Note
dell'autrice: Ohilà
ragazze ^^, eccomi qui con questa benedetta one-shot! Non voglio
svelarvi nulla, solo che ci sarà un po' di tristezza
ç___ç
Come
sempre, mi rimetto al vostro giudizio!
Vi
auguro buona lettura e vi invito a leggerla con un brano tratto dalla
colonna sonora del “Signore degli Anelli” e de
“lo Hobbit”,
Evestar
– che è anche il titolo della storia ;)
http://www.youtube.com/watch?v=im5CIpMFo4Q
Evenstar
Evenstar
I
passi risuonavano forte lungo il corridoio di pietra nera e i gradini
lisci; si fermò su una piattaforma, stringendo la ringhiera
dorata
tra le dita. Fece vagare lo sguardo giù, ai vari livelli e
abitazioni che si scorgevano, osservando alcuni gruppetti di nani che
passeggiavano o si scambiavano qualche parola.
Sentì
dei saluti e, girandosi, notò dei fabbri alle sue spalle;
ricambiò
con un cortese cenno del capo, proseguendo il cammino verso i livelli
superiori, alle stanze della corte reale.
Il
pomolo della larga spada tintinnava contro il grosso anello infilato
nel dito medio, accompagnandolo fino alla camera prescelta; davanti
alla porta di legno bussò, sentendo la voce famigliare
ordinargli
d'entrare: non appena mise piede oltre la soglia, la figura gli
rivolse un caloroso e sincero sorriso, al quale rispose con uno
più
stretto.
La
guardò avvolta in quell'abito viola scuro ornato di fili
d'oro e
gemme preziose, in un bel contrasto con la pelle chiara tipica delle
nane di Erebor; i capelli ribelli e lunghi fino a metà
schiena
ospitavano alcune treccine fermate da placche metalliche, simili a
quelle che terminavano le sue trecce ai lati del volto.
Sembrò
accorgersi che qualcosa non andava nei suoi tratti, poiché
il
sorriso le si spense e gli lanciò uno strano sguardo,
aggrottando le
sopracciglia scure.
<<
Qualcosa non va, Thorin? >> domandò, iniziando
a preoccuparsi.
Lui
non disse nulla, limitandosi a percorrere con brevi passi la distanza
che lo separava dal letto della giovane, sedendosi sul materasso;
portò le dita intrecciate al mento, osservando un punto
indefinito
sul pavimento.
Karin
seguì il suo esempio, sedendoglisi accanto; giunse le mani
in
grembo, rimanendo in silenzio: sapeva bene che non doveva forzarlo a
parlare. Quando avrebbe decretato il momento adatto le avrebbe
rivelato ciò che lo tormentava: e così fu, non
appena gli si mise
al fianco.
<<
Gli ultimi comportamenti del sovrano mi tormentano. La sua malattia
è
sempre più forte, e lo sta trascinando sempre più
nella... >>
non pronunciò la parola follia,
lasciando che la voce bassa si spegnesse.
Karin
evitò di incrociare il suo sguardo, sapendo che Thorin non
sarebbe
stato felice di leggervi pietà e tristezza.
Ma
era anche vero che, ora più che mai, il principe aveva
bisogno di
conforto: e se era venuto da lei, doveva parlare, fare qualcosa.
<<
E' uscito dalla stanza del tesoro? >>.
Thorin
scosse mesto la testa << Nemmeno una volta. È
rinchiuso là
dentro da ore, evitando riunioni importanti col Consiglio, alle quali
un sovrano – di norma – dovrebbe presiedere; mio
padre non potrà
sempre fare le sue veci >> concluse, gli occhi chiari
assottigliati.
Karin
annuì distratta, posandogli piano la mano sul braccio; il
principe
continuò a guardare dritto avanti a sé ma le dita
le accarezzarono
il dorso, in un muto ringraziamento per essere lì ad
ascoltarlo. E a
sostenerlo.
Non
lo illuse con la promessa che sarebbe andato tutto bene,
perché
entrambi sapevano che non sarebbe successo: quelli erano tempi bui,
nei quali dovevano trarre dall'altro la forza necessaria per
continuare a vivere. Rifugiarsi nelle bugie e nelle chimere non li
avrebbe aiutati di certo.
Improvvisamente
malinconica, ringraziò col cuore il cambio di discorso di
Thorin,
anche se la portò su un altro argomento spinoso.
<<
Hai ricevuto la lettera di Dís?
>> domandò, la voce mortalmente stanca.
<<
Sì >> rispose lei, abbassando gli occhi verso
le loro mani
intrecciate << A dispetto di come ci siamo lasciate
quando è
partita le sue parole non erano ostili, ma gentili. Ma la vecchia
confidenza... non so, l'ho sentita lontana
>>
si rabbuiò ripensando alle parole vergate con l'inchiostro
nero ed
alla sua migliore amica che, ora, era felicemente sposata con un nano
dei Monti Azzurri.
<<
Da quello che ha scritto, pare che Rili la tratti con rispetto
>>
mormorò Thorin, sospirando: come lei, non aveva ancora
accettato la
separazione dalla sorella minore.
<<
Già, ed è questo che conta, dopotutto. Certo, Dís
non si è mai fatta sottomettere da nessuno, ma...
>>.
<<
Meglio così >> concluse per lei.
Si
guardarono per la prima volta negli occhi, leggendovi molta tristezza
e rimpianto. La loro infanzia era finita da tempo, ormai, ma troppo
bruscamente; eventi più grandi di loro li avevano trascinati
in un
vortice pericoloso fatto di acque rapide e gelide, separandoli.
Mutando i loro cuori.
<<
Dwalin... ti ha parlato? Di lei,
intendo >> esalò, stringendo di poco la presa
sulla sua mano.
<<
No, affatto. Sembra che il nome di mia sorella ormai sia diventato un
tabù >> pronunciò laconico, non
aggiungendo altro; e cosa mai
avrebbe potuto dire? Che era mortificato per gli avvenimenti infausti
che si erano abbattuti come una pestilenza sulle loro sorti?
Sua
sorella era lontana lunghe leghe di cammino e suo nonno,
benché
presente nel corpo, era sopraffatto da tormentati e bramosi pensieri.
Un
tempo, quando affermavano che il suo portamento e il suo aspetto
rammentavano l'autoritario e fiero Re sotto la Montagna Thror, Thorin
si riempiva d'orgoglio, il cuore gli traboccava.
Ma
ora, ripensandoci, ne provava solo repulsione.
Lasciò
che parte dei suoi timori si esternassero << Temo di
diventare
come lui,
Karin.
A volte, nella stanza del tesoro, io... >>.
