Capitolo XXI
And
that's how the story goes,
The story of the beast with those four dirty
paws.
(Dirty
Paws, Of Monster and
Men)
Londra,
Ufficio Auror.
Ora
di Pranzo.
Scorpius si gettò
sulla sedia
della scrivania prima che James riuscisse anche solo a pensare
di arrivarci; saltò il conseguente sgambetto che
ne
conseguì e atterrò con le braccia alzate.
“Vittoria!” Proclamò, mentre sotto di
lui la mole canina di Donnola – era un nome bellissimo
– si accomodava con un guaito altrettanto trionfante.
“Quel cane
è una tua
estensione o cosa? Cazzo!” Grugnì James
appoggiandosi al bordo della scrivania ingollando
quello che restava del suo cartoccio di Fish&Chips.
“Se vuoi ti lascio
sedere
sulle mie ginocchia.” Offrì magnanimo rimediandosi
un gestaccio ingrato.
Succhiò distratto
dal grosso
contenitore di plastica colorato che secerneva una deliziosa bibita
zuccherosissima,
colorata e Babbana. “Mi piace questa Cherry Cola.”
Decretò.
“Non dovresti
neanche berla
Sy, contiene caffeina.” Lo redarguì blandamente
Bobby. “Non finirla tutta.”
“Ma è buona!”
“Piantatela di cazzeggiare.” Sbuffò
James che si stava leccando le dita in
pieno godimento alimentare. “Tra poco arriverà mio
zio.”
“Parli dell’Infero…”
Mormorò ignorando l’occhiataccia che gli venne
rifilata
mentre il Sergente Weasley si avvicinava.
“Buongiorno!” Esclamò sedendosi in
modo tale che Donnola non potesse sbucar fuori e lasciare bava
invisibile, ma
umida, sui pantaloni dell’uomo. Lo strano balletto
destò qualche sicuro
sospetto da come venne guardato, ma cercò di far finta di
niente con il suo
sorriso migliore. “Giorno delizioso, nevvero
Signore?”
“Hai di nuovo
bevuto caffè
Malfoy?” Lo salutò con una smorfia assolutamente
inadeguata data la sua sentita
manifestazione d’affetto. “Cosa vi ho detto sul
dargli da bere caffè?”
James fu lesto ad afferrare
il
bicchiere e cestinarlo, ignorando le sue accorate proteste.
“Non pensavamo
fosse anche nelle bibite gassate!” Si giustificò
pronto.
“Sono perfettamente in me, grazie.”
Replicò un po’ irritato. “A tal punto
che posso far completo rapporto sul
sopralluogo di stamattina!”
Il suo futuro suocero
inarcò
le sopracciglia ma si astenne da ulteriori commenti.
“Fa’ rapporto Malfoy.”
Prima o poi ce la farà a chiamarmi Scorpius?
Chissà se lo chiamassi papà …
Nah, non se lo merita. Io ho un solo papà. Il mio.
“Il sopralluogo ha
confermato
l’idea che ci eravamo fatti su come Howe e Price siano venuti
in contatto.”
Esordì tornando serio. “All’indirizzo
sull’annuncio pubblicitario corrisponde
un vecchio magazzino, e secondo le rilevazioni preliminari dei
Tracciatori è
stato usato come laboratorio. Analizzeranno la magia ancora presente
nell’aria
per scoprire gli incantesimi che sono stati usati, ma possiamo
già dire con
certezza che sono state usate alcune barriere di livello uno per
sigillare il
posto.”
“Livello uno?” L’uomo li fissò
perplesso. “E chi le ha spezzate?”
…
ehm, già. Per quanto siamo fighi non siamo così fighi
da
saper rompere barriere con un livello di sicurezza simile. Son le
stesse che
mettono alla Gringott.
“L’agente
Prince.” Si inserì
Bobby. “Ha detto di aver ricevuto un addestramento da Spezza
incantesimi.”
Fortunatamente il sergente
Weasley non chiese ulteriori spiegazioni, limitandosi ad un cenno di
assenso. “Tracce
della presenza di Howe o Price?”
“Stiamo aspettando
i risultati
delle analisi dei Tracciatori.” Si strinse nelle spalle.
“Ci han già detto che
ci vorrà probabilmente tutta la giornata.”
“Bene.” Si guardò attorno. “Ma
Prince?”
Eh.
Scorpius si
scambiò
un’occhiata con gli altri: per quanto avesse cercato di
alleggerire l’atmosfera
dopo la scomparsa di quest’ultimo, la reazione che aveva
avuto dentro il
magazzino aveva fatto preoccupare tutti. Persino James se
n’era rimasto
pensieroso per un bel pezzo, prima di blaterare che stava morendo di
fame e che
era giunto il momento di riempirsi lo stomaco di junk
food.
“È
andato a pranzo.” Vedendo
che la perplessità nello sguardo del mago più
anziano non accennava a sfumare,
anzi, si faceva diffidente, si affrettò a spiegare.
“È che …”
“ … non aveva voglia di mischiarsi a noi
pezzenti.” Si intromise James. “Se
n’è
andato a mangiare con posate d’argento in qualche ristorante
sciccoso o roba
del genere.” Quando tentò di protestare lo
seccò con un’occhiata singolarmente
seria.
Ma
pensa anche di aver ragione?
Rimase comunque in silenzio,
dato che non gli andava di parlare degli e sugli assenti.
Ha
già problemi per conto suo, senza che la gente che
pianti casini in sua assenza.
Quando l’uomo se
ne fu andato
però si sentì in dovere di difenderlo.
“Si può sapere che problema hai? Già
sono ai ferri corti, non c’è
bisogno…”
“… che sappia che Prince ha avuto un attacco di
panico durante un’ispezione?
Hai proprio ragione.” Lo interruppe di nuovo
l’altro e di colpo Scorpius capì.
Ma
dai.
“Lo
hai…”
“Gli ho parato il culo, assurdo, ah?”
Sbuffò incrociando le braccia al petto
come se dovesse difendersi da un’accusa.
“Riflettici, testa vuota, cosa credi
che avrebbe fatto mio zio sapendo che il crucco ha dato di
matto?”
“Se ai piani alti
lo
ritenessero troppo coinvolto potrebbero togliergli il caso.”
Gli diede manforte
Bobby. “Anzi, a dirla tutta dovrebbero.”
“Non starete
esagerando? Si
tratta di John Doe, è ovvio che fosse scosso!”
James sospirò. “Il pipistrello, per quanto mi
sembri ancora una bestemmia, è
un agente. Deve essere capace di
mettere da parte le sue emozioni. Quello o che si ricordi
l’Occlumanzia, perché
altrimenti lo rispediranno a casa con la prima Passaporta.”
Contemplò con
enorme interesse i lacci delle proprie scarpe. “E non ho
proprio voglia di
rifare tutto da capo con un altro americano.”
Scorpius si trovò
a sorridere,
dandogli un lieve colpo sulla spalla con la propria. “No,
neanche io.”
“Ci credo, tu sei innamorato di quello sfigato.”
“Sei tu il mio
unico amore
gaio Potty.”
“Fottiti.”
“Quotidianamente.”
“Sul serio però…” Li
riportò all’ordine Bobby senza riuscire a
nascondere una
risata. “Pensate che dovremo andare a vedere come sta?
Alloggia al Paiolo
Magico, potremo andarci prima che finisca la pausa pranzo!”
James, finito evidentemente
il
suo momento di empatia, roteò gli occhi al cielo.
“Sì, e magari fargli un
brodino e dargli un bell’abbraccio. È un mago
adulto, Bobby, non un moccioso di
cinque anni.” Sbuffò esasperato di fronte alle
loro espressioni poco convinte.
“Comunque a quanto mi ha detto Lils ce l’ha
già una babysitter, un tizio,
Michael o un nome così.”
“Milo.”
Lo corresse. “L’idea
di Bobby però non è sbagliata …
dovremo cercare di farlo uscire, di distrarlo
un po’. Questa storia di John Doe l’ha davvero
messo a terra.” All’espressione riottosa
che ne conseguì decise di giocar d’astuzia: solo
perché un Cappello aveva
deciso che la sua qualità principale era la cavalleria non
significava non ne
avesse altre. “E poi
… l’hai detto
anche tu, ci conviene che rimanga. È molto più
utile di un normale agente di
collegamento.”
“Grazie tante, quelli sono utili come un Bolide sulle
palle!”
“Appunto. Non è una zavorra, ma una carta
vincente.”
“Sì, di un Mazzo Esplosivo.” Gli fece
eco riluttante, ma sospirò. “Fate come
volete, io non vado a coccolarlo. Ho i miei buoni motivi.”
“Il tuo malriposto
istinto protettivo
verso una sorella che non vuole esser protetta?”
Ghignò schivando il pugno che
rischiò di arrivargli troppo vicino al naso. Fu salvato
dallo Specchio
Comunicante che l’altro tolse dalla tasca.
“Non finisce qui,
coglione di
un Malfuretto.” Grugnì James da bravo maschio alfa
prima di tornare a toni
umani e rispondere. “Zio Nev?” Esordì
perplesso. “Ehi, bello sentirti… Che
succede?” Dall’espressione che fece non
sembrò essere nulla di buono. Lanciò
loro un’occhiata e poi si allontanò abbastanza da
non farsi sentire.
Uh?
E ora cosa?
Quando ritornò
aveva il
cipiglio delle grandi preoccupazioni che gli solcava la fronte.
“Gente, mi sa
che devo allungare la pausa pranzo. Copritemi con mio zio,
okay?” Disse
infilandosi il giubbotto e ficcandosi senza troppe cerimonie la
bacchetta nel
retro della tasca.
