Capitolo XX
I want
to come close, I want to come closer
I held your name inside my mouth
Through all the days out wandering
(Animal
Life, Shearwater)
3 Luglio 2028
Galles, Denbighshire. Mattina.
Ted si svegliò
sentendo i
rumori della foresta
Mise a fuoco il mondo,
ricordandosi che aveva passato la notte nel bel mezzo della foresta di
Clocaenog¹, nel profondo nord del Galles ed ad
un’ora di scopa da
Stoke-on-Trent.
Era stato fortunato
comunque; invece
di passare la notte a combattere il freddo umidiccio delle conifere,
aveva
dormito sul pavimento duro ma di legno asciutto della capanna di
Moscardo.
Voltò la testa e
vide che
Flynn si era già alzata, lasciando il proprio sacco a pelo
arruffato vicino al
pagliericcio dove il Mannaro doveva dormire abitualmente. Ted
piegò e ripose
sia il suo che quello della ragazza, decidendo poi che era il caso di
alzarsi e
andare a sgranchirsi le gambe.
È
la prima volta che visito la riserva dei Mannari …
Da ragazzo aveva chiesto
più
volte il permesso al Ministero, ma gli era sempre stato negato sia per
la
minore età, sia per la rarità con cui quella
richiesta veniva fatta.
Si
saranno chiesti se non fossi matto…
Dunque era
un’occasione che
doveva cogliere. Non aveva visto molto la sera prima, arrivando a notte
fonda e
con il fuoco dell’accampamento ridotto a braci sorvegliate da
due figure
insonnolite che avevano a malapena rivolto loro un’occhiata.
Aveva però notato
come quello occhiata, data con gli occhi dorati dei Mannari, fosse
stata indagatrice.
Sapranno
il motivo della mia visita? Quello che è
successo?
Decise di smettere di
arrovellarsi e uscì; l’accampamento era
nient’altro che una serie di capanne di
legno, pietra e paglia radunate attorno ad un grande focolare
delimitato da un
cerchio di ciottoli regolari inscuriti dalla fuliggine; ricordava dai
suoi
studi come fosse l’unico focolare sia per ragioni di
sicurezza che di
aggregazione sociale. Una mezza dozzina di donne vi stavano infatti
cucinando
la colazione: due rimestavano un pentolone che sobbolliva quieto mentre
altre pulivano
radici con dita esperte. Individuò anche Flynn che seduta
con la schiena
rivolta ad un tronco d’albero, fumava una pipa di corno e
parlava con un anziano
imbacuccato in una serie di coperte che dovevano difenderlo dal freddo
umido
del mattino.
L’atmosfera era
rilassata, con
gli uccelli che cinguettavano di ramo in ramo, l’odore pulito
delle conifere e
le donne che sgranavano parole nel loro cantilenato accento gallese.
Cambiò di
colpo quando si accorsero di lui.
Okay.
Tentò un sorriso
finendo di
scendere la collinetta su cui era abbarbicata la capanna di Moscardo.
“Ehi,
splendore!” Lo salutò con
disinvoltura Flynn. “Ben svegliato! Dormito bene?”
“Molto, grazie.” Rispose costringendosi ad un tono
sereno, per quanto tutte
quelle occhiate ai suoi capelli e alle sue mani lo stessero allarmando.
Beh,
di certo hanno capito che sono un mago…
La ragazza asiatica non
pareva
turbata dal silenzio caduto nella radura. “Vieni a mettere
qualcosa sotto i
denti!” Lo spronò. “Le ragazze stanno
giusto preparando per tutti.” Ted
acconsentì, impacciato di fronte a tutte
quelle iridi dorate che lo scrutavano diffidenti – quelle di
Flynn, a ben
vedere, viravano più sul marrone.
Jamie aveva ragione…
Non aveva mai avuto veri contatti con i Mannari; quelli che
aveva
conosciuto alle conferenze erano inseriti nel Mondo Magico, mentre
quelli che
aveva di fronte avevano un’aria … più
selvatica: indossavano vecchie tuniche e
mantelli logori dei colori del bosco e le donne avevano collane di
selce
avvolte in più giri attorno al collo e i capelli intrecciati
di piume colorate.
Non avevano neppure l’aria pallida e poco salubre che aveva
sempre pensato
fosse cifra stessa della loro malattia.
Sembrava che le sue certezze
in materia in realtà non fossero poi così certe.
La funzionaria parve intuire
il suo imbarazzo perché si alzò e gli
passò un braccio sulle spalle con fare
protettivo: a sentire James, faceva spesso quest’effetto alle
donne.
Fai
quella faccia da cucciolo bastonato e bam! Hai
ufficialmente una balia.
Il suo ragazzino era sempre
stato uno stronzetto linguacciuto.
“Questo
è Ted Lupin.” Esordì
come se stesse presentando un bambino brillante ad una serie di adulti
compiacenti.
“È ospite di Moscardo.”
L’atmosfera
cambiò di nuovo. Sembrava
che le decisioni del vice fossero indiscutibili perché le
donne si rilassarono
visibilmente e persino il vecchio imbacuccato accennò ad un
brontolio
d’assenso.
“Buongiorno.”
Salutò sedendosi
su una delle rocce, sedili di fortuna; ringraziò Merlino di
essersi svegliato
presto. Se quelle poche persone riuscivano a farlo sentire
indesiderato,
Morgana solo sapeva come si sarebbe sentito di fronte
all’intero branco.
“Dov’è
Moscardo?” Chiese alla
ragazza dopo aver accettato da una delle donne un piatto contenente una
zuppa
di carne e radici, a giudicare dall’odore.
“L’umano
non mangia?” Chiese
quella più anziana ricordandogli immediatamente Molly
Weasley.
“Si chiama Ted,
non umano.” Corresse
Flynn ficcandosi in
bocca una cucchiaiata di stufato come se lo trovasse delizioso.
E lo era,
constatò stupefatto,
imitandola.
Non
giudicare un libro dalla sua copertina…
“È
lepre. Le hanno cacciate i
nostri uomini.” Gli venne spiegato con orgoglio.
Una delle giovani, forse
incoraggiata dal sorriso con cui le ringraziò, si
accoccolò vicino a lui. Non
doveva avere più di sedici anni, dato che aveva le
proporzioni e la goffaggine
tipica delle sue studentesse. “I tuoi capelli sono
buffi!” Constatò sporgendosi
per toccarli.
Ted la lasciò
fare, ricordando
di aver letto come un contatto fisico iniziato spontaneamente fosse un
buon
segno per i Mannari; la fisicità era il linguaggio
più immediato e naturale per
loro. “Posso cambiargli colore e lunghezza.”
Spiegò gentilmente e poi si
concentrò per farli diventare di un viola acceso che fece
gettare gridolini
sorpresi e divertiti da parte delle più giovani.
“Quindi sei un
mago.” Stimò l’anziana
scoccandogli un’occhiata di nuovo sospettosa. “Sei
qui per fare magie?”
“No.” Fu
lesto a rispondere,
interrompendo con una mano la protesta di Flynn. Le era grato per
l’aiuto, ma poteva
cavarsela da solo. “Mia madre era una Metamorfomaga, ma mio
padre era un
Mannaro.”
Ho
a che fare quotidianamente con adolescenti
diffidenti e in pieno contrasto con il mondo intero.
Questo
è il mio campo.
“Un
mezzo-lupo.” La donna
sembrò sorpresa. “Adesso capisco il tuo
odore.”
“Il mio odore?”
“Sei un mago e non
porti la pelliccia,
ma hai il nostro odore!” Chiarì la ragazza
allargando le narici per annusarlo.
“Buffo!” Ripeté.
Dopo un’iniziale
ritrosia,
vedendo che non aveva cattive intenzioni e che mangiava con gusto,
anche le
altre donne si avvicinarono per toccargli i capelli o rivolgergli
qualche
domanda.
Vivono
segregati in una foresta da meno di duecento
acri per tutta la loro vita, vedendo le stesse facce ogni giorno
… È naturale
che quando arriva un forestiero siano curiosi.
“Come si chiamava
tuo padre?” Gli
venne chiesto dall’anziana che si era poi presentata con il
nome di Mira.
“Remus, ma quando
viveva qui
si faceva chiamare Lunastorta.”
Forse
l’ha conosciuto.
“Non
l’ho conosciuto.” Sembrò
indovinare, voltandogli di colpo le spalle per tornare al pentolone
dello
stufato.
Flynn gli si sedette
accanto,
finendo la sua ciotola con un rumore soddisfatto. “Non far
caso a Mira.”
Esordì. “Se ha conosciuto tuo padre, non te lo
dirà.”
“Perché?”
“Non
farà rivelazioni con
Moscardo che ti deve parlare … C’è una
gerarchia anche nelle chiacchiere, sai.”
“Non c’è problema.”
Sospirò. “Quando…”
“Sì, non ti ho risposto … Dovrebbe
tornare a momenti. Cacciano nei punti meno
battuti della foresta, ma stanno diventando sempre meno.” Si
grattò la nuca,
stiracchiandosi. “Il Ministero ha un bel da fare a tener
Intracciabile questo
posto.”
Un improvviso rumore di
fronte
lo mise in allerta. “Ah, eccoli!” Lo
avvertì voltandosi nella direzione del rumore;
una decina di uomini, il più giovane poteva avere tredici
anni, il più anziano
una sessantina, emersero dal sottobosco. A differenza delle loro donne,
indossavano
pantaloni di stoffa grezza ed erano a torso nudo, nonostante
l’aria frizzante
del mattino. Avevano archi e frecce e lance rudimentali, molto simili
alle armi
usate dai Centauri, anche se più rozze e di certo meno
precise. Uno di loro, il
più anziano, si staccò dal gruppo che invece si
diresse compatto verso la
colazione.
Dev’essere
lui.
