1. Gambetto
… e c'è il pensiero di quel che deve conservare che si tiene dentro, al quale si aggrappa, non è un bel
pensiero, ma è tutto ciò che resta – è un pensiero orribile, marcio, ma è con quel pensiero che possono
vincere la guerra.
Severus Piton ha scoperto cosa tengono i Mangiamorte nella fortezza di Maeshowe. Severus Piton deve dirlo
all'Ordine. Severus Piton è stato scoperto dal Signore Oscuro, per questa ragione, ma se l'informazione
riuscirà ad uscire da quelle mura, se arriverà alle orecchie giuste, allora ne sarà valsa la pena.
Dà la colpa a Lily per quel che sta accadendo, ma senza rancore.
Il giorno in cui Severus Piton aveva visto il cadavere di Harry Potter trascinato davanti al trono
dell'Oscuro Signore era stato anche il giorno in cui aveva creduto di diventare pazzo davvero. Anche la
Cruciatus non aveva potuto molto, dopo, in confronto a quello.
Erano i frantumi di diciassette anni di piani e progetti, diciassette anni di speranze messe da parte,
diciassette anni in cui gli era stato chiesto di sacrificare tutto quel che poteva e lui l'aveva fatto, a
malincuore, a denti stretti, ma l'aveva fatto, perché la cosa che doveva compensare con i suoi sacrifici
era una cosa talmente grossa che nulla sarebbe bastata mai a pareggiarla sulla bilancia – gli occhi di
Lily del color delle foglie e le sue mani e il modo in cui il suo seno si era ammorbidito sotto alla lana
del maglione e il modo in cui aveva riso, con il capo piegato da una parte, la bocca socchiusa e i denti
bianchi, senza imbarazzo. L'aveva amata per tutte le cose che ricordava, e quelle che non ricordava e che
forse non aveva amato erano perse, perdute, ora che lei se n'era andata.
Neanche diciassette anni bastavano a far pari con Lily. E Potter era una noia, un impaccio, un fastidio,
un tormento, una spina nel fianco e un disturbo, una fonte continua di disgusto e nausea e rimorso, ma
Potter era anche tutto quel che restava di Lily, occhi e mani e tutto il resto, Potter era tutto quel che
restava di Lily ed era morto, Potter, adesso, rotto e finito e morto.
Niente più Potter.
Era un brutto colpo per la Profezia, aveva pensato Severus in quei primi momenti di confuso orrore, e poi
si era chiesto come diavolo fosse potuto accadere: chi fosse stato l'imbecille che aveva permesso a Potter
di finire a Maeshowe, lì, cadavere davanti al trono dell'Oscuro Signore.
Era un brutto colpo per la Profezia. E Lily, Lily, be', Lily...
Aveva detto che l'avrebbe protetto, e adesso era morto. Aveva detto che l'avrebbe protetta, e lei era
morta.
Aveva cercato di pensare che fosse un bene. Se Potter era morto, l'Horcrux era morto con lui: a Severus
non sarebbe mai stato chiesto di ordinare a Potter di andare al macello, come avrebbe voluto Albus. Non
avrebbe mai dovuto guardare Lily negli occhi – c'era Lily, dall'altra parte, c'era sempre Lily, ogni volta
che cercava James Potter nella faccia di suo figlio, per ferirlo ed odiarlo, e non gli riusciva mai come
avrebbe desiderato; così anche la soddisfazione aveva un sapore amarissimo – e dirle che lo mandava a
morire, di nuovo, perché qualcun altro vivesse.
Forse era così che doveva andare. Forse era così che sarebbe dovuta andare da sempre. Potter era morto.
L'Horcrux, distrutto.
La Profezia, forse...
Avevano portato via il cadavere, e Severus non sapeva dove. Si era aspettato di vederlo ricomparire – in
pezzi, magari, nelle strade di Diagon Alley, la testa inchiodata alle porte di Hogwarts – ma sembrava
fosse sparito nel nulla. Bellatrix girava con una faccia soddisfatta del gatto sazio e a Severus venne da
chiedersi in un momento di follia, un giorno, se non l'avessero mangiato, perché Bellatrix era fuori di
testa e l'Oscuro Signore aveva portato il concetto di pazzia a nuovi livelli. Sarebbe stata una cosa
mostruosa da farsi, ma non più mostruosa e orribile e assurda di altre che aveva già visto, alle quali
aveva già assistito, alle quali aveva contribuito.