<<
No, Thorin >> l'interruppe lei, il solito fuoco
determinato che
ardeva nelle iridi nere << Non sei e non sarai mai
come
tuo nonno: siete due persone diverse, ricordalo sempre >>
gli
accarezzò una guancia, il cuore stretto in una morsa
dolorosa nel
vederlo così vulnerabile e incerto.
Non
era il vero
Thorin.
Ma
il nano si costrinse ad annuire, evitando le sue occhiate angustiate:
un bussare deciso li fece sobbalzare e scattare in piedi, quasi
fossero stati sorpresi nell'intimità; quando Karin diede il
permesso
d'entrare, apparve il volto severo e dai tratti marcati di Kario che,
non appena scorse anche il suo principe e futuro re, fece un rigido
cenno col capo lasciando ondeggiare la lunga barba nera, intrecciata
secondo il suo rango.
<<
Mio principe >> esordì, con la voce che un
poco gli tremava;
faticava a guardarlo negli occhi, lasciando piuttosto che si
spostassero lungo le pareti, o verso la figlia << ti
chiedo di
perdonarmi, ma desidero conferire con Karin >>.
La
ragazza si stupì, poiché mai suo padre aveva
chiesto ciò a Thorin,
ma il giovane nano annuì << Certo, Kario
>> le lanciò
una breve occhiata e si chiuse la porta alle spalle, lasciandoli
soli.
<<
Siediti, figlia mia >> esordì il consigliere,
i tratti marcati
del volto che sembravano ancora più scavati.
Il
tono non ammetteva repliche né rifiuti ed era tremendamente
serio e
formale, così lei fece come ordinato, guardandolo dal basso
della
sua posizione.
Kario
sospirò lisciandosi la barba, arrotolandola tra le grandi
dita
tozze: sembrava cercare le parole adatte con le quali iniziare, ma
lei sapeva bene che suo padre – pur inserito nel Consiglio
nel Re -
non era avvezzo a lunghi dialoghi, quanto piuttosto ad essere breve e
conciso.
E
lo fu anche stavolta, seppur con molti tentennamenti.
Man
mano che parlava, Karin si sentì sprofondare in un oceano
freddo e
buio, terribilmente nero; il fiato le si mozzò in gola come
se
qualcuno l'avesse percossa allo stomaco. Come se qualcuno l'avesse
pugnalata più e più volte.
Frastornata,
sentì d'impallidire, iniziò a tremare. Era
confusa, e a stento
ricordò altro di ciò che le disse: le orecchie
ronzavano, gli occhi
pungevano poiché volevano liberarsi delle lacrime. Una volta
che
ebbe terminato, Karin tentò di dissuaderlo in tutti i modi:
parlò,
gridò, supplicò, pregò. Ma non pianse,
benché lo desiderasse con
tutta se stessa.
Kario,
d'altra parte, fu irremovibile, anche se Karin poté vedere e
capire
quanto soffrisse: perché anche lui sapeva
cosa
la legava a Thorin; e ciò che le stava imponendo era un
gesto
ignobile, una condanna che li avrebbe accompagnati per sempre.
Finché
avessero avuto respiro in corpo, finché il cuore non avesse
smesso
di battere, finché le loro menti avessero ricordato.
Le
si contrasse lo stomaco, la gola si seccò, le vertigini la
presero;
con una mano si aggrappò al bordo del tavolino di legno
pregiato e
lavorato, l'altra volò alla fronte sudata e mortalmente
gelida,
preda di tremori incessanti.
<<
Ti prego >>.
Parole
vuote anche alle sue orecchie.
Eppure,
però, continuò a ripeterle come una cantilena, la
voce sempre più
incerta e flebile. Abbandonò ogni formalità,
dandogli del tu
anziché del voi: sinceramente, non le importò.
Ciò che contava era
sentire Kario prorompere in una risata canzonatoria, sentirlo dire
che era tutto uno scherzo, che lei non avrebbe mai... mai...
Lasciato
Erebor.
Lasciato
Thorin.
Ma
gli dèi, beffardi e sordi alle sue accorate preghiere
silenziose,
non l'ascoltarono: Kario non cambiò idea, continuando a
berciare sul
suo imminente futuro e sul fatto che non era quello il modo di
accogliere una così onorevole
notizia.
Divenne
sordo ad ogni sua parola sofferta, ogni suo singhiozzo trattenuto,
ogni gesto compiuto.
Arrivò
a minacciarla, arrivò a gridare: e mentre l'eco si perdeva
nella
camera e, probabilmente, anche al di fuori, lei tacque, gli occhi
sbarrati e la bocca rosea dischiusa, consapevole come poche volte
d'aver perso quella battaglia che, presto, le avrebbe portato via
tutto.
Rimase
ferma, le braccia mollemente abbandonate lungo il corpo; gli occhi
neri divennero lucidi, vide ogni cosa sfuocata, ma non
sbatté le
palpebre: non ne aveva la forza.
Ogni
grammo di energia le era stata risucchiata dal corpo: persino la sua
mente sembrava averla abbandonata, facendo sì che non
riuscisse a
riconoscersi.
Lei,
che mai
si
era piegata, ora doveva chinare il capo e obbedire.
Si
morse il labbro inferiore, lo sguardo era immobile a terra:
percepì
distrattamente una ruvida carezza sul capo, talmente lieve e veloce
che pensò d'essersela immaginata; probabilmente suo padre si
era
ritratto subito, non riuscendo a trovare parole adatte per
consolarla.
Non
potendo
consolarla.
Rabbia,
dolore, ira, tristezza, furore e malinconia si amalgamarono,
lasciandola sopraffatta e prostrata; ma tutto ciò avveniva
nella sua
anima, nel suo cuore: nulla si poteva scorgere all'esterno, in un suo
tratto, in una sua movenza.
Era
immobile, inerte, ferma e fredda come ghiaccio: fu questo, forse, a
far decidere Kario; la lasciò sola senza aggiungere
alcunché,
chiudendo con rammarico e dispiacere la porta alle sue spalle.
Sola,
Karin venne sommersa dalla voce furiosa del padre, che continuava ad
urlarle la sentenza che l'avrebbe portata alla pazzia.
Una
pazzia che, secondo lei, l'aveva già afferrata.
Si
sentiva rigenerato, il suo spirito era in parte tranquillo: dopo un
estenuante ma appagante pomeriggio nelle immense fucine di Erebor -
in cui aveva dato sfogo alla sua irrequietezza con possenti e
scandite martellate - e dopo un rilassante bagno caldo nelle sue
stanze, era quasi rinvigorito. Si era persino lasciato coinvolgere in
una specie di gara di bevute con Dwalin, anche se i fiumi di birra si
erano notevolmente ridotti in quei tempi, per tutti e due. Scosse la
testa, facendo ondeggiare la corta chioma corvina sulle ampie spalle,
tentando d'impedire ai pensieri che tanto gli avevano offuscato la
mente di riprenderne possesso: ora, ciò che più
desiderava, era la
pace.
