Say
it's true
Or everything that matters breaks in two
(Another
Hearts Call, The All
American Rejects)
8
Luglio 2028
Devonshire,
Il Mulino.
Mattina.
Svegliarsi stordita, quasi
un
Battitore avesse deciso nottetempo che la sua testa era un ottimo
Bolide, non
era mai un modo glorioso per salutare il nuovo giorno e Lily lo sapeva,
ma cosa
poteva farci?
Togliendosi le coperte
estive
di dosso ciabattò fino in bagno senza avere il coraggio di
guardarsi allo
specchio, non prima di essersi gettata una manata piena di acqua gelida
sul
viso.
Ugh.
No, sembro ancora un orchetto tolkeniano.
Dal piano di sotto
sentì i
genitori muoversi, far colazione e chiacchierare nel modo rilassato e
complice di
sempre e questo la rimise un po’ in pace con
l’universo.
Un
altro incubo. Come diavolo si fa ad avere due incubi
in due
giorni? Cos’è, un trend?
Per questo aveva ripreso a
vedere la Patil non solo per motivi strettamente professionali. La
strega le
aveva fatto sviscerare il problema, ne avevano parlato ed erano giunte
ad una
serie di conclusioni.
È
l’effetto rimbalzo dell’attacco al San Mungo.
È il
periodo di stress che sto attraversando nella mia vita personale.
È anche l’arrivo di
Ren. Per farla semplice.
La materia era sempre la
stessa: lei che veniva immobilizzata da John Doe, afferrata e gettata
attraverso lo specchio. Razionalmente sapeva che era improbabile che
l’uomo,
per quanto redivivo e calcante il suolo britannico, si interessasse di
nuovo a
lei …
Ma
questo non mi impedisce di avere i nervi a fior di
pelle ogni volta che sono sola e qualcuno mi arriva alle spalle. Yay.
Non se la sentiva
però di
biasimare Ren per averglielo confidato la sera del compleanno di Sy.
Aveva
bisogno di parlarne … e quel bastardo ha fatto
più danni a lui che a me. In confronto con la sottoscritta
è stato un
simpaticone, tentativo di omicidio a parte.
“Buongiorno
tesoro.” La salutò
sua madre quando entrò in cucina. “Dormito
bene?”
“Sissignora.”
Mentì con
disinvoltura, scivolando sulla sedia e rubando l’ultima
frittella di mele al
padre che le zuccherò il caffè per poi
passarglielo: quando non doveva
trangugiare la colazione per scappare in ufficio era un piccolo rito
che non le
faceva mancare. Lo ringraziò con un sorriso,
perché quel giorno le era più
necessario che mai.
“Hai sentito
Jamie?” Le chiese
quest’ultimo. “Come se la stanno cavando lui e
Teddy con la faccenda di Ben?”
Si strinse nelle spalle:
quasi
a voler dimostrare come le disgrazie non arrivavano mai sole, in quei
giorni
avevano scoperto che Ted, tramite una serie improbabile di circostanze
coinvolgenti Mannari e Centauri, si era trovato ad avere una famiglia
… salvo per
poi perderla quasi tutta.
Ed
io che mi lamento per due incubi…
Scosse la testa.
“Non ne ho
idea. Jam mi ha chiesto di girare a largo per il momento …
Teddy è ancora
piuttosto fuori fase e non vuole gente attorno.”
“Sì, lo ha detto anche a me.” Suo padre
annuì con aria dispiaciuta, ma non
aggiunse altro, riprendendo a fissare pensieroso le siepi oltre la
finestra: se
c’era qualcuno che poteva capire Teddy era proprio lui.
“Se avranno
bisogno di noi
sapranno dove trovarci.” Argomentò tranquilla sua
madre, stringendo la mano del
marito oltre la tavola. Lily li vide scambiarsi uno sguardo e subito
dopo la
linea tesa delle spalle di suo padre si sciolse visibilmente.
Eccolo
qua, l’amore.
Lo pensò con un
sorriso e fu
quel pensiero positivo che le diede la forza di fare una domanda la cui
risposta, era certa, non le sarebbe piaciuta. “Come va il
caso dei ragazzi?”
Suo padre esitò
un momento
prima di rispondere ma poi, sotto lo sguardo congiunto suo e di sua
madre, fu
costretto a capitolare. “Sono ad un punto di stallo, di
nuovo. Hanno trovato un
posto dove sembra essere stato John Doe … ma era pulito come
una sala
chirurgica.”
Ah. E allora Ren perché mi ha detto
di
essere occupatissimo? Non lo è!
Le aveva mentito.
“Capito.” Si
controllò, salvo poi scappare in bagno e sbattersi la porta
dietro per
scrollarsi il nervoso di dosso.
Brutto
deficiente!
Era ufficiale: la stava
evitando.
Ma
perché? Che gli ho fatto?