Lily, Lily. Gli occhi verdi di Lily, digeriti.
Gli incubi di quella notte erano stati particolarmente osceni.
Severus aveva scoperto come e perché Potter era morto. Se avesse potuto riportarlo in vita, l'avrebbe
fatto, solo per poterlo strangolare di persona.
Ma se fosse stata Lily, si era chiesto poi. Se fosse stata Lily, bianca come un giglio, se avesse saputo
che Lily era sotto alle dita, alle unghie di Bellatrix, con i Carrow e i Lestrange e l'Oscuro Signore, lui
non sarebbe andato, non sarebbe venuto, per cercare di salvarla?
Lily, Lily, Lily. Forse era un bene che l'Horcrux fosse andato distrutto, ma Lily, Lily, Lily.
Aveva detto che l'avrebbe protetto, per lei, e adesso era morto.
E poi, un bel mattino, l'Oscuro Signore l'aveva fatto chiamare e gli aveva detto c'è qualcosa che
voglio farti vedere, Severus, e Severus l'aveva seguito. Erano scesi giù, giù, giù, sempre più giù,
sempre più in fondo nei cunicoli terrosi di Maeshowe, quelli che conservavano l'odore dei morti e delle
tombe, dove l'unica luce che arrivava era quella delle torce. Era sempre buio, a nord della Scozia, ai
margini settentrionali della Gran Bretagna, la luce era come azzurrata anche nei giorni d'estate e
sembrava filtrare a fatica, cristallizzata, attraverso i corridoi della fortezza-sepolcro.
E c'era una tomba, in fondo a Maeshowe, una tomba, una cella, in mezzo ad una fila di altre tombe tutte
uguali, cellette strette dal soffitto basso e dall'odore fetido di quelli che i Mangiamorte portavano lì,
rovinandoli e spezzandoli finché quel che restava non era quasi più una persona.
Non era quasi più una persona neanche quella cosa rotta e nuda nella tomba in fondo a Maeshowe, ma era
viva, viva e respirava, e Severus non l'avrebbe riconosciuto se non avesse alzato la testa e non li avesse
guardati e non... e non...
C'era Lily dall'altra parte. C'era sempre Lily.
Questo poteva essere un problema, si era detto Severus. Qualcuno gli strillava nel fondo del cervello e in
un primo momento lui non riuscì a pensare altro che questo, questo, questo poteva essere un grosso
problema.
Il Signore Oscuro sapeva dell'Horcrux. Il Signore Oscuro sapeva dell'Horcrux e non voleva più Potter
morto, certo che no, non il suo settimo Horcrux, non adesso che il medaglione era sparito e il diario era
saturo di veleno e l'anello era stato rotto, non adesso che era diventato troppo pericoloso continuare a
tagliarsi via sezioni di anima.
Il Signore Oscuro era folle e allucinato, ma non era imbecille: l'aveva capito – troppo tardi! – che
continuare a giocare al chirurgo con la propria anima l'avrebbe lasciato con la mente devastata,
ossessionata, poco più che l'ombra del giovane geniale e affascinante che era stato un tempo.
Perciò, Potter gli serviva vivo. Ma Potter non gli serviva intero, non necessariamente, e così lo
stavano rompendo, adesso, Potter, e insieme a Potter andavano in pezzi anche i piani di Albus.
Potter era vivo, aveva pensato Severus al principio, e per i primi giorni dopo averlo visto in
quella cella a Maeshowe aveva sperato che continuassero a tenerlo in vita, sperato che la tirassero per le
lunghe. Il terzo giorno, il quarto giorno, aveva pregato che l'Oscuro Signore continuasse a trovarlo
divertente, e così dopo una settimana, tredici giorni più tardi, quindici. Poi aveva smesso di pregare del
tutto. Ogni volta che cominciava a formulare la cosa tra sé e sé, fa' che anche oggi sia vivo,
scopriva un pensiero traditore ed egoista che gli strillava senza voce nelle orecchie, fa' che muoia,
fa' che muoia, se solo fosse morto, fa' che muoia, la morte sarebbe stata l'estrema pietà.
Perché lo stavano rompendo, Potter.