Quindi
non è una cosa del clan, se il Signor Donnola
non dev’essere informato.
“Cosa
c’è di tanto urgente da
rischiare di farti saltare una chiappa?”
“Teddy.”
Tagliò corto
scuotendo la testa ma sfilando il legno dalla tasca. “Non lo
so con precisione.
Poi vi dico.” Gli diede una pacca sulla spalla.
“Inventatevi una scusa decente,
stavolta.” Lo ammonì.
“Ehi, una diarrea fulminante è un’ottima scusa!”
L’insulto che ne
conseguì fu
chiaramente meritato.
****
Se zio Nev chiamava dicendo
di
tornare subito a casa, ci dovevano essere almeno dieci ottimi motivi
per cui
doveva muovere il culo.
James schivò una
fila di
folletti dall’aria arrabbiata, diretto verso i Camini
dell’Atrio come se
dovesse correre una maratona.
Teddy.
Era ovvio che fosse per lui
anche se l’amico di famiglia non aveva dato molte
spiegazioni.
“Jam,
stai lavorando?”
“Paura
pranzo, zio. Dimmi tutto!”
“È Ted.”
Aveva
sentito un cazzotto discreto d’ansia allo stomaco
mentre ricordava che l’altro aveva trascorso la notte prima
nella riserva dei
Mannari. “Gli è successo qualcosa?”
“No, sta bene, però…”
C’era stata una pausa in cui il viso solitamente quieto
dell’uomo si era infiammato di preoccupata determinazione.
“Non posso dirtelo
via Specchio, è meglio se torni a casa.”
“Ma
sta bene?” Aveva incalzato adesso seriamente
terrorizzato. “Che gli hanno fatto?”
“Niente,
ti dico.” Aveva ripetuto paziente. “Davvero
preferirei se…”
“Arrivo.”
Fortuna voleva che il suo lavoro non avesse orari, sia nel bene che nel
male.
Una mezza giornata libera, con tutti gli straordinari che aveva
accumulato, non
era poi pretendere molto.
Varcò quindi
l’ingresso del
Camino e scandì con decisione l’indirizzo di casa:
era il metodo più rapido per
viaggiare, benché la Metropolvere non fosse il suo metodo
preferito, dato che
da lì alla Scozia i collegamenti via camino si facevano
piuttosto sporchi e
fuligginosi.
Ci
metto meno che in moto però. Chiederò a Sy di
riportarmela stasera.
Quando, sputando cenere, si
trovò nel salotto di casa sua girò lo sguardo per
trovare il centro dei suoi
pensieri. Sospirò di sollievo quando vide che era
lì, incolume e in compagnia
di Neville, Hannah e una tizia asiatica con degli occhialetti dalla
montatura
squadrata e la generale aria di chi vorrebbe trovarsi da
tutt’altra parte.
“Teddy!”
Esclamò, facendogli
alzare la testa di scatto.
Dall’espressione
che gli
rivolse, e dal colore dei capelli capì immediatamente che la
situazione era uno
schifo.
Cristo,
dov’è il colore? Dov’è il mio
blu?
“Jamie, dovresti
essere al
lavoro…” Mormorò prima di voltarsi
verso Neville e realizzare il motivo della
sua venuta. “Non avreste dovuto chiamarlo.”
“Col
cazzo!” Esclamò
rispondendo al posto dell’altro mago. “Sono il tuo
compagno, qualsiasi cosa è
successa … e ti è
successa … devo
saperla. Ora.”
Ted aprì la bocca, ma la richiuse subito, distogliendo lo
sguardo. “Hai ragione.”
Ammise piano ed era orribile sentirgli un tono così
sottomesso quando aveva l’intero
corpo in tensione e la mascella serrata. “Ma poi dovrete
lasciarmi andare.”
“Andare dove?”
Guardò i due coniugi
che scossero la testa.
“Parlate.” Disse Neville con il consueto piglio
pratico e saldo. “Se James ti
appoggerà allora organizzeremo la cosa, altrimenti dovrai
lasciar fare al
Ministero.”
“Ministero? Di che diavolo
state
parlando? Che sta succedendo?” Si voltò verso
l’asiatica. “E tu chi cavolo
sei?”
“James.”
Lo riprese senza
convinzione il compagno; era seduto sul divano come se un Incantesimo
di
pastoia ce l’avesse incollato ed era orrendo non sentirlo
ammonire come il
maestrino che era.
“Flynn
Lin.” Si presentò
tendendogli la mano. “Tu saresti la nostra
soluzione?”
Gliela strinse.
“Tanto piacere
e pare di sì.” Sospirò; era il momento
di prendere le redini di quella
situazione se Neville non ne aveva l’intenzione.
Il
che, dai, è strano. Voglio dire … è
zio Nev.
Forse c’entrava
qualcosa con
l’aria stravolta di Ted. Decise di non arrovellarcisi troppo.
“Okay, posso
avere un momento da solo con il mio ragazzo?” Da come si
alzarono rapidamente pareva
proprio di sì e persino il suo ex Direttore, per quanto gli
diede una pacca
sulla spalla e lo avvertì che li avrebbero attesi ai Tre
Manici, seguì la
moglie con aria sollevata.
Wow.
A quanto pareva non se
l’erano
sentita di gestire un Teddy in pieno rivolgimento emotivo e non poteva
biasimarli dato che di solito l’altro era la quintessenza del
tipo che
reprimeva tutto con un
gran sorriso
pacifico.
Quando
si stappa è roba da maneggiare con cura.
“Ehi.”
Gli sorrise
avvicinandosi e accovacciandosi davanti a lui, preferendo avere una
visuale
completa della sua faccia piuttosto che sederglisi accanto e vederne
solo il
profilo. “Mi spieghi che è successo?
Perché sembra un gran casino…”
“Devo andare nella
Foresta.”
Fu l’unica cosa che uscì dalla bocca
dell’altro: doveva averlo ripetuto più di
un paio di volte da come lo buttò fuori impaziente.
Uhm.
“Okay.” Annuì.
“Però che i Centauri ce l’hanno ancora
su con te e che
potrebbero riempirti il culo di frecce …
Ronzini insopportabili, ma resta il fatto, non puoi rischiare. Se devi
fare
qualcosa là, posso farlo io per te.”
“No.”
Lo seccò con rabbia, prima di esitare forse vedendo la sua
espressione sorpresa. “James, non è
…” Si umettò le labbra. “Ho
scoperto delle
cose e…”
“Su quel
Mannaro?”
Il silenzio fu eloquente.
“Sono cose che
dovrei sapere?”
Gli chiese aggrottando le sopracciglia. “Non so, visto che
sono il tuo compagno
e che abbiano deciso di dirci tutto.”
L’espressione
anodina di Ted
crollò come un castello di carte; si passò una
mano sul viso e James per un
momento si sentì un discreto verme ad aver spinto proprio
sulla principale
debolezza dell’altro.
Come
sa sentirsi in colpa lui…
“Mi
dispiace.” Mormorò
infatti. “Non so … Non so cosa fare, ho scoperto
… mi sta esplodendo la testa.
Non so cosa fare.” Ripeté.
James invece lo aveva
perfettamente chiaro; Ted Lupin, l’uomo che rimaneva sempre
in sella alla
propria razionalità senza tentennare, lo stava guardando
come se avesse bisogno
di sapere cosa fare e questo lo spaventava, ma non era quello il punto.
Non
conta cosa provo io adesso.
Si sporse e lo
abbracciò,
serrando la presa finché non lo sentì ricambiare.
“Ehi, la risolveremo.” Disse
con convinzione. “Qualsiasi cosa sia. Però me la
devi dire, altrimenti non
posso sbrogliare questo casino.”
“Non
può sbrogliarlo nessuno…
Devo…”
“Ho capito.” Lo fermò passandogli una
mano dietro il collo per appoggiargli la
fronte contro la sua: era un gesto che aveva scoperto lo calmasse
molto. Notò
infatti un affacciarsi timido di azzurro sulle radici dei capelli. Era
già
qualcosa.
“Andremo nella
Foresta,
dovessi mettere le briglie a Magorian, te lo prometto.”
Disse. “Ma parlami.”
E Ted parlò.
Buttare fuori tutto quello
che
aveva scoperto fu terrificante quanto liberatorio, specialmente
perché gli
occhi scuri di James seguirono il discorso bevendosi ogni sua parola
senza
tradire neppure un momento di incertezza o confusione.
Per un folle momento,
pensò
quasi che l’altro già lo sapesse. Poi lo vide
passarsi una mano trai capelli e
crollare seduto di fronte a lui.
“Cazzo.”
Disse lentamente come
in preda ad una serie di pensieri in rapida successione.
Inspirò. “Okay, quindi
pensi che il ragazzino si stia ancora nascondendo nella Foresta
Proibita.”
Riassunse.
“Non penso, lo so.” Ribatté.
“Non può essere andato molto lontano, non conosce
il posto ed è da solo.” Cercò di avere
la meglio sul fiotto di panico e pena
che lo investì. “ … se è
ancora vivo.”
“Ha vissuto nei
boschi con suo
padre sin da bambino, no? Quindi saprà cacciare, accendere
un fuoco …
sfamarsi.” James scosse la testa e la sua convinzione fu un
balsamo dolcissimo.
Perché
diavolo non l’ho chiamato prima?
“Che sappiamo del
padre?”
“Non molto.
Moscardo l’ha
visto di sfuggita una sola volta e ha detto che…”
Forse un giorno avrebbe
smesso di fare male come una pugnalata nel costato. Forse.
“… che Lunastorta non
aveva fissa dimora. Da quando se n’era andato dal branco
viveva alla giornata,
al limitare della società magica, facendo lavoretti saltuari
e vivendo nei
boschi quando non trovava nulla.”