Era dalla serata del San
Mungo
che qualcosa non andava.
Quale
diavolo è il problema? Viene qui e dice che vuole
vedermi, che vuole portare la nostra amicizia ad un nuovo livello e poi
… mi
molla?
L’unico modo per
avere delle
risposte, decise, era lanciare un sasso e vedere cosa colpiva.
Digitò un
messaggio sul cellulare mentre metteva piede nel camino masticando a
mezza
bocca un saluto ai genitori. “Stasera non ci sono per
cena.” Li avvertì.
“Esci con
Scott?” Chiese sua
madre mentre obbligava il marito a rimaner per cucirgli un bottone
dell’uniforme.
Li
perde sempre. Come diavolo fa?
“No, stasera ha la
sua uscita
settimanale con i ragazzi della squadra di rugby. Adora fare il
Babbano.”
Scrollò le spalle. “Esco con Ren.”
Anche se ancora il suddetto non lo sa.
‘Buongiorno
Ren! Stasera sono libera … ti va di goderti un po’
di Londra notturna?’
****
Londra,
Diagon Alley. Il Paiolo Magico.
“Buongiorno
principino, c’è
posta per te!”
Sören fu accolto dalla voce strascicata del proprio compagno
di stanza, straordinariamente
in piedi vista l’ora. Stava giocherellando con il suo
smartphone – chissà
perché poi li chiamavano intelligenti, se erano complicati
in maniera infernale
– mentre fumava droga altrettanto poco magica.
Son
giorni che questo posto puzza di quella roba.
“Ridammelo. La
posta è privata
per antonomasia.” Argomentò asciugandosi il sudore
con l’asciugamano che
l’altro gli lanciò dopo averlo recuperato da un
cassetto. L’attività fisica,
come sempre, era il rifugio perfetto per i pensieri nefasti e infatti,
ogni
mattina che Merlino metteva in terra, indossava una maglietta lisa dei
tempi
dell’Accademia e si gettava sull’asfalto londinese.
Così
riesco a dormire.
La crisi non era rientrata,
ma
poteva esser gestita. Stancarsi,
dormire e concentrarsi sul lavoro era il metodo migliore di allontanare
ogni
fonte di stress. Non il più efficace, ma l’unico
che al momento a cui riuscisse
a pensare.
Notò poi come
l’altro si
aggirasse per la stanza a piedi nudi e con addosso solo un paio di
pantaloni
slacciati. “Sai bene che non gradisco che tu porti persone
qua dentro…”
“Non mi sono scopato nessuno sul tuo letto,
rilassati.” Gli rispose lanciandoglielo.
“Ho solo caldo e ah … sì, sono
fatto.”
“Anche sulla droga…”
“Ehi, io ti dico come devi rilassarti? No, non mi
pare.” Ribatté con insolita
asprezza. “Non sei l’unico ad avere problemi al
mondo.”
“ … Lo so.” Convenne sentendosi
improvvisamente di troppo in una stanza che, ad
onor del vero, pagava lui. L’altro aveva serrato le braccia
al petto tendendo
le labbra in una linea dura, ostile.
Che
cos’ha?
In quei giorni
l’aveva
incrociato a malapena, con il caso che continuava a girare a vuoto e la
sua
routine di allenamenti massacranti.
E
l’unica volta in cui abbiamo parlato gli ho chiesto
di Johannes e me la sono presa perché non ha saputo darmi
informazioni utili.
“Milo…”
Iniziò incerto. Non si
era mai interessato dei problemi delle persone alle sue dipendenze, e
anche con
il Magonò che aveva davanti si era sempre limitato a dare
più che ricevere
confessioni.
Però
Milo
era
tutto fuorché dipendente qualunque; non gli obbediva mai,
faceva di testa sua e
continuava ad impicciarsi della sua vita privata, specialmente quando
non era
richiesto.
Come
fa Lily. Come fa Dionis, ed Estevez. Come farebbe
un amico.
“Va
tutto…”
“Non vuoi leggere il messaggio?” Lo interruppe
mentre l’espressione tesa veniva
cancellata dal consueto sogghigno sornione.
“Perché credo dovresti.”
Sören, troppo sorpreso per quel repentino cambio
d’umore, obbedì schiacciando
l’icona colorata che gli ricordava la busta di una lettera
sullo schermo. Ed
inspirò. “È Lily.” Fece una
pausa mentre l’altro spegneva lo spinello strisciandolo
lungo il davanzale della finestra. “Vuole uscire,
stasera.”
“Grandioso!”
“No, non direi.” Mormorò posando il
cellulare sul comodino. “Vado a farmi una
doccia. Devo passare al San Mungo.”
“Perché?”
“Indagini.” Mentì. I Guaritori inglesi
avevano avuto il via libera da parte del
Ministero Americano a prelevare campioni di sangue e tessuto dal suo
braccio:
cercare di non sentirsi una cavia da laboratorio era stato piuttosto
difficile.
