albus, immagina un fulmine che colpisce una centralina
elettrica!” Si stava spazientendo e avrebbe tanto voluto
dirgli che nessuno di
quei paragoni aveva senso per lui, ma cercò invece di
ricordare qualcosa della
massa di nozioni Babbane che l’altro gli vomitava a getto
continuo a casa,
pretendendo anche che se le ricordasse.
Ah.
Già. La faccenda
dell’elettricità…
La realizzazione lo
colpì come
un Bolide. “Vuoi dire che la magia dell’americano
è entrata dentro Liam
facendo impazzire la sua?”
“Non è
quello che succede
quando un mago si scontra con un altro?” Gli chiese,
afferrandogli una mano e
premendosela sul petto, quasi volesse simulare l’atto.
“Attraverso le bacchette
si scontrano i flussi magici, e una parte della magia
dell’uno finisce addosso
all’altro … Pensa a quello che è
successo a tuo padre, alla sua cicatrice e al motivo per cui ha
imparato il
Serpentese.”
Al boccheggiò
perché quelli erano
paragoni che poteva capire,
finalmente. “Ma … Liam ha poi attaccato la sua
squadra, e nessuno si è
ammalato.” Obbiettò perché qualcuno
doveva fare la parte dell’avvocato del
diavolo. “La persona che lo ha fermato alla fine è
stato Prince, ma i suoi
livelli di magia sono stati testati ed erano nella norma. Sta
bene.”
Tom scosse la testa.
“Prince
non è un mago normale.”
“Non spiega
tuttavia perché
non si è ammalato.” Replicò, ma quella
teoria aveva senso, più senso di
qualsiasi altra vagliata fino a quel momento. “A meno che,
certo, non siano
cambiate le tempistiche … Il Sergente Flannery si
è ammalato nel giro di pochi
giorni mentre Sam Howe era in Inghilterra da settimane.
Non è arrivato qui con qualcosa di conclamato.”
“Non con i
controlli del
Ministero all’entrata di ogni mago straniero tramite
Passaporta Continentale.”
Convenne Tom: entrambi conoscevano quelle procedure dato che Meike
prima di
prendere la cittadinanza ufficiale del Ministero Inglese aveva passato
anni a
fare da spola tra Londra e la Germania.
“Quindi Prince
dovrebbe esser
già malato, se il periodo di incubazione si è
ridotto. Non lo è, quindi è sano.”
Tom non concluse la frase e Al vide un guizzo di sollievo
affacciarglisi nello
sguardo.
Non
hanno rapporti e non si sono considerati alla festa
di Sy … Però è pur sempre suo cugino.
Abbandonò ogni
proposito di
fare il suo lavoro per quel giorno e sospirò.
“Vieni con me.”
Scesero fino a Malattie
Infettive e non trovarono nessun ostacolo nell’oltrepassare
l’auror di guardia
alla stanza del sergente Flannery.
Perché
non c’è?
Capì il motivo
della defezione
quando vide che James era seduto al capezzale dell’uomo.
“Ehi.” Lo salutò
disimpegnato, sperando che l’altro non si ricordasse che
quella stanza era
accessibile solo agli auror e agli addetti ai lavori: voleva evitare di
veder
lui e Tom arruffare le penne.
“Che ci fate voi
qui?”
Dannata
memoria da elefante.
“Il mio reparto
segue questo
caso in congiunzione con Malattie Infettive.” Gli
rammentò pazientemente. “Sono
venuto a visitarlo.”
James sbuffò,
stringendosi
nelle spalle. “Non me lo ricordavo.”
Indicò con un cenno della testa Tom dietro
di lui. “E Tommy?”
“Ha una
teoria.” Si limitò a
dire. Si avvicinò al capezzale del sergente e gli prese il
braccio destro esaminandolo
con attenzione.
“Al!”
Lo richiamò l’altro affiancandoglisi, ricordandosi
improvvisamente che il suo compito era far rispettare le regole.
“Non dovreste
stare qui! Tu dovresti essere accompagnato da Sam e lui è un
aggiusta -
bacchette, non un medico!”
È
meno scemo di quanto uno pensi … me ne dimentico
sempre.
“Come,
prego?”
“Chiudete il becco. Entrambi.” Li fermò
esasperato prima
che potessero mettersi a misurare la lunghezza delle rispettive
bacchette. Quando
ebbe trovato ciò che cercava non poté frenare
un’imprecazione. “Tom, hai
ragione. È la magia.”
L’altro si avvicinò, ignorando lo sguardo di fuoco
che gli venne lanciato da
James. “Cosa ti ha convinto?”
Per tutta risposta gli
mostrò una
bruciatura che ricalcava le vene che dall’incavo del braccio
si diramavano fino
all’attaccatura del polso. “Avevamo pensato che si
trattasse di una semplice
bruciatura da contraccolpo di incantesimo.”
Spiegò. “Ne vediamo di continuo
sulle braccia degli auror e in quelle dei Tiratori
Scelti…”
James aggrottò le
sopracciglia,
chinandosi per studiarla. “E non è
così? Perché a me sembra quello!”
“Liam è
stata l’ultima persona
ad aver lanciato un incantesimo a Samuel Howe prima che si riducesse in
cenere,
giusto?”
Suo fratello
spalancò gli
occhi. “È per questo che si è
ammalato?”
Al si scambiò uno
sguardo con
Tom e poi riassunse quello che l’altro gli aveva detto,
spiegando e
approfondendo il discorso quando vide che James era un osso assai
più duro da
convincere. Ma il ragionamento era corretto e alla fine suo fratello si
risedette sulla sedia accanto al capezzale del sergente Flannery,
fissandolo inespressivo.
“Merda.” Commentò passandosi una mano
trai capelli. “Questo non facilita le
cose.”
Non c’era una
risposta che non
rendesse la situazione ancora più angosciante. “Ne
devo parlare con Finnigan e
Smethwyck.” Si risolse a dire. “Per ora sono solo
speculazioni.”
James annuì.
“C’è sempre più
puzza di Magia Oscura, eh?” Non aspettò risposta,
forse perché la poteva
indovinare dalle loro espressioni. “Quante malattie magiche
nascono dagli
intrugli Oscuri?”
“Non molte. Le
poche che sono
state documentate sono state create centinaia di anni fa, da stregoni
che
volevano sottomettere villaggi o farla pagare a re che avevano fatto
loro un
torto. Storie… Il problema è uno solo.”
Si strinse nelle spalle ma non poté
impedirsi un leggero brivido. “Tutte le malattie attuali
derivano da quelle.”
“Quindi si
può guarire!”
Fece un sorriso dolente. “Da quelle attuali.”
Sottolineò. “Dopo anni di studio per trovarne la
cura.”
Suo fratello
sgranò gli occhi,
mentre il peso delle sue parole lo investiva a pieno. Poi
masticò
un’imprecazione tra i denti. “Perché
creare una roba del genere? Prince dice…”
Si fermò, stupito lui stesso dal voler quotare quello che
riteneva il
depositario ultimo di tutti i suoi malumori. Con un grosso sospiro si
fece
forza e continuò. “Prince dice che potrebbe essere
stato un incidente, qualcosa
venuto fuori per sbaglio cercando di creare
qualcos’altro.”