“La madre?”
Ted scosse la testa. “Non ne sapeva nulla, ma Flynn mi ha
detto che si
informerà. Non dovrebbe essere difficile … Quante
streghe farebbero un figlio
con un Mannaro?” Sorrise dolente. “A parte mia
madre.”
“Quindi la tizia era umana …”
Schioccò le labbra. “Il bambino?”
“Pare che sia un
mago, ma non
dà certezza che non abbia contratto la
Licantropia.” Si alzò in piedi, non
riuscendo più a restar seduto. “James, devo
andare.”
L’altro lo imitò. “E allora andiamo. Ma
non da soli.” Ad un suo accenno di
protesta lo fermò con una mano. “Più
siamo, meglio è. Non è più il momento
di
andarci piano e usare la diplomazia … non con un ragazzino a
rischio.”
“Hai ragione, ma … il branco di Magorian lo
vedrà come un’invasione. Sai quanto
sono territoriali…”
“Magorian potrà anche far storie, ma Centauri come
Fiorenzo capiranno e se non
lo faranno, problemi loro. Fammi chiamare i ragazzi.”
“James…” Si vergognava a realizzare che
l’operatività di James lo sorprendeva.
Come
se non sapessi che l’azione è il suo ambiente
naturale.
L’istinto
gli gridava di lasciare
tutto nelle mani del compagno più giovane ed era certo che
fosse piuttosto
sbagliato averne un bisogno così disperato.
Ma
non ce la faccio…
Non
aveva esagerato prima, quando aveva detto che si sentiva la testa
scoppiare: c’erano
troppe informazioni e rivelazioni troppo dure da digerire in un solo
colpo.
Doveva accantonarle, almeno per il momento.
Trovare
Ben è la priorità.
James intanto, ignaro dei
suoi
pensieri, tirò fuori lo Specchio Comunicante dalla tasca del
giubbotto. “Bobby
e Malfuretto sono addestrati anche per questo tipo di casino e non
faranno
domande.” Gli mise le mani sulle spalle, e non seppe se fu
per il sorriso calmo
o per la presa salda che sentì molta della tensione
scivolare via. “Fidati,
okay? Questa roba è il mio lavoro.”
“Mi
fido.” Si chinò per
premergli le labbra sulle sue, in un ringraziamento che
sperò fosse intuibile.
“Avrei dovuto chiamarti io, non Neville. Sono stato un
idiota.” Confessò.
James scosse la testa con
aria
rassegnata ma doveva aver captato il riconoscimento, perché
gli brillarono gli
occhi. “Certo che lo sei. Per fortuna ci sono io!”
Ted sorrise.
“È la mia fortuna
più grande.”
****
Inghilterra,
Londra
Diagon
Alley, Ora di pranzo.
La Biblioteca Magica
Centrale Bathilda
Bath era uno dei posti più polverosi che avesse mai visto
– e per anni Hogwarts era
stata la sua casa. Situata
in un vecchio palazzo vittoriano come tutti gli edifici pubblici di
Diagon
Alley, al suo interno si snodavano dedali tortuosi di scale a
chiocciola e
ballatoi con file infinite di libri e pergamene. Era la prima volta che
Michel
vi entrava dato che neppure da bambino ne aveva varcato la soglia.
La
biblioteca di famiglia ha sempre soddisfatto senza
problemi ogni mia richiesta…
Non era quello il caso
però:
volendo consultare gli arretrati del Profeta quello era
l’unico posto dove
avrebbe potuto trovarli sistematicamente catalogati per anno, mese e
giorno.
Con passo svelto superò una fila di tavolini, dove streghe e
maghi avevano il
naso seppellito tra tomi e calamai; Dursley non sarebbe sfigurato in
quella
ingobbita schiera, pensò con un sorrisetto ironico.
Ne
consegue che qui io sono
fuori luogo come un Troll
in un negozio di porcellane.
Si avvicinò al
banco accettazione
e resi, salutando la ragazza che vi lavorava che, ad onor del vero, gli
lanciò
un’occhiata poco impressionata.
“Desidera?” Chiese con voce antipatica.
Fece la sua richiesta e
quella
gli squadernò davanti un modulo pinzato su una cartellina a
molla. “Compili con
i suoi dati e specifichi che periodo di tempo le serve
consultare.” Recitò
senza alzare gli occhi dal libro che stava leggendo.
Michel obbedì, un
po’ seccato
dal totale disinteresse che stava suscitando; a ben guardare, nessuno
degli astanti
lo aveva degnato d’attenzione, neppure per
un’occhiata fugace al modo perfetto
con cui la giacca gli ricadeva sulle spalle.
Decisamente
un posto da Dursley. Mi irrita oltre
misura.
Gli toccava sopportare
però,
dato che era l’unico luogo dove avrebbe potuto scoprire
qualcosa in più su Emil
Von Houten adesso conosciuto come Milo il Magonò.
Nonna
me lo presentò come un piccolo prodigio … E la
Gazzetta ha sempre tenuto una rubrica sulla cultura di respiro
internazionale.
Un articolo, un’intervista … qualcosa.
Era un’idea forse
sciocca, ma
l’unica che gli fosse venuta che non coinvolgeva lui, il
Black Goose e una
serie di incontri spiacevoli o redivivi tentativi di rapina.
Devo
venirne a capo in qualche modo …
Così, qualora lui
e Von Houten
si fossero rivisti, non sarebbe stato in una posizione di smaccata
debolezza.
Informazione
è potere.
Passò la
cartellina alla
bibliotecaria che lesse e annuì. “Si scelga pure
una postazione. Le verrà tutto
Materializzato sul tavolo.”
Una manciata di minuti dopo il suo tavolino venne letteralmente invaso da qualcosa come una decina di
chili di carta ingiallita. Lanciò un’occhiata alla
ragazza malignamente
soddisfatta. “Buona consultazione.”
Flautò prima di abbandonarlo al suo triste
destino.
…
Bene.
Si slacciò i
bottoni della
giacca e si mise comodo; aveva l’intera pausa pranzo per
trovare ciò che
cercava.
Fu al decimo quotidiano che
riuscì finalmente a trovare qualcosa: un trafiletto di non
più di cento parole,
corredato da una foto talmente minuscola da aver bisogno di una lente
di ingrandimento;
ma non c’era dubbio, il ragazzino che suonava, vestito nel dress-code tipico dei musicisti, camicia
immacolata e gilet nero,
era lui.
La pendola sopra al banco
dell’accettazione ticchettava via la sua pausa, ma Michel non
alzò lo sguardo
neppure una volta mentre cercava, trovava e radunava altri articoli.
Alcuni
ricordava persino di averli letti, nella sua innocente cotta infantile,
e di
averli ritagliati con cura: dovevano ancora essere a casa di sua nonna.
Era
il 1782 quando
il maestro Niccolò Paganini compose col legno e con il fuoco
melodie per violino.
C’è chi dice che la magia sprigionata dalle sue
dita fisse risultato di sangue
magico. Quel che sia, trecento anni dopo, tale magia ha graziato il
giovanissimo Emil Von Houten Meinster …
[…]
Emil ha nove anni e suona abitualmente nei migliori anfiteatri delle
capitali
mittle-europee; prima di lui, grandi artisti si succedono sul palco, ma
nessuno
con il permesso dei genitori ben stretto in pugno.
«Non
so bene
cosa voglia dire essere un musicista prodigio … non me lo
sono mai chiesto. » Dichiara,
ma poi sorride come un vero monello.
«Ma
se tutti dicono che lo sono, forse sarà vero.»
[…]
Una
vita, la
sua, all’insegna del violino: a quattro anni è
stato ammesso col massimo dei
voti al conservatorio di Lubecca, sua città natale. Emil
è il più giovane
violinista nella storia delle istituzioni musicali del Ministero
tedesco, ma la
corona non sembra appesantirlo. «Dopo mangiare e dormire,
suonare è la cosa che
mi viene più naturale. »
[…]
[…]
… Questa stirpe
di maghi musicisti di “sangue blu”, famosi sia per
essersi esibiti di fronte a
Ministri, regnanti, maghi e Babbani è rappresentata al
meglio da Kuno Von
Houten, padre di Emil e suo manager. «Emil è
destinato alla grandezza, ad
essere conosciuto in entrambi i Mondi. Non è qualcosa che ti
permette di avere
una vita normale? Forse, ma
mio figlio
non aspira alla normalità. Nessun Von Houten l’ha
mai fatto. »
E
attorno a
lui, un mondo che non si stanca di ascoltarlo ammaliato.
Perché adesso Emil è
in gara anche per il Premio Vitalij Vonobirsk …
Michel ne lesse un altro
paio
prima di realizzare che erano all’incirca tutti uguali: ne
lodavano il talento
precoce, davano informazioni piuttosto vaghe sulla sua famiglia e si
lanciavano
in panegirici sulle sue capacità di esecuzione.
Il
Profeta ha sempre avuto un debole per i golden-boy.
Basti pensare ad Harry Potter…
Passò le dita
sulla carta
ruvida, sospirando: come gli aveva detto sua nonna, Emil aveva avuto
una
carriera brillante nel piccolo mondo della musica magica.
Almeno
finché non l’hanno dichiarato un
Magonò.
Gli articoli infatti non
andavano oltre il duemilaquattordici, anno in cui doveva aver compiuto
i
fatidici undici anni.
Sapeva per sentito dire
–
certe cose venivano sussurrate nei salotti, mai dette ad alta voce
– che i
Magonò di origine Purosangue venivano spesso esiliati dalle
proprie famiglie,
mandati a vivere in tenute remote di campagna ed eliminati dalla
società come
se non fossero mai esistiti.