“Moscardo,
ehi!” Lo salutò infatti
Flynn andando a dargli una pacca sulla spalla. “Ti ho portato
Ted. Ho passato
la notte a dormire nella tua scomodissima capanna, contento?”
L’uomo gli
lanciò una lunga
occhiata senza dir nulla; aveva una lunga serie di cicatrici che gli
coprivano
parte della gola.
Segni
di unghie. Auto-inflitti o…
“È il
motivo per cui sono il
braccio destro di Vulneraria.” Spiegò quasi gli
avesse letto nel pensiero, o
forse l’aveva capito dalla direzione del suo sguardo.
Più probabile la seconda.
“Sei il figlio di Lunastorta, vero?”
“Io…”
Quale dei due?
“Sto parlando del
Mannaro che
rispondeva al nome umano di Remus.” Chiarì.
“Non serve che tu risponda. Hai il
suo odore.”
Ted sentì un groppo alla gola, come sempre gli succedeva
quando qualcuno lo
comparava a suo padre.
Anche
se è la prima volta che è una questione
… di
naso.
“Lo ha
conosciuto?”
“Sì.”
Non aggiunse altro. Si
rivolse poi a Flynn. “Vulneraria è andato al fiume
con il gruppo di pesca, tornerà
questo pomeriggio. Dovrete aver lasciato il branco per
allora.”
“Ricevuto.” Annuì la ragazza con una
scrollata di spalle. “Grazie per il tempo
che ci concedi, Moscardo.”
Il Mannaro fece un cenno evasivo della mano. “Non posso
rifiutare un favore
alla nipote di Quintilio. Lo sai, il tuo vecchio era mio fratello di
latte.” Si
rivolse poi a lui. “È la tua prima volta nel
branco?”
“Sì.”
Rispose un po’ impacciato. “Non ho mai …
i miei genitori sono morti quando ero bambino, e mio
padre…”
“Non ci ha fatto compagnia per molto.” Concluse per
lui. “Mi ricordo. Indossava
una pelle da agnello, come molti di noi.” Vedendo la sua
espressione, scosse la
testa. “Non fraintendermi, capisco che per chi è
stato allevato dagli umani sia
difficile prendere la decisione di venire a vivere qui. Tuo padre era
un Trasformato,
vero?”
“Greyback lo morse
da
bambino.” Convenne pacato, senza livore o recriminazioni;
sapeva che per
persone come Moscardo, nato da genitori Mannari, la Licantropia non era
una
malattia da curare e tenere a bada, ma una condizione da vivere con
orgoglio.
E
non posso dire che sia un punto di vista sbagliato …
Di certo ha una vita meno infelice di quella che ha avuto
papà.
“Ricordavo bene
allora.”
Annuì. “Per i Trasformati è
più difficile. Né carne, né pesce.
È dura.”
Ted non rispose; non era
lì per
un tuffo nel passato, ma per dirimere un mistero che non gli dava pace.
“Flynn
le ha detto il motivo della mia visita?”
“Sì, si
tratta di Lunastorta
…”
Okay, non ci sto più capendo
niente.
“Mi scusi, ma
… di che
Lunastorta sta parlando? Di mio padre? O del Mannaro che è
stato ritrovato
vicino a casa mia? Perché sta chiamando tutti nello stesso
modo.”
“Lo so.” Fu la replica sconcertante. “Per
il branco i nomi sono importanti.”
Non gli diede il tempo di ribattere, perché si
incamminò verso la sua capanna.
“Vieni con me.” Soggiunse. “Dobbiamo
parlare.”
Ted lanciò uno
sguardo a
Flynn, che si limitò a stringersi nelle spalle e fargli
cenno di seguirlo.
Obbedì.
****
Londra,
Ministero della Magia.
Ufficio
Auror, Mattina.
Sveglia all’alba,
una doccia
gelida per smaltire i postumi del whisky ingerito la sera prima e una
corsa
lungo Charing Cross Road
fino
a Leicester Square. Questo era l’unico metodo che
Sören conosceva per riuscire ad
arrivare puntuale al lavoro senza sembrare un Infero appena uscito
dalla
propria tana.
Così, fresco di
una seconda
doccia e con l’uniforme stirata dalle riluttanti ma capaci
mani di Milo, varcò
l’ingresso dell’ufficio Auror, schivando come al
solito un nugolo di Promemoria
Ministeriali che sfrecciarono fuori con la velocità dei
proiettili.
La scrivania di Potter e
Malfoy era già al completo con i due che si litigavano la
sedia, Jordan seduto
diplomaticamente alla sua e …
Un
cane?
“Di chi
è quel cane?” Chiese
incrociando lo sguardo adorante del suddetto, che pensò bene
di ficcargli il
muso umido nella giuntura del ginocchio, chiedendo attenzioni che non
era
disposto a dargli. Fece un rapido passo indietro.
“Può stare qua?”
“No, per
niente.” Fu l’allegra
risposta proveniente da Malfoy. “Per questo lo nascondiamo!
Si chiama Donnola.”
“Non si chiama Donnola, testa d’uovo!”
Sbuffò Potter come al solito ignorando la
sua presenza. “Avrà un nome ma non
è
un insulto indiretto a mio zio!”
“Non so di cosa tu stia parlando, Donnola è un
nome perfetto per un cane.” Replicò
l’altro con un sorriso zen, afferrando per il collare il cane
e strattonandolo
gentilmente indietro, evitando così che gli lavasse
l’uniforme nella bava. “Non
ti piacciono i cani Sören?”
“Non sono abituato
ad averci a
che fare…” Gli unici con cui aveva interagito in
effetti erano stati i cani da
guardia che aveva dovuto neutralizzare durante le sue missioni con
Johannes.
Per
me non sono certo paragonabili al miglior amico
dell’uomo.
“Lo abbiamo
trovato a casa di
Price.” Spiegò Malfoy grattando dietro le orecchie
dell’animale che guaì
guardandolo con canina adorazione. “Non potevamo lasciarlo
lì, stava morendo di
fame!”
“Non
c’era nessuno che se ne potesse
occupare.” Aggiunse Jordan che ormai nella sua testa
incarnava la voce della
ragione. “Lo porteremo ad un rifugio per animali Babbano non
appena avremo un
momento libero.”
“Ma sono posti
orribili!”
Malfoy scosse la testa come se stessero teorizzando qualcosa di
estremamente
stupido. “Lo tengo io come ieri sera, non
c’è problema!”
Potter roteò gli occhi al cielo, ma sembrava ben disposto
verso l’animale da
come si era chinato per grattargli la pancia. “Sì,
perché nasconderlo in camera
tua al Manor è un piano perfetto sulle lunghe distanze. Tuo
padre ti ucciderà.”
“Papà alleva dei pavoni.
Albini. Come
può avere voce in capitolo?”
“Ci sono
novità sul caso?” Li
interruppe, perché quella scena per lui non aveva il minimo
senso e gli stava
tornando il mal di testa. Intuiva che il tono giocoso della
conversazione era
voluto per distendere i nervi dopo le ventiquattro ore appena
passate…
Ma
io le ho passate a rischiare la vita, non sapere se
ero stato contagiato e infine ho realizzato che dovrò
tenermi alla larga da
Lilian.
Non
ho voglia di scherzare.
Gli altri agenti si
scambiarono un’occhiata, ma fu Malfoy a parlare.
“Ce ne sono, sì.” Esitò, poi
assunse un’aria colpevole che proprio non capì.
“Ma tu come stai?”
Batté le palpebre
confuso.
“Sono stato dimesso ieri sera, vi avranno informato del fatto
che non sono
stato contagia…”
“Lo sappiamo, Prince, è ovvio.”
Grugnì Potter che pareva stare sui carboni
ardenti. “Ma tu come
stai?”
Li fissò ad uno
ad uno
tentando di leggere tra le righe, perché doveva essere uno
quei casi in cui le
parole non esprimevano affatto le intenzioni.
“Sto
bene?” Tentò.
Malfoy gli diede una pacca
sulla spalla come se fosse un caso senza speranza. “Eravamo preoccupati per te.”
Chiarì e persino Potter riuscì a
lanciargli un’occhiata che non prometteva una rissa
immediata. “Siamo contenti
che tu non ti sia ammalato.”
“Già,
non possiamo permetterci
altra gente su un lettino.” Borbottò
quest’ultimo incrociando le braccia al
petto e fissando ovunque tranne che nella sua direzione.
È
in imbarazzo?
“Potty era roso
dall’ansia …” Gli
sussurrò Malfoy con aria cospiratoria, mentre
l’altro gli allungava un calcio
che schivò con disinvoltura consumata. “Se non
c’è qualcuno con cui può fare il
bullo si intristisce. È nei suoi geni, sai.”
“Vaffanculo Malfuretto!” Lanciò
un’occhiataccia ad entrambi come se
l’esternazione del collega fosse anche colpa sua.
“Vogliamo lavorare o no?”
“Tutto lavoro e
niente svago
rendono Scorpius un ragazzo noioso²!”
Cantilenò questo con tono petulante, ma
poi afferrò una cartellina dal caos che riposava in precario
equilibro alle sue
spalle e gliela porse. “Questa è arrivata ieri
sera dal tuo Ministero.”
Sören non poté fare a meno di sorridere quando vide
il logo della SAGITTA
stampato sulla copertina.
Devono
averci lavorato Rico e gli altri…
Non avrebbe mai pensato di
dirlo un anno prima, ma gli mancavano le chiacchiere del partner e
persino
l’imbarazzo che era capace di scatenargli Ama o le battute
irritanti di Murphy.
Erano la sua gente e quel rapporto
gli trasmetteva la stessa familiarità. Andarsene oltre mare
gliel’aveva solo
fatto realizzare. “Si tratta del materiale raccolto su
Howe?” Chiese
sfogliandola e leggendone qualche paragrafo.