“Non sarebbe la
prima volta
che il Mondo Magico deve affrontare un problema per via di uno sbaglio
di
laboratorio. O di chi usa la Magia oscura come se fosse il Piccolo
Pozionista”
Osservò Tom con una smorfia ironica che Al capì
fin troppo bene e lo spinse a
stringergli appena la mano nella sua.
Prima che potessero
però
esplorare ulteriormente quel pensiero un Gufo batté
violentemente il becco
contro la finestra, agitando le ali per farsi dare udienza.
James slegò la
pergamena che
l’animale aveva tra le zampe. “È
dall’ufficio.” Sbuffò rompendo il
sigillo con
l’unghia. “A volte vorrei che si ricordassero che
abbiamo degli Specchi
Comunicanti e i cellulari, e tutti e due sono molto più
veloci!”
“Il Ministero è un’istituzione
reazionaria per principio, dubito che
cambieranno certe modalità in tempi brevi.”
Osservò Tom.
“Reache?”
“Lascia perdere, Jamie.” Al dovette frenarsi per
non ridere, perché conosceva
fin troppo bene la coda di paglia del fratello e la sua propensione a
diventare
fisico quando questa gli veniva
pestata.
Ci
manca si mettano a litigare per concludere in gloria
questo siparietto orrendo.
James scorse le righe della
lettera e sbiancò di colpo. “Merda.”
Ripeté. “Ne abbiamo un altro!”
“Cosa?!”
Com’è
possibile? Non torna con le tempistiche, Howe è
morto da troppo tempo e il Sergente si è scontrato solo con
…
“È
qualcuno che conosciamo?”
Mormorò sentendo il cuore battere come un tamburo.
“No.”
James afferrò la giacca
e se la infilò, controllando con un movimento oliato di
avere la bacchetta e il
distintivo, da come premette le dita sulle tasche.
“È partita una segnalazione
dall’Accademia di Duello, pare sia uno degli
allievi.” Fece una smorfia. “La
chiamata è stata fatta in via prioritaria, tramite un numero
di distintivo, c’è
un agente lì. Ci ha chiamati Prince.”
Tom fallì miseramente nel sembrare disinteressato.
“Prince è all’Accademia?”
James prese la bacchetta e
fece un sorriso storto, indecifrabile se non nella sua
rassegnazione.“E dove
diavolo non è, quel tipo, ultimamente?”
Albus lo afferrò
per un
braccio prima che si Smaterializzasse. “Cercate di non
fermarlo usando la
bacchetta.” Gli raccomandò: se il loro
ragionamento era corretto, era la prima
cosa da non fare.
James lo guardò stralunato. “E come dovremo fare
secondo te? Siamo maghi!”
“Potreste
rischiare di venire
contagiati!” Tenne duro. “Trovate un modo, James
… per favore.”
L’altro
esitò, ma finì per
annuire perché si fidava del suo cervello quanto lui si
fidava dei suoi
muscoli. Era sempre stato uno scambio equo. “Va
bene.” Sospirò. “Tu cerca
conferma dal tuo capo … o da Sam, da chiunque possa darci
delle risposte
concrete e non speculazioni da cervelloni.” Rivolse a Tom
l’occhiata che gli
riservava quando era colpito dalle sue intuizioni ma troppo infastidito
per
volerlo ammettere.
Cioè
come lo guarda sempre.
“Va bene. State
attenti Jam.”
Lo pregò. “Tornate tutti interi.”
“Sei un po’ naïve se lo dici ad un auror,
sai.” Ghignò l’altro.
“Piuttosto, voi
due … vedere di non cacciarvi nei guai.”
Sbuffò. “Anche se dirvelo pare che non
serva mai ad un cavolo.”
Detto questo si
Smaterializzò
con uno schiocco potente, lasciandoli soli.
“Naïve
… Non pensavo avesse un
vocabolario che sorpassasse le quindici parole.”
Esordì Tom dopo uno scomodo
silenzio fatto di pensieri poco felici, almeno da parte sua.
Suo malgrado sorrise.
“L’avrà
sentita dire da Teddy.” Guardò il sergente
Flannery, manifesto stesso della
situazione orribile che si stava delineando.
“Usciamo.” Decise. “Ho bisogno di
prendere una boccata d’aria.”
Il tetto del San Mungo,
nascosto dalla giungla di palazzi della City, ma comunque
sufficientemente
assolato per esser gradevole, era il rifugio di tutti gli assistenti e
studenti
stressati e
normalmente Al, sedendosi su
una delle panchine, vi avrebbe trovato sollievo.
Non
stavolta. Un altro ammalato. Un altro ammalato che
non riusciremo a curare e che potrebbe mettere in uno dei nostri letti
la
squadra di James. O James.
Tom gli si sedette a fianco
senza dire niente e gliene fu grato, perché in quel momento
qualsiasi tentativo
di conforto sarebbe suonata stupido.
Fu lui alla fine a prendere
la
parola, perché gli era rimasto un quesito che doveva esser
soddisfatto.
“Pensavo non volessi essere coinvolto…”
L’altro si strinse
nelle
spalle. “Mi conosci. Ho un debole per i rompicapo.”
“Tom.”
L’interpellato
distese le
gambe, fissandosi la punta delle scarpe con profondo interesse.
“Vorrei dire
che l’ho fatto per te, per aiutarti.”
Aggrottò le sopracciglia. “Ed è
così. È il motivo per cui
ho…”
“Rubato.”
“Copiato…” Corresse con un borbottio.
“… quelle cartelle in prima istanza.”
Gli fece scivolare la mano
lungo la gamba. “Lo so.” Mormorò
sporgendosi per baciargli la linea della
mascella, perché in fondo se lo meritava. “Le
intenzioni le avevo capite.”
“Immagino quindi dormirò sul divano per i
mezzi.”
“Ci puoi giurare.” Sorrise. “E cosa ti ha
fatto continuare invece?” Lo vide
mordersi le labbra, in bilico tra la confessione e il riottoso
desiderio di
tenersi tutto per sé. “Ti era mancato,
vero?” Indovinò perché era quello il
segreto inconfessabile. “Essere nel bel mezzo della
tempesta.”
La
tranquillità è meravigliosa. Ma …
tranquilla. E non
è una parola che alla lunga, per chi siamo, rimane
totalmente positiva. Dovrebbe
essere così … ma non lo è.
Questa
faccenda mi toglie il sonno, ma l’adrenalina …
“Morgana, abbiamo
dei
problemi.” Mugugnò. “Seri.”
“Non mi manca la
parte in cui
uno di noi due rischia la vita.” Replicò
l’altro tentando di dare una parvenza
di sanità mentale all’intera rivelazione.
“La parte…”
“… in cui scopri l’inghippo e fai scacco
matto al nemico, qualunque esso sia?”
“Smettila di finire le mie frasi.”
Inarcò le sopracciglia sardonico. “Ci fa
sembrare una vecchia coppia sposata.”
“Solo sembrare?” Gli posò una testa
sulla spalla, perché per quanto magra e
spigolosa, era la spalla di Tom e seppellirci senza ritegno il naso era
molto
più consolante del sole che gli scaldava il viso.
“La qual cosa, per inciso, rende
ridicola la nostra propensione a finire nei guai.” Gli
borbottò contro il
collo.