Vedere le mani di Lily senza più forma e gli occhi di Lily sotto le unghie di Bellatrix e la voce di Lily
si sovrapponeva nei momenti sbagliatissimi a quella di Potter che urlava, e Severus si chiedeva che cosa
ne avrebbe pensato, Lily, di vederlo così. Che cosa stesse pensando Lily. Che cosa pensasse di lui.
Era stato un mese molto lungo.
Non poteva dirlo all'Ordine. L'Oscuro Signore non si fidava veramente di lui, e Severus non aveva più
lasciato Maeshowe da quando le prime barriere della fortezza erano state chiuse. Sarebbe potuto fuggire –
ma, se l'avesse fatto, era certo che Potter sarebbe stato fatto scomparire: altrove, da qualche altra
parte, in Inghilterra o in Albania o... o ovunque. Il Signore Oscuro poteva occultarlo ovunque.
Se Severus fosse scappato, se Severus fosse andato ad informare l'Ordine, Potter sarebbe stato fatto
sparire nel nulla.
Non poteva scappare. Non poteva comunicare con l'Ordine. Non poteva lasciare Potter a Maeshowe.
Una volta escluse queste, le opzioni che restavano non erano numerose.
Il piano non era stato uno dei suoi piani più felici. Di questo, Severus dava la colpa a Lily: aveva
trascorso tredici giorni sognando le sue mani abbandonate sul materasso di una culla da bambino, svuotate
e morte, e si era svegliato al mattino con l'impressione di avere ai piedi del letto la cerva d'argento.
La vedeva ogni volta che si radeva la barba, lì, in un angolo dello specchio, nei riflessi dei vetri,
delle pozzanghere: ma, quando si girava, la cerva non era più lì.
Sarebbe bastato a far diventare matto un uomo meno paziente.
Aveva aspettato che l'Oscuro Signore decidesse di essere annoiato, sufficientemente annoiato da decidere
di partecipare ad una retata a Londra. L'aveva guardato partire circondato da un'orda nera di Mangiamorte
e poi era andato a cercare Bellatrix.
In assenza dell'Oscuro Signore, era Bellatrix che reggeva il fortino: e Bellatrix era astuta e crudele e
potente, ma aveva le sue debolezze – come le avevano tutti.
Avvelenare la cena di Bellatrix e consorte aveva richiesto alcune ore. Troppe, in effetti: aspettare
troppo a lungo era pericoloso, perché le retate potevano finire improvvisamente, l'Oscuro Signore poteva
tornare da un momento all'altro, tutto poteva andare in fumo in un attimo, lasciando Severus con la
schiena esposta, rivelato, scoperto. Severus aveva aspettato il tempo necessario a che il veleno facesse
effetto – l'odio negli occhi di Bellatrix, quando si era resa conto di cosa stesse accadendo, palpabile e
pulsante come una cosa viva – e poi li aveva lasciati a morire nel corridoio, tutti e due, lei e il
marito. Non era rimasto a guardare.
In retrospettiva, un grosso errore.
Potter non gridava più. Potter non gridava più da alcuni giorni. Potter non parlava, non reagiva, ma
respirava, era vivo, vivo vivo vivo, e, quando Severus era entrato nella cella, aveva alzato
la testa e l'aveva guardato. C'era Lily là dietro. Lily, sempre Lily.
Severus aveva guardato Lily e le aveva detto:
“Dobbiamo andare.”
Lily – Potter – non era in grado di mettersi in piedi, forse era in grado di sollevare un braccio, certo
non di camminare. Le scale di Maeshowe sarebbero state un ostacolo insormontabile, e a Severus servivano
le mani libere. L'aveva fatto levitare con un colpo di bacchetta e si era girato per lasciare la
cella.
Giusto fuori dalla porta, c'era il Signore Oscuro ad aspettarlo, con Bellatrix alle spalle e Rabastan poco
dietro, pallidi e con i visi pieni d'odio crudele.
“Ah, Severus...” aveva detto l'Oscuro Signore, ed aveva sorriso: un sorriso lungo, serpentino, spalancato
a scoprire denti che parevano aguzzi. “Severus, Severus, Severus.”
In retrospettiva, ecco: non uno dei suoi piani più felici.
E' otto giorni più tardi che Severus capisce che non sarà in grado di lasciare Maeshowe. Non glielo
permetteranno. Non ne resterà abbastanza, di lui, da poter uscire.
