Questi
personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà della
Square-Enix, così come la canzone utilizzata, mia traduzione
di Secret Crush di Rin Kagamine, Vocaloid appartenente alla Crypton.
Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Capitolo
1: L’inizio
Come
provo ad
odiarti
Il
mio amore per
te è immenso
Perciò,
desidero
poter dimenticare
Tutti i miei sentimenti per
te
“Chi sta
cantando?”
Lasciami
godere
dei momenti dolci solo per ora
So cosa è vero
Per favore almeno
Fatti
sentire chiamare
il mio nome …
“Ehi,
c’è nessuno? Yu-huuu!!”
Anche se un giorno
Questo sentimento andasse via,
Ti voglio nel mio cuore
Per restare
per sempre
dove eri in quel momento
“Pronto, pronto, ci
sei?”
D’improvviso
svanì tutto. O meglio, non svanì nulla, dato che
vedevo tutto nero. Mi svegliai
ai piedi di un albero, con la testa dolorante. Dannazione a me e al mio
vizio
di sonnecchiare sugli alberi, DANNAZIONE.
“Stupido
albero! Ma un giorno te la farò pagare, sai? Ricordati
questo nome: Yuffie
Kisaragi!”
Ebbene
sì,
giurai vendetta contro un albero. Un albero. Oh, giusto, sottolineo che
la
cretina che ha fatto una cosa del genere sono IO, Yuffie Kisaragi,
ninja di 16
anni. Oddio, proprio ninja non direi … Diciamo che ero
ancora una praticante,
più che ninja ero una ladra. Ma mi rendevo conto che il
sottile fra le due cose
era molto labile: molti dei ninja che conoscevo si erano ritrovati a
fare i
ladri a causa della guerra a Wutai. Stupida guerra, ancora mi chiedo
chi avesse
avuto la malaugurata idea di darle avvio. Oh, vero, quel CRETINO di mio
padre.
E io ero l’unica che tentasse di risistemare la situazione.
Certo, Kisaragi, inventati scuse per giustificare
il fatto che vai in giro a fregare Materia alla gente. Ma
finché la freghi alla
Shinra mettiti l’anima in pace: loro sono i maledetti che
hanno rovinato la tua
Wutai. Un attimo, da quando parlo con me stessa?!
“Ahhh,
tutta
colpa della solitudine! Ecco cosa succede dopo essere rimasta sei mesi
da sola,
si dà di matto! Beh, almeno gli psicologi sapranno su cosa
lavorare”.
L’unica
cosa
che mi giovasse era il fatto di non aver perso la mia allegria, almeno
quello.
Per il resto, posso giurare di aver perso tutto. Avevo gentilmente
preso la mia
vita e l’avevo buttata nel gabinetto. Ah, e poi avevo tirato
lo sciacquone.
Come sprecare occasioni, parte 1. Sì, ci verrebbe un bel
libro.
“Ha
ha, che
battutone. Sto perdendo colpi”. E stavo perdendo davvero
colpi, una settimana
che non fregavo niente a nessuno. Una settimana. Io. Non frego nulla.
No
materia. No cibo. No soldi. Mi ci voleva giusto un aiuto del mio
fattore C per
poter rientrare in gioco. Tra l’altro, la
probabilità di trovare gente nelle
foreste sai di quant’è? Il 20%, se sei in periodo
di pic-nic, altrimenti ci
trovi giusto gli scout. Poveracci, mi hanno sempre fatto tanta pena,
con quelle
divisine. Eppure da piccola ci avevo pensato. Le contorsioni del mio
cervello,
penso che non le capirò mai. Fatto sta che non eravamo in
periodo pic-nic, la
gente preferiva andare al mare ultimamente, chissà
perché. Tutti lecchini della
Shinra, da quando la società ha aperto uno stabilimento
balneare a Costa del
Sol stanno tutti lì. Ma il fato volle che il mio fattore C
non fallisse. E
così, trovai la mia preda. Se mi avessero detto cosa sarebbe
successo poi, non
ci avrei creduto. Il finimondo, e non è per dire.
“Huh
huh
huh, la Shinra pensa di prendere possesso anche della mia foresta? Si
sbagliano!”