“Non farlo sembrare come se ci inciampassi sopra …
Tu li attiri.” Ghignò passandogli
le dita trai capelli corti che gli si arruffavano sulla nuca.
“E in questo
caso, li hai addirittura cercati.”
“Touché.”
Si scostò per guardarlo in viso e doveva ammetterlo, per
quanto quella situazione fosse brutta, averlo a fianco la rendeva meno
spaventosa. “Grazie.”
L’altro sorrise
passandogli un
dito lungo la linea della sopracciglia, spianandogli la ruga di
preoccupazione
che doveva essergli di sicuro spuntata. “Per aver evidenziato
la demenza che
contraddistingue voi Potter?”
“Lo sai per cosa,
vanesio
rompiscatole.” Replicò sporgendosi a sfiorargli le
labbra con le sue per
ringraziarlo, ma non abbastanza per dargli ad intendere che aveva
già scusato i
suoi metodi ambigui. “E comunque dovresti piantarla visto che
coinvolge anche
te. O vuoi essere definito un Potter?”
Tom fece una smorfia che
avrebbe potuto commentarsi tranquillamente da sola. Specie
perché era piuttosto
rassegnata.
****
Diagon
Alley. Accademia Nazionale di Duello.
James si
Materializzò di
fronte all’imponente edificio vittoriano che ospitava
l’Accademia Magica di
Duello, controllò di avere la bacchetta a portata di mano,
ma non in mano ed
inspirò.
E come faccio a non usare la magia per
fermare un mago?
Tuttavia non se la sentiva
di
ignorare le raccomandazioni della coppia d’oro di Serpeverde;
per quanto fosse
un insopportabile saccente, la Medimagia era il suo campo e la secchionaggine quello di Tom, quindi
prendere sottogamba le loro intuizioni sarebbe stato da stupidi.
Rompipalle…
Sorpassò
l’ingresso dove erano
custodite bacchette appartenute a Duellanti leggendari e trofei vinti
dagli
stessi: da bambino aveva sognando di vincerli come aveva sognato di
avere tra
le mani qualsiasi cosa luccicasse e potesse portare il suo nome sopra.
A
volte penso che avrei dovuto buttarmi sul Quidditch.
Diamine, sarebbe stato una perdita per il Ministero, ma mi sarei
risparmiato una
tonnellata di schifezze!
“Jimmy!”
Si sentì chiamare, e
si voltò per trovare la testa ricciuta e gli occhi
intelligenti di Bobby. Si
salutarono con una pacca vicendevole, troppo tesi per sorridersi ma
comunque
rassicurati dalla presenza dell’altro. Si guardò
attorno, cercando l’ultima e
familiare testa bionda che componeva il loro terzetto.
“Dov’è
Malfoy? Se è rimasto tra
le sottane di mia cugina…”
“Quanto sei irrispettoso, Potty, dovrei Schiantarti! Sono
arrivato prima di voi
e ho efficacemente diretto la folla
terrorizzata.”Gli rispose la chiacchiera querula
dell’interpellato mentre li
accoglieva in fondo alla scala dell’ingresso, quasi fosse un
padrone di casa
venuto a fare gli onori della sua magione. “Sono tutti in una
sala al piano
terra.”
Sbuffò per darsi
un tono di
comando, togliendogli con una manata lo stupido cappello di feltro che
si
ostinava ad indossare anche quando non era opportuno.
“Perché non hai fatto
evacuare l’edificio?”
Scorpius inarcò
le
sopracciglia. “Con un aggressore che può aver
infettato chiunque?”
James schioccò la
lingua,
rendendosi subito conto della sciocchezza pronunciata.
Siamo
in un Accademia di Duelli … qui la gente si
lancia incantesimi addosso in continuazione.
Merda.
Potrebbero essere stati tutti contagiati.
“Già,
la situazione è
piuttosto incasinata.” Gli fece eco Scorpius giocherellando
con la bacchetta
per mettere freno al movimento nervoso delle mani.
“L’aggressore si è
asserragliato in una delle sale … Prince è con
lui.”
E
ti pareva.
“La situazione
dentro com’è?
Siete riusciti a contattarlo?”
Scorpius scosse la testa
tradendo un’espressione inquieta. “Dionis mi ha
detto che Sören ha fatto
allontanare tutti e poi si è chiuso la porta alle
spalle.”
“Cosa?”
“Ha senso, se si vuole limitare il contagio. Il Sergente
Flannery si è ammalato
proprio così.” Osservò Bobby con tono
grave, ma realista come sempre. “Ha meno
senso se si pensa che è da solo e che la persona che sta
affrontando non riesce
a controllare la propria magia.”
“Quel coglione!”
Potrebbe
rimetterci la pelle. Dannazione!
Soffocò
un’imprecazione,
mentre la necessità di trovare un piano in tempi brevi si
faceva improrogabile.
Fece cenno a Scorpius di far loro strada e quando, sfilandogli
affianco, lo
vide tirar fuori la bacchetta capì che doveva mettere tutte
le carte in tavola.
“Quell’impiastro
di mio
fratello se n’è uscito con una
teoria…” Esordì.
“Mini - Potter sta curando il Sergente, giusto?”
Scorpius emise un lamento,
salendo due a due la scala che portava al piano superiore e alle sale
d’allenamento. “Perché so che non mi
piacerà?”
“Cervello fino,
Malfuretto.”
Ghignò amaro. “Albie crede che il contagio avvenga
scaricandosi addosso
incantesimi. Se incroci la bacchetta con un malato,
c’è rischio che ti ammali.”
Bobby boccheggiò, prima di porre La
domanda. “E come facciamo a fermarlo se non possiamo usare la
magia?”
“Bella
domanda.” Fermò
l’ennesima corsa verso il fodero della bacchetta; prenderla
ed afferrarla era
un movimento talmente rassicurante che non poterlo compiere gli
stringeva lo
stomaco in una morsa. “Fatevi venire in mente una
risposta.”
Sören
impattò per l’ennesima
volta contro il muro cercando di frenare la caduta senza rompersi le
ossa. Cercò
anche di ricordare come si respirava mentre sentiva il dolore
irradiarglisi
lungo la schiena e le costole.
Dannazione.
Affrontare da solo
l’Infetto
non era stata un’idea poi così brillante.
Il mondo smise di danzargli
attorno e mentre la vista gli tornava a fuoco vide il suddetto
avvicinarsi a
lui con la cadenza di un ubriaco ma la tenacia di un maledetto Infero.
Diede un colpo di reni e si
rimise in piedi, ignorando il lampo di dolore alla testa che lo
lasciò quasi
senza fiato.
Commozione
cerebrale, qualche costola ammaccata…
Non era il momento di fare
il
conto dei danni, lo capì in tempo per erigere una barriera
quando un lampo
violaceo gli saettò a fianco, puntando verso il lato
sinistro del suo corpo,
verso la bacchetta.
Vuole
disarmarmi. E poi?
Non riusciva a capire la
logica delle azioni del suo opponente, perché non ve
n’era alcuna; l’allievo
Duellante non era in sé, immerso in una sorta di trance in
cui la magia che gli
scorreva nelle vene faceva da padrona. Ogni volta che tentava un
incantesimo
offensivo la barriera attorno alla pelle dell’altro mago
crepitava, inglobando
il suo attacco come una Chimera che veniva nutrita dopo giorni di
digiuno.
