Crystallize
{Rosso come il sangue,
bianco come le ossa;
rosso come la solitudine,
bianco come il silenzio;
rosso come i nervi di una
belva,
bianco come il cuore di un dio;
rosso come l'odio che sgorga
sciogliendoti,
bianco come il dolore che ti
agghiaccia;
rosso come l'ombra che divora
la notte,
come un sospiro che trapassa
la luna.
Splende di bianco, si spegne
di rosso}
I always saw better when my eyes
were closed.
È
buio, qui sotto. Trattengo il fiato e non vedo nulla, anche
sforzandomi. Una luminosità bluastra e livida che splende di
bianco alle mie spalle, cala nel nero sotto di me, senza inizio e senza
fine. Il limite con la superficie è una linea di gesso
– e io l'ho calpestata.
Si
vede meglio ad occhi chiusi. Io ho passato il confine.
Sento
l'acqua gelida invadermi a fiotti le falde dei jeans, infilarsi a forza
sotto la giacca, strapparmela di dosso. Non so se siano i miei stessi
capelli o serpenti di ghiaccio, quelli che mi fluttuano intorno alla
faccia. Tengo gli occhi spalancati. Non fa differenza. Sono stata cieca
fino ad un istante fa, passeggiando sulla lastra troppo sottile sul
lago dietro alla fattoria. Questo è il prezzo che devo
pagare – ma non smetterò di guardare, non posso,
non ora.
In
ogni scheggia di cristallo,
di vetro
vedo la casa che va a fuoco . In ogni scheggia vedo il sangue nero
schizzato sul tappeto, le crepe della vetrina. I libri strappati,
calpestati, la ringhiera della scala che si frantuma sotto
quattro fendenti mirati alle mie costole. Forza bruta. Forza cruda,
precisa, oculata.
In ogni scheggia ci sono mille mani e mille occhi, mille riflessi
dell'armatura di Shredder.
Se
chiudessi gli occhi qui sotto, diventerebbe tutto reale.
Fa
freddo, nell'acqua, ma è un freddo che presto intorbidisce e
rallenta ogni cosa. Smetto di battere le gambe a vuoto - presto? Tardi?
Non lo so. Le mani che premono sulla crosta sottile che si sta
già riformando sopra di me sono pallidi spettri, non mi
appartengono. Il risucchio liquido mi forza i timpani, cola fra i
ricordi e i pensieri.
Tutto
tace. Ogni cosa. Perfino la scia di bollicine che sale verso l'alto,
mentre perdo la presa. Mentre la luce si affievolisce, con i suoi
riflessi crudi e bianchi di ossa, ridendo della mia sciocca pretesa di
essere una persona normale, una ragazza normale, una donna normale -
Shredder ride e questa
è una guerra. Nessuno ne è escluso.
Don. Miky. Raph. Casey e
Splinter.
Leo.
Me.
E
poi qualcosa si stringe sulla mia manica e tira, tira forte, come se
dovesse estrarmi a forza da quest'utero tranquillo, in mezzo agli
specchi di ghiaccio in cui il Second Time Around lancia bagliori rossi
nel cielo nero e grigio di New York, dritta contro il gauntlet di
Shredder, più vicina – più vicina
- verso i frammenti e il fumo della memoria,
perché la April del ricordo, quella rimasta nel negozio
è morta, io no.
Io no, io no, io no.
Splende
di bianco, si spegne di rosso.
L'impatto
con l'aria è un'esplosione. Qualcuno grida, e
finché non ho la testa fuori non mi rendo conto che sono io,
che ho strillato per tutto questo tempo, anche sott'acqua. Gli schizzi
mi schiaffeggiano le orecchie, il gelo è una vampa di fuoco.
Ogni centimetro della mia pelle brucia. Grido ancora, stavolta di
dolore – ma mi aggrappo. Mi aggrappo alla mano che mi ha
afferrato il bavero, pianto le unghie sulla pelle verde che la copre,
liscia, umida, e mi tengo stretta, stretta, stretta, scalciando.
“Leo!”
“Tieniti!
Tieniti, non mollare!”
“Leo,
non mi lascia andare!” Non ho fiato. Ogni parola è
una pugnalata fra le costole, una scarica di sofferenza. Le
gocce
d'acqua sono ghiacciate, le mie lacrime le sciolgono. “Non mi
lascia andare, non ce la faccio, non
ce la faccio-”
Non
lo vedo, ma lo sento. Sento la mascella di Leonardo che si comprime
così forte da scricchiolare, lo sforzo che gli irrigidisce i
muscoli. Risucchia un respiro fra i denti, cede – e io
affondo di nuovo, e stavolta sono sicura che niente e nessuno
potrà riportarmi a galla.
Poi
tira. Di scatto. Sono un turacciolo di sughero che sobbalza fuori
dall'acqua. Questo è il bordo zigzagato del foro nel
ghiaccio che mi azzanna lo stomaco. Ora le gambe, strinando i nervi. Ho
perso una scarpa. Non so dove l'altra si sia fusa al mio piede
– sono un grumo di stoffa e pelle gelate, senza
sensibilità. Senza forza.
E
adesso siamo in due, sul ghiaccio solido. In due, vivi. Ho ancora le
unghie conficcate nella sua spalla, non riesco ad aprire la mano. Sento
piccole mezzelune di sangue caldo gonfiarsi sotto le mie dita.
“L-l-l-leo-”
Non
risponde, ma nemmeno lui ha mollato la presa. Mi chiude le braccia
attorno e tremiamo, entrambi, di adrenalina, di freddo, di paura.
Eravamo così vicini. Così vicini a non tornare
indietro.
“Leo.”
“Shh.
Ti ho presa.”