È
ciò che gli è successo?
Quel che sapeva
dell’Emil
attuale non era molto: gli aveva detto di chiamarsi Milo – un
nome falso,
evidentemente. Gli aveva anche raccontato di vivere a Boston, e poteva
essere
una bugia come poteva esser vero.
Lo
hanno mandato a vivere in America?
Se così era,
perché adesso era
in Inghilterra e sembrava frequentare il sottobosco Magonò
di Notturn Alley?
Era confuso. Gli articoli
appena letti gli avevano confermato alcune idee che si era fatto, ma
gliene
avevano fatte venire in mente altrettante.
Non
so ancora niente di lui.
Era frustrante. Si
massaggiò
le palpebre, reclinando la schiena sulla sedia e incrociando le braccia
al
petto mentre radunava i pensieri.
Devi
farlo, non c’è scelta.
Doveva andare al Black Goose
e
cercare informazioni di prima mano.
****
Scozia,
Hogsmeade.
Pomeriggio.
Neville non avrebbe mai
pensato di vedere un Lupin crollare.
Un po’ se ne
vergognava; aveva
assimilato la figura di Ted, un giovane professore brillante e un caro
amico, a
quella di Remus, figura di cui aveva cercato di seguire le orme
nell’esercizio
della sua professione. E non era giusto.
Ted non era suo padre.
Certo,
c’erano in lui lati che potevano ricordarlo a chi
l’aveva conosciuto e amato: la
gentilezza d’animo, la lealtà, la naturalezza con
cui riusciva a stabilire un
contatto con i propri allievi …
Ma c’era una forte
differenza
di fondo: Ted era capace di fidarsi degli altri.
Remus
ha sempre avuto troppi muri per farlo.
Una particolare
conversazione
che aveva avuto con Harry, dopo la guerra, era stata illuminante.
“…
Quello che ha sofferto giustifica in gran parte le
scelte che ha fatto, ma rimane il fatto. Non mi scorderò mai
come fosse pronto
a voltare le spalle a Tonks quando ha scoperto di Teddy. Nev, Remus era
un
egoista.”
“Sì, forse … Ma cosa c’entra
con la fiducia?”
“Non si fidava di sé stesso, dell’amore
che provava per Tonks e Teddy … Li ha
amati, lo credo davvero, ma non penso li abbia mai fatti veramente
entrare
nella sua vita.
Dopo mio padre, Sirius e Peter, non credo abbia lasciato più
entrare nessuno.”
E forse anche in
un’altra cosa
Ted era diverso da suo padre.
Ted
non ha bisogno che un adolescente arrabbiato gli
ricordi che deve prendersi le sue responsabilità…
Hannah gli si
avvicinò, distogliendolo
dai pensieri per porgergli una tazza di the. “Pensi che lo
troveranno?” Gli
chiese. “Quel povero bambino…”
“Penso che se c’è qualcuno che possa
riuscirci, sono questi ragazzi.” Replicò
stringendole una spalla affettuoso. “Hanno buoni
geni.”
Incredibile
a dirlo, ma anche Malfoy.
Che aveva appena squadernato
una grossa cartina geografica della zona spiegandola sul tavolino con
aria
pratica: erano arrivati da solo pochi minuti, il tempo di un saluto
veloce e si
erano subito messi al lavoro senza fare domande o chiedere spiegazioni.
Sempre
parlando di fiducia … È chiaro che ne hanno in
James.
“Okay, la zona
delle caverne è
questa.” Disse Scorpius cerchiando la suddetta con un colpo
di bacchetta.
James scosse la testa.
“È
enorme, quanto saranno? Venti ettari? Dobbiamo restringere il campo. Le
caverne
erano vicine al vecchio letto di un fiume…”
“Qui
allora.” Indicò Robert
Jordan pronto. “Se vedete la conformazione
morfologica…”
“Eh?”
“Potty, la traccia del
letto del
fiume.”
“Ah!”
Ted aveva le braccia
conserte
e contemplava la cartina come se potesse parlargli ma fosse troppo
maleducata
per farlo. “C’era una macchia di querce
secolari.” Mormorò. “Gli siamo passati
affianco.”
“Okay,
grande.” Bobby tracciò
un altro paio di righe colorate con la bacchetta ed isolò
un’area. “Allora
possiamo restringere ancora …” Fece un rapido
calcolo. “Sì, direi che ci
rimangono circa tre ettari da controllare.”
James tentò di dire qualcosa ma si morse la lingua non
appena intercettò lo
sguardo del compagno. “Dai, è una
passeggiata!” Scrollò le spalle riuscendo persino
a suonare credibile. “Potremmo tutti tornare a casa per cena.
E poi mi ricordo
com’erano fatte quelle grotte, quindi, come ho detto, una
passeggiata.”
Era incredibile,
stimò Neville
con affetto. Da quando si era Materializzato non aveva lasciato un
momento il
fianco di Ted, e qualsiasi cosa gli avesse detto quando erano rimasti
soli era
stata risolutoria, perché dopo l’altro era
sembrato di nuovo pronto a
ragionare.
Se all’inizio
della relazione
trai due aveva avuto dubbi su come si sarebbe potuta sviluppare a causa
del
divario di età e soprattutto di maturità, ora
capiva quanto quella
preoccupazione fosse stata sterile.
Jamie
è maturato tanto in questi cinque anni. Sarà
anche quello che ha passato con i suoi fratelli, ma credo
l’abbia fatto anche
per e con Ted.
“Bene.”
Esclamò l’ex-grifondoro
battendo le mani. “Che stiamo aspettando?”
“E i Centauri? Non per fare le pulci all’Ippogrifo,
ma stiamo parlando di
creature armate, veloci e un tantino territoriali.” Si
inserì la giovane
asiatica presentatasi come funzionario dell’Ufficio Mannari:
a parte
quell’intervento, comunque sensato, c’era da
lodarla per non aver mai cercato
di far valere la sua carica o la propria opinione. A quanto sembrava,
era
rimasta molto impressionata dalla reazione di Ted.
Lo
siamo stati tutti … È un tipo così
tranquillo.
Vederlo perdere la calma è stato impressionante.
“Per questo motivo
li
aggireremo.” Gli rispose Bobby con la prontezza con cui si
era sempre distinto
anche da studente. “Potrebbero esserci sentinelle di
pattuglia, ma abbiamo in
tasca un paio di incantesimi di Disillusione che ovvieranno al
problema.”
“Siamo Auror!” Esclamò Malfoy strizzando
l’occhio a beneficio di tutti. “Siamo
gente in gamba.”
I preparativi furono fatti
velocemente; i tre giovani agenti erano praticamente pronti
all’azione e sia
lui che Ted sapevano come muoversi in un bosco.
Viviamo
a due passi, non c’è neanche bisogno di
cambiarsi le scarpe.
Salutò Hannah
rassicurandola
circa il successo della loro spedizione – l’istinto
materno della sua dolce
metà aveva già preso a cuore l’intera
faccenda – e si avviò verso la porta,
seguendo la scia energica di Malfoy e di Jordan. Passò
così di fianco ai due
padroni di casa.
“Lo
troveremo.” Sentì dire al
più giovane. “Ma promettimi che mi lascerai
gestire la cosa.” Al silenzio che
ne conseguì, aggiunse. “Ti fidi, no?”
“Certo che mi fido di te!” Fu la replica immediata.
“È solo …”
“Solo cosa? Parla o ti prendo a calci.”
Dall’espressione che fece l’altro non
doveva essere una promessa a vuoto, e Neville, dovette mascherare una
risata
con un colpo di tosse. Decise che era il momento di lasciarli soli.
Se
la caveranno. Sono insieme.
“…
È solo che non voglio che
vi succeda qualcosa.”
James roteò gli occhi al cielo. A volte era dura essere il
più maturo della
coppia.
Oh,
Teddy, come fai ad esserlo quasi sempre? È palloso
da morire.
Gli prese il viso tra le
mani
e lo portò alla sua altezza. Pochi centimetri più
in basso, solo pochissimi centimetri,
rammentò a sé
stesso.
“Piantala.”
Scandì con decisione. “Cinque anni fa sei stato
disposto
a rischiare le penne per quegli idioti dei miei fratellini …
Adesso lascia che ricambi
il favore, okay?”
Teddy gli
restituì un sorriso
spoglio della patina da bravo ragazzo saldo che approntava per
rassicurare il
mondo di non aver bisogno d’aiuto. Lo faceva sembrare un
bambino, e gli faceva
venir voglia di prendere a pugni chiunque avesse osato tentare di
cancellarglielo.
“ Andiamo a
conoscere tuo
nipote, Teddy.”
****
Londra,
Nocturn Alley.
Pomeriggio.
Milo sapeva di aver fatto
una
stronzata quando aveva preso a calci due Magonò per salvare
il maghetto stronzo,
ma lo realizzò a pieno solo quel pomeriggio, quando al posto
dell’entrata del
Black Goose vide pararglisi di fronte un muro compatto di muscoli e
tatuaggi.
L’hanno
saputo.
“Posso
passare?” Chiese con
tutta la cortesia di cui disponeva, glissando sul fatto lo stesse
chiedendo ad
un energumeno che aveva nocche della grandezza di Boccino.
“Non sei il
benvenuto,
tedesco.” Grugnì quello in un accento
così pastoso che non fu del tutto certo
che non gli avesse invece detto invece tutto il contrario.
“Devo parlare con
Figgins.”
Non si fece spaventare: l’atteggiamento in quel genere di
ambiente era tutto.