Si nutre della
mia magia.
Arrivare a quella
realizzazione era stato spaventoso, perché significava che
per quanto spingesse
la leva sulla sue capacità e sulla potenza dei suoi
incantesimi non avrebbe mai
potuto farcela con le sue sole forze: Flannery doveva essere caduto
perché
sotto il fuoco di ben quattro agenti.
Non
importa. Non puoi farlo uscire di qui. Fuori di qui
ci sono civili, civili che potrebbero essere attaccati, uccisi
… o contagiati.
Con l’aiuto di
Radescu era riuscito
ad entrare nella sala e a farla sgomberare, ma non sapeva cosa stava
succedendo
fuori; sperava che gli auror fossero arrivati, anche se non aveva idea
di come
farli entrare, avendo chiuso la porta con un Colloportus
tenace.
Falla
finita, hai sempre lavorato da solo, anche quando
c’era Johannes. Hai sempre combattuto e vinto le tue
battaglie senza l’aiuto di
nessuno.
Perché
adesso dovrebbe essere diverso?
Perché lo era,
pensò in una
frazione di secondo, schivando l’ennesimo fiotto di magia
incontrollata e
letale del Duellante, rispondendo con uno Schiantesimo che si infranse
in un
centinaio di scintille rosse che colpendo un paio di vetrine le fecero
esplodere in una miriade di schegge.
“Prince!”
La voce di Potter era fastidiosa quanto la sua persona,
roboante e impossibile da ignorare. Fu un sollievo sentirla.
“Prince, sei lì
dentro?”
“Affermativo!”
Rispose. “L’infetto
è con me!”
“Lo so, razza di idiota! Che ti è saltato in testa
di entrare da solo?!”
Insultarlo pareva un esercizio quotidiano per l’auror, ma
stavolta si trovò
nella posizione di non poterlo biasimare. “Hai qualche
malattia mentale?!”
Sören
serrò un’ingiuria trai
denti, allontanandosi con passi misurati dal mago di fronte a lui.
Respirava
come una belva braccata, gli occhi bianchi rivolti verso nessun punto
in
particolare: uno spettacolo inquietante persino per i suoi standard.
Che
non sono quelli di una persona normale, suppongo.
“Dovevo mettere in
sicurezza i
civili!” Urlare non era il suo metodo preferito di
comunicazione, ma la pesante
porta in noce che lo separava dalla squadra era una barriera non
indifferente.
“La priorità…”
“La priorità era non farsi ammazzare o beccarsi
quella schifezza, coglione!” Ci
fu una pausa, poi il testimone della conversazione passò a
Malfoy.
“Sören,
ci sono brutte
notizie.” Esordì la voce pacata del biondo.
“Pare che il veicolo del contagio
sia la magia … Più rispondi ai suoi attacchi e
incroci i flussi magici, più
rischi!”
Cosa?
Guardò la
bacchetta e realizzò
di colpo la portata dell’informazione.
Come
faccio ad uscirne vivo?
“Facci
entrare!” Il tono di
Potter aveva senso nella sua urgenza. “Non ti vogliamo
rispedire in America in
una scatola da scarpe!”
Sören
guardò la pesante porta
alle sue spalle, a troppi metri di distanza perché potesse
tentare una corsa
per andare ad aprirla. Se avesse tentato un Alohomora
invece avrebbe lasciato il fianco scoperto per un attacco.
“Prince, non fare
l’idiota! Apri!”
“Non posso!”
Gridò di rimando, alzando
la voce come raramente gli capitava. Era frustrazione e una buona dose
di
panico. “Non sono abbastanza vicino e mi avete appena detto
che non posso usare
la bacchetta!”
Potter non doveva aver aspettato che quella frase perché il
portone venne fatto
esplodere in un nugolo di schegge e segatura. Vide poi tre figure
entrare nella
foschia causata dall’esplosione, ma come le notò
lui lo fece anche l’Infetto
che con un ringhio si avventò sui tre. Sören non ci
pensò due volte prima di
puntare un grosso armadio e spedirlo a schiantarsi tra di loro, in una
sorta di
barriera improvvisata.
“Ti avevo detto
niente magia!”
Sbottò Potter quando lo ebbero raggiunto sani e salvi, anche
se impolverati
fino alla punta dei capelli. “Sei sordo o cosa?!”
“Avevi idee migliori?” Ritorse. “Come non
la posso usare io, non la potete
usare voi.”
L’inglese lo
guardò storto, ma
non ribatté. Guardò poi verso il cumulo di
macerie che ostacolava l’Infetto dal
raggiungerli. “Non reggerà per molto …
Dobbiamo trovare un modo per stenderlo!”
“A mani nude?” Sbottò con forse troppa
acredine. Si sentiva sbilanciato, nudo
con quella sconcertante consegna.
Perché,
diciamocelo, cosa sei senza magia?
“Beh, i Babbani
catturano
criminali dall’alba dei tempi e se la sono sempre cavata alla
grande.” Osservò
Malfoy inarcando le sopracciglia come a voler sottolineare la loro
scarsa
capacità di riflessione. “Cosa farebbe un Babbano
al nostro posto?”
“Scapperebbe a
gambe levate
perché un tizio lancia lampi dalle mani?”
Replicò Potter alzando gli occhi al
cielo. “Dai, sii serio Malfuretto, che
cazzo…”
La frase fu interrotta da un
lampo violento che spedì la carcassa dell’enorme
armadio che fino a quel
momento li aveva protetti sopra le loro teste. Sören si
sentì afferrare per il
retro della camicia e trascinare via. Quando fu sbattuto sotto una
serie di
panche, in compagnia degli altri, al sicuro, capì che James
Potter lo aveva
appena salvato dall’essere schiacciato vivo da una quintale
di legno, vetro e
ferro. Si scambiarono uno sguardo.
“Vedi di non
crepare.” Sbottò questo
con evidente malavoglia. “C’è fin troppa
gente che mi farebbe il culo se
succedesse.”
“Ragazzi, ci serve
un piano.” Si
inserì Jordan rimasto in silenzio fino a quel momento.
“Non ci vorrà molto
prima che ci trovi.”
“Che ci trovi?”
Potter si voltò verso
il compagno. “Gli serve una mappa? Siamo proprio qui sotto!
Se non è cieco…”
“Appunto. Credo che lo sia, guardate i suoi occhi.”
Osservò il ragazzo di
colore. “Credo che ci localizzi tramite il rumore.
L’avevo notato anche con il
Sergente, ma pensavo fosse disorientato per via del
black-out.”
“Questo gioca a
nostro favore!”
Si inserì Malfoy con gli occhi che saettavano da un lato
all’altro della
stanza. “Finché rimaniamo immobili per lui siamo
invisibili, giusto?”
“Non possiamo
rimanere sotto
una panchina in eterno però.” Borbottò
Jordan. “Può sentirci se ci muoviamo o
lanciamo incantesimi … Che facciamo?”
Sören
cercò di analizzare la
situazione; non era semplice perché ai suoi calcoli doveva
aggiungere adesso la
variabile di altri agenti.
