NEI
GIARDINI CHE NESSUNO SA
Non
volendo togliere nulla all'immenso Renato
§§§
CAPITOLO
1
TANTI
PICCOLI COCCI
Senti
quella pelle ruvida,
un gran freddo dentro l'anima,
fa fatica
anche una lacrima a scendere giù.
Nei
Giardini che Nessuno Sa, Renato Zero
“N-Non
respira...”
Col
fiato corto e le lacrime agli occhi, Shun strinse al petto la mano di
Seiya che si faceva via via sempre più fredda tanto
più il mondo
attorno a loro velocizzava a disfarsi e a cadere in pezzi mentre
Ikki, sorreggendo stancamente Saori, lasciava silenziosamente spazio
a Shiryu per chinarsi sul lembo di terra su cui avevano trovato
momentaneo rifugio e prendere tra le proprie braccia il corpo del
tredicenne ferito.
Non
disse nulla, il suo viso era pallido, tra il sangue dei graffi e lo
sporco, ma la carezza che sfiorò la guancia del ragazzino
più
giovane fu improvvisa e delicatamente struggente come la lacrima che
gli aveva solcato la guancia.
Sentiva
freddo al cuore, il Saint di Dragon, dannatamente freddo: amava
Seiya, non poteva neanche lontanamente immaginare il futuro senza di
lui.
“Portiamolo
a casa...” sussurrò Hyoga, fattosi avanti a
sorreggere Shun:
“Torniamo a casa...” mormorò ancora,
facendo in modo che la
propria mano sfiorasse, in un movimento rassicurante, i capelli
chiari del fratello stretto a sé.
Osservarono
assieme il cielo, in quei lunghi secondi che erano il preludio o
della fine o della vita e quel che videro, nel profondo dell'Universo
che si disfaceva e riannodava i propri fili, fu quel che li aspettava
a casa.
Quella
promessa che, fatta al ritorno dalla Grecia dopo i lunghi giorni di
pioggia, e le ferite profonde del corpo e dell'anima, doveva essere
mantenuta.
Si
erano ritrovati tutti sotto il portico, in quella mattina di primavera
fresca e silenziosa.
Sparsi
un po' dappertutto, ma sempre molto vicini gli uni agli altri,
sapevano di dover parlare ma volevano strappare quei pochi attimi per
loro, volevano vivere quell'illusione di pace ancora per qualche
secondo.
Volevano
ricostruire la loro famiglia, volevano farla tornare a vivere,
volevano imparare a viverla, ma forse era la paura a fermarli.
Non
sapevano cosa dire né cosa fare, eppure erano lì.
Ikki
stava in piedi, l'unico, poggiato contro la colonna del portico, e
osservava in lontananza qualcosa che non potevano vedere, qualcosa
che, probabilmente, vedeva soltanto lui e che non aveva nulla a che
fare col verde smeraldo del prato o degli alberi.
Hyoga
stava poggiato con la schiena contro il quinto gradino, sorrideva
appena malgrado qualche sporadico dolore all'occhio ferito che gli
faceva aggrottare la fronte, e stringeva da dietro Shun, assonnato
tra le sue braccia.
Le
gambe di Shiryu invece facevano da cuscino a un Seiya che
probabilmente solo d'istinto si era trascinato fin lì ma che
il
sonno ancora non aveva abbandonato, non del tutto almeno, ma fu
proprio lui il primo ad aprire bocca, sussurrando appena come se non
volesse svegliare nessuno: non coloro che dormivano all'interno della
grande casa alle loro spalle e non Shun che sonnecchiava là
fuori
accanto a lui ma non c'era traccia di incertezza nel suo tono.
“Dovremmo
dirglielo.”
Era
convinto di quel che voleva dire con quelle due parole.
“Dove
pensi di scappare poi?” ribatté con tono severo
Ikki, senza
distogliere un attimo lo sguardo.
“Piantala,
sono serio...” bofonchiò stancamente il ragazzo,
massaggiandosi la
spalla e rannicchiandosi maggiormente nell'abbraccio del cinese:
“Dobbiamo dire loro che sono nostri fratelli, che siamo tutti
figli
di Mitsumasa Kido. Glielo dobbiamo...”