Mi ha presa. Una
frase così piccola, insignificante - vale il mondo, per me,
come il tessuto sdrucito che si è buttato di traverso
addosso per proteggersi dal gelo e la curva rigida del suo mento
premuto sulla mia fronte. Chiudo gli occhi e mi rannicchio contro di
lui. Mi ha presa. Va
tutto bene.
“Non
voleva lasciarmi andare,” soffio.
“Shredder?”
Neve
che scrocchia. Mi ha trascinata fino alla sponda del lago. Le zolle di
terra nera e dura sono quasi calde – fanno venire voglia di
sdraiarsi e rimanere lì, in attesa del sonno. Tremo ancora,
ma sono calma. Sono ferma,dentro, come quell'acqua che stava per
uccidermi. Potrei morire anche ora, con le dita blu e i denti che
battono, ma devo rispondergli. Mi ci costringo, per non addormentarmi.
“No...tutto
il resto. Tutto quello che è successo.”
Leo
tace , un silenzio di comprensione. Lo lascio andare, perché
sto cominciando a fargli male. Mi immagino le quattro striature di
sangue sulla sua spalla, in mezzo alle miriadi di cicatrici lasciate da
altri.
“Andiamo
a casa.” mormora, sfregandomi le mani fra le sue. Calli di
allenamento e scarificazioni - cuoio liso, la sua pelle. Sta facendo
come mio padre, quando mi venivano i geloni. Come facevo io con Robyn. Andiamo a casa, April. Andiamo a
casa. Don ha rimesso a posto la caldaia. Ci sono perfino
le coperte, adesso. La fattoria non sarà mai buona come il
Second time Around, ma è quanto più ci assomiglia
ora, e io annuisco, lasciandomi prendere in braccio come se avessi
ancora sei anni.
Leo aggiusta la presa senza scuotermi, ogni movimento lieve, cauto.
“Ti porto io, ok? Ma tu resta sveglia, Ape. Resta sveglia
ancora un po'.”
“Mh.”
“April.
“
“Promesso.”
Intuisco
un sorriso, leggero, veloce. Uno di quei sorrisi che non penseresti mai
di strappare a lui,
se non in faccia alla morte. Mi solleva, e so che manterrò
la promessa: non mi addormenterò. Lo farò,
perché adesso vedo.
Shredder è lontano. Della casa, delle mie cose,
non resta che cenere intrappolata nel ghiaccio.
Io sono ancora viva.
“Grazie.”
Leo
non risponde. Mi ha sentita, ne sono sicura. Come sono certa di aver
sentito il suo bozzo d'indecisione e colpa fratturarsi intorno a lui,
come cristallo.
Questo mondo non smetterà di fargli male, ma niente e
nessuno gli impone di non restituirgli colpo su colpo - è
vivo. Siamo vivi. Staremo bene.
Ho
ancora paura, ma ora non fa più male.
*
1° maggio 1987.
“Non riesco a
credere che sia già passato un mese da quando sono caduta
nel lago ghiacciato...e ancora di più da quando ho
cominciato a tenere questo diario. Me la sono passata brutta, quella
volta. Ora niente sembra avere importanza. Ho cominciato a scrivere per
cercare di ricostruire ciò che ho perso nell'incendio. Dopo
la mia nuotata invernale (ah ah!) ho capito quanto poco contassero gli
oggetti che avevo accumulato durante la mia vita.
Pensavo fossero tutto
ciò che avevo al mondo.
Non era vero.
Ho me stessa e i miei ricordi.
Poi ho degli amici, dei veri
amici, a cui tengo – e che tengono a me. Sarò
sempre al loro fianco e loro saranno sempre al mio. Siamo un gruppo,
siamo una famiglia...unita.
Probabilmente questa
sarà la mia ultima pagina. Volevo solo scrivere qualcosa
alla fine...qualcosa che desse un senso a quanto ho scritto fin'ora.
La vita sa essere buona.
La vita va avanti."
NA
Sono
nuova, eppure non lo sono affatto. Ho cominciato a scrivere in quello
che è stato il mio fandom prediletto alle medie, e
all'università - ad anni di distanza dall'ultima long fic
sulle TMNT, mi capita di rimettere mano su questa. Chissà
che non sia il preludio ad altro *guarda tutte le long fiction
seppellite nell'archivio da un pezzo*. Potrebbe essere la volta che
faccio resuscitare certi reperti storici del tardo giurassico. Meh.
La
shot è vecchia di mesi e sul momento non m'è
piaciuta affatto; è palesemente ispirata agli eventi del
fumetto originale della Mirage Comics, Issue # 11 del Giugno 1987, che
sono stati ripresi in parte anche dalla serie animata del 2003,
ambientato subito dopo la fuga da New York del gruppo. Una passeggiata
sul ghiaccio costa a April un bagno nell'acqua gelida di un laghetto
appena dietro alla fattoria di Casey, facendole rasentare la morte.
L'evento è scongiurato da Leo, e pare mettere fine sugli
effetti del trauma subito a New York.
E'
una April diversa da quella che presenta la serie, e ho voluto
mantenere tanto la data originale del fumetto che l'atteggiamento del
personaggio originale. L'ultimo estratto è preso
direttamente dal fumetto, ed inserito ad hoc. Manco a dirlo, l'idea per
il titolo e il soundtrack è reperibile [qui], tra i
brani di dubstep di Lindsey Stirling.
Mi
sembra di aver detto tutto. Ringrazio chiunque passerà,
anche se è già una soddisfazione essere tornata
al mio fandom d'origine, almeno per un po'. E spero davvero che questa
non sarà l'ultima storia che vedrà la luce qui.
*Ninja
Vanish*
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