“Già!” Convenne Malfoy. “Per
riassumerla, dice più o meno quello che già
sapevamo … Incensurato, neppure una multa per non aver
disilluso la scopa
mentre volava. Viaggiava spesso per lavoro, era un commesso
viaggiatore,
commercio in aggeggi da giardinaggio, roba del genere …
Divorziato con una
Babbana, senza figli.”
“Nessun
collegamento con John
Doe?” Prima o poi avrebbe smesso di sentirsi la bocca secca e
le mani sudate, a
quel nome.
“Nessuno.”
Sospirò,
chiudendo la
cartellina e appuntandosi di visionarla dopo. “Stavate
però parlando di
sviluppi …”
Datemi
qualcosa da fare. Datemi qualcosa da pensare che
non sia … lei.
Concentrarsi sul caso al
momento era la cosa migliore.
Potter interruppe il flusso
dei suoi pensieri. “Ieri sera abbiamo perquisito
l’appartamento di Henry Price
e Malfoy, spremendo quei due neuroni ossigenati che si ritrova, se
n’è uscito
con una teoria…”
“Una fantastica teoria!”
Fece eco il
suddetto. “Ti ricordi quando ci hai detto che il virus poteva
essere un effetto
collaterale? Qualcosa venuto fuori cercando di creare
qualcos’altro con la
Magia Oscura?”
“Sì, mi
ricordo.” Convenne. “Ma
era una considerazione, tutto qui. Avete trovato delle prove a
conferma?”
Malfoy frugò di
nuovo tra la
pila di carte e estrasse una busta di plastica che conteneva un
ritaglio di
giornale. “Dovremo fare ordine, prima o poi.”
Considerò meditabondo, poi gliela
girò. “Abbiamo trovato questo, assieme ad un
inquietantissima collezione di
gadget sui Duelli Magici.”
Sören lesse il
trafiletto
sotto l’immagine di un mago dal fisico prestante e atteggiato
in una posa da
modello.
Ti
senti un mezzo Mago? Un Magonò? Non è la
bacchetta, ma pensi di essere tu?
Prendi in mano la tua vita!
Seguiva un indirizzo postale
e
nient’altro. “È un annuncio
pubblicitario … abbastanza oscuro.”
Osservò
confuso. “Pensate che Price possa aver risposto? E
Howe?”
“Per Howe non lo
sappiamo, ma
di sicuro Price voleva diventare un Duellante più di
qualsiasi altra cosa al
mondo, a giudicare da quello che gli abbiamo trovato in
casa.” Rispose Malfoy
stringendosi le spalle. “Il problema è che le sue
capacità non erano
all’altezza dei suoi sogni.”
“Storia vecchia come la bacchetta di Merlino.”
Sbuffò Potter. “Non è il primo
che casca in una truffa magica. All’epoca dei nostri genitori
c’era quel corso
per corrispondenza…”
“SpeedyMagic.” Suggerì Jordan.
“Una mia zia Maganò ha speso una fortuna per
imparare a scaldarsi il the. E non ha mai imparato, per la
cronaca.” Aggiunse
con una smorfia. “È il brutto della faccenda. Puoi
allenarti quanto vuoi, ma se
non nasci con la magia nel sangue …”
“Price non era un
Magonò
però.” Osservò. “Ha
frequentato Hogwarts.”
Jordan lo squadrò
perplesso. “Non
è che ci dividiamo così. C’è
anche gente che ha magia, ma non ne
ha abbastanza.”
Si sarebbe sentito in
imbarazzo, se Scorpius non avesse dimostrato la sua stessa confusione.
“Mentre
i Magonò non ne hanno per niente, giusto? Sono tipo
rotti.”
“Rotti?” Potter
lo guardo indignato. “Che
cazzo, Malfuretto, non fare il Purosangue!”
“Sono
un Purosangue.” Ribattè stringendosi
nelle spalle. “All’epoca di mio
padre o nascevi con la bacchetta in pugno o finivi come una toppa
bruciata sull’arazzo
di famiglia. Nessuno mi ha mai spiegato un accidente di questa roba. Si
suppone
che non ne abbia bisogno.”
A quanto sembrava, per una
volta la sua ignoranza era questione di educazione
Purosangue e non una personale deficienza: ne fu sollevato.
Jordan per
l’ennesima volta si
assunse il compito di spiegare; era strano pensare che avesse
frequentato la stessa
Casa di Potter; sembrava più adatto a Corvonero.
“Molta gente fa confusione." Esordì diplomatico.
"Il motivo per cui i
Purosangue di solito non sono scarsi è perché
nascono da famiglie con grandi
capacità magiche. Spesso discendono da persone come i
Quattro
Fondatori …
o gente come i Peverell.
Oltretutto fino ad una generazione fa non si mischiavano con Nati
Babbani o
Mezzosangue …” Fece una smorfia. “Gli
ideali che propugnavano i Mangiamorte
erano deliranti dal punto di vista etico, ma la genetica darebbe loro
ragione. Se
immetti nel tuo corredo genetico geni Babbani, il ceppo magico viene
indebolito.
Ci vogliono parecchie generazioni, si capisce, e basta una nuova unione
con un
ceppo magico forte per scongiurare il pericolo, ma
comunque…”
“Sì, peccato che se sposi la teoria Mangiamorte ti
aspetta un futuro di
malattie orrende! Non è che ti puoi portare a letto tuo
cugino e non avere conseguenze!” Si inserì Potter
con l’aria di aver già scelto l’opzione
che
più gli aggradava.
“Io preferirei
diventare un
Babbano.” Borbottò Scorpius. “Non avete
idea di che diavolo ci sia nel mio
albero genealogico.” Represse un brivido. “Una su
tutte, zia Bella.”
“Però
un Purosangue può essere
Magonò.” Obbiettò Sören
incuriosito. Si rendeva conto che c’era tanto
che non sapeva del Mondo Magico, ora che era fuori dalla
bolla in cui la
Thule e suo zio l’avevano tenuto.
Jordan confermò.
“Sì, quello è
in discorso diverso. Non è che siano rotti.” Fece
un sorrisetto indulgente a
Scorpius, che abbozzò un sorrisetto imbarazzato. “
… È che il loro sangue
produce qualcosa che, come dire, annulla
la magia. È una malattia, non c’entra niente con
ipotetiche scale magiche.”
Quindi
per Milo è così?
Sören
ricordò come cinque anni
prima l’altro non avesse tratto giovamento dai suoi
incantesimi curativi e come
fosse poi sembrato stranamente resistente alle Maledizioni scagliategli
dai
Mercemaghi.
Aveva
detto che la magia su di lui funzionava in modo
diverso, che era per via del suo sangue.
Ecco
perché.
“Comunque, dai
documenti
scolastici è venuto fuori che Price era ricettivo quanto una
Scopalinda.” Si
inserì Potter per riportare su di sé il centro
dell’attenzione. Sembrava tipo
che non riusciva a delegarla per lungo tempo. “Poi, sei mesi
fa, è diventato il
re del Duello Magico. La cosa puzza di Magia Oscura, non vi
pare?”
“Pensate che tutto sia partito dal rispondere
all’annuncio?” Lesse l’indirizzo
postale. “È qui a Londra.”
“Ci stavamo
andando.” Potter
si alzò della sedia che era riuscito a guadagnarsi a rischio
di azzoppare il
partner. Passandogli vicino gli diede un colpo con la propria spalla,
ma
leggero e che non sapeva di astio o violenza come quelli di Murphy.
Sembrava
quasi … cameratesco.
“Aspettavamo te,
pipistrello.”
Non sapeva se sentirsi
offeso
o chiedere spiegazioni. Nel dubbio, guardò Malfoy che dava
spesso mostra di
capire il primogenito del Salvatore meglio di chiunque altro.
Questo gli fece un
sorrisetto,
e quando gli si affiancò,gli diede lo stesso lieve colpo
sulla spalla. “Potty
ha un soprannome per tutti.” Spiegò di buon grado.
“Specie quando cominci a
piacergli. Forse tra un paio d’anni si ricorderà
anche come ti chiami. Non è
adorabile?”
Quando
penso a James Potter, adorabile è l’ultima
parola che mi viene in mente.
“Quindi
è un buon segno?”
Chiese invece.
“Cavolo,
sì!” Malfoy agganciò
il collare del cane al guinzaglio e lo Disilluse con un gesto della
bacchetta.
Era ironico,
considerò
seguendo il biondo mentre questo incespicava fuori
dall’ufficio come trascinato
da una forza invisibile che in realtà aveva quattro zampe ed
era canina; era
entrato nel radar di James Potter proprio quando tentava di uscire da
quello di
sua sorella.
****
Chelsea
Embankment, Old Church Street.
Casa
di Michel Zabini, Mattina.
Loki Nott trovava che la
stanza degli ospiti di Michel fosse la cosa più simile alla
definizione di casa
che avesse.
Non che indugiasse spesso in
pensieri del genere appena sveglio, specie se in piacevole compagnia,
tuttavia
l’emotività era una faccenda che doveva mettere in
conto ogni tanto.
Cogito
ergo sum.
Districandosi dalle braccia
morbide della ragazza che gli dormiva affianco si alzò in
piedi e dopo una
doccia scelse con cura i vestiti: l’amico diventava infatti
di cattivo umore se
solo osava essere meno che distinto in sua presenza. Non possedendo al momento fissa dimora - la villa in
Spagna era stata sequestrata dalle autorità locali per un
increscioso incidente
che coinvolgeva una partita di Radici di Belladonna cilene – doveva tenerselo
buono onde evitare
di finire in mezzo ad una
strada.
O
da Sy.
Credo
che Lord Malfoy non abbia mai preso bene
l’innocente corte fatta a sua moglie…
Si sistemò i suoi
gemelli
migliori al polso mentre percorreva il lungo e bianchissimo corridoio
che
portava da camera sua fino alla cucina, un tripudio di acciaio, marmo e
non-colore.
Sembra
il catalogo di un architetto.