Sì,
la
Shinra. O almeno così pensavo. Vai a spiegare alla gente che
le divise di
SOLDIER sono solo per chi lavora ancora con quelli. Quando non si ha
sale in
zucca. Mai in vita mia feci cretinata più grande. O forse
sì. Beh, se è accaduto,
è dipeso comunque da quell’evento. E il bello
è che fu tutto un errore.
Decisi
che
era ora di riprendere il mio lavoro. Vai a capire a sedici anni che
fare la ladra
non è un lavoro e che potresti essere indagata per furto di
proprietà e finire
in galera. Con nessuno che te lo spiega, poi. La cosa più
normale del mondo,
penseresti.
Forse è solo il tuo cervello farlocco,
Kisaragi. Ecco, lo sto facendo di nuovo.
La
strategia
dei miei furti è la più semplice del mondo: bomba
fumogena. Ti fai una bella
nebbiolina, il poveraccio che ci capita in mezzo non capisce nulla e
puoi darti
alla pazza gioia. Peccato solo che quel giorno le bombe fumogene
avessero
deciso di entrare in sciopero. Lancio una bomba. Salto fuori dal mio
nascondiglio. La bomba non esplode.
Sono fo****a. Perché non hai il
buonsenso di
pensare prima di agire?
La
situazione era spiacevole. Mi trovavo davanti un agente SOLDIER, un
tizio
abbastanza … enorme con una mitragliatrice al posto di una
mano e un leone
addomesticato. Forse la belva feroce era quella che faceva meno paura.
Almeno
finché rimase zitto.
“Chiedo
scusa signorina, ma dovremmo passare” disse.
Parla?! Ok, o sto ancora dormendo, o ho sbattuto
la testa talmente forte da essere diventata matta.
Non
sapevo
più che fare. Ancora una volta prevalse l’istinto
al buonsenso. Che cosa
fareste in una situazione del genere? Scappare, no? Miss Furbizia
decise invece
di rimanere lì e affrontarli in combattimento.
Bella mossa, davvero bella mossa.
Le
presi di
santa ragione. E forse mi stava anche bene, ero io ad aver cominciato.
Ma loro
avevano risposto alla provocazione, quindi la colpa non era solo mia.
Anzi,
forse non era per niente mia, in fondo avrebbero ben potuto fare i
galantuomini
e lasciar correre. No, ero innocente, ne sono certa.
Ero
stesa
per terra, con uno dei miei migliori bronci. Non è bello
starmi intorno quando
sono nervosa, sono parecchio irascibile. Divento intrattabile. E poi ho
uno sguardo
tagliente, da far venire i brividi lungo la schiena:
l’effetto è come quando ti
ficcano del ghiaccio nella maglietta. Ovviamente queste descrizioni
provengono
da conoscenti, non certo da me. Beh, la situazione era simile. Gli
attributi
descritti sopra c’erano tutti, ma in più mi rodeva
incredibilmente per essere
stata sconfitta. Da tre passanti che sembravano quasi più
pericolosi di me.
Quasi.
Mi
tirai su
barcollando. Vidi i tre che mi fissavano. Li gelai con
un’occhiata: distolsero
tutti lo sguardo. Tutti tranne il SOLDIER, quello continuava a
fissarmi. Quel
poveraccio era stato scelto come bersaglio della mia invettiva.
“Che
hai da
fissare, cerchi rogne? I SOLDIER non mi stanno per niente simpatici,
quindi
gira alla larga da me se non vuoi trovarti all’ospedale con
un trauma cranico!”
gli gridai. Non mi parve più di tanto sconvolto, secondo me
più che altro mi
prese per matta. E in effetti, non è che avesse tutti i
torti, li avevo
praticamente attaccati senza motivo. Ovvio che tutto ciò era
dal loro punto di
vista, io i motivi ce li avevo eccome. Ma non mi ero resa abbastanza
ridicola,
una volta fatto trenta, perché non fare trentuno? Cominciai
a tirare pugni in
aria, urlando più forte di prima: “Fatti sotto,
avanti! Ne hai già abbastanza?
O forse hai paura?”. Fra me e me mi ero già detta
che questa me la potevo
risparmiare, la mia parte masochista poteva rimanere a fare la nanna.
Fortunatamente il biondino si limitò a rispondermi con un
ironico: “… Sono
pietrificato”. Ma no, non era ancora abbastanza. Non avevo
dato spettacolo a
sufficienza, dovevo sembrare un clown. Beh, c’ero quasi.