E,
per Durin, l'avrebbe ottenuta.
Passeggiò
lentamente sulle grandi gradinate di Erebor, salutando e scambiando
convenevoli con i nani e le nane presenti, ricevendo inchini in
quanto principe e futuro Re sotto la Montagna; alle frequenti domande
sulla salute di suo nonno rispondeva con pacatezza e distacco, ma
dentro sé sentiva ribollire il sangue nelle vene, la bile
minacciava
costantemente di salirgli in gola. Ma frenò qualsiasi
impulso e
ardimento, rimanendo impassibile e algido, seppur con fatica.
All'ennesimo
interessamento, all'ennesima occhiata colma di pietà,
digrignò i denti senza essere notato; poi, una mano sulla
spalla lo
riscosse e, girato il capo, si scontrò con un altro paio di
occhi
azzurri molto simili ai suoi.
Il
piccolo gruppetto di sudditi li lasciò, e i due rimasero in
silenzio
a squadrarsi: Thorin fece vagare lo sguardo sul viso del nuovo
arrivato, somigliante al suo ma al tempo stesso così diverso.
<<
Mi aspettavo un ringraziamento per il salvataggio >>
esordì
quello, facendogli alzare un sopracciglio, scettico << o
forse
erano loro
a
dovermi ringraziare? Dopotutto, li hai praticamente trucidati con lo
sguardo: dovresti imparare a controllare maggiormente le tue emozioni
>>.
<<
Come fai tu, fratello?
>> accusò Thorin, intrecciando le dita dietro
la schiena.
Frerin
sorrise, ma non vi era alcun calore in esso, né nei suoi
occhi <<
Infatti, ma credo tu stia imparando in fretta: non ti vedo per nulla
turbato >> ammise, improvvisamente serio.
Thorin
aggrottò la fronte, perplesso << In
verità lo sono, ma non
desidero che altri ne vengano a conoscenza >>.
<<
Altri?
>> ripeté, trattenendo a stento un sogghigno
<< Ogni
abitante di Erebor, ormai, ne è a conoscenza. La notizia
è dilagata
in fretta come una malattia invernale >>.
<<
Eravamo d'accordo che non avremmo fatto trapelare nulla
>>
iniziò ad infervorarsi il maggiore << Qualche
guardia deve
esserselo lasciato scappare >> sputò tra i
denti, la collera
che minacciava di esplodere.
Frerin
non gli diede ragione, ma iniziò a guardarlo con una strana
espressione, forse non credendo alle sue orecchie <<
Thorin, ti
assicuro che le guardie non ne erano a conoscenza prima di stamattina
>>.
Alla
frase, il futuro Re si immobilizzò, corrugando le folte
sopracciglia
scure << Sono loro
a
guardia della camera del tesoro: sanno
quanto tempo passa il sovrano tra le monete sonanti, stringendo
l'Archepietra tra le dita >> sibilò,
abbassando di colpo il
tono di voce.
Con
suo stupore, vide Frerin sgranare leggermente gli occhi chiari, e
lisciarsi pensoso e allarmato le treccine della barba nera, ben
più
corte di quella di Thorin, fermata solo da una placchetta metallica.
<<
Allora non ne sei al corrente >> mormorò
piano, in un tono
comunque udibile dall'altro.
<<
Che cosa diamine dovrei sapere, Frerin? >>
sbottò Thorin, al
culmine della pazienza. Era sempre stato più irrequieto e
impulsivo
del fratello minore, che era la compostezza e la
tranquillità fatta
nano: e, forse proprio per queste caratteristiche, era anche
così
dannatamente pericoloso.
Thorin
lo sapeva bene.
Ma,
sinceramente, ora non aveva proprio tempo per i suoi giochetti
contorti << Dunque? >> domandò
insofferente.
L'altro
lo guardò negli occhi, facendogli capire che non erano buone
notizie. E l'intuito venne confermato dalle parole che
pronunciò
subito dopo.
<<
Riguarda la tua
Karin >>.
Una
mano invisibile si serrò attorno al suo cuore.
Leggeva,
ma le rune diventarono macchiette indistinte, confondendosi tra loro
in un miscuglio che le fece girare la testa e salire la nausea.
Alzò
il capo dal tomo, lasciando che gli occhi si soffermassero sulla
candela accesa: si perse a contemplare la tremule fiamma rossastra,
desiderando bruciare
piuttosto
che rimanere in quell'inedia maledetta che l'aveva presa; non
riusciva più a far nulla, solo rimuginare. Rimuginare,
rimuginare,
rimuginare.
Senza
sosta, senza tregua.
Aveva
persino pensato di fuggire lontano: ma dove, e con quali mezzi?
L'idea era stata scartata immediatamente.
Si
morse ancora il labbro, sentendo il taglietto allargarsi, l'odore
pungente del sangue e il suo sapore di ferro le invasero la bocca;
sospirò gravemente, afflosciando le spalle irrigidite. Di
nuovo,
portò il palmo della mano sulla fronte, rimanendo nella
posizione
che le permetteva di reggersi la testa, di premere l'arto sulla
tempia per cercare
di pensare e trovare una soluzione.
Ma
la mente era bianca e linda: e lei era così vuota!
La
porta della stanza si spalancò con furia,
sobbalzò sulla sedia ma
riuscì a reggere in qualche modo il libro tra le dita;
girò il
busto, riconoscendo con un tuffo al cuore Thorin, il suo
Thorin,
livido in volto, gli occhi azzurri che brillavano minacciosi e irati.
La
resa dei conti era giunta, infine.
E
ne ebbe paura.
<<
Perché non me l'hai detto? >>
tuonò, non appena varcata la
soglia.
<<
Non si usa più bussare? >> Karin si
bloccò, non credendo
d'essere riuscita a parlare.
Da
quando aveva ricevuto la notizia, non era riuscita ad articolare
nulla.
Si
maledì per la frase brusca, specie quando vide il nano
lanciarle una
gelida occhiata che, in realtà, tratteneva un ardente furore.
<<
Karin! >> sbraitò, abbattendo un pugno sul
tavolo di legno.
Non
l'aveva mai
visto in quello stato, e le barriere di freddezza e distacco
iniziarono a sgretolarsi: sentì di nuovo gli angoli degli
occhi
pizzicarle, ma batté le palpebre e si morse la lingua,
tentando di
trovare un po' di controllo; eppure il vederlo furente la distrusse
più di ogni altra cosa.
<<
Thorin... >> tentò di dire qualcosa, ma
qualsiasi altra parola
venne inghiottita dai toni elevati del giovane principe.
<<
Tutta Erebor ne era a conoscenza, ero l'unico a non sapere nulla! Non
sono nemmeno stato interpellato! Io, capisci? Io!!!