La mancanza di
personalità
dell’arredamento era il modo in cui Michel scoraggiava tutti
dal considerare la
sua magione un posto accogliente.
Basta
vedere camera sua per capire che
non ci vuole nessuno in pianta stabile.
Lui
però non era il mondo intero.
“Buongiorno!”
Si annunciò al
ragazzo che gli dava le spalle, assorto nella lettura di qualcosa che
non
riusciva a vedere. “Dormito il sonno dei giusti?”
Michel sobbalzò,
chiudendo con
un tonfo secco ciò che stava leggendo. “Ah, sei
qui.” Esordì in un tono che
nascondeva evidente allarme. “Non ti ho sentito rientrare
ieri sera.”
“Perché
mi sono Materializzato
in camera da letto. Sai, non avendo le chiavi di
casa…”
“ … dato che questa non
è casa tua…”
Gli fece eco con una smorfia appoggiandosi sull’isola di
marmo bianco che
fungeva da tavolo della colazione. “Bella camicia.”
Osservò ironico.
“Grazie.”
Lisciò il tessuto con
una mano. “È una delle tue.”
Michel roteò gli
occhi al
cielo, Appellando dal frigo il necessario per la colazione, ovvero una
serie di
piatti già cucinati dalle mani talentuose – anche
a far altro - di una Babbana che
veniva settimanalmente ad occuparsi della
casa.
Qui
un Elfo sarebbe incongruo. Oltre al fatto che non
ci metterebbe piede.
“Devi farti la
barba comunque.”
Osservò facendogli cenno di servirsi. “O hai
bisogno che lo faccia io per te?”
“Mi raso,
l’effetto di lieve
incuria è voluto. Dà quell’idea di
dissolutezza elegante che piace, mio caro.” Si
versò una tazza di caffè bollente e lo
sorseggiò grato: Michel non sapeva
cucinare, ma il suo caffè era sempre eccellente.
“Cosa stavi guardando prima
che arrivassi?”
Perché
sì, mi sono accorto che stai nascondendo
qualcosa dietro la schiena.
“La
Gazzetta.” Dissimulò con
perfetta noncuranza. “Hai saputo del disastro mediatico
avvenuto all’Accademia
di Duello?”
“Certo
… a quanto pare dovremo
evitare singolari tenzoni per un po’.”
Scrollò le spalle. “Solo è
strano…”
“Da quando è strano il panico da
epidemia?”
“Non quello. Da
quando il
Profeta è rilegato in cuoio verniciato?”
E prima che
l’altro potesse
far Evanescere l’oggetto della discussione lo
Appellò con un colpo di bacchetta
e se lo fece arrivare in mano.
“Loki!”
“Via, via … sai che i segreti sono la mia
droga.” Lo tenne fuori dalla porta
dell’altro con una certa difficoltà, dato che
debitamente innervosito sapeva
essere piuttosto pronto alla violenza. “Mi correggo, non un
libro ma un album
di foto!” Riconobbe sfogliando le prime pagine e frapponendo
tra di loro il
ripiano di cottura. “Nostalgia dei bei tempi
andati?”
“Ti ricordo che
sei un ospite, e che in qualsiasi
momento
posso sbatterti fuori e far mettere barriere in grado di polverizzarti
il
culo.”
“Diventare scurrile di prima mattina, Lord
Zabini, mi delude.” Schioccò la lingua
continuando a stuzzicarlo; quando
l’amico d’infanzia la piantava con la manfrina
dell’algido ministeriale
mostrava una vitalità.
A
volte penso che suo padre abbia fatto un lavoro eccellente
nel renderlo simile a lui.
E non
è un complimento.
Che se si doveva parlar di
nostalgia, ricordava bene la persona che Michel era stato prima che
Lord Zabini
si interessasse della sua educazione, strappandolo
dall’orbita dell’amata
nonna. La persona che nonostante tutto era continuato ad essere durante
la loro
adolescenza.
Solo
che adesso non c’è più Hogwarts a
proteggerlo.
Era come se una fiamma si
stesse spegnendo negli occhi del suo amico d’infanzia,
soppiantata da qualcosa
che non parlava di maturità, ma di inaridimento.
Si scrollò dalle
spalle quei
pensieri fin troppo seri e gli servì un sorriso beato.
“Su, non prendertela …
Sto solo cercando di interessarmi alla vita privata del mio amato
padrone di
casa.”
“Chiama le cose col suo nome. Ti stai impicciando.”
“Ti confidi con il dolce Albus e non con me?
L’altro ieri mi avete lasciato
solo in quel caffè Babbano per spettegolare dei vostri
piccoli segreti gay. Mi
ritengo offeso.”
“Non sei
credibile.”
“Dici? Perché oggi potrei aver voglia di pranzare
con Scorpius e dirgli che ti
sei commosso su un vecchio album di
foto.” Ghignò. “Sai come diventa quando
pensa che un amico sta passando un
brutto periodo…”
Gli scoccò un’occhiata orripilata. “Non
oseresti.”
“Potrebbe
stabilirsi qui per prendersi cura di te.”
“Va
bene!” Sbuffò crollando su
uno degli sgabelli scomodissimi che fungevano da sedie. “Si
tratta … beh.”
Aggrottò le sopracciglia. “In realtà
potresti tornarmi utile.”
“Sempre lieto di esser sfruttato. Al giusto prezzo, si
capisce. Dicevamo di
quella tua decappottabile…”
“Piuttosto mi prendo a balia Scorpius.”
Loki ridacchiò, battendo sul taschino della vestaglia
dell’altro, percependo a
tatto il porta-sigarette e sfilandoglielo. “Scherzavo. In
realtà mi accontento
di poco.”
“Si tratta di
trovare una
persona.” Disse infine, e da come nicchiava
l’argomento si prometteva
interessante.
Ed
io adoro le cose interessanti.
Si accese la sigaretta,
spedendo il fumo a volteggiare trai faretti bianchi che illuminavano
l’ambiente
con l’eleganza di un tavolo da obitorio. “E questa
persona appartiene al nostro
polveroso passato?”
Michel si risedette,
togliendosi ed infilandosi distratto l’anello col blasone di
famiglia. Era un
vezzo nervoso che aveva quando veniva roso dall’indecisione.
“Non al tuo, al
mio…” Sospirò vinto. “La
persona che cerco ha qualcosa che mi appartiene. La
rivoglio indietro.”
Loki studiò l’espressione dell’altro:
non si diventava il mago d’affari che era
senza saper leggere nel comportamento altrui. Non era un Legimante,
né gli
interessava diventarlo, ma dalla postura rigida mal dissimulata, Michel
gli
stava mentendo.
Decise di stare al gioco.
“Perché lo cerchi in un album di fotografie e non
in strada allora?”
“Dovevo essere sicuro fosse lui. L’ho incontrato di
recente dopo … anni. Solo non
ho idea di come rintracciarlo a meno che non ci sbatta di nuovo
contro.” Fece
una smorfia pescando una fragola dal proprio piatto e mordendola
pensieroso.
Gli lanciò un’altra occhiata. “O meglio,
potrei, solo … non appartengo a quel
mondo.”
“Fammi indovinare,
io invece
sì.” Si puntellò sul ripiano con le
mani, inarcando le sopracciglia e godendosi
il delizioso disagio che si dipinse sul volto del dirimpettaio.
Che
razza di persona sta cercando?
“Lo, mi serve un
favore.”
Ammise riluttante massaggiandosi il retro del collo come se il solo
pensiero
gli provocasse dolore. “Ma devi promettermi di non farne
parola con nessuno,
perché la situazione è …
imbarazzante.”
Oh, bene. Benissimo.
Cercò di non
gongolare, perché
tornare a Londra non per svago, ma per evitare la galera era noioso
come
contemplare lo scorrere del Tamigi e Merlino solo sapeva se aveva
bisogno di
distrazioni. “Non preoccuparti.” Lo
rassicurò. “C’è
una categoria di persone per cui sono una tomba e quelli sono i
miei amici.”
Un lieve sorriso gli increspò le labbra. “Lo so,
mio buon Nott.” Si riscosse,
schiarendosi la voce perché era pur sempre Michel Zabini, e
Morgana stessa non
sarebbe riuscita a fargli mostrare un’emozione che non fosse
calcolata al
millimetro. “La persona che voglio trovare è un
Magonò.”
“Oh.” Non mascherò il suo stupore;
mettere nella stessa frase, nonché nello
stesso ambiente un senza-magia e quel bastione Purosangue che era il
suo
migliore amico suonava … strano. “E
cos’ha che ti appartiene, di grazia?”
“Niente che ti
interessi.” Fu
svelto a rispondere. “Tu fai affari con loro, vero?”
“Capita.”
Convenne dando gli
ultimi tiri alla sigaretta e facendola Evanescere con uno schiocco di
dita. “Se
posso però preferisco evitare. Non sei mai dalla parte
giusta dell’accordo con
gente come quella.”
“Me ne sono accorto.” Si tolse l’anello e
lo posò sul tavolo, contemplandolo
assorto per qualche attimo prima di parlare. “Dove
… dove passano la giornata
di solito?”
“Un po’
ovunque.” Si strinse
nelle spalle. “Dipende. Per esempio il Black Goose a Notturn
Alley è un buon
punto di partenza. È un po’ il loro pub di
elezione. C’è un tipo che conosco
…”
“No, niente tipi.”
Lo fermò, un
fascio di nervi: era raro vederlo così, e Loki per un
momento si chiese se non
fosse il caso di smettere di dissuaderlo.
Mike
che cerca un Magonò… Sembra una barzelletta. O un
disastro.
Voleva divertirsi alle
spalle
dell’altro, ma non a spese della sua incolumità.
“Mike…”
“Lascia perdere.” Fece un cenno evasivo.
“Non vale la pena discuterne.”