Così si mette via, un pezzo alla volta, si mette via, nascondendo cose importanti sotto a cose meno
importanti, costruendo ricordi e strutture che gli permettano di traghettare quel che serve da una parte
all'altra della sua ordalia. Nono giorno, sparisce Hogwarts, decimo, sua madre, Draco e la luna,
ingredienti e nomi e visi, undicesimo, dodicesimo, Albus, anche Albus sparisce insieme a tutti gli
altri.
Non ha ucciso Albus. Si aggrappa a quel ricordo finché non scompare.
Non ha ucciso Albus.
Dà la colpa a Lily, ma senza rancore, prima di mettere via il pensiero di Lily, di perderlo, via, via
sotto a tutti gli altri, nascosto nel fondo dei suoi ricordi sepolti; dà la colpa a Lily di tutto quel che
è accaduto. Lily, Lily, bianca come un giglio, se non fosse mai esistita non si sarebbe avuta nessuna
Profezia, mai, e Severus non avrebbe potuto tradirla, mai, ed il presente non sarebbe stato una tomba da
vivo nei sotterranei di Maeshowe.
Senza rancore. La memoria di Lily è l'odore di ottobre. L'aura verde del vento. Lily gentile. Bianca come
un giglio.
Prima che venga buio occulta finalmente il ricordo per cui è lì: quello che l'ha portato in una cella
buia, nelle mani dei Mangiamorte, traditore, con la sua colpa scritta nella carne. Il Signore
Oscuro non può manometterlo più, non può strapparglielo più via. Severus Piton ricorda. Severus Piton
ricorderà, ricorderà, se ne ricorderà quando sarà il momento, e quel ricordo vincerà la guerra. La notte,
sparisce la memoria del suo nome, ma
ma Harry Potter è vivo.
Con quel ricordo vinceranno la guerra.
- - -
“Un Horcrux,” disse Kingsley.
Vivo, pensò Hermione. Vivo, vivo, vivo. Se avesse continuato a ripeterselo
abbastanza a lungo, forse avrebbe cominciato a crederci.
Pioveva: l'aprile avanzato sembrava non aver intaccato affatto l'inverno perpetuo della Londra dei
Dissennatori, e la pioggia che scendeva fuori dalle finestre era densa, gelida e tagliente. Il vento
soffiava con tanta violenza da far tremare i vetri, ed Hermione pensò che era il tempo giusto. Si sentiva
così, dentro, vibrante, accesa, e tutti i suoi pensieri le parevano viscidi e scivolosi come pietra
bagnata: cercava di afferrarli, ma le sgusciavano tra le dita.
“Un Horcrux,” disse ancora Kingsley. Sembrava non riuscire a fare a meno di ripeterlo, la bocca tirata
come se le parole non avessero avuto precisamente un buon sapore. “L'Horcrux di Voldemort.”
Draco, afflosciato sulla poltrona, emise un vago suono d'assenso. Aveva lo sguardo fisso su Piton; forse
pensava che, se non l'avesse tenuto d'occhio, l'uomo avrebbe smesso nuovamente di respirare. Il Pensatoio
in mezzo a loro emanava una luce d'argento pallidissima, evanescente, che tracciava ombre inquietanti come
fantasmi sul pavimento.
“Spiegherebbe molte cose,” disse Draco, il tono strascicato.
Moltissime, pensò Hermione, ma non lo disse. I sogni. Il Serpentese. Il modo in cui erano sembrati
conoscersi così bene, lui e Voldemort, legati a doppio filo.
E Silente lo sapeva. Silente l'aveva saputo. E non aveva mai detto niente.
Hermione non sapeva se fosse dolore o colpa, quel che sentiva, paura o confusione o nausea, sapeva solo
che faceva stramaledettamente male e che avrebbe voluto smettesse subito. Avevano creduto a Silente,
l'avevano seguito, lei e Ron ed Harry, avevano fatto tutto quel che il vecchio aveva detto loro, e per
tutto quel tempo lui aveva saputo e non aveva detto niente e si era aspettato che Harry
andasse a morire, alla fine.
Neville smise di passeggiare avanti e indietro nella stanza e disse, stancamente:
“Sono passati tre anni. Nel frattempo, Harry potrebbe essere stato ucciso.”
“Uccidere l'Horcrux?” lo interruppe Draco, la voce vacua, senza togliere di dosso gli occhi da Piton.