>> iniziò a camminare per la stanza, lunghi
passi nervosi e
irrequieti.
<<
Lo so >>.
<<
Lo sai?
>> l'interruppe brusco, lo sguardo di fuoco
<< Dovevi
dirmelo, Karin, non appena tuo padre te ne ha parlato: anzi,
andrò
io stesso a scambiare quattro parole con lui riguardo questa
decisione scellerata!!!
>>
esclamò, la voce perennemente alta.
<<
Non puoi! >>.
Thorin
smise di muoversi, guardandola come se la vedesse per la prima volta:
il grido sembrò riecheggiare nella stanza, quasi a voler
confermare
e rimarcare quel divieto. Rimase in silenzio, lo sguardo incollato al
suo viso, pregando d'aver udito male.
<<
Non puoi fare nulla, Thorin >> sussurrò lei,
stringendosi le
braccia quasi a cercare conforto << il Re ha dato il suo
consenso >>.
Il
nano emise un verso sprezzante, che assomigliava molto ad un ringhio
rauco << Il Re
non
riesce nemmeno a distinguere i suoi famigliari, ottenebrato
com'è
dalla bramosia! Come poteva rammentare ciò che ci lega?
>> la
rabbia trapelava da ogni parola, lasciandola stupita come poche
volte: mai si sarebbe aspettata un tale disprezzo,
soprattutto
da quel nipote che tanto strenuamente difendeva il sovrano da ogni
accusa, certo di una sua guarigione, anche se impossibile.
E
tutto questo odio solo perché lei se ne sarebbe andata. Per
sempre.
<<
Devo parlare con i nostri padri, assolutamente >>
decretò,
dandole le spalle; Karin ancorò gli occhi neri alla sua
schiena,
coperta dalla camicia blu con intarsi geometrici ai lati.
Espirò,
il
volto contratto in una smorfia sofferente << Non li
dissuaderesti. Kario è stato irremovibile >>
replicò
asciutta, gelida come un inverno rigido.
<<
Sono il suo principe e futuro re: una mia parola e potrei impedirlo!
>>.
<<
Andando contro il volere di tuo
padre?
No, Thorin, non ci riusciresti. E lo sai >>.
Era
vero, maledettamente vero.
Per
lui, l'obbedienza e il rigore erano fondamentali, essendo parte della
sua educazione e del suo essere, specialmente verso chi gli era
superiore di rango. Specialmente se si trattava di suo padre, o di
suo nonno.
Chinò
il capo, girandosi; ora, negli occhi non vi era più ira, ma
sofferenza: una devastazione tale da lasciarla senza fiato, che le
serrò lo stomaco e lo torse con violenza.
Di
nuovo, le lacrime si affacciarono ai suoi occhi, ma le
cacciò.
<<
Non posso permetterti di partire >> le si
avvicinò molto, ora
pochi centimetri li dividevano << Non ti
lascerò sposare un
altro nano >> la voce era bassa e vibrava di nuova
collera. O
era profondo dolore? Non avrebbe saputo dirlo.
Tenne
lo sguardo basso: una voglia assurda di piangere e urlare si
impossessò di lei, ma strinse i pugni tanto da far sbiancare
le
nocche.
Le
mani di Thorin si posarono sul suo volto e glielo alzarono per
osservarla negli occhi << Ci dev'essere un altro modo!
>>
ribatté, ostinato.
Anche
stavolta, però, lei negò col capo
<< Ci ho provato. Mi sono
opposta, ho urlato, pregato, supplicato cercando di farlo ragionare,
ma nulla; e quando gli ho detto che il mio cuore apparteneva ad un
altro, continuava a dirmi che lo sapeva, che lo faceva per me e
sperava capissi. Ma capissi cosa?
>> gridò furiosa, mentre la rabbia iniziava a
montare
prepotente.
<<
E' colpa mia >> esordì il nano dopo
lunghissimi minuti di
opprimente e denso silenzio << Avrei dovuto reclamarti
tempo fa
>> disse, rammaricato.
<<
Non potevi saperlo. Non addossarti sbagli che non hai compiuto
>>.
Le
cinse i fianchi con le braccia, in un abbraccio sofferto ma deciso
<<
Il saperti con un altro già mi logora >>
posò la fronte sulla
sua, lasciando vagare lo sguardo sul volto che amava, percorso
dall'angoscia e dal tormento del destino tragico che incombeva.
Improvvisamente,
il velo di inezia si strappò e un'idea terribilmente... semplice,
ma al contempo così azzardata
invase la mente della giovane lasciandola allibita. Si
ritrovò a
parlare, sussurri che giunsero alle orecchie del nano e alle sue come
grida.
<<
Fammi tua >>.
Thorin
si staccò da lei, il volto confuso e incredulo; i lineamenti
si
indurirono quasi subito, ed aprì la bocca per parlare,
venendo però
bloccato da Karin.
<<
Non... posso sopportare l'idea che qualcun
altro
possa... possa >> balbettò, vedendo interrotta.
<<
Ciò che chiedi è totalmente sbagliato, lo sai
>> disse, duro
come la roccia che li circondava.
Ne
era a conoscenza, ma il sentirglielo dire le strinse ugualmente il
cuore: lo guardò, ora lontano pochi passi che parevano
lunghi metri.
<<
Sbagliato? >> ripeté, disorientata
<< Che c'è di
sbagliato nel voler fare l'amore con te? >>.
<<
Tutto, se lo intendi come gesto ai danni del tuo futuro marito
>>
non seppe spiegarsi da dove riuscì a trovare la forza per
pronunciare quelle parole ma, se possibile, ebbero il potere di farlo
sprofondare sempre più.
Un
ulteriore gelo scese su di loro, talmente penetrante che ebbe il
potere di farla tremare: Thorin se ne accorse, ma strinse la mascella
per impedirsi di raggiungerla e stringerla. La vide alzare il capo e
guardarlo, ora senza paura: gli occhi neri brillavano di cocciuta
determinazione, la stessa che apprezzava e malediva quando
discutevano; che, dopotutto, amava profondamente.
<<
Quando ci siamo donati queste collane abbiamo promesso,
Thorin: lo ricordi? >> chiese, stringendo il mithril tra
le
dita.
Certo
che lo rammentava.
<<
Le nostre vite si sono legate, così come i nostri cuori e le
nostre
anime. Ho promesso di essere tua finché il respiro non
avesse
abbandonato il mio corpo, e tu hai fatto altrettanto: quindi, come
puoi rimproverarmi ciò che ti sto chiedendo? Come potrai
convivere
con la tua coscienza sapendo che condividerò il talamo
nuziale con
un altro
nano? >> scattò, agitata.