“Allora perché hai tirato fuori
l’argomento?” Poteva esser serio se necessario,
e il suo istinto gli diceva che era il caso di esserlo. “Se
hai bisogno di
trovare questo tizio posso aiutarti.”
“No.” Si alzò e spedì il
piatto dentro il lavello. “Comunque adesso non ho
tempo, devo essere al Ministero tra venti minuti, sono in
ritardo.”
Non gli diede tempo di ribattere perché se la diede
elegantemente a gambe. Loki
sospirò, dirigendosi verso il lato della casa che
l’altro gli aveva concesso,
dritto tra le braccia delle sua conquista che, a giudicare dai rumori
che
provenivano dalla stanza, doveva essersi appena alzata.
Lasciare
perdere? Come no.
Ti
ho appena dato un posto in cui cercare.
****
Galles,
Denbighshire. Mattina.
La capanna di Moscardo era
nient’altro che assi solide e un tetto di paglia; nulla di
eccezionale, ma più
resistente di quanto non avesse immaginato quando vi aveva varcato la
soglia la
notte prima. Il Mannaro si sedette sul ciglio del letto, massaggiandosi
il
ginocchio con una smorfia. “Ogni volta che deve piovere vedo
l’intero
firmamento.” Spiegò ironico alla sua occhiata.
“Di
cos’aveva bisogno di
parlarmi?” Decise di andare dritto al punto. Aveva aspettato
fin troppo per
avere le sue risposte-
Anche
la pazienza ha un limite. Già superato.
Moscardo lanciò
un’occhiata a
Flynn, che si era appoggiata alla parete osservando distratta nessun
punto in
particolare. “Ho conosciuto tuo padre, Signor
Lupin.”
“Quando ha vissuto qui,
immagino.”
“Quando era un agente mandato da Albus Silente,
sì.” Alla sua espressione
sorpresa, sorrise divertito. “Noi Mannari potremo esser
tagliati fuori dal
mondo, ma non siamo degli sprovveduti. Molti di noi avevano capito sin
da
subito che non si era unito al branco per spirito di aggregazione. Un
Trasformato adulto che arriva nel branco? Succede raramente. Di solito
i
Trasformati arrivano da cuccioli, portati da chi li ha morsi.”
Fenrir Greyback, mangiamorte e Mannaro.
Ha morso mio padre e ucciso il nonno di Scorpius…
Serrò le labbra,
ma non
commentò. “Eppure ha vissuto per mesi con voi
… Greyback non se n’è mai reso
conto?”
“Se l’ha fatto, probabilmente era convinto di
riuscire a portarlo dalla sua
parte, alla fine.” Osservò Moscardo stringendosi
nelle spalle. “Oltretutto, Lunastorta
poteva giustificare quel genere di pensieri … Era diventato
uno di noi. Non mi
arrischio a dire che Greyback si fidasse di lui, ma certo credeva di
averlo convinto
che questa era la sua vera e sola famiglia.”
“In ogni caso, nessuno dei due alla fine ha vinto
…” Ribatté perché sentiva
che
doveva farlo. Greyback e famiglia
era
un concetto osceno, se associato al
genitore. “Mio padre non è riuscito a portar via
Mannari dalla sfera di
influenza di Greyback, e Greyback non l’ha avuto.”
Scosse la testa. “Non mi
fraintenda, ma queste cose già le so.”
“Non credo
proprio.” Lo redarguì
l’altro con un certo fastidio. “Cosa sai del
periodo che ha trascorso qui?”
Ted scoccò un’occhiata a Flynn e fu sorpreso di
vederle distogliere lo sguardo
a disagio. “Cosa c’è da sapere?
È venuto qui per … ma non ne abbiamo
già
parlato?”
“Lo fai sembra
semplice, come
fai sembrar noi dei
sempliciotti.”
Sbottò l’altro. “Pensi che basti essere
un Licantropo per essere accolto a
braccia aperte?” Lo incalzò con una certa durezza
che lo confuse.
“Non
intendevo…”
“Moscardo.”
Si inserì Flynn.
“Ted non conosce il branco come lo conosciamo noi, dagli
tregua.”
Il Mannaro sbuffò, scuotendo la testa ma tornando a
più miti consigli da come
alzò le mani in segno di resa. “Non mi aspetto che
lo faccia, ma neppure che ci
veda come un circolo di Scacchi Magici a libera entrata!”
Fissò le iridi dorate
nelle sue, con serietà. “Il branco è
tutto. È la tua famiglia, è la tua casa
…
È l’unico posto in cui puoi essere al sicuro. Un
estraneo può essere più
pericoloso di un’epidemia. Lunastorta quando è
stato qui non si è finto
uno di noi. Era uno di
noi.”
Ted non sapeva cosa pensare, ma sentiva che il magone che gli chiudeva
lo
stomaco non era un buon segno; era vero, sapeva poco o niente del
periodo in
cui suo padre aveva vissuto lì. Sua nonna non gliene aveva
mai parlato e anche
Harry non aveva potuto essergli molto d’aiuto data la
segretezza della
missione.
“Non intendevo
offenderla, mi
creda …” Tentò di rabbonirlo.
“Solo che non capisco cosa c’entri mio padre con
il motivo per cui sono venuto qui.”
Il Mannaro schioccò la lingua, alzandosi in piedi e
misurando il pavimento in
un paio di passi. “Sei venuto qui per sapere chi era il
Mannaro morto nella tua
foresta, no?”
Non è proprio la mia
foresta…
Ma non era il caso di impuntarsi sui dettagli.
“Sì, beh…”
“Perché?”
La domanda lo spiazzò, anche se in fondo non avrebbe dovuto.
Me
la sono fatta da solo non so quante volte…
“Perché
mi sento responsabile.
Avevo il compito di aiutarlo, ed ho fallito.” Si
passò una mano trai capelli,
sentendosi stanco di colpo; tutto quel parlare non stava portando da
nessuna
parte, se non ad una strana inquietudine che sentiva scorrere
sottopelle.
Avrebbe voluto avere la capacità Potter di tagliar corto.
Mai
avuta.
“E poi, non riesco
a togliermi
dalla testa che abbia voluto dirmi qualcosa prima di morire. Credevo
fosse il
suo nome, Ben…”
“Ben?” Da come
il Mannaro si irrigidì
capì che quelle tre lettere avevano fatto scattare
più di un allarme.
“… Non è il suo nome?”
Tentò.
“Lunastorta è nato e cresciuto nel branco,
ragazzo. Non ha mai avuto un nome da
umano.” Borbottò sfuggendo il suo sguardo come
aveva fatto e stava facendo
Flynn.
Che
sta succedendo? Cosa mi stanno nascondendo?
“Chi era
Lunastorta?” La
domanda gli salì alle labbra prima che potesse mediarla. Ma
doveva farlo, poi?
Era quello che aveva sempre voluto sapere.
Moscardo e Flynn si
scambiarono un’occhiata e di colpo fu come se qualcuno gli
avesse piazzato un
pugno secco nello stomaco. Secondo James le realizzazioni peggiori
arrivavano
così.
Tutto
questo parlare di papà … del fatto che fosse
parte del branco, che i nomi di battesimo sono importanti…
Oh,
no.
No.
Come aveva fatto a non
arrivarci prima?
“Moscardo, la
prego.” Mormorò
al Mannaro, tentando disperatamente di non farsi sopraffare dalla
nausea. “Mio
padre e il Mannaro della foresta … Che rapporto avevano? Ho
bisogno … me lo
dica e basta.”
Moscardo si scambiò l’ennesima occhiata con Flynn.
“Mi dispiace, ragazzo.
Pensavo che lo sapessi.”
Era tutto quello che aveva
bisogno di sentire. Il Mannaro della foresta non era solo un uomo che
gli era
morto tra le braccia senza che avesse potuto fare niente.
Era
mio fratello.
Avevo
un fratello.
L’istinto di
correre via da
quella capanna, le cui pareti minacciavano di soffocarlo, era forte, ma
chiuse
gli occhi e si prese un momento per tornare in sé;
c’era un ultimo punto che
doveva chiarire e gli premeva più di sapere
perché suo padre si fosse portato
un segreto simile nella tomba.
“Ben.”
Doveva avere un’espressione spaventosa a giudicare dalla
faccia preoccupata degli altri due. “Chi
è?”
Moscardo scosse la testa.
“Tuo
fratello ha abbandonato il branco anni fa … Era tornato, ma
non per rimanere.
Vulneraria non gliel’ha permesso.”
Era davvero così difficile dirgli tutto in una volta sola?
Avrà paura che tu perda la testa. A
giudicare da come ti guarda, sembra proprio temerlo.
Fratello
… avevo un fratello.
“Cos’aveva
fatto per essere
bandito?” Incalzò.
Il Mannaro sembrava in
difficoltà, diviso dalla lealtà verso il branco e
la consapevolezza di dovergli delle
spiegazioni. Non
gli importava: gli si avvicinò e ignorò
il guizzo di allarme ferino che gli vide nello sguardo, come il
richiamo
inutile di Flynn. “Chi è
Ben?”
“Suo figlio.” Buttò fuori rassegnato.
“È questo il motivo per cui Vulneraria
non lo voleva. È venuto qui con un bambino.”
“Oddio…”
Mormorò Flynn. “Perché
diavolo non me l’hai
detto? Dovrebbe
essere nei registri!”
“È stato una sorpresa anche per noi!”
Replicò il Mannaro sulla difensiva. “È
arrivato qui con un cucciolo, dicendo che era suo e pretendendo che ce
ne
prendessimo cura … ma aveva la magia,
gliel’abbiamo sentita addosso!” Fece una
smorfia. “Non poteva rimanere.”
“Vuoi dire che il
bambino non
è un Mannaro?”
“È un mezzo lupo. Come voi.”
“Dannazione Moscardo!”
Ted stava ascoltando a
malapena l’alterco tra gli altri due. Era come se qualcuno
gli stesse
insistentemente prendendo a calci il cervello.