L'esaurimento sembrava non far niente per migliorare la sua faccia aguzza: con le occhiaie fonde, la pelle
tesa, il Pensatoio a gettargli il viso in un'aura verdognola, pareva il cadavere di un annegato. “E perché
mai avrebbe dovuto farlo? Ce l'aveva in mano, era lì, non poteva scappare. L'Ordine lo credeva morto e
nessuno lo avrebbe cercato! Era la situazione perfetta!”
Nessuno lo avrebbe cercato, pensò Hermione. La nausea la invase, vuota, sorda. Nessuno era andato a
cercare Harry. Nessuno aveva pensato potesse essere ancora vivo. Lei non lo aveva pensato. Lei non lo
aveva cercato.
L'aveva abbandonato, realizzò.
Quando tornò in sé era piegata in due, la testa tra le ginocchia e la gola in fiamme. Qualcuno l'aveva
messa a sedere su una poltrona e l'aveva spinta giù, e qualcuno le stava premendo una mano sulla nuca ed
una sulla fronte.
“Su, su,” le disse Draco. Suonava un po' più che vagamente nel panico: non era mai stato bravo, Draco, a
gestire i problemi altrui. “Non è il momento di cedere all'isteria, Granger.”
Dargli uno schiaffo le avrebbe fatto bene, si disse Hermione. Schiaffeggiare Draco era generalmente una
buona idea. Non lo fece, però: aveva paura che, se avesse staccato le dita dai braccioli della poltrona,
avrebbe vomitato di nuovo.
Sentì Neville far Evanescere la chiazza già sul pavimento e Shacklebolt proporre di rimandare ogni
discussione ad un altro momento, quando Piton si fosse svegliato ed Hermione fosse stata...
“No,” gracchiò Hermione. Draco le batté una goffissima, minuscola pacca su una spalla che avrebbe anche
potuto essere un gesto di conforto, prima di lasciarla andare. Lei si tirò dritta a sedere sulla poltrona:
“Ne parliamo adesso.”
Neville e Shacklebolt si guardarono ed Hermione ebbe quasi l'impressione di poter sentire la conversazione
di non detti che si scambiarono in quella lunghissima occhiata; prima che la cosa potesse irritarla
veramente, tuttavia, Draco urtò Neville, passandogli accanto sulla via della poltrona, con uno sbuffo
d'irritazione. Neville aggrottò la fronte e si lasciò cadere su una sedia.
“Molto bene. Parliamone adesso. Parliamo degli Horcrux.”
“Ne abbiamo già parlato, degli Horcrux,” replicò Hermione, esasperata. “Ne abbiamo parlato finché c'era
qualcosa di cui parlare, e poi abbiamo smesso di parlarne quando abbiamo esaurito le cose che
sapevamo.”
Neville batté un dito sull'orlo del Pensatoio.
“Ma adesso c'è Piton,” osservò in tono mite. “Piton potrebbe saperne di più.”
Draco fece strisciare la poltrona sul pavimento quel tanto che serviva per continuare a tenere d'occhio
Piton e, contemporaneamente, fissare gli altri.
“Anche ammettendo questo, finché Potter è a Maeshowe, uno degli Horcrux almeno resterà ben al sicuro nelle
mani dell'Oscuro Signore.”
Hermione sgranò gli occhi:
“Non possiamo...”
“Forse...” la interruppe Neville, fissandola: “... non potremo salvare Harry, Hermione. Abbiamo già
provato a entrare a Maeshowe. Avete già provato ad entrare a Maeshowe. Avete visto com'è andata.”
Hermione si afflosciò sulla poltrona. Sentì la nausea rivoltarle lo stomaco e si sforzò di ricacciarla
giù, di tenere tutto dentro.
Lasciare Harry a Maeshowe.
L'hai già fatto una volta, le disse una vocina nel fondo della sua testa, e lei cercò di dire che
no, no, no, non l'aveva fatto: ma non riusciva a credere neanche a sé stessa.
“C'è il rito delle Patil,” intervenne Shacklebolt.
Neville piegò il capo da una parte.
“Se funziona,” osservò.
Hermione pensò ai fogli del rito che aveva lasciato al piano di sotto prima che la signora Weasley
corresse a chiamarli e li portasse da Piton, Piton che sembrava stesse morendo e che invece si stava
svegliando, Piton pieno di ricordi da consegnare. Pensò che gli schemi che aveva visto sembravano
ragionevoli. Pensò che si potevano verificare. Controllare. La nausea sembrò rannicchiarsi in un angolo di
fronte all'ondata di improvvisa, quasi involontaria, speranza che l'assalì.
