Mi è rimasta impressa una scena, del film A.I., una in
particolare.
Quando David visita i locali della Cybertronics a Manhattan, e si
imbatte nelle due file di androidi simili a lui.
Sappiamo che il vero David era il figlio di Allen Hobby.
Ma chi era la vera Darlene, la controparte bambina, che non compare nel
film ma il cui nome è scritto sulle scatole?
"Anche" mi sono detta. Ed è uscita questa fic. So che
è assolutamente inverosimile, ma mi piace così!
Dedicata a Brendan Gleeson, un Lord Johnson-Johnson
fantastico. Senza dimenticare la sua interpretazione di Mad-Eye Moody!
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Sapevo da anni della squallida relazione della mia ex moglie
con Allen
Hobby. Ed ero consapevole che probabilmente Darlene era sua figlia.
Con tutto ciò, adoravo quella bambina. Era così
diversa
dalla sorella maggiore. Dara era il mio vero ritratto: capelli stopposi
e mascella dura, stolida e scostante.
Darlene era un angelo, invece. E mi voleva bene, anche se in
realtà non ero suo padre e non avevo neanche provato a
fingere di esserlo.
Ma la tentazione di fare soldi, e guadagnare la fama, sfruttando a mio
vantaggio la follia collettiva dei
miei simili era stata troppo forte; da due anni la mia famiglia non
aveva più notizie di me.
Ugualmente disgustato dai Mecha e dagli esseri umani, davo la caccia
agli uni e godevo nel vedere gli altri, la folla pagante, chiedere a
gran voce che quella ferraglia venisse smantellata davanti ai loro
occhi.
Mi esaltavo con loro, e li odiavo, e odiavo me stesso per quello che
ero e che rappresentavo.
Lord Johnson-Johnson, il re della Flesh
Fair: lo spettacolo più lucroso dai tempi dei
gladiatori di Roma.
E venne quella maledetta sera in cui li sottovalutai, tutti loro.
Quando il Mecha-bambino cominciò a gridare, e a piangere
(piangere? andiamo, i
Mecha non piangono)
dimostrando di tenere alla propria identità
(assurdo... non era
possibile)
la gente se la prese con me, gridando che ero un mostro, che quello era
un bambino vero, e mi resi conto che provavano orrore all'idea
che venisse
(ucciso)
distrutto.
E cominciai anch'io a chiedermi chi fosse davvero quel robot che urlava
il proprio nome, spaventato. A quale punto era arrivata la tecnologia?
Esistevano Mecha con un cuore, dunque? Mecha destinati a prendere il
posto di un bambino vero?
- Stronzate - dissi tra me. - Forse Hobby l'ha programmato, e l'ha
fatto arrivare fin qui, per farmi dispetto. Perché oltre a
rubarmi la moglie, vuole anche mandare a puttane il mio lavoro.
Mi voltai e rivoltai nel letto.
- Non starò diventando un po' paranoico?
Avevo una gran nostalgia di casa.
Di Darlene.
Di lei, sì.
L'indomani sarebbe stato il suo compleanno... Chissà com'era
cresciuta, e che faccia avrebbe fatto a rivedermi, con i suoi codini
biondi e il vestitino a righe che ricordavo... mentre Dara, oh... lei
avrebbe alzato un sopracciglio con l'espressione di neoadolescente dark
e insoddisfatta.
E non appena si fece mattino, saltai sulla mia auto, e guidai fino alla
mia vecchia casa.
Ellen non avrebbe fatto i salti di gioia, ma che importava, era stata
lei a tradirmi per tutti quegli anni, e avevo pur diritto di rivedere
le mie figlie.
Suonai il campanello. Ellen mi aprì, e la sua espressione
non fu soltanto di sorpresa, o di disgusto, ma di autentico terrore.
- Suvvia, cara, chi pensavi che fosse, il tuo Allen?
(Ellen e Allen, che gran coppia, pensavo. Una bella coppia da fumetto)
- Che cosa vuoi?
- Passavo di qui - Feci spallucce. - Avevo voglia di rivedere le
ragazze...
Darlene. Soltanto lei.
- Andiamo, fammi entrare, dannazione!
- Ah, davvero? Accomodati. - Se ne andò in un'altra
stanza, lasciando la porta aperta. La spinsi, titubante, ignaro di
ciò che mi aspettava.
Strano, che abitassero ancora qui. Credevo che il professor Hobby
avesse abbastanza soldi da garantire a tutte e tre una vita agiata. O
forse lui e Ellen si erano lasciati?
Già. Anche lui era il tipo da pensare sempre e solo al
lavoro: lui a costruire robot, io a distruggerli... non c'era molta
differenza.