Le
narici di Thorin fremettero, le folte sopracciglia nere si
aggrottarono severe, i denti sfregarono tra loro: sapeva che quella
era la verità, eppure per quanto volesse non poteva
ammetterlo, dati
gli atri problemi che insorsero.
Problemi
che non sembravano preoccupare Karin.
<<
Hai una vaga idea della reazione che potrebbe avere Dain? Potrebbe
scatenare una guerra contro Erebor! >> disse, cercando di
controllare la stizza nella voce.
Si
diresse verso la porta, non riuscendo a sostenere la sua vista:
lì
però si fermò, la mano sulla maniglia e lo
sguardo fisso sulla
chiave nella toppa; desiderava davvero andarsene e voltarle le spalle
in quel modo?
Era
dilaniato dal dubbio: da una parte la mente con l'onore verso la sua
dimora e la sua gente, dall'altra il cuore con l'amore per Karin. Se
avesse accettato e il cugino ne fosse venuto a conoscenza –
perché
l'avrebbe scoperto, poco ma sicuro – l'avrebbe certamente
punita
per poi costringerla a rivelare il suo nome: e in quel momento,
Erebor sarebbe stata condannata. Maledì quell'incresciosa
situazione, e se stesso per essere stato così cieco:
se solo si fosse legato a lei in tempo, tutto questo non sarebbe mai
avvenuto!
Sospirò,
constatando che, se ora fosse uscito da quella stanza, l'avrebbe
persa per sempre: senza lottare, senza poter far nulla per tenerla
con sé.
Senza
reclamarla. Senza possederla.
Se
ora fosse uscito da quella stanza non se lo sarebbe mai perdonato, lo
sapeva.
La
decisione definitiva si stagliò nella mente, chiara e
limpida come
acqua.
Che
i Valar e Durin mi perdonino.
Con
un movimento secco girò la chiave e si voltò
verso di lei che, al
rumore, aveva compreso e sgranato gli occhi, esterrefatta.
Sembrava
sul punto di scoppiare a piangere ma non lo fece, e lui non le diede
il tempo: colmò la distanza che li separava con ampie
falcate e,
agguantatala per un braccio, l'attirò a sé con
rudezza e impeto,
affondando le dita nella chioma ribelle; le labbra si unirono in un
bacio bramoso e tormentato al tempo stesso, che mostrava i primi
segni di nostalgia e senso di perdita.
Fu
un bacio così intenso che li lasciò senza
respiro, al quale se ne
aggiunsero altri frenetici e irruenti.
Quella
notte si amarono per la prima volta, unendosi con ardore e sentimenti
ben lontani da come se li erano immaginati: l'amore era comunque
presente, ma parve loro di aver assunto un dovere, un obbligo
prefissato e dettato dagli eventi.
Fu
questa consapevolezza, probabilmente, a distruggere le difese di
Karin: quando si trovò accoccolata al corpo caldo di Thorin,
con una
mano posata sul suo petto ampio e le braccia possenti che
l'avvolgevano, diede quel permesso che aveva negato a lungo;
lasciò
che le lacrime scendessero dagli occhi lucidi per perdersi lungo le
guance, infrangendosi sulla pelle di Thorin. Si ritrovò a
singhiozzare disperatamente, sopraffatta; nascose il volto con la
mano destra quando sentì aumentare la stretta vigorosa sul
suo
corpo: Thorin capiva, e cercava di consolarla.
Non
avrebbe voluto mostrarsi in quello stato, specie dopo il bellissimo
momento appena passato, ma doveva
sfogarsi,
o non ce l'avrebbe fatta a superarlo.
Le
dispiacque enormemente e si vergognò, ma cambiò
opinione quando,
oltre ai baci sui capelli, percepì anche qualcos'altro.
Qualcosa che
li bagnò
un
poco.
Con
fatica alzò il volto dal petto alla ricerca dei suoi occhi
e, con un
tuffo al cuore, li notò lucidi: Thorin stava piangendo.
Una
lieve scia umida di lacrime sofferte versate per quel futuro
ineluttabile e solitario, contro cui non avrebbe potuto combattere ed
opporsi, edotto dal triste senso di rassegnazione e perdita che
l'accompagnava.
Il
vederlo così distrutto
e
disperato
la
trascinò nel baratro più nero della sofferenza:
perché solo ora
sembrò capacitarsi dell'amore che Thorin provava per lei,
inesprimibile a parole e fatti, eppure così vero
e
reale.
Un
amore totalmente
ricambiato e che mai
sarebbe
scomparso o mutato, nemmeno tra cento anni.
Rimasero
abbracciati, cercando di assaporare ogni briciola di calore emanato
dai loro corpi, uniti più che mai; ogni attimo li portava
vicini
alla separazione definitiva, lasciando un vuoto incolmabile dove
poche ore prima vi erano i loro cuori: sembrava essere passato
così
tanto tempo dalla mattinata infausta, ma ora esso scivolava rapido
–
troppo
rapido – dalle loro dita, saldamente intrecciate.
Non
pronunciarono alcuna parola d'amore, né d'addio: stettero in
silenzio finché il sonno non li colse e, esausti e con
ancora il
peso delle lacrime non versate tra le ciglia, si addormentarono.
Karin
deglutì a vuoto per l'ennesima volta, cercando di ingoiare
il
fastidioso magone che voleva risalirle in gola: diede un'ultima
occhiata ai fagotti pronti con all'interno alcuni vestiti pesanti e
altre poche cose che suo padre l'aveva obbligata a prendere; alla sua
muta domanda – non era ancora riuscita a dirgli
alcunché,
rimanendo costantemente in silenzio – aveva risposto
dicendole che
il resto dei bauli già pronti e addossati alla parete
sarebbero
partiti poco dopo di loro, e che li avrebbe trovati nella sua nuova
dimora.
Si
alzò dal letto, cercando in tutti i modi di non pensare a
quello che
era accaduto la notte precedente, o sarebbe impazzita di dolore: ogni
singola mattonella o dettaglio le rammentava Thorin, facendole
desiderare una morte rapida e indolore piuttosto che percorrere le
leghe fino ai Colli Ferrosi.
Come
avrebbe sopportato i lunghi anni di vita che le si prospettavano
davanti, accanto ad un nano che non amava e del quale non conosceva
nulla se non il nome e il grado di parentela con Thorin?
Thorin,
sempre e solo Thorin.
La
mente non riusciva a staccarsi da lui, a discernerlo da se stessa:
perché, quando i Nani decidevano di legarsi a qualcuno, lo
facevano
totalmente e completamente, senza riserve. E il loro amore, se
ricambiato, durava per l'eternità, anche oltre la soglia
della
Morte.
Non
sarebbe mai
riuscita
a dimenticarlo, né ad amare
Dain: era un concetto inconcepibile e assurdo.