“Possiamo controllare,” disse. “Possiamo provare. Non possiamo lasciare lì Harry, Neville. Tu lo sai. Non
possiamo lasciare lì Harry, non possiamo non fare nulla per salvarlo.”
Neville chinò il capo.
“Potrebbe non essere rimasto più molto da salvare, Hermione,” disse, pianissimo, dopo un momento di
silenzio. “Hai considerato questa possibilità?”
L'aveva considerata. Dio, se l'aveva considerata.
“E se la Profezia avesse ancora valore?” replicò. Non le importava, non le importava, non le importava
nulla della Profezia, nulla, non in quel momento, non le importava, importava che c'era Harry ed era vivo
e forse, forse, forse si poteva salvare, Harry, Ron era morto, ma Harry... Si ritrovò a
bisbigliare, quasi, per paura che alzare la voce avrebbe infranto la magnifica speranza che nella sua
testa andava ripetendole che Harry era vivo, era stato vivo quando avevano creduto che fosse morto, e
forse lo era ancora, vivo, vivo, vivo: “Hai detto che non ci saremmo arresi. Se non facessimo nulla,
adesso, non sarebbe come arrendersi? Il professore pensava che ne valesse la pena, di essere scoperto e
torturato, per salvare Harry.”
Draco aprì bocca e fece per dire qualcosa; ma poi dovette ripensarci, e la richiuse di scattò. Neville
fissò Hermione in viso per un lunghissimo istante, prima di chiederle:
“Pensi veramente sia la cosa migliore da fare?” Alzò una mano, fermandola prima che potesse rispondergli.
“No, pensaci. Pensi veramente che sia la cosa migliore da fare, non per Harry, per noi? Siamo tutto quel
che resta. Dopo di noi non ci sarà nessun altro. Siamo tutto quello che resta del mondo com'era prima,
tutto quel che resta davanti a Voldemort. Pensi davvero che sia la cosa giusta da fare, rischiare qualcuno
di quei pochi che restano nella speranza che tre anni a Maeshowe abbiano lasciato qualcosa da
salvare?”
Fu il turno di Hermione di aprire bocca e poi richiuderla. Avrebbe voluto strillare che sì, era la cosa
giusta da fare, sì, salvare Harry era la cosa giusta, era giusto, lei l'aveva abbandonato e non
voleva abbandonarlo mai più, voleva ritrovarlo, portarlo via da lì, liberarlo, salvarlo, guarirlo. Ma
Neville aveva ragione – c'erano solo loro. Nessun altro. Soltanto loro.
Erano andati a salvare Ginny ed avevano quasi perso la guerra. E adesso, Harry?
Pensò all'egoismo. Pensò che si poteva essere egoisti in molti modi.
Ma.
Neville aveva ragione – ma Neville aveva ragione: tutto quel che restava del mondo com'era prima era lì, a
Grimmauld Place. Il resto del mondo era inverno e Mangiamorte e nel mezzo, come un'isola, loro. Erano
sempre meno, sempre più deboli, sempre più stanchi, spaventati, scarnificati e cicatrizzati, sempre più
impotenti mentre la marea saliva e i punti in cui il mondo era salvo e sicuro si facevano sempre più
piccoli, più piccoli, più piccoli. Se fosse continuata così, pensò Hermione, presto non ci sarebbe più
stato nessuno a cui importasse come il mondo era prima.
“Sì,” disse. “Se non per Harry, per noi.” Agitò una mano e sentì il suo corpo sprofondare nella poltrona,
affondare, come la stoffa avesse ceduto sotto al peso della sua infinita stanchezza: “Possiamo andare
avanti come siamo andati avanti finora, ma non durerà a lungo. E presto non resterà nessuno ad andare
avanti. Ma se c'è una Profezia e se c'è la possibilità che sia ancora lì, che possa funzionare, se
Harry è vivo, se c'è qualche speranza...” Serrò le labbra. “Se c'è qualche speranza. Probabilmente
moriremo tutti comunque, Neville, ma mi piacerebbe molto morire provandoci.”