Con
Estevez ci siamo sempre divisi, anche quando
dovevamo inseguire qualcuno o arrestarlo.
Gli inglesi si erano invece
settati
su muoversi come un sol mago e così doveva far lui per
quanto gli riuscisse
difficile riflettere in quei termini.
“Serve
un’esca.” Disse infine
calamitando l’attenzione dei tre. “Scontrandomi con
lui ho notato un punto
cieco, dietro al testa. Se riusciamo a distrarlo per un tempo
sufficiente ad
avvicinarlo…”
“E come pensi di colpirlo se non puoi usare gli
incantesimi?” Replicò Potter,
scettico. “È come se fossimo disarmati!”
Sören a questo
poteva
ribattere. Poteva essere manchevole in molte cose, inadatto per natura
in
altre, ma non in quello; l’adrenalina, il dolore, la magia e
un obbiettivo da
abbattere erano stati per tanto tempo tutto il suo mondo.
“Ho un
piano.”
Luce. Cercava disperatamente
la luce e non la trovava.
Il buio era pieno di dolore,
desiderio e fame. Non c’era luce, ovunque guardasse, solo
brevi lucciole
impazzite verso cui barcollava come un assetato.
Erano in quattro. Due
lucciole
che non l’avrebbero sfamato e poi due lampi, due lampi che
erano pieni di luce
ed era ciò che voleva, bramava e desiderava.
L’infetto che era
stato Henry
Price sentiva la magia mugghiargli nelle vene come vento in tempesta,
domandare, pretendere quella luce.
E poi.
Erano sparite. Di colpo, non
c’erano più … sapeva che erano
lì con lui, ma non riusciva a vederle.
E questo lo faceva infuriare.
Come un pazzo, come un
animale
– se avesse avuto coscienza tale si sarebbe definito
– ringhiò il suo bisogno.
E poi la vide. Una delle
luci
più grandi, bucare il buio e avvicinarglisi.
“Ehi,
sono qui! Cos’è, ti hanno legato le gambe con una
Pastoia!?”
Era lì, proprio
davanti a lui
e quindi vi si scagliò contro con la speranza e la
disperazione di chi sapeva
che non avrebbe avuto altre possibilità.
Si sentiva divorare, aveva
fame.
Si sentiva bruciare, voleva
sollievo.
Quindi lasciò
ancora una volta
che la sua magia avesse la meglio. Del resto era lei sua signora e
padrona, lei
che comandava.
Era vicino, così
vicino alla
luce … che non si accorse quando qualcuno spense
l’interruttore.
“Prince!”
James non sapeva se mettersi a ridere o … in effetti, far
solo quello. Guardò sbigottito
l’uomo a terra, esanime, mentre tutto attorno erano sparsi i
cocci di quello
che era stato uno dei cimeli decorativi che disseminavano la stanza.
Scorpius che si
precipitò
assieme a Bobby a controllare che il mago svenuto fosse tale,
alzò la testa
trattenendo una risata trai denti. “Gli hai spaccato un vaso in testa amico!”
Constatò allegro. “Sei un genio.”
Il tedesco parve perplesso dalle loro esternazioni. “Usare
l’ambiente che ti circonda
e gli oggetti in esso contenuti per difenderti è una delle
lezioni base di
qualsiasi disciplina marziale. Non ve l’hanno
insegnato?”
“Un
vaso!” Sottolineò
incredulo; non avrebbe mai pensato che un tipo del genere, che sembrava
essere
nato con un manuale per le istruzioni incorporato, avrebbe mai potuto
utilizzare un escamotage creativo.
Era quasi disturbante.
Diavolo,
lo è.
Bobby, che aveva
Materializzato
un paio di manette dall’aria Babbana – idea
brillante non agitar la bacchetta
in prossimità del tipo, per quanto privo di sensi
– le serrò con forza. “Beh,
ha funzionato … È decisamente nel mondo dei
sogni.” Sorrise con aperta
approvazione. “Bel colpo Sören!”
Sören?
James
si trovò nella scomoda posizione
di considerare che in effetti
quello
era il nome del ragazzo che aveva appena risolto la situazione senza
causare
ulteriore spargimento di sangue … o di magia.
“Sì, già. Bella pensata.”
Sbuffò
trovandosi tre paia d’occhi puntati nella sua direzione. Era
una sua
impressione o il bastardo stava gongolando?
È
parente del Pipistrello. Ovvio che
lo sta
facendo.
“Ti
ringrazio.” Gli rispose
con un sorrisetto che avrebbe voluto cancellargli dalla faccia a suon
di calci.
Si voltò poi verso gli altri due agenti, dismettendolo per
un’espressione seria.
“… e vi
ringrazio. Senza di voi non
sarei uscito vivo da questa sala.”
“Non dirlo
neanche!” Esclamò
Scorpius alzandosi e dandogli una pacca sulla spalla, gesto che
dispensava con
oculatezza nonostante la sua natura cordiale. “Siamo una
squadra.”
No
che non lo siamo!
L’atmosfera
cameratesca era però
innegabile e James si sentì indeciso: essere indignato per
quel cambio di
trincea o sentirsi stupido perché era ormai rimasto da solo?
Optò per la
soluzione meno umiliante, ovvero ignorare l’intera faccenda.
“A questo punto
direi di chiamare il San Mungo e farlo portare via.” Disse
barricandosi dietro
al suo ruolo. “A proposito, che diavolo
è successo?”
Il tedesco
osservò il caos di
oggetti distrutti e vetri sparsi tutto attorno a loro. “Ero
nell’ufficio di
Radescu, non so com’è iniziata.”
Spiegò. “Mi è stato detto che ha perso
i sensi
mentre duellava e quando li ha ripresi… Era fuori di
sé.”
“Come il
Sergente.” Osservò
Bobby. “Ma per essersi ammalato deve aver avuto contatti con
lui o con Samuel
Howe, no?”
“Howe è
morto da più di una
settimana e il sergente non frequentava
l’Accademia.” Si inserì Scorpius
liberando
con la punta delle scarpe una porzione di pavimento. Indicò
con un cenno della
testa la a terra trai detriti. “… Anche se sembra
la stessa roba. Niente
bacchetta.”
“Le tempistiche
non
coincidono.” Replicò Prince suonando confuso
quanto loro. “Dobbiamo chiamare il
San Mungo.”
James annuì,
facendo cenno a
Bobby che fu lesto a tirar fuori di tasca lo Specchio Comunicante per
una
chiamata prioritaria all’ospedale.
“C’è un altro
problema…” Esordì e per una
volta non provò nessun piacere maligno a dare una cattiva
notizia al tedesco.
“… Hai duellato con lui?”
Gli venne rivolta
un’occhiata
perplessa. “Sì,
l’ho…” La consapevolezza parve
investirlo come un treno. “Potrebbe
avermi contagiato?” Chiese con un tono di voce che gli fece
onore, nella sua
tranquillità.
Non
è un codardo, questo devi riconosceglierlo.
Gli doveva almeno una
risposta
concisa. “Sì. E come te, possono essere stati
contagiati tutti quelli che si
sono battuti con lui in questa Accademia.” Si
voltò verso Bobby, che aveva
sentito la conversazione e restava in attesa, mentre
all’altro capo dello
specchio una magi-infermiera gli stava chiedendo per la seconda volta
generalità e motivo della chiamata.