“Hmm,
proprio come pensavo. Siete mediocri, non siete alla mia altezza.
Chissà,
magari quando sarete più forti …”.
Cretina, sei stata sconfitta.
Cominciai
ad
allontanarmi con passo lento. La scenata era servita a suscitare quasi
pena per
me. Alla fine però ebbi l’esito sperato. Il
SOLDIER capelli-a-punta mi fermò e
cominciò con tutte quelle moine che uso di solito io quando
voglio qualcosa. Il
ragazzo non era esperto, sono io la maestra nell’inventare
scuse. Non so come,
alla fine mi feci convincere ad andare con loro. In realtà
ciò che mi convinse
ad andare fu una cosa: Materia. Non me ne fregava assolutamente niente
di fare
amici e tutte queste storielle sdolcinate, volevo quelle belle biglie
colorate,
specialmente perché ne avevo adocchiate alcune discretamente
rare. Il gruppetto
si mise a discutere e dopo un po’ vidi il mitragliatore umano
andarsene. Bello,
scaricato per far posto alla prima che passa, pensa come si doveva
sentire.
Faccio davvero così pena?
Fu
l’unica
cosa che riuscii a pensare. La risposta arrivò:
sì. La depressione s’impadronì
di me: ero proprio scesa in basso. Dovevo scendere in pista e prendere
le mie
Materia. Certo, sarebbero state presto mie, non lo erano ancora. Ma per
farcela
dovevo guadagnarmi almeno un pochino di fiducia. Il leone sembrava
più
disponibile, tra l’altro con il SOLDIER non ci volevo manco
trattare. L’unico
vantaggio: parlava poco, almeno quello. Cominciai a discutere con il
leone, e
non prendetemi per pazza, un leone che parla non l’avevo mai
visto nemmeno io.
“Allora
… Siccome
dobbiamo viaggiare insieme, da quel che ho capito, almeno posso sapere
il tuo
nome?”.
“Certamente.
Mi chiamo Red XIII, esemplare di una razza quasi estinta”.
“Ok
… E cosa
fai nella vita?”. Cielo, questa me la potevo risparmiare.
“Sono
stato
una cavia di laboratorio”.
“Uh
… buono
a sapersi, ecco. Io mi chiamo Yuffie. Yuffie Kisaragi ad essere
precisi, ma il
cognome puoi anche scordartelo. In quanto ad occupazione, beh, sarei
una ninja,
ma per vivere prendo in prestito “cose” dalle
persone”.
“Prendere
in
prestito … Si chiama rubare” si intromise il
SOLDIER.
“ScusaMI,
se
non ti sta bene me ne vado. Tra l’altro, sei anonimo o cosa?
Ce l’hai il nome o
ti devo chiamare fischiando?”. Ecco, le battute ci servivano
proprio. Non sono
brava a scegliere i momenti giusti.
“…..Cloud”
disse.
“Allora
ce
l’hai la voce, pensavo fossi muto. Se sei sempre
così sai che noia! Non ti
annoi con lui, Red?”
“Mi
chiamo
Red XIII, gradirei essere chiamato con il mio nome completo”.
“Oh,
dai,
Red XIII è troppo lungo! E poi Red è
più carino!” sentenziai.
“Ma
stai mai
zitta?” mi chiese Cloud.
“Ah,
ah, ma
che simpatico. E se t’interessa, no, non sto mai zitta, ma
d’altronde faccio
quello che mi pare, SOLDIER! Il fatto che tu sia della Shinra non
m’imp …”.
“Non
sono
più un SOLDIER”.
“Ma
sei un
genio, continua a girare vestito da SOLDIER, nessuno penserà
che stai con la
Shinra. Ma dico, ti funziona il cervello al contrario?”.
“Sai
una
cosa? Penso che tuo padre ti chiudesse la bocca con lo scotch per farti
stare
zitta” disse, per poi allontanarsi.
“È
davvero
odioso! Ma non t’infastidisce?” chiesi a Red XIII.
“No.
È la
prima volta che lo vedo così indisponente, potresti
stabilire un nuovo record,
Yuffie” rispose.
“Oh
che
bello, mi sento proprio importante ora” dissi alzando il
braccio con poca
flemma.