Torna
in te. Si sta parlando di un bambino.
Ragiona.
“So
dov’è.” Si sentì dire come
se fosse stato qualcun altro a pronunciare quelle parole. “So
cosa stava
cercando di dirmi prima di morire … Il bambino è
ancora nella Foresta
Proibita.”
****
Londra,
East End.
“L’indirizzo
è questo.”
James lanciò un’occhiata distratta al pezzo di
carta tra le mani di Scorpius,
recitante la pubblicità che aveva attirato Price in quella
che, a conti fatti,
si era rivelata una trappola a scoppio ritardato.
Si trovavano
nell’East End, in
una zona industriale piena di magazzini dismessi e occupati
abusivamente oppure
talmente cadenti da aver attorno un cordone di avvisi di pericolo e
transenne.
Quest’ultimo era
il loro caso;
la loro meta finale era nient’altro che un enorme agglomerato
di lamiere e
cemento che sembrava reggersi in piedi per puro miracolo. Agli occhi di
un
Babbano sembrava un semplice orrore architettonico, con scritte oscene
e vetri rotti.
Agli
occhi di un mago invece…
Con un cenno agli altri
tirò
fuori la bacchetta e salì le scale arrugginite che portavano
all’ingresso di
servizio. Bobby fu il primo ad arrivare alla porta e prese in mano il
pesante catenaccio
con cui era stata chiusa in più giri. “Sembra
proprio roba Babbana, eh?”
“Sembra.
Sono stati lanciati un Repello
Babbanum, un Salvo Hexia
e Clausurum Totalum.”
Esordì Prince, fino
a quel momento in totale silenzio. “Più un
incantesimo di Intracciabilità di
classe uno.”
“Roba
potente!” Ribatté
Scorpius massaggiandosi la nuca con una smorfia dolorante. “E
si sente, per
Merlino.”
James finse di non notare la cosa, nonostante la compressione alle
tempie e il
senso di oppressione al petto parlassero chiaro. “Bobby,
chiama gli Spezza Incantesimi.
Voglio evitare che mi schizzi il cervello fuori dalle
orecchie.”
“Non serve.” Replicò il tedesco,
chiedendo con un chiaro movimento della mano
di fargli spazio. “Posso pensarci io.”
“Sul serio?”
Non poté frenare
l’incredulità e a giudicare
dall’occhiataccia che la nuova balia del
pipistrello – ovvero Scorpius – gli
lanciò doveva aver esagerato anche con il
sarcasmo.
Oh,
dai. Non posso proprio dir niente adesso!
Prince non si scompose.
“Sul
serio.” Rispose invece. “Sono stato addestrato
anche come Spezza Incantesimi.”
“Certo che questi Americani ne sanno una più del
diavolo…”
“Non è stata la SAGITTA ad addestrarmi.”
James si morse la lingua per
evitare una battuta che persino lui avrebbe considerato infelice.
Visto?
Sono stato bravo stavolta!
Scorpius
invece di lodarlo alzò gli
occhi al cielo. “Le barriere sono tutte tue
Sören!” Disse al tedesco dandogli
una pacca sulla spalla.
“Vi fare anche le treccine nel tempo libero?” Non
poté fare a meno di soffiare
quando l’amico gli fu accanto. “Le
barriere
sono tutte tue…” Lo imitò
sentendosi solo leggermente
infantile. “La tua cotta è imbarazzante.”
“Lo so.
È così rigoroso e
tedesco, non posso resistergli.” Ghignò
l’altro. “Ma non preoccuparti, Potty. Rimani
tu il mio preferito.”
James si rifiutò
di farsi
lusingare dalla cosa e si concentrò invece
sull’osservare l’operato di Prince:
questo armeggiò con il bracciale che aveva al polso e poi se
lo tolse,
infilandolo nella tasca dello spolverino di pelle che gli aveva
suggerito il
suo nuovo soprannome.
Dai,
è l’uomo pipistrello. Punto.
Poi l’altro mise
la mano sulla
porta e di colpo la magia attorno a loro fu scossa come da una potente
ondata
di vento. Dalla strada nessuno si accorse di niente, ma James
sentì l’intero
corpo vibrare come una corda.
Woah!
Il rumore di uno strappo
violento qualche momento dopo sottolineò come le barriere
erano appena state tranciate
di netto e senza troppe cerimonie.
“Per tutte le
sottane di
Salazar!” Esclamò Scorpius. “Come
diavolo hai fatto?”
Prince non tentò
neanche di
nascondere il compiacimento da come sorrise. Era piuttosto pallido e
sudato, ma
non sembrava scosso. Una vocetta interiore, che aveva il tono di voce
petulante
di Malfoy, gli suggerì di rivedere l’idea di
trascinarlo su una pedana e
sfidarlo a duello non appena si fosse presentata l’occasione.
Perché
siamo proprio sicuri che saresti tu a fare il
culo a lui e non viceversa?
“Anni di
pratica.” Rispose
intanto quello tagliando il catenaccio della porta con Recido.
“Era uno dei miei compiti quando lavoravo per mio
zio.”
Bobby si voltò inarcando le sopracciglia.
“È una fortuna che adesso lavori per
noi, eh?”
“Come
no.” Borbottò entrando
dentro e accendendo un Lumos per
rischiarare l’ingresso avvolto nella penombra.
L’ambiente, come
c’era da
aspettarsi, era enorme. Non si sentivano i rumori, e l’odore
di pioggia, muffa
e in generale abbandono era ovunque.
“Facciamo un
po’ di luce.”
Esordì e quattro Lumos Maxima
andarono a galleggiare tra le architravi metalliche del tetto. Tra
vecchi
scaffali, bidoni e scatole da imballaggio non sembrava esserci nulla,
tuttavia,
quando gli occhi si furono abituati, James scorse sul pavimento tracce
di suole
da scarpe. “Qualcuno è stato qui di
recente.” Si chinò per osservarle. “Le
tracce non sono state coperte dalla polvere.”
“Questo posto puzza.” Borbottò
Scorpius. “E sembra
voler crollare da un momento all’altro. Come
ha fatto Price a considerare attendibile
l’intera faccenda?”
“A giudicare dalla
quantità di
magia che è percepibile tutt’ora, questo posto
è stato Illuso.” Replicò Prince
passando le dita sulle colonne di cemento mangiate
dall’umidità. “Forse quello
che ha visto Price non è quello che stiamo vedendo
noi.”
Bobby si guardò
attorno
circospetto. “Quindi è stato incantato. Come un
ufficio … un laboratorio,
cosa?”
“Forse
entrambi.” Ipotizzò
James. “Qualunque cosa sia stato comunque ora non lo
è più. È chiaro che
chiunque lo abbia usato se n’è andato da un bel
pezzo.” Fece una smorfia.
“Questo posto è stato ripulito da tutto
ciò che era magico, barriere a parte.”
“Potrebbero
esserci degli
indizi invece.” Obbiettò Prince, con la faccia di
chi l’aveva presa sul
personale.
“Non sto dicendo
di non
controllare.” Replicò esasperato. “Solo
che…”
“Gente,
qua!” Scorpius li
interruppe, indicando di fronte a sé.
“C’è un’altra porta!”
Non mi piacciono le porte.
Indipendentemente dalla sua
antipatia, la porta c’era e faceva chiaramente accedere ad un
altro ambiente,
l’ufficio del proprietario a giudicare da quel che diceva la
targa a fianco. Stavolta
bastò un Alohomora per
farla aprire.
Entrati dentro capirono
subito
che quello era l’ambiente che era servito da base: non vi era
una sola
cianfrusaglia, era pulito dalle ragnatele e arieggiato, mentre un
Incantesimo
Climatico teneva bassa la temperatura e asciutta l’atmosfera.
“È qui
che hanno fatto tutto.”
Mormorò Bobby chinandosi sul pavimento e passandovi le dita.
“Neanche una
traccia di polvere … e ci sono dei segni. Qualcosa
è stato posato qui, pesante
e metallico.”
“Attrezzature?” Congetturò guardandosi
attorno. “Non sentite …”
Allargò le
narici. “ … non sentite un odore
familiare?”
“Sicuro.” Sbuffò Scorpius con un
sorrisetto. “Questo è l’odore che
c’è al San
Mungo. Erbe mediche e disinfettante. Scommetto dieci Galeoni che
è qui che
hanno sperimentato la super-cura su Price e Howe!”
James annuì,
facendo cenno a
Bobby che, recettivo come sempre, prese lo Specchio Comunicante dalla
tasca. “Chiama
i Tracciatori … Devono setacciare questo posto e inscatolare
tutto
l’inscatolabile. Dobbiamo sapere chi e cosa conteneva. Per
quanto ne sappiamo
potrebbero anche averci distillato un decotto per la tosse. Dobbiamo
essere sicuri che sia la pista
giusta.”
Con la coda
dell’occhio notò
che il tedesco non si era mosso dopo i primi cinque passi che aveva
fatto:
stava invece fissando qualcosa ai suoi piedi rigido come una statua.
“Ohi.”
Lo apostrofò e questo
sobbalzò come se gli avesse lanciato un incantesimo Elettro.
“Che c’è?”
Gli lanciò
un’occhiata indecifrabile,
pallido come un cadavere. “Johannes è stato
qui.”
“John
Doe?” Aggrottò le sopracciglia.
“Come lo sai?”
Per tutta risposta si
spostò
per mostrargli la porzione di pavimento che aveva osservato fino a quel
momento; c’erano dei mozziconi di sigarette schiacciati dalla
suola di una
scarpa. “Sono quelle che fumava abitualmente.”
Deglutì e poi il viso prese di
colpo una sfumatura decisamente sudaticcia e malsana.
“Scusate…” Mormorò con un
filo di voce prima di girare le spalle e andarsene a grandi passi.
“Crucco,
ehi!” Lo richiamò
solo per farsi ignorare. “Torna qui dannazione!”