“Che gli
dico?” Chiese
lanciando un’occhiata preoccupata verso il tedesco; era
ufficiale, che gli
piacesse o meno, Jordan e Malfoy lo consideravano della squadra.
E
per quanto sei preoccupato? Qualche dubbio lo sollevi
anche tu.
Sospirò vinto.
“Che ci servirà
più di un’ambulanza.”
****
Giardini
di Victoria Embankment,
Pomeriggio.
I giardini di Victoria
Embankment erano un buon posto per passare il tempo se
l’ansia ti rodeva lo
stomaco: erano dotati di panchine, fiori e statue di poeti morti da
secoli ma
cosa ancora più importante di un ameno chioschetto dove
fingere che bere the e
mangiare pasticcini era tutto ciò che si desiderava dalla
vita. Per questo Lily
aveva accettato di accompagnarvi Violet ad aspettare l’arrivo
di Dominique, che
come ogni giorno sarebbe scesa dal traghetto che collegava la
comunità magica
dell’isola di Skye con la sua gemella londinese.
Gettò qualche
briciola ai
passerotti accorsi ai suoi piedi non appena aveva deciso che non era
abbastanza
affamata per voler finire il suo crumble
di mele.
Neanche
per iniziarlo se è per questo …
Accanto a lei Rose sembrava
ancor meno convinta di ciò che le era stato servito,
sorseggiando la sua tisana
calmante con le sopracciglia corrugate e lo sguardo sprofondato negli
abissi del
portatovaglioli.
“Che voi siate
silenziose è
quasi un’oscenità.” Osservò
Violet in quel particolare modo che voleva
ostentare disprezzo e gridava invece apprensione da chioccia.
“Non è la prima
volta che la squadra di Scorpius viene chiamata fuori dal turno
ordinario!”
“Sì, ma
quando mi ha riaccompagnato
al negozio c’era qualcosa che non
andava.”
Rose pronunciò le ultime parole con tono drammatico.
“Mi stava nascondendo
qualcosa!”
“È un
auror, Weasley. In
teoria stava facendo il suo lavoro.”
L’altra scosse la
testa. “Scorpius
è una radio rotta, non tace neanche quando dorme. Quando ha
letto il Gufo invece
ha perso il sorriso e…” Diede un vigoroso sorso
della sua tisana ormai fredda.
“… e non è che lo perda tanto spesso,
ecco. Succede per cose gravi.”
Violet tradì
un’espressione
compartecipe, prima di serrare le labbra e agitare la mano dismissiva.
“Siete
esagerate! Capisco che il melodramma sia nei vostri geni, ma non vi ho
invitate
per annoiarmi di fronte ai vostri musi lunghi!”
“L’hai
fatto per preoccuparti
assieme a noi
infatti.” Le fece eco
Lily, godendosi la sua espressione imbarazzata. “Ti
dimentichi sempre che sono
una Legimante.” Sorrise. “Sei carina.”
La ragazza
arricciò il naso
infastidita. “E tu fastidiosa.” Inarcò
le sopracciglia. “Per chi sei
preoccupata tu piuttosto? Ho sempre pensato che avessi la testa troppo
vuota
per emozioni simili.”
Lily ridacchiò.
“Oh, questa è
solo l’eccezione che conferma la regola.”
Tentò un morso al suo dolce, dal
sapore un po’ troppo artificiale per i suoi gusti. La
produzione industriale
dolciaria dei Babbani non l’aveva mai entusiasmata.
“Quella squadra è parte
della mia famiglia. Letteralmente.”
E adesso c’è anche
Sören. Peggio di così.
“Almeno voi non
convivete con
una tizia che si coccola bestioni dall’indole
sanguinaria.” Borbottò la
francese di rimando. “Mai che resti un giorno a compilare
scartoffie, sempre in
prima linea a sfidare la morte!”
“Suona un sacco
sexy.”
Sorrise. “Ma Domi lo è, Merlino la
benedica.”
“Con certe uscite,
Potter,
rischi l’ambiguità.”
“Tesoro, io la anelo.”
Rose le guardò
male, quasi
fosse un delitto capitale cercare di alleggerire la situazione e
godersi la
frescura di quel pomeriggio senza nuvole. Lily le mise una mano sulla
sua,
sentendo di capirla più del solito.
Mio
fratello e quello che considero uno dei miei più
cari amici sono stati chiamati per un’emergenza di Magia
Oscura.
Che.
Ansia.
Fino a qualche settimana
prima
avrebbe dovuto preoccuparsi solo di James; ora si era aggiunto
Sören, che non era
più un pugno di lettere, ma una persona vera, che rischiava
la vita a neppure
un miglio di distanza da dove lavorava e viveva lei.
“Voi
sponde e margini del bel fiume Doon, Come riuscite a fiorire
così
fresche e belle? Come riuscite a cantare, voi uccelli, mentre io sono
qui,
stanca e piena di preoccupazioni²?”
Canticchiò, un po’ per scuotere sua cugina dal
torpore ansiogeno in cui era sprofondata
un po’ per farsi coraggio. “Dai, Rosie,
è del Bardo scozzese!” Indicò la statua
di Robert Burns che scintillava alla luce del sole proprio alle loro
spalle.
“Faccio una citazione colta per una volta e non me la
cogli?”
“Credo sia
sconvolta proprio perché
è uscita dalle tue labbra.” Motteggiò
Violet con un guizzo grato nello sguardo.
Per quanto prendesse in giro Rose le era affezionata ed era protettiva
nei suoi
confronti; lo testimoniava il fatto le avesse invitate lì.
“Il tuo scozzese a
letto ti seduce con terzine gaeliche?”
Lily rise senza rispondere,
perché
in realtà non ricordava se a parlargli del popolare
componimento trasformato
poi in canzone fosse stato Scott, da bravo abitante della Caledonia
… o Sören.
Scotty
non è tipo da poesie però, mentre Ren
sì, le
adora. È un romanticone.
Mi
sa che è stato lui.
“I mezzi di
seduzione di Domi
invece quali sono?” Celiò inarcando le
sopracciglia perché sentiva che era
meglio spostare l’attenzione da sé. “Ti
porta in dono pelli di animali morti e
artigli di drago?”
“Non
scherzare.” Sbuffò Violet
con aria esasperata. “Non sai che ansia prima di ogni San
Valentino.”
“Ehi.”
La voce di Dominique le
fece sobbalzare come uno scoppio di incantesimo, mostrando al mondo
intero
quanto in realtà fossero tese.
“Tu e questa mania
di arrivare
alle spalle!” La sgridò la compagna, mentre
l’altra pareva orgogliosa come uno
scolaro appena lodato dalla propria maestra preferita.
“Ehi, colpa mia se
siete tutte
nervose come lepri?” Ghignò in un tripudio di
lentiggini, pelle dorata dal sole e pantaloni attillati di
pelle di
drago; a giudicare dalle occhiate che stava ricevendo metà
del caffè doveva
chiedersi quale servizio fotografico stesse per esser messo in atto.
Dannati
Weasley Delacour, slanciati e affascinanti come
ninfe dei boschi. Vi odio.