Camminare
per lande sterminate sotto il sole in compagnia di un leone e un
SOLDIER … ops,
scusatemi, di un ex-SOLDIER, altrimenti ci si offende …
dicevo, non è proprio
il massimo che ci si aspetta nella vita. Tra l’altro,
specialmente se i due
fanno a gara a chi parla di meno, ti viene voglia di ficcarti una
pallottola
nel cranio. A forza di camminare eravamo quasi arrivati a Junon, ed
eravamo partiti
dalla zona di Fort Condor.
Certo che questi hanno proprio una voglia di
camminare … Cielo, mi butterei per terra a dormire!
Purtroppo
sono una che raramente si trattiene, così mi piantai in
mezzo alla strada e mi
sdraiai sul prato. Vi lascio immaginare cosa potessero aver pensato i
miei due
“accompagnatori”: ciò che so
è che Red XIII mi disse che fermarsi al sole non
era una buona idea, perché quelle erano le ore del giorno
più calde e i raggi
solari erano più pericolosi (fece un discorso sui raggi
ultravioletti, cose che
non posso certo ricordare), mentre il biondino, che cominciava a darmi
davvero
sui nervi, disse:
“Togliti
di
lì, rischi di bruciare quel poco di cervello che ti
rimane”.
Alla
provocazione scattai in piedi e gli mollai un ceffone. Senza scrupoli,
dico sul
serio. L’unica cosa che fece fu bisbigliare un
“… Mi hai fatto male”.
“Ti
sta
bene, sei un cafone!” gli gridai, allungando il passo.
Riusciva ad aprire la
bocca ogni mezz’ora e quando lo faceva era per insultarmi.
Una cosa intollerabile,
avrebbe fatto i conti con il mio orgoglio.
Arrivammo
a
Junon e … beh, non era certo come la immaginavo. Sapevo
vagamente che nella
parte alta della città, o come la chiamano qui Upper Junon,
c’era una delle
tante basi della Shinra, ma non avrei mai pensato che ci fosse un tale
divario
tra la parte alta e i “sobborghi”, se
così li volete chiamare. Mi ero già
preparata all’idea di andare nella locanda cittadina,
buttarmi sul letto e fare
il sonnellino che mi spettava, dopo aver camminato così
tanto. Ma quando ti fai
dei piani tutti carini e piacevoli, ecco che arriva sempre qualcuno o
qualcosa
a guastarti la festa.
“A
quanto
pare siete arrivati prima voi, avete vinto la scommessa”. Era
una voce
femminile, di una ragazza sulla ventina, ed aveva un tono quasi
materno. Mi
girai e vidi due ragazze e l’uomo che prima viaggiava con
Cloud e Red XIII. Una
delle due ragazze indossava un lungo abito rosa che le arrivava quasi
alle
caviglie, una giacchetta a maniche corte rossa e un paio di anfibi
marroni, il
tutto contornato da una treccia tenuta ferma da un enorme fiocco rosa.
L’altra
invece aveva una canotta bianca, una mini-gonna nera (veramente mini,
qualcosa
di impressionante), un paio di guanti rossi e pure lei un paio di
anfibi, però
rossi. Aveva lunghi capelli neri legati sul fondo, quasi a
mo’ di coda di
delfino. Ma ciò che più mi stupì era
il suo seno. Dire abbondante è dire poco.
Ma non sembrava una che si mette in mostra. L’uomo
mitragliatrice invece era lo
stesso di prima.
Scoprii
che
erano un unico gruppo e che si erano divisi per non dare
nell’occhio. Le due
ragazze si chiamavano Aerith Gainsborough e Tifa Lockheart, mentre
l’uomo si
chiamava Barret Wallace. Mi avevano fatto una buona impressione, tra
l’altro le
due ragazze non mi sembravano nemmeno delle smorfiose, di quella specie
che ti
fa venire l’urticaria. Aerith era una fioraia, mentre Tifa
era la gestrice di
un bar, il Settimo Cielo. Venivano entrambe dai sobborghi di Midgar.
Sembravano
avermi preso di buon occhio, e questo era tutto sommato un punto a mio
vantaggio, ottenere la fiducia dei membri della squadra era
ciò che mi serviva
per portare a compimento il furto di Materia.