“In
virtù di cosa? Non mi sembra che si meritino il premio per
Fratelli
dell'Anno.” - E neppure io, tra parentesi –
L'ultima
frase Ikki se la tenne per sé, consapevole dell'errore che
stava
facendo nel negare quella possibilità di riappacificazione
ma
convinto a propria volta di quel che stava facendo, della
testardaggine che stava dimostrando.
“In
virtù del fatto che abbiamo lo stesso sangue!” la
voce del Pegaso
si alzò di qualche tono e si sarebbe anche alzato se solo
Shiryu non
lo avesse tenuto fermo: “Siamo Guerrieri votati alla Dea
Athena,
siamo orfani! Siamo da soli...” mormorò tra
sé e sé, “Abbiamo
solo noi stessi e questo legame di sangue... Non possiamo lasciare
che muoia con noi senza far nulla per impedirlo.”
“Seiya...
Io non credo sia una buona idea...”
Shun,
forse svegliatosi per la confusione dovuta alla discussione, si era
messo seduto e osservava alternativamente i due fratelli:
“Io... Io
credo che sia meglio lasciare le cose così come
stanno...”
aggiunse, conscio dello sguardo ferito del più giovane ma
forse
troppo spaventato per affrontarlo, “Almeno per
ora,” si affrettò
a precisare, anche se non troppo convinto a propria volta,
“Non
pensi che potrebbero... rifiutarci definitivamente? Che potrebbero
allontanarci e andarsene via, lontano, senza la possibilità
di poter
iniziare anche solo a ricostruire un rapporto?”
“Perché
dovrebbero rifiutarci?” chiese il ragazzo, stringendo il
pugno fino
a ferirsi di proposito il palmo.
E
mentre il sangue scorreva piano, imbrattandogli le dita, si era
alzato e, stringendo rapidamente le mani di ciascuno, le aveva
macchiate di rosso prima di tornare a stendersi sulle ginocchia del
cinese, che lo fissava inebetito.
“Questo
sangue scorre uguale in ciascuno di noi, è ciò
che ci rende
fratelli. Perchè negarlo? Se lo facessimo, se precludessimo
loro
questa possibilità, forse verrà un giorno in cui
ce ne pentiremo...
Magari... Magari... Io un giorno potrei non esserci più
e...”
“Non
dire stupidaggini.” lo rimbeccò Shiryu con voce
seria, e un
pochino tremante, bendandogli la mano con un vecchio fazzoletto da
tasca: “Il giorno che tu... morirai, probabilmente noi saremo
tutti
al tuo fianco... Non pensare neppure un attimo
all'eventualità che
tu possa morire da solo.” mormorò, accarezzandogli
distrattamente
la mano ferita, “Nessuno nega il fatto che siamo fratelli,
altrimenti non saremmo qui...” gli bisbigliò
rassicurante, “Ma
forse è troppo presto per dirlo anche a loro.”.
“Perché?”
Per
la prima volta nella sua vita, Shiryu trovava difficile rispondere a
Seiya, non sapeva cosa dire, non sapeva come dirlo...
“Va
bene, ho capito...” bofonchiò infine il Pegaso,
alzandosi in
piedi: “Allora facciamo così. Se, per un qualche
dannato motivo,
uno di noi dovesse... andarsene... Voglio che mi promettiate che
glielo diremo, o glielo direte. Insomma., devono saperlo.”
Che
male poteva fare una promessa del genere a fronte della prospettiva,
neppure tanto remota, che sarebbero morti assieme su di un campo di
battaglia?
E
quindi l'avevano promesso.
E
ora, dovevano mantenerla.
Nel
cuore di quella distruzione, s'aprì un timido spiraglio di
luce, il
Cosmo della loro Dea li abbracciò con tutto l'amore di cui
ella era
capace: li avrebbe riportati a casa, ci avrebbe pensato lei a loro.
Almeno
quello glielo doveva.
Nel
tempo che passò rapido come un battito di ciglia, quando
riaprirono
gli occhi che neppure erano certi di aver chiuso, scoprirono di
essere tornati al Santuario, di rivedere il Sole, finalmente e di
sentire la Terra crepitare ancora di vita.
Athena
cadde in ginocchio, ansimando senza forze e senza fiato, Ikki le
stava coscienziosamente accanto, incapace di guardarsi attorno,
incapace di affrontare la perdita che avevano subito...
“S-Seiya
respira di nuovo... Il cuore batte ancora...”