Entrai in cucina, aprii il frigo, per nulla sorpreso di non trovarci
nemmeno una birra. Ma c'era una torta di compleanno, avvolta
nella pellicola trasparente.
HAPPY BIRTHDAY DARLENE.
Sorrisi. C'erano un mucchietto di candeline nel portafrutta, sul tavolo.
Chissà se Ellen mi avrebbe lasciato partecipare alla festa.
Alzai gli occhi, e la vidi sulla soglia della cucina, con una sigaretta
tra le labbra.
- Dove sono le ragazze? - le chiesi, mentre non riuscivo a smettere di
chiedermi perché fosse così agitata. Non fumava
quasi mai, da che mi ricordavo.
- Fuori, in giardino. - Accennò alla porta a vetri che dava
sul retro. - Ma non ti aspettare un gran bentornato. A dirla tutta,
preferirei che te ne andassi - concluse, evitando il mio sguardo.
Sbirciai fuori, e un sentimento simile alla felicità mi
invase.
Darlene giocava con un cagnolino meccanico, e sembrava divertirsi un
mondo. Non era cambiata da quando me n'ero andato... mi sembrava di
essere stato via una settimana soltanto... buffo, no? Forse, se avessi
spalancato la porta e l'avessi chiamata, mi sarebbe corsa incontro,
saltandomi al collo, come un tempo. Ma non osai. Poi vidi Dara, che
prendeva il sole su uno sdraio, con un bikini succinto e occhiali da
sole che le coprivano metà del viso. Rimasi parecchio
imbarazzato, a quella vista. Lei sì che era cresciuta... e
mi somigliava ancora, più che mai.
Rimisi a posto la tendina.
- Forse hai ragione tu, Ellen.
- Non voglio aver ragione - Le mani le tremavano, mentre si accendeva
un'altra sigaretta.
Lo sguardo mi cadde sulle candeline.
Uno... due... tre...
Nove.
- Lord Johnson-Johnson. E' così che ti fai chiamare, adesso?
Rabbrividii.
- Vorresti riconquistarmi?
Se lei e Allen ci avevano davvero dato un taglio, perché no?
Ero stufo di stare sempre solo. Glielo chiesi.
- Con Hobby è finita?
- E' finita - rise. Il suo sguardo era paurosamente instabile. - Sta
finendo di lavorare a un progetto importante, non ha tempo per me. Non
c'è più niente che mi leghi a lui.
- Credevo... insomma, pensavo che Darlene...
Nove candeline?
Doveva compiere nove anni quando me n'ero andato.
Dov'erano le altre due?
Guardai sotto il tavolo, senza che Ellen lo notasse. Le due mancanti
non erano cadute. Semplicemente, non erano previste.
- Cosa cerchi, caro?
- N-niente.
- Perdere due figli è stato troppo per lui. E per me... - Si
morse le labbra. - Ho letto i giornali, so cos'è successo
all'ultimo spettacolo. Hai incontrato David, no?
David. Il Mecha-bambino. Quella voce implorante, quegli strilli di
paura... e l'odio della gente verso di me.
- Allora avevo ragione, c'era lui dietro. Maledetto Hobby! Perderemo
pubblico, d'ora in poi, e sarà tutta colpa sua! - grugnii.
- David era il figlio di Allen. E' stato in suo onore che ha creato
quel prototipo. E' incredibilmente perfetto, non trovi? Forse
verrà commercializzato entro l'anno prossimo, con il suo
corrispondente femminile.
Incredibilmente
perfetto. Un assemblato di ferraglia con i fiocchi, che sapeva
commuovere, e suscitare pietà.
- Mi chiedevi se Darlene fosse davvero di Allen. Lo era. Ma era affezionata a te.
Quel giorno che hai fatto le valigie per andare in California, e
sapevamo che non saresti tornato, lei continuava a gridare, ricordi?
Certo che me lo ricordavo.
- E ha cercato di correrti dietro, ricordi, Lord Johnson-Johnson? -
insistette con la voce rotta, gettando via la sigaretta e allineando
febbrilmente le candeline sul tavolo. - Mancava una settimana al suo
compleanno. Avrebbe voluto festeggiarlo con te... ma tu la stavi
abbandonando...
Andai di nuovo a scostare la tendina. Darlene era felice, adesso,
perché Ellen mi stava rimproverando a quel modo? Non era
solo colpa mia se il nostro matrimonio era finito.
- Oggi compie nove anni. Come l'anno scorso, quando Allen me l'ha
portata dal laboratorio della Cybertronics, e come l'anno prossimo, e
quello ancora... E' stato l'ultimo regalo di Allen... prima di
lasciarmi.
PERDERE DUE FIGLI
È STATO TROPPO PER LUI.
- Ellen, che stai cercando di dirmi?