Avevo
notato
che c’erano delle scale che sembravano portare ad una
spiaggia. Purtroppo per
me, quando decido qualcosa, non riesco a cambiare idea, così
decisi di andare a
dare un occhiata. Mi allontanai dal gruppo, causando non poco stupore,
dato che
si era nel bel mezzo di una discussione per decidere i piani del giorno
seguente. Vidi in fondo alla scalinata una spiaggia bianchissima
… Purtroppo
quella bellissima vista era turbata della presenza di una torre della
Shinra.
C’era una bambina lì, che giocava con un delfino.
La sentii chiamarlo Mr.
Dolphin. Sembrava felice … Chissà che lei non lo
fosse stata veramente. Qualcosa
che io volevo e non avevo ottenuto … Un infanzia. Mi ero
persa nei miei
pensieri, nei miei ricordi di una vita che forse avrei potuto vivere
diversamente. Ma qualcuno pensò bene di riportarmi alla
realtà.
“Cos’è,
stai
meditando se buttarti in mare e porre fine alle nostre
sofferenze?”
Mi
girai e
vidi lui, la causa di tutte le MIE, di sofferenze. L’avevo
conosciuto poche ore
prima, eppure era già riuscito ad ottenere un posto nella
mia mente. Sì, un
posto perché mi stava facendo dannare.
“Ma
che
problemi hai? Ti diverte tanto insultarmi? Allora ti do una notizia: a
me non
piace”. Scesi di corsa le scale e arrivai sulla spiaggia. La
bambina si voltò a
guardarmi, come se avessi interrotto un momento per lei magico. Mi
sentivo
quasi colpevole. Il vedere la piccola rimettersi subito a giocare mi
fece
tornare serena. Una serenità che presto svanì,
quando comparve dal mare un
enorme serpente marino. In seguito mi informai, e scoprii il suo nome:
Bottomswell. Bello poco, era tendente al blu, con qualche riflesso
iridescente,
enormi pinne rosacee ed occhi gialli. Quando lo vidi avvicinarsi alla
spiaggia,
un brivido mi percorse la schiena. Provocò un onda che
sommerse la bambina.
Degli schizzi arrivarono fino a me. Temevo che l’acqua avesse
inghiottito la
bambina. Ed io non avevo fatto nulla per aiutarla. Nulla. Non sapevo
che fare.
So solo che in quel momento, mi venne alla mente un nome. Solo uno. Il
nome che
meno che mai avrei voluto pronunciare. Corsi al villaggio, mi scrutai
intorno.
Dannazione, quando serve aiuto non si trova
mai chi cerchi.
Io che cerco qualcuno? No, non è
possibile.
Sto forse male?
Eccolo.
Lo
vedo. Sento l’odio bollirmi dentro … e poi
sparire. In quel momento avevo
sentito di avere bisogno di aiuto. Il suo aiuto.
“Cloud!”
gridai il suo nome con quanto fiato avevo in corpo. Corsi da lui, lo
afferrai
per un braccio e lo trascinai giù per le scale. Feci in
tempo a dire a Red XIII
di venire. Arrivati sulla spiaggia, l’imponenza del mostro mi
fece
letteralmente impallidire. Sì, avevo paura. Feci un passo
indietro, ripensai
alla bambina. Dovevo fare qualcosa, lo sentivo. Combattemmo il mostro e
riuscimmo a sconfiggerlo.
Corsi
verso
l’acqua e presi in braccio la bambina. Riuscii a malapena a
tirarla fuori dai
flutti. Cloud la prese dalle mie braccia e la portò al
sicuro sul lido. Vidi un
anziano arrivare dal villaggio. Gridava il nome della bambina,
Priscilla, ed
aveva paura. Era il nonno. Ordinò a Cloud di eseguire la
CPR, respirazione
bocca a bocca. Perché Priscilla non stava respirando. Eppure
… era restio. Non
voleva. Continuavo a guardare impietrita il corpo disteso sulla
spiaggia della
piccola.
Perché diamine non ti decidi a fare
qualcosa? Sei un cretino.
Mi
sentii
osservata. Alzai lo sguardo. Mi fissava.
Che vuoi, che ti dica io cosa devi fare?