“Supponiamo di riuscire a liberarlo,” mormorò Neville, l'espressione indecifrabile. “Supponiamo di
riuscire a liberarlo. A riportarlo qui. Supponiamo che sia ancora Harry. Resta la questione dell'Horcrux.
E' dentro di Harry, e non si toglie un Horcrux da una cosa senza romperla. Saresti capace di ucciderlo,
Hermione? Se servisse, ne saresti capace?”
Ad Hermione tremò un sì, sulle labbra, che avrebbe avuto sapore di menzogna. Pensò ad Harry. Harry buono,
Harry caparbio e ottuso, certe volte, Harry che era stato il suo migliore amico per così tanto tempo,
tantissimo, nel bene e nel male, Harry tanto pieno di coraggio che aveva strabordato da lui come da un
vaso troppo pieno, che si era buttato nel mezzo delle cose e non si era mai tirato indietro, Harry che si
era fermato, a Maeshowe, per permettere loro di fuggire.
“L'Harry che ricordo,” disse Hermione, piano, “vorrebbe che io lo facessi.”
Neville sorrise come suo malgrado: il sorriso gli tese la crosta che aveva sulla guancia sinistra e fece
spostare tutta la fasciatura che gli nascondeva l'occhio, ma fu malgrado questo una buona qualità di
sorriso. Il Neville che Hermione ricordava aveva sorriso sempre un po' così.
Lui alzò la testa ad incontrare lo sguardo di Shacklebolt e, quando questi annuì, disse lentamente:
“Allora ci saranno delle ricerche da fare. Se quel che le Patil hanno portato non funziona, questa
discussione potrebbe rivelarsi inutile. Hermione, tu ed Opal lavorerete con Padma e Calì sul rito di
Brodgar; è da considerarsi una priorità, perciò sarete escluse dalle ronde, dalle spedizioni, da qualunque
altra cosa. Se qualcuno obietta, mandatelo da noi. Draco, abbiamo bisogno di sapere che cosa il professor
Piton sa degli Horcrux – se sa qualcosa. Anche questa è una priorità: finché il professore non si sveglia,
anche tu sei fuori dalle ronde. E immagino che ci servano altri Mangiamorte vivi.”
Shacklebolt intervenne quietamente, fissando prima Hermione e poi Draco:
“Questa discussione non deve uscire da questa stanza.”
Hermione insorse, inorridita:
“Cosa?”
“Mi hai sentito. Nessuno a parte noi quattro – cinque, contando il professore – deve sapere che c'è la
possibilità che Harry Potter sia ancora vivo. Tenete la cosa per voi, per ora. Non parlatene con
nessuno.”
“Tranne che con Remus,” disse Draco. C'era una sfumatura di ostinazione, nella sua voce, che fece
aggrottare la fronte a Shacklebolt. Neville si raddrizzò sulla poltrona, pronto ad obiettare, ma
Shacklebolt lo trattenne.
“Remus,” ripeté. “Qualche ragione per cui dovrebbe essere incluso?”
“Non sarà affatto contento di sapere che gli abbiamo mentito. Meno contento degli altri,” ribadì Draco, il
tono distaccato. “Non sarebbe utile tenerlo all'oscuro.”
Neville e Shacklebolt si scambiarono l'ennesima occhiata eloquente; Hermione pensò che, se l'avessero
fatto ancora in sua presenza, avrebbe dato in escandescenze.
“Molto bene,” acconsentì Shacklebolt alla fine, mitemente. “Tranne che con Remus.”
“Madama Chips ha sentito il professor Piton, prima,” osservò Hermione.
“Parlerò io con Madama Chips.”
Hermione abbassò il capo:
“Agli altri non piacerà sapere che l'abbiamo tenuto nascosto,” disse piano.
Neville replicò con una scrollata di spalle:
“Preferisco che siano arrabbiati con me, piuttosto che dover avere a che fare con le conseguenze di una
serie di spedizioni clandestine a Maeshowe in cerca di Harry. Quando sapremo qualcosa di più – se sapremo
qualcosa di più – la cosa andrà ai voti.”
Dopo un momento di silenzio, Draco si alzò in piedi.
“Be'. Se nessuno ha altro di utile da dire, io ho delle cose da fare.”