Ampliò il sorriso. “Andiamo, posso sapere qual
è il problema? Siamo tutti amici
qui…”
“Non credo proprio.” Ringhiò
l’orango. “Quello che hai mandato al San Mungo due
sere fa era mio fratello.”
Oh, ops.
Principino,
anche tu … tempismo perfetto nel fare
richieste. Sul serio.
Ti
odio.
Allargò le
braccia, e non
reagì quando gli strapparono di mano la custodia del violino.
Non
avrei dovuto portarmelo dietro … ma mi servivano
delle corde nuove!
“Cos’hai
in mano?”
“Non un fucile a
canne mozze.”
Spiegò quando l’aprirono con tozze mani sudice.
“È solo il mio violino, sono un
musicista.”
Il primate fece un sorriso
storto. “Questo lo teniamo noi. Magari per
risarcimento.”
Fottiti, sei morto.
Piuttosto che lasciare il
suo
primo e unico amore a quei bruti si sarebbe fatto tagliare un piede.
Doveva
però giocare d’astuzia. “Tuo fratello
rischiava di farsi vent’anni di prigione
per aver preso a calci il culo di un Sanguepurissimo…”
Inarcò le sopracciglia quando vide l’altro
aggrottarle perplesso. “Non te l’ha
detto? Volevano ripulire un damerino che discende in linea dalla regina
di
Saba.” Inventò un po’ a caso.
Ma
neanche tanto. Quel tipo ha la stessa puzza sotto il
naso.
“Fallo passare,
Shad.” Disse
una voce dall’interno del locale, sufficientemente forte e
d’impatto da far
ripiegare il muro umano come se fosse stato Mosè col Mar
Rosso.
Figgins.
Milo
entrò senza troppe cerimonie: se
a quel punto avesse fatto marcia indietro avrebbe sul serio rischiato
una lama
nel costato. O di non rivedere il suo violino.
Più
o meno la stessa cosa.
“Mister!”
Annunciò Figgins dal bancone, agitando una pinta a
mo’ di
saluto. Milo tentò di nascondere il fremito
d’orrore alla versione anglofona –
e sbagliata – del suo cognome. “Come andiamo,
biondo?”
“Bene.”
Scrollò le spalle
avvicinandosi. “Passavo da queste parti … ho
pensato di fare un saluto.”
L’altro gli rivolse un sorriso che lo fece sembrare simile ad
uno squalo: se lo
immaginava, quel rosso, ad addentare la gamba di qualcuno e
staccargliela di
netto. “E vedere di far incazzare il povero Shad? Non
l’ha proprio digerito
quel tuo numero alla bottega di Swill … Prendere le difese
di un Nato Babbano…”
Schioccò la lingua con riprovazione.
“C’è da chiedersi dove tu tenga il
cuore.”
Fece un cenno alla barista che gli mise davanti una pinta cremosa e
scura.
“Bevi, Mister … e poi rispondi.”
Soggiunse con il tono tranquillo di chi ti
teneva per le palle senza sforzo.
Diede un’occhiata
ai tizi di
prima, che ovviamente l’avevano seguito dentro. Shad aveva
tutta l’aria di
aspettare solo l’imbeccata del proprio capo per venire a
fargli le feste.
Sorseggiò quindi
obbediente. “Ho
il cuore dove deve stare. Qui.” Si indicò il petto
e fu sollevato di vedere
l’altro sogghignare divertito. “Ma ho anche un
cervello. I tuoi ragazzi hanno
aggredito un rampollo Purosangue, non un Nato Babbano. Gli ho fatto un
favore.”
L’informazione
venne
registrata dalla sorpresa che vide negli occhi dell’altro.
“Hai uno strano modo
di far favori, tedesco…” Osservò
pacato.
“E tu hai uno strano modo di insegnare ai tuoi a distinguere
i polli dalle
trappole. Ma ehi, non giudico.” Replicò senza
scomporsi, pregando di non aver
passato il segno.
Per tutta risposta il
capoccia
scoppiò a ridere, esattamente come al loro primo incontro:
pareva trovare la
sua mancanza di peli sulla lingua esilarante.
“Mi piaci Mister,
dico sul
serio.” Proferì infatti. “Se solo avessi
sotto di me cervelli come il tuo non
dovrei preoccuparmi di far da balia a idioti come Shad.” Gli
strizzò l’occhio.
“Grazie.” Ricambiò il sorriso. Vide poi
con la coda dell’occhio l’orango alzarsi
con il suo violino tra le mani. Quando, ad un cenno del proprio capo,
glielo
restituì, Milo tentò disperatamente di combattere
il desiderio di serrarselo al
petto e cullarlo.
Lo
so, tesoro, è stato orribile, ma ora papà
è qui.
“Sei un
musicista… Violino?” Chiese
Figgins con tono interessato che glielo rese immediatamente meno
temibile:
nessuno poteva esser veramente un pezzo di merda se amava la musica.
Beh,
tranne mio padre. Ma le eccezioni esistono sempre.
“Violino.”
Confermò. “Ti piace
la musica?”
Questo roteò gli
occhi al
cielo, scuotendo la testa come se avesse appena detto una
bestialità. “Non si
fanno domande del genere ad un figlio d’Albione, biondo. A
noi la musica scorre
nel sangue!”
Non era ancora il momento di
parlare di Johannes, lo capì da come l’atmosfera
era ancora tesa: doveva
lasciare che si rilassasse, e le chiacchiere dell’altro
Magonò sembravano
suggerirglielo implicitamente.
“Suonaci
qualcosa!” Soggiunse
infatti. “Una buona canzone e una pinta di birra perdonano
quasi tutto.”
Michel inspirò
per forse la
ventesima volta, notando con immutato disgusto un nuovo particolare del
sudicio
pub di cui avrebbe dovuto varcare la soglia.
Da
quant’è che non lavano le vetrate?
Sicuramente da qualche
decennio a giudicare dalla patina scura causata dalla pioggia fuori e
dal fumo.
Dall’odore che ne veniva fuori pareva avessero anche problemi
con il tiraggio
del camino.
Fantastico.
Dovrò bruciare i vestiti, dopo.
Era ormai in palese e
plateale
ritardo al lavoro e quindi poteva accendersi l’ennesima
sigaretta senza sentire
l’ansia di avere i minuti contati.
Piantala
di fare l’idiota. Vattene, che sei venuto a
fare?
Non era neppure certo che vi
avrebbe trovato Von Houten. Non era certo di niente,
ma stare lì non avrebbe risolto nulla.
Al
diavolo …
Si mosse, perché
davvero,
quella faccenda stava diventando ridicola e doveva metterci una pietra
sopra
una volta per tutte, quando sentì una mano posarglisi sulla
spalla.
Mi
hanno scoperto a spiarli!
Si sentì un
autentico idiota
quando vide gli occhi bicolori di Nott guardarlo con aria divertita.
“Qualcuno qui ha i
nervi a
fior di pelle!” Esordì con l’aria di chi
stava trattenendosi dallo scivolare in
prese in giro ben peggiori. “Beccato.”
Sillabò con gli occhi che gli ridevano.
“Va’ al diavolo!” Sbottò
inelegante, dato che per l’improvvisata si era anche
bruciato con la sigaretta. Tentò di riprendersi.
“Apparire alle spalle della
gente solitamente rende
nervosi.”
Soggiunse con tono più calmo.
Loki non parve
particolarmente
impressionato dal suo ritrovato controllo. “Ero qui da almeno
due minuti, ma
eri così preso dai tuoi pensieri che mi sembrava brutto
interromperli …”
Scrollò le spalle. “Però visto che
sarei altrove richiesto…”
“Appunto.” Lo interruppe “Si
può sapere cosa ci fai qui?”
Loki si posò una
mano sul
cuore con aria drammatica. “Pensavo fosse ovvio!”
Vedendo che non recepiva,
scosse la testa dolente. “Vegliare su di te come il perfetto
amico che sono,
no?”
“Sei una comare e
sei qui solo
per divertirti alle mie spalle.”
“Anche.”
Convenne. “Ma pensi
sul serio di riuscire ad entrare lì dentro come se fossi in
un ufficio del
Ministero?” Occhieggiò il suo completo in tre
pezzi e la catena d’orologio che
spuntava dal panciotto e scosse di nuovo la testa come se avesse a che
fare con
un bambino tardo. “Mike, sei un ragazzo sveglio …
Per ogni porta ci vuole una
chiave.”
“E tu saresti il mio lasciapassare?”
Loki non rispose subito,
approntando uno dei suoi sorrisi da sfinge. “Giusto
perché tu abbia un quadro
della situazione … Il posto è di
proprietà di Danny Figgins. È l’ultimo
erede
di una dinastia di Maghinò da qualcosa come sette
generazioni … Ma non è perché
è un figlio d’arte che controlla Notturn Alley
come se fosse il suo parcogiochi
…” Sospirò. “È un
tipo pericoloso, persone che non gli sono andate a genio sono
finite nel Tamigi … e dubito che abbiano ritrovato i
corpi.”
“E perché una persona del genere non è
ad Azkaban?”
“Ad uno come
quello non serve
una bacchetta per evitare il Wizengamot.” Sospirò.
“Mio buon Mike, credimi se
ti dico che dietro quelle decrepite porte c’è un
mondo di cui non sai niente.
Non puoi entrarci e basta.”
Si morse le labbra:
l’amico
aveva ragione, si stava comportando in modo avventato.
Che
diavolo mi prende? Tutto per un ragazzo…
Forse
Al ha ragione, dovrei prendermi una vacanza.
Decise di tentare di
mantenere
almeno una facciata di credibilità. “Cosa mi
consigli di fare allora?”