Saori
gli strinse la mano mentre gli sussurrava quelle poche parole,
sorridendogli esausta: “Non l'abbiamo ancora
perso...”
Con
una stilla di coraggio sopravvissuto, la Fenice alzò lo
sguardo.
Shun
era stretto a Hyoga per evitare di cadere e quest'ultimo aveva la
bocca vicino al suo orecchio, pur non potendolo sentire, sapeva che
gli stava mormorando qualcosa che doveva calmarlo, tranquillizzarlo e
rassicurarlo.
Mentre
Shiryu, stava levando pezzo per pezzo la Cloth di dosso a Seiya,
riverso privo di sensi tra le sue braccia.
“Vai
da lui...”
Suonava
come un ordine più che come un suggerimento, un ordine e un
imperativo che provenivano direttamente dal suo cuore ma che solo
Athena era in grado di tramutare in realtà e che solo
così poteva
seguire.
La
fece sedere a terra poi, con cautela, si assicurò che gli
altri due
fratelli stessero bene prima di chinarsi per levare il pettorale
della Cloth di Pegasus orribilmente spaccato in due all'altezza del
cuore.
Con
gli ultimi frammenti del proprio Cosmo, allontanò la propria
God
Cloth e, strappando un lembo di maglietta ancora integro,
tamponò la
ferita pregando che i soccorsi si sbrigassero ad arrivare: non
potevano tardare, dovevano essere stati senza dubbio sentiti e
percepiti.
E
infatti...
“Athena!
Ragazzi!”
Il
primo a comparire sulle colline ammantate di Sole fu Jabu, anche da
laggiù potevano vederne il sorriso allegro e sollevato a
dispetto
delle ferite, e poi in rapida successione Ichi, Nachi, Geki –
che
portava Kiki in spalla – Ban...
Ma
quando videro Marin e Shaina guidare lungo il sentiero impervio che
conduceva al cimitero del Santuario una ragazza, dai lunghi capelli
rossi, ricci come quelli della Sacerdotessa dell'Aquila e dai
lineamenti familiari, tutti sentirono distintamente il cuore fermarsi
nel petto.
Perchè
Seiya non aveva solo loro al mondo: c'era anche qualcun'altro di
ugualmente importante, qualcuno che aveva cercato per tutti quegli
anni, che aveva perso in tenera età e che, segretamente,
temeva di
non poter più rivedere.
“S-Seika-san...”
balbettò Shun con le lacrime agli occhi, consapevole
dell'identità
della giovane ma stupito e spaventato dalla sua presenza.
Non
in quel momento...
Non
lì...
“State
bene?!” Nachi e Ichi erano giunti assieme, sorreggendosi
l'uno
all'altro, e guardavano preoccupati lo spettacolo penoso che
offrivano la Dea e i suoi compagni di lotta: “Vi abbiamo
sentito,
sapevamo che sareste tornati... Noi...”
Il
bofonchio debole e rotto dalla stanchezza e dal sollievo dell'Hydra
venne interrotto da un gesto gentile e da un sorriso affettuoso di
Athena: “Lo so, so cosa avete affrontato per noi...
Grazie.”
disse lei con tono leggero e tranquillo, “Però non
stiamo bene...”
concluse lei tristemente, spostando lo sguardo a seguire Jabu che,
superata Saori senza neppure salutarla, si era gettato su Ikki e
Shiryu ma soprattutto...
“Seiya!
Razza di stupido! Non ho protetto tua sorella per farle vedere questa
scena pietosa!” sbottò Unicorn, sostituendo la
pezza ormai zuppa
di sangue con una nuova, più pulita:
“Cos'è successo?!” sbraitò
poi con gli occhi spalancati e lucidi.
“H-Hades
l'ha trapassato...”
Era
stato Hyoga, con voce insolitamente monocorde, a rispondere e le sue
parole ebbero come effetto uno stupore generale mentre i soldati
semplici, arrivati in estremo ritardo, cercavano come meglio potevano
di aiutare a stabilizzare il tredicenne ancora disteso in braccio a
Shiryu.
Come
a volerla proteggere, Marin e Shaina tenevano Seika indietro e questa
non replicava: in ginocchio sui sassi, teneva le mani giunte in
preghiera e non si mosse neppure quando il suo fratellino, la persona
per la quale aveva affrontato le peggio difficoltà e che,
nel
profondo del cuore, non aveva mai scordato, venne portato via con
estrema delicatezza da quella che era stata la sua inflessibile
quanto importante maestra.