Lo pensò
però con affetto,
mentre Violet attirava a sé la guardiana di draghi per un
bacio che gridava
territorialità ai quattro venti. “Woh,
Piggie!” Esclamò l’altra compiaciuta.
“Per
cinque minuti di ritardo già ti manco
così?”
Lily vide
l’espressione di
Violet aprirsi in un sorriso che conteneva un sacco di parole non
dette. “Ma
sta’ zitta squilibrata, è un’ora che ti
aspetto.” Sbuffò.
Ciò che stava
provando Violet
le vibrava addosso – quando era agitata le sue
capacità si intensificavano – ed
era quasi violento nella sua intensità. Le sembrò
di entrare in un’intimità che
non capiva e questo la mise a disagio.
Io
non so amare così. Non credo neppure vorrei. È
…
troppo.
Dominique pareva comunque di
fretta. “Avete sentito del casino successo
all’Accademia di Duello?” Chiese a
nessuno in particolare. “Degli auror?”
“Eh?”
Cadde dalle nuvole,
scambiandosi un’occhiata con Rose. “Con auror
intendi Scorpius…”
“La squadra di Jam, sì.”
Confermò giocherellando con le chiavi della macchina,
quasi fremesse per infilarle nel quadro d’accensione.
“Loro stanno bene, sono
tornati in ufficio.” Anticipò a Rose, dandole una
pacchetta sulla spalla perché
in pochi secondi quella aveva perso due toni di colore dal viso.
“Mi ha
chiamato Rox però … dice che Dionis è
stato portato al San Mungo e con lui
un’altra decina di perso…”
“Sören dov’è?” La
interruppe senza riuscire a frenarsi. E perché poi avrebbe
dovuto? “È con mio fratello?”
“Non lo
so.” Si strinse le
spalle l’altra. “Rox mi ha parlato solo di Dion.
Sto andando a prenderla in
macchina, non può Smaterializzarsi né usare la
Polvere Volante incinta com’è.”
“Vengo con
te.” Prese la sua
borsa e ignorò le occhiate perplesse e congiunte di Violet e
Rose. “Roxie avrà
bisogno di me.” Si affrettò a spiegare, anche se
non era solo quello che muoveva i
suoi gesti; per l’agitazione quasi
dimenticò il portafoglio sul tavolo.
Perché diavolo,
se era
agitata.
Se
Sören non è con la squadra di Jamie …
È in ospedale?
****
Farrindgon,
Magazzino
Purge&Dowse, ovvero…
Ospedale San Mungo
per ferite e malattie
magiche.
Avevano chiuso
metà intera del
reparto Malattie Infettive per non stiparli in una delle stanzette dove
di
solito alloggiavano i lungo-degenti. Erano troppi, rifletté
Sören osservando le
persone sedute sui lettini o in piedi a scrutare oltre la barriera di
liquida
magia impenetrabile che serviva a precauzione sanitaria.
Si sentivano in trappola e
non
ci voleva una Legimante Naturale come Lilian per capirlo; la situazione
era
stata spiegata e le famiglie contattate, ma lo spettro
dell’epidemia ormai era
cosa concreta.
Chissà
quanto ci vorrà prima che i giornalisti prendano
d’assalto l’ospedale e l’Ufficio
Auror…
Non era cosa che sarebbe
toccata a lui gestire, e di questo ne era contento.
Devi
solo aspettare.
Aveva passato
l’infanzia e
tutta l’adolescenza a disciplinare la propria impazienza,
quindi non gli era
difficile; lo stesso valeva per Dionis, attorno a cui gli altri si
erano istintivamente
radunati cercando di trovare rassicurazioni
nell’atteggiamento pacato e
propositivo del ragazzo.
Dionis
è una persona che dà tranquillità. Io
no, temo.
Incrociò le
braccia al petto
per tenerle da qualche parte, che le sentiva inutili come pezzi di
legno e poi
alzando lo sguardo incrociò quello del rumeno che gli
restituì un sorriso
empatico.
Ha
una moglie e un figlio in arrivo … Se qualcuno deve
ammalarsi, è meglio che sia io.
L’altro, dopo
essersi scusato
con le persone con cui parlava, si sedette sul lettino vuoto accanto al
suo e
rilasciò un sospiro che doveva aver imparato ad
imbottigliare grazie alla
disciplina dell’Istituto. “A quest’ora
avranno avvertito Roxie.” Mormorò strofinandosi
la fede nuziale con il pollice. “Non le fa bene agitarsi
nelle sue condizioni e
la conosco … Sarà
già qui con l’intenzione
di rivoltare l’ospedale.”
La preoccupazione
dell’altro pareva
genuina e doveva averla evidentemente occultata a beneficio degli altri.
Si
confessa con te perché ti ritiene un amico. Sii
supportivo.
Sören si
sforzò quindi di
trovare le parole giuste anche se pensava a tutt’altro.
“Mi hai detto che
Lilian è con lei … è brava a
tranquillizzare le persone.” Tentò. “Con
me ha
sempre fatto un lavoro eccellente, anche quando ero ad un passo dal
perdere il
controllo.”
Gli venne rivolto uno
sguardo
di amaro divertimento, quasi fosse un ragazzino un po’ tardo.
“Sören, Lily non
è la persona più indicata da cui cercare
rassicurazioni quando è preoccupata
per qualcuno.”
“Né lei
né Roxanne hanno
motivo per preoccuparsi, starai bene.”
“Ti ringrazio.” Gli sorrise. “Ma per
quanto Lily mi consideri un amico, non è
per me che sarà sicuramente preoccupata.”
Di
chi allo … Ah. Per me?
Il rumeno dovette intuire i
suoi pensieri, perché fece un mezzo sorriso indulgente.
“Non hai la
minima idea dell’effetto che le fai, vero?”
Cosa…
Non fece in tempo a trovare
una reazione adeguata a quella frase che sentirono chiamare il nome
dell’altro.
Dionis scattò in piedi perché oltre la barriera
magico - sanitaria c’era
nientemeno che sua moglie, accompagnata da Albus Severus Potter in
camice verde
acido dei Medimaghi e
…
E
Lily.
“Dragostæ!”
Esclamò nella sua lingua madre, in un vezzeggiativo che
trovò riscontro nello sguardo sollevato della compagna
mentre si fermava ad un
passo dalla barriera. Da come serrava i pugni era palese che volesse
oltrepassarla
per stringerla a sé. “Non saresti dovuta venire
…”
“Non dire sciocchezze, come potevo restare a casa mentre tu
aspettavi qui da
solo? Per che razza di moglie mi hai preso, una che ti è
arrivata per piuma?”
Sbottò con le lacrime impigliate nelle lunghe ciglia scure.
Era bella, considerò
Sören, ma mai quanto l’insolitamente silenziosa
chioma rossa che le stava
affianco.
Non
hai la minima idea dell’effetto che le fai, vero?
Ad onor del vero, aveva
provato a mantenere la calma.
Da quando Dominique le aveva
scaricate di fronte al grande magazzino in disuso con la
raccomandazione ‘di
non fare cazzate’ – lei,
poi – aveva
fatto di tutto per essere d’aiuto: aveva evitato che sua
cugina si mangiasse
viva la magi-infermiera all’accettazione e aveva suggerito di
andare in cerca
di Albus, l’unica persona con un camicie che le avrebbe
assecondate in tutto,
scavalcando la ridicola regola per cui non si poteva visitare un
congiunto nel
reparto Malattie Infettive a meno che un Guaritore non desse il
permesso.