Loki, per una volta,
sembrò
piuttosto serio. “Se vuoi avere informazioni su quel tuo
Magonò, lascia che sia
io a parlare. Ho fatto affari con Figgins e siamo più
o meno in buoni termini. Mi rispetta per quanto uno come lui
può rispettare un mago.” Si strinse nelle spalle.
“Ma se vuoi far da solo…”
“No.”
Sapeva quando fare un
passo indietro ed era quello il caso: Nott conosceva quel mondo come
mai lui
avrebbe fatto e rifiutare il suo aiuto per orgoglio sarebbe stato
stupido. “Va
bene. Proviamo a modo tuo.”
****
Scozia,
Foresta Proibita.
Pomeriggio.
La foresta poteva anche
essere
luminosa.
James se ne rese conto
quando
dovette schermarsi gli occhi con una mano per l’ennesima volta,
dato che le fronde
mosse dal vento lasciavano filtrare lame di luce dall’alto,
abbacinandoli.
“Almeno non
piove.” Commentò
Scorpius. “Ma in questo posto non c’è
segnale manco a morire, né per il
cellulare…”
“Ovvio, eh.” Gli fece notare Bobby.
“Siamo in mezzo al nulla tecnologico.”
“ … né lo Specchio
Comunicante.” Concluse. Alle loro espressioni sgomente si
strinse nelle spalle. “Siamo anche
nel bel mezzo del nulla magico. Credo che siamo i primi maghi a metter
piede in
questa parte del bosco da … uh, secoli?”
James non rispose, guardando
il profilo del viso di Ted che camminava accanto a lui: era silenzioso
come una
tomba e con un’espressione così determinata che
probabilmente se gli si fosse
parato davanti un Centauro se lo sarebbe mangiato vivo e ne avrebbe
sputato le
ossa.
Non che non potesse capirlo:
l’istinto naturale di protezione che si poteva avere verso un
bambino si era adesso
mischiato a quello del sangue.
Perché
Ben è suo nipote. Per
le mutande di Merlino … è suo nipote davvero.
Teddy aveva cercato, sin
dall’infanzia e neppure troppo segretamente, una propria
famiglia. Nessuno gli
toglieva dalla testa – per quanto fosse un pensiero un
po’ meschino – che
l’interesse tenace che aveva sviluppato per Victoire fosse
stato dovuto al
fatto che sua cugina avrebbe potuto dargli dei figli.
Cosa
che tu non potrai mai fare, manco volendo. E non
vuoi. Urgh.
C’era
però una parte di sé,
microscopica ma presente, che gli ricordava quando quello fosse comunque un difetto.
Perché
sei sexy e tutto quanto, ma non potrai mai
dargli quella roba che desidera da quando ha capito che non era la
norma non
avere mamma e papà.
Grande.
Momento depressione.
Inspirò, e
sforzò una smorfia
amichevole quando Scorpius gli allungò una pacca sulla
spalla.
“Come
stai?” Gli chiese stupendolo.
“Bene. Non sono io
l’ospite
d’onore oggi.”
“Lo so.” Si strinse nelle spalle. “Ma
Potty, sei quello che viene subito dopo.”
Eh?
Non ebbe il tempo di pensare alla frase dell’altro
che notò come il terreno
stesse cominciando a diventare familiare: ricordava infatti una serie
di radici
dalla forma strana, come un paio di massi che formavano una sorta di
cavità
naturale nella roccia.
Ted gli si
affiancò,
guardandosi attorno e annuendo. “Sì, è
qui.” Parve leggergli nel pensiero.
La giovane funzionaria del Ministero, che era rimasta in fondo con
Neville, li
raggiunse allargò le narici come se annusasse un odore
sgradevole. “Si sente
ancora odore di Centauri…”
“Odore?”
Le sopracciglia di
Bobby rischiavano di sparire tra l’attaccatura dei capelli.
“Stai … annusando?”
“Problemi,
dolcezza?”
“No,
no!”
Ted di nuovo non replicò, ma le labbra strette in una
fessura parlavano per lui
e James realizzò che non sarebbe riuscito a ricucire i
rapporti con il branco di
Magorian, Fiorenzo compreso, non in tempi brevi almeno.
Hanno
ucciso il suo fratellastro …
Non se la sentiva
però di
condannare completamente le azioni dei Centauri: al posto loro di
frecce ne
avrebbe scoccate due, per esser sicuro di aver messo a terra il tipo.
Fratello
o meno, voleva farlo fuori.
L’equazione dal
punto di vista
del compagno non doveva essere così semplice.
Che
poi…
Remus aveva avuto un figlio da una donna del branco di
Greyback: questo bastava ed avanzava per far casino nella sua testa. Non riusciva ad immaginarsi
in che stato fosse quella dell’altro.
Non era però il
momento per
far domande o vagliare ipotesi.
È
il momento di agire, cazzo.
“Andiamo.”
Disse facendo cenno
a Scorpius e Bobby. “Ci dividiamo. Adesso che
c’è luce dovrebbe essere più
semplice muoversi.” Si voltò verso Neville e la
ragazza. “Io, Teddy e
Malfuretto prenderemo la sponda destra del greto, voi con Bobby la
sinistra.
Per iniziare cerchiamo nelle vicinanze … poi espanderemo il
raggio di ricerca.”
Neville approvò
con un cenno
della testa. “Nel caso uno di noi veda una sentinella
Centauro lanci tre
scintille rosse dalla bacchetta. Dobbiamo evitare lo scontro diretto ad
ogni
costo.” Ed era maledettamente serio. A James dispiacque dato
che era ovvio che
la situazione tesa con il branco lo amareggiasse: lui e Fiorenzo erano
colleghi
e amici e non doveva essere semplice bilanciare quello con
l’affetto che provava
per Ted.
A
volte si devono fare scelte … e qualunque prendi, fa
schifo comunque.
Che
cazzo di situazione.
Era suo dovere, quindi,
tirarne fuori il meglio possibile.
****
Londra,
Notturn Alley.
The Black Goose.
Suonare il tema di Smooth Criminal – successo
Babbano
passato alla storia – e arrangiarlo per un gruppo di ceffi
pieni di birra gli
era costato una grossa prova di coraggio, ma a quanto sembrava la sua
temerarietà era stata ripagata da una selva di grugniti e
battiti di mani
allegri.
Beh,
almeno un po’ di orecchio musicale lo hanno.
“Complimenti,
Mister.” Esordì
Figgins con un sorrisetto molto più umano e meno disposto a
far seguire un
balenare di lama. “Ci sai fare con quel violino!”
“Uno dei pochi pregi che ho, oltre ad un bel
visino.” Rispose a tono,
strizzando l’occhio ad un paio di tipiche ragazze da bar,
visto che questo imponeva
la recita. Fece scorrere le dita sulle corde dello strumento.
“Ma sono aperto
anche a qualcosa di più tradizionale, se volete.”
“Suona Dacw 'Nghariad!”
Esclamò il tipo di nome Shad, eccitato come un
bambino. Se si evitava di guardare la dimensione dei suoi pugni faceva
quasi
tenerezza. “È la mia preferita!”
“Non dar retta
allo scozzese,
suona Greensleves!”
Tuonò un altro
seguito da un coro di assensi.
“Vincono gli
inglesi.”
Constatò placido Figgins dando una pacca al grosso Shad che
esibì uno
stupefacente broncio da bambino di cinque anni.
Milo chiese quindi che gli
accennassero il motivetto e quando l’ebbe ascoltato un paio
di volte, in più
gradi di stonature, si fece un’idea generale e le dita
presero a suonare la melodia.
Certe
canzonette mi hanno permesso di riempirmi la
pancia per anni…
Non
è la prima volta che mi salvano anche il sedere.
Preso a godersi le
espressioni
mesmerizzate del suo pubblico – ah,
la
musica - si
accorse troppo tardi che
due uomini erano entrati nel locale e si erano diretti verso il
bancone. Fu
quando identificò uno dei due che per poco non
sbagliò nota.
Il
maghetto stronzo?!
Lineamenti esotici
intrappolati nel rigore britannico di un completo tagliato su misura:
era
Michel, non c’era dubbio.
Che
cazzo ci fa qui?
Era in compagnia di un
belloccio alla sono-stravagante-quanto-irresistibile,
dai lunghi capelli ricci e l’aria compiaciuta di un gatto che
si era mangiato
la cena de padrone e nessuno dei due aveva l’aria di esser
lì per bersi una
birra. Maghetto Stronzo poi lo notò, e
dall’occhiata che gli lanciò sembrava
quasi che fosse lui il motivo della sua comparsata.
Eh,
no. Non osare avvicinarti!
Se Figgins o Shad avessero
fatto
due più due le cose avrebbero potuto farsi imbarazzanti.
Molto.
Per fortuna, occhiata o
meno, l’altro
decise di rimanere alle costole del suo accompagnatore mentre questi
ordinava
da bere con la disinvoltura del cliente abituale.
“Ehi Figg, vecchio
mio!” Si
rivolse infatti al capoccia con familiarità.
“Nott.”
Lo salutò il rosso
stringendogli la mano. “Un po’ che non ti si vede
in giro … Ho sentito dire che
eri in Spagna.”
“Che devo dirti, volevo sapere se le scogliere di Dover erano
ancora bianche¹…”
Figgins lo fissò
perplesso. “E
di che cavolo di colore dovrebbero essere, scusa?”
È
una poesia.
La sua condizione diventava pesante sopratutto quando notava
la mancanza di
conversatori stimolanti. Nessuna battuta da taverna, per quanto arguta,
avrebbe
mai potuto rivaleggiare una poesia citata nel giusto contesto.