“James.”
Malfoy gli fu subito
accanto, e il fatto che avesse usato il suo nome di battesimo doveva
essere
indicativo. Forse. “Meglio di no.”
“Meglio di no cosa?”
Sbuffò. “Non può
andarsene in giro come gli pare, è…”
L’altro lo guardò come se fosse idiota.
“Stava praticamente avendo un attacco
di panico, dagli tregua.”
Okay,
sono un idiota.
“John Doe
è stato il suo
partner per anni … Lavorare dall’altra parte
dev’essere, non so, strano?”
Considerò Bobby riponendo lo Specchio dopo aver chiuso la
comunicazione con la
Divisione Tracciatori. “Sapete che tipo di rapporto
avevano?”
“Del genere sono la tua cattiva
influenza.”
Rispose Scorpius con un sospiro. “Credo che John Doe fosse il
modo in cui suo
zio lo controllava a distanza … Mi ha anche detto che molto
di quello che sa
gliel’ha insegnato lui. Sapete, duelli, incantesimi
… roba così. Una specie di
mentore del crimine.”
“Brutta storia.” Convenne Bobby.
“Ritrovarselo tra capo e collo, dico …
Anch’io
andrei fuori di testa.”
A quel punto la sua stupida
lingua si mosse da sola. “Qualcuno dovrebbe andare a
controllare che non si sia
impiccato o roba del genere allora.” Fece del suo meglio per
suonare
noncurante, ma dal sorrisetto che gli venne servito dagli altri due
doveva aver
fallito miseramente. Ci rinunciò. “Muovi le
chiappe Malfuretto e va a
recuperarlo.”
L’acqua gelida che
si spruzzò
in faccia con la bacchetta servì poco e niente, ma perlomeno
gli rinfrescò il
viso, dato che lo sentiva bollire come se l’avesse tenuto
troppo vicino ad una
fiamma.
“Ehi.”
Malfoy sembrava avere l’innata capacità di
arrivare proprio quando aveva uno
dei suoi momenti bui. Non che fosse colpa sua, era solo preoccupato, se
ne
rendeva conto, tuttavia…
“Sören
… ehi amico, stai
bene?”
Lasciami
in pace. Lasciatemi tutti in
pace.
Johannes era a Londra.
Certo,
lo sapeva, aveva visto l’identikit, ma una cosa era vedere un
ritratto, una
cosa era realizzarne la presenza
fisica, tangibile. Per questo non era potuto rimanere in quella stanza
e il
panico che lo aveva assalito faticava ancora a dissolversi.
Inspirò,
appoggiando la fronte
alla ringhiera di metallo dell’uscita di servizio.
“Sto bene.” Masticò. “Torna
dentro, non è niente.”
“Senti, se vuoi
parlarne… Ti
farebbe bene.”
“Non voglio
parlarne.” Avrebbe voluto
colpirlo, allontanarlo.
Quello
che ha fatto Johannes là dentro … qualunque cosa
sia, l’ho fatta anch’io. Cinque anni fa quelle
impronte, quei mozziconi di
sigaretta sarebbero state le mie.
Avreste
indagato su di me.
Gli sembrava quasi di udire
la
risata di Johannes soffiargli sulla pelle.
Con
che diritto mi dai la caccia, principino?
Non poteva vedere Malfoy
dalla
sua posizione, ma lo sentì sospirare. “Vuoi
rientrare?”
“Potete fare a
meno di me?” L’idea
di metter di nuovo piede in quel posto chiuso da lamiere, buio come
Nurmengard
gli dava la nausea.
“Penso di
sì … Devono arrivare
i Tracciatori, ma non è che serviamo al completo.”
Fece una pausa. “Vuoi che ti
accompagniamo alla locanda?”
“Non ho bisogno
della vostra pietà!”
Non riuscì a trattenersi.
Si scontrò così con l’espressione
dapprima sorpresa, poi leggermente seccata
dell’Auror. “Nessuno ha pietà di
te.” Obbiettò pacato. “Sono stati giorni
duri
per te … e siamo preoccupato. È quello che fanno
i compagni di squadra.” Sospirò.
“Quelli veri.”
Non capiva e neppure ne
aveva
voglia. Certo, Scorpius aveva ragione, avrebbe dovuto parlarne; era
quello che
la sua Psicomaga gli aveva sempre consigliato di fare quando i pensieri
diventavano troppi e rischiavano di farlo esplodere.
Ma
quando ne avrò parlato? Non cambierà niente.
Johannes continuerà ad essere qui, come i suoi mozziconi,
come i miei incubi…
Mi
spiace Lily, non sono coraggioso. Sono un codardo.
Lo sono sempre stato.
“Se
non avete bisogno di me…” Si staccò
dalla
ringhiera e si passò una mano trai capelli. “Vado
a pranzo.” Non diede tempo
all’altro di ribattere. Si Smaterializzò.
****
Diagon
Alley, Tavola Calda Fortebraccio.
Ora
di pranzo.
“Avevo in mente
tutt’altro
quando ho detto che volevo trascorrere il mio giorno libero
all’aperto.”
“Siamo
all’aperto.”
Albus avrebbe alzato le mani al cielo, chiedendo
l’intercessione di Morgana
stessa se non fosse stato in un caffè affollato, data
l’ora e il sole cocente
che spingeva chiunque in strada a godersi l’estate al suo
pieno.
Chiunque
tranne me.
“Intendevo una
gita fuori
Londra, non trafugare rapporti
medici
per sottoporli all’attenzione del mio ragazzo!”
Tom gli servì un sorrisetto irritante, alzando gli occhi da
quel che stava
leggendo. “Come ho detto, siamo all’aperto, stiamo
per pranzare fuori e indossi
una di quelle tue orribili canottiere da tempo libero che, per inciso,
mi fanno
sanguinare gli occhi.” Alzò un sopracciglio.
“Mi pare un compromesso tutto a
tuo favore.”
“Solo perché a te
non piacciono le
cose colorate, Beccamorto, non significa che sia brutta!”
Puntualizzò per il
puro gusto di protestare, allungando le braccia sul tavolino e
seppellendoci il
viso. “Ho già detto che ti odio?”
“Cinque
volte.” Tom girò la
pagina. “Come si legge questo valore?” Gli chiese
girando la cartellina.
Al suo malgrado alzò la testa e mise a fuoco la serie di
dati numerici espressi
in alfabeto runico, usato in ambito medico per risparmiare inchiostro e
tempo.
Sì,
Rune Antiche serve a qualcosa.
“Significa che tuo
cugino ha
una capacità magica superiore a quella del mago della strada
del … doppio,
circa.” Si pettinò i capelli e dall’aria
esilarata dell’altro probabilmente
senza successo. “Meglio che non si sia ammalato.”
“Ma non sapete perché non è
successo.”
“No, e
finché il suo Ministero
non ci dà il nulla osta non possiamo fargli altri esami, a
parte quelli del
sangue che vedi qui.” Picchiettò sulla pergamena.
“Ci pensi? Non dispone del
suo corpo! È assurdo!”
“In teoria ha una
condanna
vita natural durante sulla testa…”
“Okay, ma a te non darebbe fastidio sapere che non appartieni
a te stesso?”
“Se capitasse a me
non lo
chiamerei fastidio.” Tom
gli lanciò
un’occhiata che riassumeva bene cosa avrebbe fatto lui, se si fosse trovato al posto di
Sören.
Trema,
Mondo Magico.
Si appoggiò poi
allo schienale
della sedia per guardare assorto il via vai di maghi e streghe sulla
via. “È il
braccio.” Affermò senza mezzi termini.
“È il nucleo di bacchetta che ha nel
braccio ad averlo protetto.”
“Sì, ci avevamo pensato. Solo bisogna capire come. Idee?” Domandò
e fu sollevato dal vederlo scuotere la testa.
Per
fortuna. Se risolve un altro pezzo del puzzle poi
chi lo regge…
Si riprese subito, comunque.
“Ma
lo saprò. Del resto, cosa ne sapete voi Guaritori di
bacchette?” Interloquì con
l’aria di un gatto a cui era stato presentata una fetta di
lardo succulenta. “Potrebbe
servirvi una consulenza esterna.”
“Che dovrà prima essere approvata
dall’Ufficio Auror. Scommetto che papà non
vede l’ora di vederti saltare dentro la fossa dei leoni. Ne
sarà estasiato.”
“Non stavo parlando di me, ma di Stevens. Non sono
così auto-referenziale.”
Al sorrise, sporgendosi per avvicinare il volto a quello
dell’altro. “No?” Mormorò
spostando la mano sotto il tavolo ad accarezzargli la gamba.
L’altro inspirò, tendendosi
istintivamente nella sua direzione. “Siamo sicuri che non
useresti Rupert come
ponte?”
“Come ho detto,
non stiamo
parlando di me … io sono solo un Apprendista.”
Coprì la mano con la sua e si
chinò per sfiorargli l’orecchio con le labbra.
“Mi rimetto alle decisioni del
mio mentore con umiltà. Come del resto hai fatto tu con
Smethwyck, non è vero?”
Al era certo che la
cameriera,
venuta a ritirare il suo bicchiere, stesse cercando disperatamente di
non
guardare nella loro direzione. Preso dalla pietà
cercò di raddrizzarsi, ma Tom
gli strinse il polso e lo costrinse a rimanere in quella posizione,
coinvolgendolo in un bacio che era una palese punizione per averlo
stuzzicato.
Ah
sì?
Gli tirò un
pizzicotto
violento nell’interno coscia e mentre l’altro si
piegava discretamente in due, sorrise
alla povera ragazza. “Me ne puoi portare
un’altra?” Indicò il bicchiere.
“E
controllare i nostri ordini? Sono un po’ in
ritardo…”
“Hai la vescica di un cammello.” Mormorò
Tom con un lamento soffocato,
dardeggiando la cameriera e facendola scappare a gambe levate.