Distolse
da
me lo sguardo, fissò un punto indefinito del suolo. Disse
con voce flebile che
l’avrebbe fatto. Quando cominciò la respirazione
bocca a bocca …
Perché mi sento infastidita? Mi sento
bruciare di rabbia.
“Che
cos’hai, Yuffie?” mi chiese Red XIII.
“N-Non
è
niente”.
È … gelosia? No, non
può essere. Perché mai
dovrei essere gelosa?
La gelosia è … per chi ama.
Quella
notte
dormii poco e malissimo. Priscilla si era salvata, ci aveva anche
donato una
rara Summon Materia , Shiva, eppure … c’era
qualcosa che non mi faceva dormire.
Eravamo tutti in un'unica camera. Red XIII si era addormentato ai piedi
del mio
letto. Noi ragazze eravamo da un lato della stanza, molto piccola a
dire il
vero. Una vecchietta del luogo ci aveva offerto ospitalità,
perciò gli spazi
erano compatibili con le sue possibilità economiche.
D’altronde era già tanto
che ci avesse offerto un letto. Ciò che più mi
infastidiva era il fatto che io
fossi la ragazza più vicina al lato degli uomini, e sulla
parte più vicina a
noi dormiva Cloud. Sì, mi dava fastidio di essere vicino al
SUO letto.
Soprattutto dopo quello che era successo quel giorno.
Non è successo nulla. È solo
stata la tua
immaginazione. Nulla di quello che hai sentito poteva essere vero. E
soprattutto, non avresti mai potuto essere gelosa.
Già,
gelosa.
Io. Non era possibile, assolutamente no.
Non di una persona che odio. Non di …
lui.
Mi
caddero
gli occhi su di lui. Non riuscivo a distogliere lo sguardo. Ed era
…
“Hai
finito
di fissarmi?”
Sobbalzai.
Era sveglio, e si era accorto che lo stavo fissando. Mi fece prendere
un colpo,
possa essere sempre dannato. Mi girai subito dall’altra
parte, gridando al:
“Non guardavo te”. Certo, guardavo il muro, bello
che non ti dico. Una
meraviglia.
“Meglio
così, e vedi di dormire. Ah, un'altra cosa: mi dà
fastidio il fatto che tu mi
stessi fissando”.
Bene, siamo in due ad essere infastiditi, a
me dà fastidio la tua presenza.
Non
mi
addormentai comunque. Nella mia testa c’erano troppi
pensieri. Quell’inizio
così improvviso, quel viaggio, quelle persone …
quella persona, il mio maggior
problema attualmente. Ciò che più mi turbava era
quel sentimento … la gelosia.
Toglitelo dalla testa, la gelosia non è
roba
per te.
Già, forse è così.
Non mi fermerò mai,
porterò a compimento il furto. E poi …
laverò via tutti i miei problemi.
Mi
sentii
rinnovata, come se in un attimo tutte le paure, le preoccupazioni che
per poco
si erano affacciate alla mia porta fossero andate via. Cavolo, dovevo
ancora
imparare che non è così facile scacciare certi
fantasmi. Non so come, ma
riuscii a prendere sonno. Un sonno breve e tormentato. Rividi la
guerra, la mia
Wutai distrutta, disonorata … SOLDIER ovunque, la Shinra che
mette a ferro e
fiamme il villaggio. Mio padre che si arrende, la guerra è
persa. Tutto è
perso. Nulla ha più senso. E all’improvviso
… il buio che avvolge tutto. Sento
solo una voce … una voce che canta sempre la stessa canzone,
con voce
insistente … Una voce dolce e calma, una voce che porta
serenità.
La
pioggia che
cade fuori dalla finestra
Ho
scritto il
tuo nome con le mie dita
Con
chi sei ora?
Chi stai fissando?
Fissando.
Quella parola risuonò con uno strano eco, e mi fece
trasalire. “Cosa vuoi da
me?” dissi con voce tremolante.
Non
importa
quanto duramente io preghi
Non
ho
possibilità di starti vicino
Se
è così, spero
di poter cancellare
I frammenti dei miei
sentimenti
“Fai
silenzio … Stai zitta!!” ero esasperata,
continuava a ripetere sempre la stessa
cosa, sempre con lo stesso tono, e non si curava di me. Volevo
ucciderla, farla
stare zitta.
Questo …
Non accadrà
mai.
Non sono debole.
Non lo sono.
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