Il ragazzo di nome Nott non
parve irritato quanto lui dalla mancanza di ricettività del
suo interlocutore,
perché scrollò le spalle. “Giusta
osservazione.” Fece una pausa e non fu una
sua impressione, lo sguardo scivolò con malizia da lui
all’amico.
Che
cavolo…
“Mio buon rosso,
son qui per
l’eccellente birra che spillate ma anche per proporti un
affare che, sono
certo, non potrai rifiutare.”
Ma questo tizio parla solo per citazioni?
Che fosse così o
meno, sparì
nel retrobottega portandosi via metà della banda di Figgins.
Milo si trovò
così a pochi
passi in linea d’aria dal tipo che gli aveva quasi inimicato
la sua stessa
gente.
E
dannazione, è sexy come l’inferno.
La soluzione migliore era
fingere che non ci fosse; si diresse quindi verso il tavolo doveva
aveva posato
quello che rimaneva della sua pinta, ma fu fermato senza troppe
cerimonie; non
doveva essere abituato ad essere ignorato.
“Suoni il
violino.” Iniziò con
il tono di una constatazione.
Si strinse nelle spalle.
“No,
gli faccio prendere aria.”
Il mago serrò le
labbra, ma
non colse la provocazione. “Da quanto lo suoni?”
Ma
che domanda è?
La sua sorpresa dovette
essere
evidente, perché Michel – già, era
quello il suo nome – incrociò le braccia al
petto con imbarazzo. Il che lo rendeva molto meno mago e molto
più umano.
Sì,
ma rimane Maghetto Stronzo. Ricordatelo.
“Hai intenzione di
rispondere?” Lo incalzò con tono antipatico. Ma
era nervoso.
Evvabbeh.
“Da quando so
tenermi in piedi.”
Rispose togliendo con un gesto leggero un batuffolo di polvere che si
era
depositato sulla ghiera. “Perché?”
“Perché
mi ricordo di te,
Emil.”
Se gli avesse tirato un pugno in faccia sarebbe stato meno sorpreso. E
avrebbe
sentito anche meno dolore. I tempi di reazione però erano
gli stessi perché fu
certo di essere rimasto a bocca aperta come un cretino per almeno una
manciata
di secondi.
Riprenditi,
testa di cazzo.
Il panico lo rimise in
carreggiata. “Cavolo, va bene che abbiamo scopato solo una
volta… ma
addirittura sbagliarmi il nome…”
“Emil Von Houten
Meinster.” Ripeté
come se non l’avesse sentito. “Eri il piccolo
prodigio musicale del Ministero
tedesco, ed io ho avuto il privilegio di ascoltarti in Francia, anni
fa.”
Milo vuotò quello che rimaneva della sua pinta: aveva un
sapore schifoso.
E
non perché è diventata tiepida. Era
già piscio.
“Mi sa che mi hai
confuso con
qualcun altro. Sai quanti tedeschi studiano il violino?” Fece
una smorfia. “È
praticamente lo strumento nazionale … Ed io non sono mai
stato un prodigio.
Certo, a meno che suonare canzonette sconce per gente ubriaca non sia
da
considerarsi prodigioso, nel qual caso sono un re.”
“Non prendermi in giro.” Gli rivolse un sorrisetto
saputo. “Hai troppo
controllo sul tuo strumento per essere un suonatore da bettola. Oltre
al fatto
… ” Indicò il violino. “
… che ciò che suoni vale da solo la
proprietà di
questo posto.”
E
dovevi vedere su cosa potevo mettere le dita prima.
Chi
l’avrebbe mai detto comunque … Chiappe
d’oro ne
capisce di musica.
Non che avesse importanza.
Deve
comunque farsi i cazzi suoi.
Fece un fischio per attirare
l’attenzione degli altri avventori. “Signori e
gentili damigelle … Avete
sentito. Il Signor mago gradisce la mia musica! Ne facciamo
altra?” Ricevuti i
doverosi e sguaiati plausi, si rivolse poi all’altro,
scimmiottando un tono
lamentoso. “Se il signor mago vuole sentire qualcosa, il
povero suonatore sarà
felice di accontentarlo.”
Intonò quindi un
motivetto
tzigano allegro quanto fastidioso, con rabbia e senza precisione,
perché no,
non era un maledetto genio, il passato era
passato e nessun figlio di puttana aveva il diritto di scavare nel suo.
A posteriori si chiese
sempre
cosa gli fece cambiare idea: forse fu l’espressione di
delusione sul viso del
mago che diede un potente calcio al suo orgoglio o forse furono gli
incitamenti
che sentì per una canzone che non valeva uno zellino e che detestava suonare …
Fatto sta che
stoppò il maldestro
motivetto da festa di campagna e attaccò Paganini.
Di colpo gli parve quasi di
sentire le corde del suo violino ringraziare mentre sentiva il corpo
più
leggero e le dita più spedite. Le variazioni, le armoniche,
la diteggiatura
funambolica …
È
questa la mia musica. È questa.
Quando concluse si rese
conto
che l’intero locale era piombato nel silenzio e che Michel
era rimasto di
stucco.
Sì,
la voce di un violino fa quest’effetto. Specie se
suonato come se dovesse costarmi la vita.
Ops.
Scrollò le
spalle. “L’ho
capito dalla faccia … sei un tipo da classica,
vero?” Chiese più che altro per
salvare la faccia.
…
Ne valeva la pena?
Forse. O forse no. Ad ogni
buon conto il suo orgoglio di artista era stato salvaguardato e a
questo doveva
plaudire.
Il mago non gli rispose, ma
sorrise e per la prima volta da che lo conosceva sembrò
sincero. “Lo sapevo.” Mormorò.
“Sei tu.”
Non poteva più negare, non di fronte all’evidenza.
“Sì, wow,
fantastico, mi hai scoperto. Notizia dell’ultima ora
… a
nessuno frega un cazzo.” Ripose il violino e chiuse la
custodia con uno scatto
secco. “Aver scoperto che fine ho fatto non è una
notizia da prima pagina.
Forse un trafiletto nella pagina di cultura del vostro Profeta, se ti
va bene …
Non sono stato certo un Harry Potter.”
“Non sono un giornalista, sono…” Si
umettò le labbra e per Faust, se erano
piene, morbide e del tutto peccaminose. Ricordava bene quanto
erano state a sud del suo personale equatore.
Ehi, no, a cuccia laggiù!
C’era qualcosa di
karmico
nell’aver voglia di sbatterlo sul primo tavolo disponibile
quando non era il
momento né il luogo adatto.
Almeno,
a differenza di quanto è successo la sera della
festa di quel tizio, lui non s’è accorto di
tenermi per le palle.
Dall’espressione
cauta e
sincera che aveva dipinta in volto dubitava lo stesse ripagando con la
stessa
moneta. Pareva piuttosto concentrato sulla scoperta appena fatta.
“Immagino non ti
ricordi di
avermi conosciuto …”
“No,
dovrei?” Si rendeva conto
di comportarsi da perfetto stronzo con un ragazzo che, almeno fino a
quel
momento, era stato gentile.
Ma
ehi, chi semina vento…
L’inglese lo
guardò storto ma
mantenne, glielo doveva riconoscere, una certa cortesia. “Non
capisco perché tu
debba essere così sgradevole.”
Perché
prima che scoprissi che ero il Meraviglioso Emil
tu lo sei stato con me, anche quando ti ho salvato le chiappe
rischiando di
esser etichettato come un traditore.
Per
esempio.
“Perché
sì.”
Richiamò l’attenzione del barista scuotendo la
pinta vuota.
Aveva bisogno di un altro buon litro se voleva continuare quella
conversazione.
“E comunque, neanche tu sei stato uno zuccherino con il
sottoscritto.” Si
stampò in faccia un’espressione di puro panico.
“Oh mia Morgana, ho toccato
uno sporco Magonò con il mio
pisello!”
“Mi dispiace.” Si stava davvero
scusando
con lui? Ne fu stupito perché stavolta il tono della frase
era intriso di
autentico dispiacere. “Mi sono comportato
…” Esitò e dovette ingoiare un
discreto quantitativo di orgoglio maghesco dall’espressione
che fece. “… in
maniera riprovevole. Come mi sembra di averti già detto, non
reagisco bene
quando vengo preso di sorpresa.”
“Immagino che esserti scopato un Magonò sia stato
sorprendente, sì.”
“Potresti
smetterla?” Ribatté
con rabbia. Non si poteva dire che non avesse un bel caratterino:
l’educazione da
damerino doveva di solito tenerlo a bada, ma premendo i tasti giusti
non c’era
strumento che non cantasse con le sue reali tonalità.
“No.”
Emise un verso spazientito. “Vorrei solo avere la
possibilità…”
Era stufo. Era stata una giornata stancante e a casa – sempre
che una stanza
ammuffita si potesse considerare tale – lo aspettava un altro
mago pieno di
paturnie e problemi. Non aveva quindi voglia di immergersi in una parte
della
sua vita che aveva seppellito a fondo per la sua stessa
sanità mentale. Neppure
per il ragazzo stupendo che aveva di fronte.
“Di fare cosa?” Scosse la testa.
“Se ti eri preso una cotta per me, come un
altro milione di maghetti felici di avermi tra le loro fila, ti devo
deludere …
Quella persona non esiste. Tanto piacere, sono Milo, un
Magonò.” Gli tese la
mano quasi sbattendogliela addosso e Merlino, se avrebbe voluto
picchiarlo. Che
diritto aveva di venire lì e parlare del suo passato?
Il mago lo guardò
confuso,
quasi non si fosse aspettato quella reazione: pareva esserci rimasto
male.
Ma
cosa sperava?