Nessuno gli chiese che cose da fare avesse, precisamente – nessuno in quella stanza era stupido – e Draco
se ne andò senza salutare. Hermione si chiese oziosamente se Remus fosse ancora con Angelina. Se Angelina
stesse bene. Se Remus avesse saputo di Piton, se non fosse proprio fuori dalla porta ad aspettare, se
Draco avrebbe avuto difficoltà a spiegargli...
“Credevi veramente in quel che hai detto prima?” le chiese Neville.
Ad Hermione ci volle un momento per capire a cosa si stesse riferendo.
Annuì. Ci aveva creduto. Ci credeva. Ci avrebbe creduto anche se avessero fallito, anche se tutto fosse
andato nel peggiore dei modi possibili, perché la cosa in cui aveva creduto era una cosa per la quale ne
valeva la pena di fallire e morire.
C'erano buone possibilità che sarebbero morti tutti comunque: tanto valeva andarsene così, provando,
tentando, invece che in quella lenta, agonizzante, strascinata maniera che stavano sperimentando da tre
anni a quella parte, la morte per inedia di tutte le speranze.
“E tu?” chiese a Neville. “Tu ci credi?”
Neville le sorrise di nuovo. Era incredibile come bastasse quel sorriso a riportare il suo volto, croste e
bende e lividi compresi, ai tempi della scuola, quand'era stato goffo e grassottello e con tutto quel
coraggio ancora acerbo, ben nascosto, a germogliare sotto a tutto il resto.
“Oh...” replicò lui, chiudendo gli occhi. “E' sempre stato molto complicato non credere in Harry.”
E, ecco, pensò Hermione.
Non c'era molto altro da dire.
Note: Partiamo dalle cose importanti. Un
grazie sentitissimo a duedicoppe, che ha
betato con la solita precisione, rapidità e pazienza anche questa storia. Per la seconda volta in troppo
poco tempo, le ho spedito una storia con una data di scadenza di poche ore.
Un grazie anche a dierrevi, che mi ha
aiutata per la parte grafica (anche se stava lavorando).
Se non avevate mai letto una storia appartenente alla serie di Come (non) doveva andare, vi siete trovati su questo capitolo, lo avete seguito fino a
qui e non ci avete capito un accidenti di un beatissimo niente... nessuna paura: è tutto normale. Siamo
ormai agli ultimi colpi (per essere precisi, penultimi) della serie, e non posso più riprendere e ripetere
di volta in volta una spiegazione dell'ambientazione: se lo facessi, non si andrebbe più avanti.
Considerate questa storia come il capitolo centrale di una storia più lunga, che ho suddiviso in vari
pezzi all'interno di una serie.
In particolar modo, temo che per seguire questo specifico capitolo dobbiate aver letto almeno La scatola bianca. Mi dispiace. Si può leggere anche senza, ma sospetto non abbia molto senso, vero?
Tornano per il terzo anno di fila le domeniche buie: una storia per il fandom di Harry
Potter per ogni domenica di maggio, con un'ambientazione necessariamente tetra, distopica,
inquietante. Per quest'anno, tre o quattro delle domeniche buie saranno occupate dagli
aggiornamenti di questa storia in più capitoli, con un capitolo di La strada sbagliata a seguire.
A meno che non mi giunga un'improvvisa illuminazione. Tutto è possibile.
I sommersi e i salvati è l'ultima opera
di Primo Levi, chimico, sopravvissuto al campo di
concentramento di Auschwitz, poeta e soprattutto autore, autore di romanzi, autore di saggi, autore di racconti
bellissimi e inquieti. Scriveva fantascienza, Levi. Era un narratore prima che un testimone: ma
quest'ultima opera è soprattutto una testimonianza, lucida e terribile, dell'esperienza dei campi e delle
sue conseguenze.
Mi sento molto Bacio Perugina che scippa brani da Petrarca per appiccicarli ai cioccolatini, ma il titolo
si è incastrato lì in un qualche momento della stesura della storia e non se n'è più voluto andare.
Il gambetto, invece, è un'apertura classica degli
scacchi che prevede il sacrificio di uno o più pedoni nella prima fase della partita. E no, non gioco a
scacchi. Sono una frana a scacchi. Però, ho guardato tutte le puntate di Last Exile. x°°°D
Ringraziando ancora una volta, e sinceramente, tutti quelli che hanno seguito questa serie fino a qui, che mi hanno appoggiata e che mi hanno messo voglia di proseguire fino alla fine. Mi
auguro che le nuove svolte non vi deludano. |