Aprì
la porta della stanza, percorrendo lentamente il corridoio; i piedi
la condussero agli alti livelli e, senza rendersene conto, le
arrivò
sul volto la dolce brezza del vento fresco, in una specie di carezza
malinconica che si scambiano due innamorati prossimi al distacco:
sembrò rammentarle quanto le sarebbe mancata Erebor, quanto
le
sarebbero mancati i suoi amici. Quanto le sarebbe mancato lui.
Combatté
ancora contro la voglia assurdamente potente di lasciarsi andare a
nuovi pianti disperati, lasciando vagare lo sguardo oltre la terrazza
scavata sul fianco della Montagna: di fronte a lei, la città
di Dale
sembrava intoccabile al di là delle sue mura di pietra;
poteva quasi
percepirne la tranquillità e la serenità che vi
prosperavano, ben
lontane dai sentimenti che la stavano annientando.
Strinse
il parapetto con foga, puntando lo sguardo sulla valle e sullo
strapiombo ai suoi piedi: sarebbe bastato così poco,
in
fondo! Solo un avanzamento, un lieve salto... e tutto sarebbe finito.
Per sempre.
Aborriva
l'idea e ciò che avrebbe comportato per coloro che le
volevano bene
ma, d'altronde, che senso aveva vivere senza poter rimanere accanto
alla persona che si amava più di se stessi?
<<
Non pensarci nemmeno >> una voce sconosciuta la
destò, e
sbatté le palpebre confusa. Girando il capo, riconobbe la
figura di
Frerin, a pochi passi da lei.
Il
venticello faceva ondeggiare pigramente il suo pesante mantello nero
di pelliccia, del tutto identico a quello che portava Thorin; la
camicia blu scuro tendente al nero era leggermente in tensione, dato
che aveva giunto le mani dietro la schiena, forse per abitudine. O
forse per impedirsi di toccarla.
Un
pensiero che, bene o male, la portò alla realtà
distogliendola da
qualsiasi congettura di morte.
<<
Non sono dell'umore adatto per volere compagnia, Frerin
>>
disse, scartando di lato quando lo vide avvicinarsi pericolosamente
con un leggero ghigno sulle labbra.
<<
Mi chiedi di lasciarti sola
in
questo momento così delicato? Se lo facessi, potrei
ritrovarti ai
piedi della Montagna: e non nel tuo aspetto migliore >>.
Karin
incassò la stoccata, ma mantenne lo sguardo fermo e
impassibile <<
Non ne avevo l'intenzione >>.
<<
Ah no? Andiamo, Karin, ormai ti conosco bene. Ho visto la tua
espressione, e posso capire ciò che hai pensato
>> disse,
muovendo ancora qualche passo verso di lei che, al contrario, si era
ritrovata bloccata con la schiena addosso ad una larga colonna.
<<
Hai pensato che non saresti riuscita a dimenticare mio fratello, che
l'avresti amato per sempre e che non saresti riuscita a trovare la
forza necessaria per sopravvivere a Dain, non è
così? >> ora
il ghigno si allargò abbondantemente, mentre i gelidi occhi
azzurri
percorsero il corpo, facendola rabbrividire di disgusto.
Si
sorprese, poiché non pensava avrebbe indovinato i suoi
tormenti:
dopotutto, però, era sempre stato tremendamente bravo a
spiazzarla.
<<
Ti capisco, sai? >> continuò, rendendosi conto
che non gli
avrebbe dato alcuna soddisfazione nel rispondergli << Ho
provato le medesime sensazioni quando ho compreso che il tuo amore
per Thorin non si sarebbe mai sopito: perciò, ho solo, come
dire...
accennato la faccenda del matrimonio conveniente a tuo padre, dopo
aver ascoltato per caso una conversazione con Thrain >>
confessò innocentemente.
Karin
poté sentire il cuore fermarsi, e non indagò
sulla natura del
discorso tra suo padre e il principe, focalizzandosi sul fatto che
era stato quel maledetto a proporre l'idea che l'avrebbe condotta
lontano.
Non
vi erano parole per esprimere il suo stato d'animo: era sconcertata e
allibita, e a stento poteva credere alle sue parole, pur sapendole
vere; Frerin mentiva spesso per raggiungere i suoi scopi, era vero:
ma, quando si trattava di lei, non mentiva mai.
Come
in quell'occasione.
La
rabbia si impossessò di lei dopo lo stupore iniziale, gli
occhi
brillarono di astio e collera: se fosse stato un nano qualunque,
l'avrebbe preso per la camicia e strattonato con furia.
<<
Sei stato tu? >> sibilò, le mani contratte e
le unghie
conficcate nella pelle << No, come... come hai potuto?
>>.
Lui,
per tutta risposta, piegò un angolo della bocca sottile
verso l'alto
ed allargò le braccia << Te l'ho sempre
ripetuto, Karin: o mia
o di nessun altro >>.
La
vide schiudere maggiormente la bocca rosea, sconvolta come non mai;
desiderò attirarla a sé e schiacciarla, premendo
il corpo contro il
suo, cercando di placare l'istinto che gli ribolliva nel sangue.
Karin
scosse la testa, incredula: si aspettava che la voce le uscisse
tremula, invece si mantenne fredda, aggiungendo anzi una punta di
sarcasmo.
<<
Sappi che i tuoi sforzi
sono
stati vani. Sei giunto troppo tardi >>.
La
frase lo gelò, immobilizzandolo: la mente gli
rivelò ciò che non
avrebbe mai ammesso ad alta voce; ma bastò uno sguardo al
volto di
Karin per capire che non mentiva.
Quando
si rese conto che Frerin aveva compreso ogni cosa, provò un
piacere
selvaggio e inaspettato: la voleva solo sua? Bé, Thorin era
arrivato
prima, come sempre.
<<
Non sarò mai
tua,
o di Dain, o di nessun altro. Thorin mi ha reclamata, il mio cuore è
e rimarrà sempre
suo! >> alzò il tono di voce, facendo
sì che quelle
affermazioni le dessero forza e la riempissero d'orgoglio.
Frerin
schiumava d'ira, tremava: impazzito, l'agguantò per un
braccio,
strattonandola verso il baratro; cercò di divincolarsi ma
era più
forte di lei e le forze, dopo quei lunghi giorni, l'avevano
abbandonata.
<<
Lasciami, subito! >> ordinò, il volto a pochi
centimetri dal
suo.
Ma
non le diede ascolto, i tratti contorti in smorfie furenti
<<
Tu menti!
>>
scattò, facendo dardeggiare gli occhi azzurri sui suoi.
<<
Ne sei certo? Sai che non è così >>
rispose, tremando ma
cercando comunque di non abbassare lo sguardo << E' la verità.
E
non ti dirò che mi dispiace per te >>
sibilò ancora, perfida:
non le importavano le conseguenze, voleva solo vendicarsi per
ciò
che aveva combinato il fratello minore di Thorin.