In
quella lunga giornata che volgeva ormai al crepuscolo, dopo la lunga
notte artificiale, la Luna forse voleva farsi vedere, rassicurante
nella sua luce, si ritrovarono riunite alla bell'e meglio due
famiglie che forse neppure sapevano di esser tali.
Da
una parte, i Saint, superstiti e non, che cercavano di farsi forza
gli uni con gli altri, dall'altra, Seika, che non aveva interrotto un
attimo la propria preghiera.
“Ce
la fate?” chiese preoccupato Kiki, avvicinandosi a Ikki per
dargli
sostegno: “Siamo stati così in pensiero per
voi...” mormorò il
bambino con gli occhietti lucidissimi.
Annendo
faticosamente, la Fenice gli scompigliò i capelli:
“Non siamo noi
a rischiare la vita.”
“Il
suo Cosmo è scomparso, non lo sento
più...” sussurrò Jabu,
seduto accanto a Shiryu che non pareva dare più alcun segno
di
coscienza di sé e di ciò che lo circondava
“Hades...
Hades l'ha colpito... Ha perso sangue...” respirò
appena Shun,
ancora restio a interrompere il contatto col corpo pulsante di vita
di Hyoga: “L'abbiamo visto cadere... Per difendere
Athena...”
“E'
sempre stato così... irruento. E pazzo.” concluse
il russo,
osservando il cielo mentre si punteggiava di stelle: “Ma
ora...”
“Seiya
starà bene... Non si lascerà morire
così facilmente.” cercò di
dire Geki, più nel tentativo di convicere sé
stesso che altro:
“Vedrete che si riprenderà presto.”
“E
poi, c'è Seika-neesan!” replicò Kiki
testardamente, strappando un
gemito silenzioso ai quattro fratelli consapevoli, troppo
preoccupati, stanchi e spaventati per reagire in altra maniera.
Ma
la ragazza rivolse loro un tiepido sorriso mentre, aiutata da Saori
si alzava per raggiungere il gruppo; con la mano tesa ad accarezzare
la guancia dei giovanissimi God Saints, la sua voce appena appena
ridotta a un fievole mormorio fu la più grande
rassicurazione e il
più grande terrore.
“Lo
so.”
E
con il cuore pesante e i corpi martoriati, la triste marcia che si
mosse da lì fu lenta nel ritornare a casa, nel viaggio di
ritorno ad
una casa dal futuro incerto, con una famiglia che pareva in procinto
di disfarsi ancora prima di incominciare ad esistere.
E
una promessa che pendeva sulle loro teste come una Spada di Damocle.
§§§
SETTE MESI DOPO
La
figura eterea e leggera di Shun fece il suo ingresso nella grande e
tranquilla hall della Clinica della Fondazione, lo sguardo triste e
lucido di lacrime incrociò dolcemente quello
dell’infermierina al
bancone dell’accettazione; la donna, minuta e
dall’aria gentile,
gli rivolse un sorriso incoraggiante: “Buongiorno
Shun-chan,” la
sua voce suonava musicale nel silenzio dell’ingresso di primo
mattino, “Come stai?” domandò con aria
materna, sfiorandogli con
una mano il viso smagrito, “Dovresti mangiare di
più, stai
dimagrendo a vista d’occhio.” lo sgridò
con tono velato di
preoccupazione.
Il
bruno dall’aria angelica chinò il capo in un cenno
rispettoso di
saluto nei confronti della fanciulla dalle sembianze di bambina,
tentando di ricambiare il sorriso: “Non ho molta
fame…” ammise
malinconicamente il ragazzo, stringendo a sé
l’involto che portava
tra le braccia, “Ma la ringrazio
dell’interessamento.” la sua
voce in spense in un sussurro, “Mi scusi.”
aggiunse, congedandosi
con un leggero inchino, “Shiryu-niisan mi sta
aspettando.” e
senza dire altro si inoltrò nel corridoio.
L’infermiera
lo seguì con gli occhi fino a quando ne vide i ciuffi del
colore del
rame sparire dietro l’angolo poi sospirò cupamente
non appena i
passi del piccolo ragazzo si furono zittiti.