LO ERA. MA ERA
AFFEZIONATA A TE.
- Quella là fuori... non è...
- Incredibilmente perfetta, non trovi?
Soffocavo. Spalancai la porta, e uscii in giardino, traballando. Dara
saltò su dallo sdraio, alzò gli occhiali sulla
fronte e mi corse incontro.
- Papà!
Darlene
(il robot di nome
Darlene targato Cybertronics)
continuava a giocare con il suo cagnolino, senza dar segno di
conoscermi.
Naturalmente.
- Papà, sei tornato...
Dara tentava di abbracciarmi, ma ero diventato di pietra.
Ellen parlò da dietro le mie spale.
- Perché tutto questo entusiasmo, Dara? E' stato lui a
uccidere tua sorella.
- Ma che dici, mamma, è stato un incidente! Guardalo,
è sconvolto...
Non riuscivo a piangere. Non riuscivo a gridare.
- Se non gli fosse corsa dietro, quel giorno, non sarebbe finita sotto
quell'automobile... sarebbe ancora con me, la mia Darlene, e non avrei
bisogno di questa copia meccanica!
La piccola Mecha si alzò, mentre il cagnolino continuava a
saltellarle attorno. Si mosse verso Ellen, gli occhi supplicanti,
l'identica espressione che avevo visto sul volto di David, alla Flesh
Fair.
- Sono io Darlene! Sono la tua bambina, e tu sei la mia mamma!
Ellen non rispose. L'altra insistette, indicando il cane:
- Joey non è vero. Io sono vera... perché ti
voglio bene.
Il mondo mi vorticava attorno. La casa, i cespugli di rose di Ellen, lo
steccato. Crollai sull'erba... e vomitai.
Dara si inginocchiò accanto a me; riuscivo a sentire le sue
dita sudate sulla nuca.
- Papà? Ce la fai ad alzarti?
Mi tese la mano. La fissai, e vidi i suoi brufoli di tredicenne, i
graffi sulle sue ginocchia. Quegli occhi identici ai miei. Lei era vera.
- Dara...
- Ora te ne andrai, vero?
Come sarei potuto restare? Quale essere umano avrebbe accettato di
vivere a quel modo?
- Portami con te.
Ellen e la Mecha-bambina erano rientrate in casa. Dara
ripeté:
- Sei mio padre, ho il diritto di vivere con te. Portami via...
E salì in camera sua, mentre mi chiedevo come potesse essere
cambiata così tanto, dalla creatura insensibile e noiosa che
era stata; e mi risposi che noi Orga sappiamo trasformarci in questo
modo, dentro e fuori, ed è questa la meraviglia dell'essere
vivi.
Mi domandai anche se avrei mai potuto perdonarmi la morte di Darlene, e
come sarebbero stati orrendi i miei incubi.
- Dove vai, sorellina? Non vuoi festeggiare il mio compleanno?
Alzai lo sguardo. Dara mi stava di fronte, con la maglietta di un
gruppo heavy metal e i jeans stracciati. Portava a tracolla un borsone
sportivo.
- Andiamo?
- Sei... sicura? - balbettai.
- Non ho fatto che aspettarti per tutto questo tempo... fammi venire
con te.
La finta Darlene prese a lamentarsi, e andò a chiamare
Ellen, mentre ci chiudevamo la porta alle spalle. Ebbi un altro brivido.
Qualche chilometro prima di raggiungere Rouge City, dovetti fermare
l'auto sul bordo della strada.
E scoppiai a piangere, finalmente.
Dara aspettò che mi passasse.
- Non ci voglio tornare più - disse poi.
- Ehi, ragazzina - risposi, tirando su col naso. - Verrai a trovare tua
madre tutti i fine settimana, è chiaro? E andrai a scuola, e
non pensare di fare quello che ti pare, siamo intesi?
Cercavo di assumere un cipiglio severo, ma il mio volto bagnato di
lacrime doveva essere buffissimo, perché mi sorrise,
annuendo.
La serie di Mecha-bambini non è stata mai messa in
commercio. Dopo che il prototipo di David si gettò dal
grattacielo della Cybertronics a Manhattan, Hobby si ritirò
dalla sua oscena professione.
Non ci sarebbero stati altri David in giro per il mondo... o altre
Darlene, se è per questo.
Io no, non mi sono arreso. Sera dopo sera, continuo a vendere agli
esseri umani la speranza che un giorno i Mecha scompariranno dalla
faccia del pianeta.
Dara ha sedici anni e ha un fidanzato, un gran bravo ragazzo. Orga,
beninteso. L'ho appurato quando gli ho mollato un pugno sul naso, il
giorno che li ho sorpresi a baciarsi davanti alla scuola. Meglio non
fidarsi.
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