Suo fratello, da bravo
parziale ex-Serpeverde, non le aveva deluse: non solo non aveva battuto
ciglio,
scortandole a destinazione ma aveva anche intercesso per loro con il
Capo
Guaritore Finnigan – che neanche a dirlo, aveva un debole per
lui.
Lily, nella sua posizione di
persona non direttamente coinvolta, avrebbe potuto fare effettivamente
di più.
Come
far aspettare Roxanne con tutti gli altri
familiari dei pazienti invece che far valere le nostre conoscenze, che
è
sbagliato …
Al
diavolo, non potevo. Sören.
Era stato quello il suo
unico
pensiero da quando Dominique aveva aperto bocca.
Sören
deve stare bene.
E vedendo adesso di fronte a
lei, con qualche livido e la fronte fasciata, ma in piedi e con un
colorito
migliore del suo, tirò un sospiro di sollievo.
Bene,
favoloso, perché deve stare bene.
Deve
stare bene perché dobbiamo vivere tutti e due.
Aveva sempre saputo che se
all’altro fosse mai successo qualcosa lei si sarebbe sentita
come una
sopravvissuta, perché avevano attraversato un inferno
assieme e vivi e in
salute dovevano rimanere entrambi per la fine dei loro lunghi giorni da
maghi.
Era un maledetto legame a doppio filo e quando era teso in quel modo
repentino
faceva male.
Adesso
che è qui è ancora più forte, niente
da fare …
Se l’era
aspettato: ora doveva
solo abituarcisi.
Sentiva lo sguardo di Albus
su
di sé, come sentiva la conversazione tra Dion e sua cugina
ma erano rumori di
fondo.
Fu Sören ad
iniziare la
conversazione. “Ciao Lilian.” Era un tentativo
incerto, come insicura era la
sua espressione. Sembrava non saper che Snaso pescare. “Come
stai?”
Le venne da ridere, ma si
trattenne perché aveva la sensazione che avrebbe finito per
farsi venire gli
occhi lucidi. “Tu lo
chiedi a me?”
L’altro fece un mezzo sorriso. “Sto bene, non
preoccuparti.”
Come
no!
Sören ruppe la
stasi che si
era creata distogliendo lo sguardo dal suo e rivolgendo un cenno
formale a suo
fratello, che le stava dietro le spalle come un maledetto avvoltoio
impiccione.
“Albus Severus.”
“Sören.” Al ebbe il buongusto di esser
cortese. “C’è qualcosa che possiamo
fare? Avete bisogno di qualcosa?” Almeno riusciva a fingere
di essere una
persona educata. Era un sollievo. “Faremo il possibile per
mettervi a vostro
agio.”
Lode a lui e alla suo distacco emotivo da
guaritore …
“ …
Nulla che mi venga in
mente, ma ti ringrazio.” Aveva esitato e non doveva esser
stata la sola ad
averlo notato, perché Al inarcò le sopracciglia.
“Non farti
problemi, so per
esperienza che aspettare è logorante.”
Ed era una frecciatina bella e buona.
Distacco
emotivo un corno.
Sören la colse
quanto lei dalla
faccia che fece e Lily dovette frenarsi per non tirare uno schiaffo a
cinque
dita alla serpe in seno che aveva per fratello.
Sta
aspettando di sapere se è ammalato di una cosa
orribile, potevi risparmiartelo!
“Albie,
perché non vai a sentire a che punto sono con le analisi di
laboratorio?”
Chiese a voce sufficientemente alta perché anche Roxanne e
Dionis sentissero.
“Puoi sapere
qualcosa?” Si
riscosse la cugina, con un cipiglio che prometteva orribili ritorsioni
nel caso
avesse tentando di mentire o eludere. “Puoi dirgli di dare la
precedenza alle
loro analisi?”
Al deglutì
facendo un passo
indietro. “Conosco i pozionisti, sì …
potrei…” Aggrottò le sopracciglia.
“E
comunque è Al.”
No, è Albie se ti comporti da
coglione.
Roxanne era ad un passo dall’afferrarlo per il
bavero del camice e
scuoterlo come un pupazzo, ma Lily finse di ignorarlo. Dionis invece si
schiarì
la voce, pacifico e solido come sempre. “Roxanne, non
metterlo in difficoltà, sono
certo che stanno tutti facendo il possibile.”
“Possono farlo
anche facendolo
in fretta!” Sottolineò l’altra con un
borbottio. Poi sbiancò di colpo ed emise
un lamento totalmente dal nulla, posandosi una mano sulla pancia.
“Roxie!”
Le fu subito accanto,
sorreggendola perché le stavano crollando le ginocchia.
Cercò con lo sguardo
suo fratello e, serpe o meno, lo trovò esattamente dove
doveva essere, ovvero
dall’altro lato ad afferrare il braccio libero della cugina.
“Ehi, che c’è?”
“Credo…
È solo una contrazione,
non è niente, sono giorni che le ho.” Non guardava
loro, ma Dionis, trattenuto
per un braccio da Sören; Lily non ne capì il motivo
finché non vide la barriera
addensarsi e tremare per lo sforzo di bloccare il rumeno.
Sta
cercando di uscire e neanche se n’è accorto.
È
normale, Roxie ha gridato…
Fece un sorriso grato
all’amico, che le rispose con un lieve assenso.
Bravo
Ren, ha più riguardo e riflessi di tutti noi
messi assieme.
“Da quanto
hai queste contrazioni?” Chiese Al con il tono attento del
medico di professione: sarebbe stato più rasserenante se non
fosse apparso
terrorizzato.
Ad
Al han sempre fatto paura le donne in dolce attesa. Pare
che sia un trauma risalente alla mia nascita.
“Sta scadendo il
periodo, è
normale. Non preoccupatevi, so
quando
deve nascere mio fi…” Sua cugina si
bloccò per lanciare un mezzo grido
sorpreso. “Non sono mai state così
forti!” Disse con chiaro panico consapevole
nella voce.
Perché
panico consapevole? Stupido potere. Mi dici che
cos’è e non mi dici mai perché!
Si sarebbe date
dell’idiota da
sola nel momento stesso in cui formulò quel pensiero.
Perché era ovvio da come
sua cugina le stritolava la mano.
A Roxanne si erano rotte le
acque.
****
Note:
Nel prossimo capitolo il
mistero di Teddy e di Lunastorta svelato e altre amenità! ;D
Qui
la
canzone del capitolo.
Così è
come immagino l’Accademia.
1. La canzone che ascolta
Tom
qui
2. Le strofe che canticchia Lily sono in realtà di una
poesia di Robert Burns ‘Ye Banks and
Braes o' Bonnie Doon’.
È stata musicata e resa una ballad
tipica
della tradizione scozzese. Qui
per maggior info e questa
la versione della canzone che canticchia Lily. Una
curiosità: la statua di
Burns, considerato Il poeta
scozzese,
tanto da esser chiamato ‘il bardo di Scozia’,
è davvero nei giardini di
Victoria Embankment.
Qui una foto.
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