“Fa caldo, devo
integrare
liquidi.” Stornò con una scrollata di spalle.
“Comunque l’idea del consulto è
buona … La accennerò ai miei capi.” Si
stiracchiò, esponendo le spalle nude al
sole. “Così almeno la pianterò di
rischiare d’essere radiato dall’albo dei
Guaritori ancor prima di entrarci.”
“Sì, sembri atterrito dalla prospettiva.”
“Sono spaventato dalla prospettiva che un’epidemia
si diffonda nell’intero
Mondo Magico su larga scala.” Gli fece eco occhieggiando la
Gazzetta del
profeta che una loro vicina di tavolo stava leggendo; in prima pagina,
a
caratteri cubitali, c’era una foto di suo padre fatta alla
conferenza stampa. La
notizia era stata trattata con prudenza, e si era quindi evitato fughe
di
informazione al sapor d’Apocalisse, tuttavia
l’allerta era stata settata e se
ci fossero stati altri casi, sarebbe stata solo questione di tempo
prima che il
panico dilagasse.
“C’è
rischio di contagio solo
tramite scontro diretto.” Gli fece notare. “Non
sarebbe classificabile come
epidemia.”
Al si mordicchiò le labbra. “Hanno detto scontro
diretto per non allertare i
cittadini, ma quello che devi leggere tra le righe è scambio di magia.”
“Ovvero?”
“Non
dev’esserci per forza un
duello nel senso classico del termine … Se il veicolo di
trasmissione è la
magia, il contagio può avvenire, per dire, anche quando un
MagiParrucchiere usa
un Recido per tagliarti i
capelli.”
Tom sgranò gli
occhi e rimase
in silenzio per qualche secondo, assimilando l’informazione.
“Dannazione.”
Mormorò. “È
un’epidemia.”
“Già.”
Non ebbero tempo di
approfondire il discorso che qualcosa o qualcuno entrò nella
visuale di Tom che
si raddrizzò e perse espressione, come sempre faceva quando
qualcuno che non
sapeva come gestire entrava nel suo territorio.
Al voltandosi
capì subito chi l’aveva
scatenata: Sören si stava facendo largo trai tavolini,
scortato dal Magonò che
aveva alle sue dipendenze, tal Milo. Dovette percepire
l’occhiata insistente
del cugino, perché dopo una lieve esitazione si
avvicinò, facendo un cenno di
saluto.
“Buongiorno Al,
Thomas.” Salutò
mentre l’altro tedesco era impegnato ad accendersi quello che
aveva tutta
l’aria di essere uno spinello.
…
Okay. Sì, dall’odore lo è.
“Oh, ehi
Sören!” Lo salutò con
un sorriso, tirando un calcio al compagno perché desse un
qualsivoglia segno di
vita. “Come va?”
“Bene.”
Rispose con l’aria di
non aver capito la domanda prima di voltarsi verso il
Magonò. “Ricordate Milo?”
“No.”
Replicò Tom in piena
sgradevolezza, prima di accorgersi della sua occhiata e schiarirsi la
voce. “Ma
so chi è.”
“Ed è difficile non sapere chi siete
voi!” Gli fece eco il biondo in un inglese
fluido che non ricordava avesse avuto al castello dei Von Hohenheim.
“Il cugino
prodigo e …” Gli rivolse un’occhiata di
apprezzamento che lo lusingò e mise in imbarazzo
al tempo stesso. “… il ragazzino che mi ha quasi
fatto bruciare vivo cinque
anni fa. Bella canottiera a proposito. La vendono anche per
adulti?”
Pure
lui!
“Milo.”
Lo redarguì Sören senza
troppa convinzione. Era pallido alla luce diretta del sole, e faceva
saettare
lo sguardo da un lato all’altro del patio come se si
aspettasse l’attacco di un
Dissennatore da un momento all’altro. Inevitabilmente il suo
istinto da
Guaritore fece capolino. “Hai una brutta cera,
stai…”
“Siete soli?” Lo interruppe brusco.
Scusa
tanto se mi preoccupo! Merlino, se sei cugino di
Tom…
Decise che non aveva le
forze
né era dell’umore per mostrarsi offeso.
“Sì, ci siamo presi un giorno libero
e…” Si fermò quando vide che non
sembrava neppure ascoltarlo. “Cerchi
qualcuno?”
Perché
da come ti stai guardando attorno, sembra tanto.
“No.” Fu
veloce a rispondere.
“Vi lascio al vostro pranzo. Buona giornata.”
“Beh, gli siamo proprio simpatici…”
Considerò con una punta di dispiacere
quando i due si furono allontanati; per quanto si fosse sentito a
disagio,
Sören era pur sempre cugino di Tom.
Vorrei
che facessero amicizia. Invece si guardano come se
nessuno dei due capisse la lingua in cui sta parlando
l’altro.
È
… triste.
“Ci ha a malapena
notati.” Replicò
Tom osservando il cugino prendere posto ad uno dei tavolini. Non
sembrava
turbato dalla freddezza dell’incontro ma, come al solito, era
Tom: non bastava
un’occhiata per
decifrare quello che gli passava per la testa.
“Sì,
stava cercando qualcuno,
ma…”
“Pensava fossimo in compagnia.” Ed era vero,
realizzò Albus. Non cercava
qualcuno in giro per il locale, lo cercava vicino a loro. “Di
solito con chi
pranzi durante la settimana?”
“Lily.”
Realizzò. “Credeva che
fosse con noi?” Fece una pausa. “E non vederla.
Perché?”
“Non ne ho idea e
non mi
interessa.” Si scostò quando la cameriera
arrivò con le ordinazioni, radunando
i fascicoli e passandoglieli. “Ma se tua sorella scopre che
il suo adorato Ren
la sta evitando…”
Li fece scivolare nella
borsa
e sospirò. “Non è questione di
sé, è una stramaledetta LeNa. È
questione di quando.”
Tom ebbe
l’accortezza di non
commentare.
“Potevamo unirci a
loro.”
Milo lanciò l’idea aspettandosi una reazione che
non arrivò; Sören infatti si
limitò a scivolare sulla sedia e fissarsi le mani.
“Lo spilungone
è tuo cugino,
no?” Tentò ancora. Stavolta l’altro tese
le labbra in una smorfia, ma non
lasciò scappare una parola. “Non ti somiglia,
è un figo da paura. Mi farei
proprio una cosetta a tre con il suo ragazzo, quegli occhioni da Bambi
mi arrapano
un sacco … Peccato per il guardaroba, sembra abbia
svaligiato l’armadio di una
bambina di due anni.”
Sören
continuò a fissarsi le
mani con aria assente e no, per quanto apprezzasse la mancanza di
reprimende o
minacce, non era un buon segno.
Pure
peggio del solito. Sembra di esser tornati ai
primi tempi, quando cavargli una parola era grazia ricevuta.
Per questo quando se
l’era
visto arrivare alla locanda in quelle condizioni lo aveva subito
trascinato
fuori, sperando che il sole e la bella giornata potessero aiutare, ma
così non
era stato.
Quando arrivarono le loro
ordinazioni fu quindi sorpreso di sentirlo parlare.
“Hai notizie su
Johannes?”
“Dai miei
contatti? No, ancora
nulla …” Esitò: leggere tra le righe
mentre si era fatti come cocuzze non era
la cosa più semplice del mondo. “Vuoi che vada a
sollecitare?”
“Sarebbe
opportuno.” Allontanò
il piatto. “Abbiamo prove certe che sia coinvolto nel caso.
C’erano mozziconi
delle sue sigarette sulla scena del crimine.”
Ah, ecco. Mistero risolto.
Senza
offesa Camaleonte, ma ho passato quattro anni
ad
accudirlo per renderlo un essere umano funzionale. Me lo riduci
così lasciando
delle cicche?
Vaffanculo.
“Ci
vado.” Convenne dando un
grosso morso al suo panino. Cercò di essere positivo,
perché uno dei due doveva
non sembrare la rappresentazione vivente del Tristo Mietitore.
“Ti sentirai
meglio quando lo sbatterete al gabbio, vedrai.”
Sören finalmente lo guardò, ma a Milo parve di non
avere più davanti
quell’imbranato del suo datore di lavoro, ma qualcun altro, e
quel qualcun
altro lo stava fissando come se ogni emozione gli fosse stata lavata
via dalla
faccia. Dava i brividi.
“Ehm.”
Pronunciò acutamente.
“Sì?”
Sono
troppo fatto per un remake dei dolori del giovane
Werther!
“A quanto pare non
sono in
grado di vincere le mie paure.” Bevve un sorso della sua
birra e fece un mezzo
sorriso. Tremava negli angoli, e puzzava di crollo lontano un
chilometro. “Non
mi resta che eliminarle.”
Milo percepì
tutto lo
stordimento dato dalla droga evaporare, rimpiazzato da una lucidissima
realizzazione.
Cazzo.
Vuole ucciderlo.
****
Note:
Andrà tutto bene! Più o meno. Prima o poi. ;)
Ho notato un calo nelle
recensioni, quindi spero davvero che questo capitolo sia migliore dei
precedenti. Mi spiacerebbe dare capitoli loffi a gente che mi segue!
Qui la canzone che fa da apertura al capitolo. Era
una vita che volevo
utilizzarla.Qua
invece quella che la chiude. Non mi ricordo chi me l’ha fatta
conoscere, ma nel
caso, grazie!
1. Clocaenog,
Foresta: è una foresta di cento chilometri
quadrati,
soprattutto di conifere, piantata ai primi del novecento nel Galles.
Qui
per info
(in inglese).
2. Scorpius usa un vecchio
proverbio inglese ‘All work an no
play
makes Jack a dull boy’ che può essere
tradotto sia come ‘noioso’ che
‘cattivo’. Da noi è famoso soprattutto
per essere apparso in Shining di Kubrick.
Qui per info.
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