“Meiko-san,
chi è quel ragazzo?”
Il
tono curioso e interessato della più giovane collega dai
capelli
neri come la notte con cui divideva il turno la fece trasalire.
Scrollò
il capo, vergognandosi per essersi distratta: eppure, gli occhi di
quel ragazzo che, puntuale, ogni mattina alla stessa ora entrava da
quella porta e ne usciva dopo parecchie ore, svolgendo infaticabile
un compito doloroso come il suo, la faceva sempre pensare e soffrire;
frugò qualche minuto nelle cartelle cliniche degli ospiti
della casa
di cura e ne tirò fuori una voluminosa, di un bel rosso
acceso:
“Kido, Seiya-kun, l’ospite della 119.”
mormorò la donna cupa,
“Lo sai, è stato ricoverato sette mesi fa e finora è stato mantenuto in vita dalle macchine. Shun-chan invece è il fratello, uno dei
tanti in verità. Credo ce ne siano
altri…” la sua espressione si
fece pensosa per un momento, “almeno altri otto,
Satsuki-chan.”
rispose con voce incerta.
“Un
momento.” la frenò la più giovane,
“Hai detto Kido? Non è
che…?” fece per dire, “Si, sono fratelli
di Lady Saori,” la
prevenne con un gesto della mano, “Uno tra tutti loro sta
sempre
nella stanza di Seiya-kun, Shiryu mi sembra si chiami, lo sorveglia,
gli parla in continuazione, non lo lascia mai. Da quando è
arrivato
qui, non è mai tornato a casa, nemmeno per un'ora. Poveri
cari.”
sospirò con voce rotta, “Hanno sofferto tanto e
stanno soffrendo
ancora, sono così giovani e non se lo meritano.”
disse, sedendosi
al proprio posto; con cura, Satsuki prese tra le mani la cartelletta,
esaminando i dati del paziente: “Ha solo 13 anni??”
esclamò
orripilata mentre il fascicolo le cadeva dalle mani tremanti,
“Ma
come è possibile riportare ferite del genere??”
chiese con aria
alterata.
Meiko
si chinò, prendendo il dossier e riponendolo con attenzione:
“Te
l’ho sempre detto, questo è uno schifo di
mondo.” sbuffò lei
furibonda.
§§§
Troppe
attese dietro l'angolo,
gioie che non ti appartengono.
Questo
tempo inconciliabile, gioca contro di noi.
Ecco come si finisce
poi,
inchiodati a una finestra noi,
spettatori malinconici,
di felicità impossibili...
“Shiryu,
sono Shun, posso entrare?”
Il
tono tenero e incerto del ragazzino al di là della porta
fece
sussultare il giovanotto seduto sulla poltroncina accanto al letto;
con aria confusa e stravolta, si stropicciò gli occhi,
osservando
con un misto di delusione e dolore la figuretta distesa tra le coltri
candide del letto, il macchinario al suo fianco emetteva regolari bip
ogni due secondi, Shiryu li aveva contati prima di crollare
addormentato contro la propria volontà.
E
ora, erano di nuovo lì al suo risveglio, un risveglio che
aveva il
sapore del tradimento: lo aveva lasciato solo, seppur per poco meno
di un paio d'ore, cedendo al sonno che si era ripromesso di cacciare
a ogni assalto.
Non
se lo sarebbe più permesso.
Il
moro sospirò pesantemente, sentendosi la bocca impastata e i
muscoli
delle spalle indolenziti per la scomoda dormita; si alzò,
barcollando leggermente, per avvicinarsi al giaciglio su cui il
più
piccolo dei suoi fratelli non smetteva di lottare. Non gli avrebbe
mai permesso di andarsene senza di loro e restare lì al suo
fianco
era il modo migliore che avesse trovato per dimostrare al mondo la
forza della sua risoluzione.
Gli
accarezzò il viso smagrito e pallido, un rito ormai
quotidiano, di
cosa voleva sincerarsi con quel gesto?
Forse
che era ancora lì, che giorno dopo giorno sarebbe rimasto
lì?
Di
nuovo quel bussare gentile alla porta, questa volta non poteva
esimersi dal rispondere: “Entra, Shun..” disse a
voce bassa,
quasi non volesse disturbare il sonno del bambino che vegliava.