Lo
odiava.
Con
tutto il suo cuore, la sua mente, la sua anima.
Frerin
aveva rovinato tutto.
Lo
vide accogliere la follia, la mano destra saettò verso
l'alto, forse
a volerla schiaffeggiare, punendola per l'affronto.
Ma,
grazie ai Valar, qualcuno arrivò in suo soccorso.
<<
Frerin! >> la voce grave di Balin li raggiunse, ed il
minore
dei Durin si allontanò di scatto da lei, cercando di
ricomporsi.
Non
disse nulla, fronteggiando con lo sguardo il già anziano
nano e
consigliere di suo nonno; dopo un silenzio carico di ansia e pesante,
il nuovo arrivato parlò.
<<
Tuo padre desidera parlarti >> annunciò, secco.
Seguì
con lo sguardo il principe e, quando fu lontano, permise alla rabbia
cieca che l'aveva colto quando li aveva sorpresi di scemare: ma
solamente in parte.
Karin
gli si era avvicinata con lo sguardo chino, mortificata ma sollevata
<< Grazie, Balin >> esalò,
guardandolo finalmente negli
occhi.
Annuì:
dentro sé avrebbe voluto abbracciarla e consolarla,
assicurandole
che sarebbe andato tutto per il meglio, che ce l'avrebbe fatta
perché
era coraggiosa; ma erano solo bugie.
<<
Ti ha fatto del male? >> domandò, mentre il
tono faticava a
rimanere calmo e composto come avrebbe voluto.
<<
No >>.
<<
Dovresti dirlo a Thorin >>.
<<
No >> ripeté ancora, scuotendo di poco la
testa.
Balin
alzò le sopracciglia cespugliose, sgomento <<
Ha il diritto
di sapere! >> ribatté, infervorandosi
<< Da quanto va
avanti? >>.
<<
Thorin è a conoscenza di quello che prova Frerin, e l'ha
redarguito
più volte >> disse a fatica <<
ma non
voglio
che venga a sapere di quest'ultimo episodio >>.
<<
Perché no? >> domandò esasperato il
nano.
Lei,
al contrario, serrò gli occhi, lasciando che la tristezza
tornasse
in lei << Ha altri pensieri di cui preoccuparsi, al
momento >>.
Balin
tacque, maledicendo il Fato e coloro che avevano fatto sì
che tutto
questo accadesse.
Strinse
la mascella, contraendola: era sempre stato un nano pacifico e
tranquillo, per nulla iroso come suo fratello Dwalin; ma, ora,
proprio non riusciva a calmarsi! Il sapere che la sua protetta, dolce
e amabile bambina sarebbe andata lontano, senza la figura di Thorin
al fianco, gli montava una rabbia inaudita e gli faceva salire i fumi
alla testa.
Karin
provò un moto di grandissimo affetto per colui che aveva
sempre
reputato come il migliore dei padri e al quale voleva bene come se
gli appartenesse davvero: gli posò una mano sul braccio, gli
occhi
neri scintillarono di nuovo.
Tentò
di sorridergli, ma fu un'impresa ardua << Abbi cura di
te,
Balin. E sta' accanto a Thorin: avrà bisogno di te, ora
più che mai
>> voleva aggiungere così tante altre parole,
ma le morirono
in gola, soffocate dal pianto che la colse.
Il
nano annuì, asciugandole le lacrime con le mani callose ma
delicate
<< I giorni si inaspriranno e le notti vigili si
susseguiranno.
Ma sono certo che riuscirai a trovare il tuo indomito coraggio, e il
tuo carattere così forte. Ti chiedo solo di non odiare tuo
padre,
Karin: ha sempre cercato il meglio per te, anche se le sue decisioni
non sempre possono essere condivise >>.
<<
Il mio posto era qui,
lo sai; e lo sapeva anche Kario >> mormorò
glaciale.
<<
E' vero >> ammise, pieno di tristezza e rimorso per
averle
detto quelle frasi; le strinse le braccia, guardandola con amore
<<
Buona fortuna, bambina mia >> alcune lacrime brillarono
sulle
ciglia, e solo due riuscirono a staccarsi per procedere il loro
cammino sulle guance del nano, perdendosi tra la folta barba grigia.
<<
Grazie. Anche a te, Balin >>.
Padre
avrebbe
voluto aggiungere; il consigliere sarebbe stato il genitore che aveva
sempre desiderato, quello che l'avrebbe protetta e amata. Colui che
non avrebbe mai permesso una tale decisione reputandola sciocca e
insensata, combattendo fino allo stremo per opporsi.
Lo
abbracciò di slancio, cercando di trasmettergli tutta la
gratitudine
che provava nei suoi confronti: sentì la sua risposta
vigorosa che,
ad un certo punto, la sollevò di poco da terra. Le parole
non dette
furono molte, come le lacrime che non riuscirono a versare. Non
completamente.
I
colpi tuonavano potenti come poche volte là sotto, a cadenza
regolare, rimbombando sulla roccia; Thorin picchiò con tutta
la
forza che possedeva sull'incudine, accompagnando lo sforzo e la
fatica con ringhi e grida frustrate.
Era
solo nelle fucine di Erebor, la rabbia e l'impotenza che gli
permeavano le membra come uniche compagne.
Ad
ogni martellata sulla pesante ascia che stava forgiando, gli
apparivano il volto stravolto dalle lacrime di Karin e quello
granitico del padre; infatti, non appena si era risvegliato quella
mattina - verso l'alba – aveva lasciato silenziosamente la
stanza
della ragazza che, troppo stremata dal pianto, non si era mai mossa:
nemmeno quando le aveva posato un bacio sulla fronte e uno ultimo
sulle labbra.
Poi
si era diretto verso la Sala del Trono, sicuro di trovarvi il
principe: infatti, non appena aveva spalancato le pesanti porte con
intarsi d'oro e pietre preziose, aveva scorto Thrain.
Rammentò
con dolore e collera la lite che ne era seguita e come avesse avuto
ragione Karin: per quanto avesse urlato, si fosse opposto e avesse
cercato di placarsi per conciliare il suo punto di vista con quello
del genitore, alla fine aveva perso.
Thrain
era stato inflessibile.
Batté
ancora il ferro bollente ma, in uno sbalzo di furia, gettò
il
martello e scagliò a terra l'arma, con violenza: il
tintinnio
l'accompagnò per lunghi secondi, venendo poi sostituito da
una voce
ben conosciuta.
<<
Non vai a salutarla? >>.
Thorin
nemmeno si voltò, continuando a dargli la schiena
<< No >>.
Lo
sentì inspirare, immaginandoselo scuotere la testa in un
muto
rimprovero; ma, sinceramente, non gli interessava.
<<
Dovresti, invece: manchi solo tu >> gli
ricordò.