Il momento patetico fu per
fortuna interrotto da Figgins che rientrò con un gran
vociare, chiedendo che la
sua sete venisse spenta con una parola in slang che non capì
ma che significava
probabilmente birra.
Questo parve riscuotere
l’altro,
che distolse lo sguardo dandosela a gambe senza un’altra
parola.
Ah,
ho vinto!
Era frustrante non sentirsi
un
vincente.
Quando se ne fu andato
assieme
al tipo ricciuto, quest’ultimo gli si affiancò,
passandogli un braccio sulle
spalle. “Beh, cos’è quel muso
lungo?” Chiese. “Un maghetto t’ha fatto
la bua?”
Storse il suo miglior
sorriso
storto. “Non direi. Ho la pelle più dura di
così.”
Ciao,
sono Milo, un Magonò.
****
Scozia,
Foresta Proibita.
Ted non riusciva a dar retta
alle persone attorno a sé; sapeva che doveva ascoltare James
e i suggerimenti
accorti di Neville, che in quei boschi aveva camminato e imparato ben
prima di
lui. In coscienza, si rendeva conto che il suo modo di reagire non era
funzionale a ciò che stava per fare.
Non riusciva a importargli.
La ricerca di Ben era
l’unica
cosa che lo teneva lontano dalle rivelazioni che erano conseguite alla
conversazione con Moscardo. E funzionava, quindi non gli interessava
esser
razionale in materia.
James accanto a lui
balzò su
uno sperone di roccia, indicando una fenditura dove una persona sarebbe
potuta
passare agilmente. “Non è una delle entrate che
abbiamo controllato?”
“Sì.”
Convenne mentre Scorpius
sbuffava e li raggiungeva pulendosi le mani sporche per
l’arrampicata.
“Ci
dividiamo?” Propose questo
guardandosi attorno. “Perché di posti in cui
nascondersi ne ho visti parecchi
salendo.” Si grattò la nuca. “E non
è che rischiamo molto, a star da soli,
credo … Si tratta di un bambino, no?”
“Potrebbe essere un Mannaro.” Gli fece notare,
perché al di là dei suoi
personali sentimenti in materia rimaneva pur sempre suo compito
avvertirli del
pericolo. “Anche se non è Plenilunio, il suo morso
avrebbe comunque degli
effetti.”
“Sì, ma non mi farebbe trasformare,
vero?” Si informò con aria inquieta e Ted
ricordò di colpo come
Lucius Malfoy
fosse morto.
Ucciso
da Greyback. Un Greyback trasformato.
La presenza di Scorpius era
di
colpo molto meno scontata e per questo cercò di sorridergli:
una prova simile
di lealtà poteva e doveva accantonare
i suoi problemi. “Hai presente Bill, il padre di
Louis?” Ad un cenno di assenso
continuò. “Fu morso da Greyback quando era ancora
in forma umana, e non si è
Trasformato. Il morso porta ad una forma completa di Licantropia solo
durante
la luna piena…”
“In compenso ti viene una gran voglia di carne al
sangue!” Gli strizzò l’occhio
James, dandogli una pacca sulla spalla. “Non dirmi che te la
fai sotto,
Malfuretto.”
“Molto, ma fingerò di non voler strillare come una
ragazzina.” Replicò l’altro
tentando un tono scherzoso. Gli riuscì piuttosto bene.
“Comunque, è un bambino.
Dobbiamo trovarlo.” Concluse con tono definitivo.
“Grazie
Scorpius.” Lo disse
perché quel ragazzone non aveva mai avuto tutti i
riconoscimenti che si
meritava.
Meno
della metà se si considera che si è infilato
volontariamente
nei casini di questa famiglia…
Scorpius ricambiò
con un cenno della
testa e un vago rossore
compiaciuto sulle guance. “Beh, io vado a destra!”
James, quando fu il momento
di
separarsi, lo afferrò per un braccio.
“Andrà tutto bene.” Gli
mormorò serio e
fu quasi tentato di crederci; quando abbandonava
l’attegigamento da bulletto di
periferia mostrava al mondo intero come fosse in realtà una
delle persone più
affidabili che conoscesse.
“Lo so.”
Lo baciò perché anche
se non era appropriato data la sua situazione – tra
l’altro, erano in bilico
tra rocce friabili – ne aveva un disperato bisogno. James
parve intuirlo da
come afferrò un pugno di stoffa della sua camicia per
tirarselo contro.
“Preferisco questo grazie a quello di
Malfuretto.”
Ghignò sulle sue labbra prima di lasciarlo andare.
“È più personale. Che non ti
salti in mente di darlo ad altri!”
Non poté fare a meno di sorridere e tirargli uno
scappellotto.
Si separarono e Ted accese la propria bacchetta in Lumos
mentre l’oscurità della caverna lo avvolgeva. Non
ricordava
di esserci entrato, ma era pur vero che la morfologia del posto non era
degna
di nota. Si spinse a fondo e contò di aver percorso almeno
un centinaio di
metri prima di notare, sulla parete, un segno che non pareva fatto
dalla
natura: pareva esser stato fatto con un sasso sfregato con forza.
Qualcuno
voleva esser certo di non perdersi in mezzo a
questi cunicoli…
L’istinto gli
diceva che
doveva trattarsi di Lunastorta: difficilmente i Centauri avrebbero
potuto inerpicarsi
fin lì, ed erano gli unici altri esseri della foresta a
poter maneggiare degli utensili.
“Ben?”
Chiamò, sperando che il
bambino fosse nei dintorni e si fosse semplicemente nascosto sentendolo
arrivare. “Mi chiamo Ted, sono …”
C’era un modo per presentarsi che fosse
adeguato? Dubitava. “ … un amico.” Si
risolse a dire. “Non devi avere paura,
vengo …” Ignorò la fitta che
sentì calciargli lo stomaco. “… vengo
da parte di
papà.”
Prima di morire ha detto il nome di suo
figlio. Ha cercato di dirmi che non era solo, e che il suo bambino
aveva
bisogno di aiuto.
Ed
io non l’ho capito.
Un rumore lo
allertò, ma invece
di alzare la bacchetta, come istinto gli suggeriva, la ripose; la prima
cosa di
cui un bambino Licantropo avrebbe avuto paura avrebbe potuto esser
proprio
quella.
Fece un paio di passi verso
l’origine del suono. “Ben?”
Chiamò di
nuovo e svoltato l’angolo si trovò di fronte a
quello che aveva tutta l’aria di
essere un accampamento di fortuna, ricavato in una rientranza tra due
pareti di
roccia. Contemplò quindi i rimasugli di un falò,
ormai braci fredde che
sorreggevano un calderone pieghevole per una persona, uno zaino di
montagna che
giaceva in un angolo e due pagliericci di foglie dall’aria
umida.
Il cuore perse un battito
quando vide che uno dei due era occupato.
Si accovacciò a
terra, e anche
se l’istinto lo portava a cercare il contatto con il
corpicino esanime, controllò
prima il battito del polso. Un’ondata di sollievo lo
investì quando lo sentì
pulsare, forte e presente. Ben – era così che si
chiamava l’ultima parte della
sua famiglia – al tocco emise un lieve lamento,
più simile ad un uggiolio che
al pianto di un bambino.
Merlino,
non può avere più di cinque anni…
Controllando che non avesse
ferite che sconsigliassero uno spostamento, lo prese tra le braccia e
tentò di
non crollare rovinosamente quando sentì le manine cingergli
il collo
istintivamente. “Ehi Ben.” Mormorò
ignorando le lacrime. Erano ore che
premevano per uscire e le lasciò finalmente libere.
“Sta’ tranquillo … ora sei
al sicuro.”
****
Note:
Angst, lo so. Ma date tempo al tempo. Se non altro, adesso Milo
è stato
stuzzicato nei punti giusti.
(E anche l’orgoglio di Mike)
E c’è
di mezzo un cucciolo di
Licantropo! :D
(Che starà bene,
promesso.)
Prossimo capitolo, avverto, molti feels
Lily/Ren. Mi prendo una pausa da loro e subito mi mancano. Sono i miei
bimbi
disfunzionali.
La cover del capitolo
stavolta
non è opera mia (e si vede): è stata fatta dalla
meravigliosa Gaea. Grazie girl! :D
Questa
la canzone del capitolo. La trovavo adatta ai pezzi nella foresta e
poi, ohi, è
figa.
Ho scoperto un doppelgaenger
di Milo: David Garrett. È pure
tedesco.
Se non sapete chi è, vergognatevi mentre ascoltate la sua
versione di Smooth
Criminal.
La scena del cambio tra musica tzigana e Paganini è presa
spudoratamente dal
film Le Concert. Anche qui,
rimediate
se non l’avete ancora visto. Dico sul serio.
Per quanto riguarda le
canzoni
richieste dai Maghinò, ecco
Dacw 'Nghariad (There
is
my sweetheart) e Greenslevees.
Mentre la prima è una canzone tradizionale scozzese (come
scozzesi sono Shad e
Figgins) la seconda è una famosissima ballata inglese di cui
sono state fatte zilioni di
versioni. Quella linkata è
quella che suona Milo.
1. Loki cita una famosa
poesia
di Rudyard Kipling, chiamata ‘The Broken Men’, e le
strofe finali a cui fa riferimento son
queste (tradotte malamente dalla sottoscritta): “Oh,
Dio! Uno scampolo di Inghilterra — per accogliere la nostra
carne
e sangue — per udire il traffico roboare | Ancora una volta
lungo il fango di
Londra! | Le nostre città di onor sprecato
—Le nostre strade di piacere perduto! | Come sta
il vecchio Lord Warden?
| Le scogliere di Dover son ancora bianche?”
|