Il
viso appena appena illuminato da un sorriso dell’Andromeda
fece
capolino dalla fessura lasciata dalla porta semichiusa:
“Buongiorno!”
salutò, cercando di mostrarsi il più allegro
possibile, “Ti ho
portato alcune cose.” disse, mostrando l’involto
che trasportava,
“Vestiti di ricambio, una coperta e qualcosa da
mangiare.”.
“Grazie..”
borbottò lui di rimando, sempre però stando
seduto accanto al letto
senza minimamente staccare lo sguardo dal corpo di Pegaso.
Shun
entrò dentro, poggiando tutto quello che si era portato
dietro da
casa sul mobiletto più vicino: “Se vuoi andarti a
fare una doccia,
resto io con lui.” propose, levandosi la sciarpa per
poggiarla
sull’attaccapanni.
“Non
ce n’è bisogno, resto io con lui.”
La
voce del Dragone suonava fredda, era difficile ritrovare in quel tono
gelido il calore che emanava ogni parola detta dal cinese fino a
pochi mesi prima.
Shun
tremò, sentiva come se la temperatura interna si fosse
abbassata di
parecchi gradi, ma non disse nulla, continuò a tirare fuori
ora
pigiami puliti ora contenitori pieni di cibo ancora caldo:
“Dovresti
mangiare qualcosa.” provò a dire, sempre
però restando girato,
notando che le pietanze che aveva portato il giorno prima erano
intonse, “Non ti fa bene saltare i
pasti…”.
Fu
un attimo.
Il
bicchiere sul comodino di Seiya andò a infrangersi contro il
muro,
spingendo il più piccolo a buttarsi per terra, con la testa
coperta
dalle mani in un moto istintivo di difesa.
Ma
non c’era nessun nemico, nessun messo di Hades superstite.
Sopra
di lui, c’era Shiryu, con lo sguardo furente, il Cosmo del
Dragone
che crepitava, pieno di rabbia: Shun non l’aveva mai visto
così,
era fuori controllo, sembrava impazzito.
Ed
era terrorizzato da lui.
Come
se fosse stato una bambola, il cinese lo afferrò per il
bavero della
giacca, sollevandolo con facilità in piedi; i loro visi si
avvicinarono pericolosamente, tanto che il quattordicenne poteva
quasi specchiarsi negli occhi vitrei del fratello maggiore.
E
poi, quelle parole che lo colpirono al cuore come una pugnalata.
“Se
Seiya è in queste condizioni, è solo colpa
tua…”
Parole
piene di cattiveria, di dolore, che esprimevano tutto quello che in
quei lunghi mesi lì, seduto ad aspettare,
l’animo di Shiryu
aveva maturato, nel suo spasmodico desiderio di rivedere il Pegaso in
piedi, vivo e in buona salute.
Shun
sentì gli occhi pizzicare, non riusciva a trattenere le
lacrime, e a
malapena riusciva a respirare per la presa ferrea che il fratello
esercitava sul suo collo, più cercava di dimenarsi,
più si
stringeva: era come se Shiryu stesso cercasse di ucciderlo.
A
quel pensiero, si fece prendere dal panico.
Cominciò
a urlare, a implorare aiuto tra i gemiti soffocati, e fu solo allora
che, nel momento esatto in cui la porta della stanza si era
spalancata con un tonfo sordo, che il Dragone sembrò
risvegliarsi,
come da un incubo.
I
loro occhi si incrociarono per un attimo, quelli pieni di lacrime
dell’Andromeda e quelli confusi del Saint di Draco e,
all’improvviso come era stato afferrato, il bruno venne
lasciato
andare: cadde a terra scompostamente, sbattendo con la testa sul
linoleum del pavimento.
Si
lasciò scappare un lamento mentre un paio di braccia forti e
familiari lo sollevavano da terra e un rumore di passi nervosi si
allontanavano dalla stanza.
“Stai
bene, Shun?” chiese Ikki preoccupato, tastandogli la testa
per
sentire se per caso non ci fosse qualche bernoccolo; il fratello
annuì, asciugandosi le lacrime, anche se queste continuavano
a
scendere, senza pietà, senza volersi fermare.
“Se
Seiya è in queste condizioni, è solo colpa
tua…”
Le
parole che il cinese gli aveva rivolto erano state crudeli, questo
era indubbio…
Ma
se fossero state vere?
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