<<
L'ho già fatto >> ammise Thorin
<< e non mi importa di
ciò che pensano gli altri >> finì,
duro.
<<
Hai ragione, ma dovresti comunque andare: per lei. E soprattutto per
te >>.
Thorin
si voltò verso la voce sempre più bassa
dell'amico, guardandolo in
volto: Dwalin sostenne tranquillamente il suo sguardo, le braccia
muscolose incrociate al petto che si alzava e abbassava a cadenza
regolare.
Si
passò una mano sulla fronte, togliendosi il sottile velo di
sudore,
indeciso sul da farsi: ma, ancora una volta, fu l'amico e parlare per
primo.
<<
Guardala un'ultima volta, Thorin, perché col passare degli
anni il
suo viso e il suono della sua voce diverranno solo un labile ricordo
>>.
Il
principe guardò di sfuggita il guerriero, ricordando che
anche lui,
tempo prima, si era trovato nella medesima situazione con la partenza
di Dís:
fu questo, probabilmente, a convincerlo del tutto.
Annuì
solamente, dandogli una pacca sulla spalla quando gli passò
accanto:
poi, sfrecciò fuori dalle fucine, salendo le ripide
scalinate due
gradini alla volta.
Corse
come mai in vita sua, i muscoli che si tendevano e si infiammavano
sotto le larghe falcate; il respiro era breve e affannato, la saliva
mancava.
Salì
i vari livelli, rapido, ringraziando mentalmente di non indossare
alcuna cotta di maglia o mantello che gli avrebbero impedito i
movimenti.
Si
spronò a procedere più veloce, avendo la
sgradevole sensazione di
essere in ritardo.
Presentimento
confermato quando raggiunse le stanze di Karin: dentro, non vi era
più nessuno.
Lei
non c'era.
Imprecò
a gran voce, battendo un pugno sul muro: poi, riprese la sua folle
corsa.
Non
si curò dei nani che incontrò al suo passaggio,
né delle occhiate
che gli rivolsero: probabilmente lo stavano considerando un pazzo,
come consideravano suo nonno.
Col
fiato ormai corto, si aggrappò al parapetto della terrazza
che,
pochissime ore prima, aveva ospitato proprio Karin: e, con un tuffo
al cuore, la vide.
L'andatura
del pony bianco era lenta, estremamente lenta: e ciò non
faceva che
aumentarle i pensieri che vorticavano senza sosta nella mente;
l'addio davanti all'intera popolazione di nani era stato straziante,
ma in qualche modo era riuscita a mostrarsi distaccata: questo
perché, poco sotto il trono dov'era seduto Thror, non vi era
Thorin.
Non
si era mostrato, e ciò l'aveva sollevata e terrorizzata
insieme: si
era sentita... sola,
e
tradita,
in
qualche modo; ma era anche vero che, se avesse posato lo sguardo nei
suoi occhi azzurri indagatori, sarebbe venuta meno ai suoi propositi.
Era
giusto così, in fondo: il loro addio era avvenuto la sera
precedente.
Strinse
le redini della cavalcatura e, per un attimo, un lieve prurito alla
nuca la distolse dalle preoccupazioni: una sensazione strana
si impossessò della bocca dello stomaco, come quando sai
per
certo che qualcuno ti sta osservando.
Fermò
il pony lanciando un'occhiata al padre, in sella al suo e alcuni
metri più avanti, ignaro del gesto della figlia; poi,
esasperatamente lenta si girò, temendo cosa avrebbe visto.
O
chi.
Gli
occhi la condussero lungo il fianco della Montagna Solitaria,
là
dove sapeva esserci la lunga terrazza che permetteva una buona
visuale della valle rocciosa e spoglia che si stendeva fino a Dale: e
lo vide.
Avrebbe
riconosciuto quel portamento fiero e regale ovunque: Thorin era
arrivato, alla fine. Il cuore le si serrò, mani invisibili
lo
stritolarono con furia, gli occhi tornarono a pizzicarle e, data la
distanza che li separava – non molta, ma i nani possedevano
una
buona vista – concesse comunque alle lacrime il permesso di
solcare
il volto un'ultima volta.
Si
ancorarono agli occhi dell'altro, rivelandosi ciò che mai
avevano
pronunciato, cercando d'imprimersi ogni tratto nella mente per non
scordarlo.
La
consapevolezza che non si sarebbero rivisti mai più ebbe lo
stesso
devastante impatto di una spada calata nel corpo o, peggio, nel
cuore.
Avrebbe
voluto scendere e tornare dentro, al sicuro nella Montagna: al sicuro
con lui.
<<
Karin! >>.
Un
richiamo, ma non quello che desiderava ardentemente: non era la voce
che amava, ma quella di Kario.
Non
avrebbe voluto abbandonare quel doloroso ma indispensabile contatto:
invece, sentì il capo abbassarsi, la mano tirò
piano le redini per
far tornare il pony sul sentiero che l'avrebbe condotta al suo futuro
incerto.
Distolse
lo sguardo, mentre l'ultima lacrima scendeva.
Inspirò
ed espirò per farsi coraggio, si morse le labbra per non
gridare il
suo risentimento, la sua angoscia profonda, certa di non rivederlo
per il restante tempo che
Aulë
le
avrebbe concesso.
Non
sapevano che il destino li avrebbe fatti incontrare molto presto, e
non sarebbe stato affatto clemente.
CANTUCCINO
DELL'AUTRICE
Saaaaalve
ç____ç!!! Oddei celesti, ci siete ancora dopo la
lettura?
Io
ho una tristezza, mamma mia... so che è brutto da dire, ma
spero
d'essere riuscita a trasmetterla anche a voi lettori/lettrici, oltre
all'amore dei protagonisti, già presente nella storia
originale!
Perdonatemi,
ma VOLEVO scrivere il loro addio!!! Questa non era la storia di cui
vi avevo parlato - che spero di riprendere – ma mi auguro vi
sia
piaciuta ugualmente ^^ quindi, se vorrete lasciarmi qualche
recensione, mi farete ben felice :)
Bene
carissime, al prossimo capitolo di “La Quercia e
l'Iris”. Un
bacione grande :*
Vostra,
come sempre
Anna
P.S.
So bene che, in realtà, Dís
rimase con suo fratello anche dopo la venuta di Smaug però,
ai fini
della storia, ho dovuto modificare questo aspetto: se
riuscirò a
concludere l'altra one-shot, capirete il perché della scelta
;))),
anche se qui è mooolto intuibile e si comprende bene!
Inoltre, qui
Frerin è un po'... come dire... subdolo e s*****o? O.o
Bé, serviva
un “cattivo” ;D, ed il fratellino praticamente
quasi identico di
Thorin si è rivelato adatto: spero possiate perdonarmi! :* :*
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