“Allora potresti
approfittarne
per far colazione con Zenzero! Non studia là?”
“Non è il ca…”
“Ehi.”
Lo bloccò spazientito. “Ti rendi conto,
sì, che prima o poi realizzerà
che la stai evitando?” Fece una pausa drammatica e
mimò l’uso di un paio di
forbici. “Ti taglierà le palle. Zac
zac.”
Suo malgrado deglutì. “Le ho detto che sono
occupato.”
“Lavori con suo fratello,
genio, e l’orario
di ufficio è uguale per tutti. Comunque, il tempo per un
caffè si trova sempre.
Se le rifili un bidone devi avere una scusa valida.”
“Non
posso uscire con lei.” Perché diavolo
l’altro non capiva?
Eppure credeva di esser stato chiaro quando una settimana prima si
erano
ritrovati a dividere una bottiglia alla locanda.
“Non farla tanto lunga.” Milo lo guardò
quasi con simpatia. O divertimento
sadico. Non riusciva a mai a distinguere le due emozioni se erano
dipinte sulla
sua faccia. “Non sei il primo caso di due di picche della
storia.”
“Non usare parole
incomprensibili.”
“Sto solo dicendo
che se vuoi
rimanergli amico…”
“Lo voglio.”
Almeno questo.
“ …
ecco, se vuoi continuare
ad averla attorno, sai … devi permetterle
di starti attorno.”
Aveva ragione. Era questa,
forse, la cosa peggiore.
Voglio
vederla, ma non in queste condizioni. Non con il rischio di
aggrapparmi a lei perché non so dove altro andare.
Lily, con la sua amicizia
pura
e disinteressata, lo aveva liberato dalla schiavitù mentale
che gli aveva
imposto suo zio ed era proprio quello il problema; se c’era
qualcosa che la
terapia magica gli aveva insegnato, era che scivolare da una dipendenza
emotiva
all’altra era facilissimo nella sua condizione, specie quando
il terreno gli
cedeva sotto i piedi come in quel momento. Non poteva rischiare di
trasformare
l’amore che provava per Lily nel desiderio di renderla la sua
personale
Salvatrice.
Assolutamente
no.
Si sedette sul letto,
guardandosi le mani e sentendosi come al solito lento, confuso e
arrabbiato.
Perché per gli altri era tutto così naturale,
semplice mentre per lui assumeva
le dimensioni di una montagna insormontabile?
Sei
sempre in difetto. Sempre.
Si strofinò le
palpebre mentre
sentiva l’altro muoversi per la stanza e dal rumore
intuì che gli stava
preparando il the. Doveva tenere le mani occupate, perché
sentiva il braccio
formicolargli e non era mai un buon
segno. Prese quindi a giocherellare con l’anello di famiglia,
passandoselo tra
le dita e pulendolo con un veloce incantesimo dalla patina dovuta
all’ossidazione.
“Non è
scomodo portarlo sempre
al dito?” Lo sorprese Milo, accovacciato davanti al fuoco
mentre gettava una
manciata di foglie di the nel bollitore. “Io lo detestavo,
non lo portavo mai.”
Sören non fu sorpreso alla notizia che l’altro
proveniva da una famiglia
nobile. Lo aveva sempre sospettato. “È una
tradizione…” Rispose, grato per
quella interruzione. “Come tutte le tradizioni, finisce per
diventare
un’abitudine. E l’abitudine spesso è
fonte di conforto.” Strinse tra le dita
l’argento caldo, familiare. “A chi altri
l’hai visto fare?”
Non
credo frequenti altri maghi in possesso di un
sigillo nobiliare, a parte me.
Milo
scosse la testa. “A nessuno.” Si
alzò, stiracchiandosi. “Allora …
Zenzero.” Tornò in riga, spietato. “Cosa
le
risponderai?”
“È
complicato.” Mormorò. “Non
so cosa fare…”
“Già.” Gli porse la tazza fumante con un
sorriso storto. Aveva imparato
come quello fosse il suo sorriso più autentico e in qualche
modo lo faceva
sempre sembrare … rassegnato. “Benvenuto
nel magico mondo delle persone normali.”
****
Londra,
San Mungo. Mattina.
Ted varcò
l’ingresso del San
Mungo per la quinta volta in quei cinque giorni e come ogni volta venne
aggredito
dal forte odore di erba medica e Pozioni Disinfettanti.
Mentre le porte
dell’ascensore
si chiudeva dietro di lui non poté fare a meno di
controllare lo Specchio
Magico: nessun messaggio. Flynn non era ancora riuscita a trovare
notizie sulla
famiglia di Lunastorta.
(Faceva meno male se non
ricordava come l’uomo che gli era morto tra le braccia avesse
diritto al titolo
di ‘fratello’. Solo un po’.)
Si staccò dalla
parete
dell’ascensore quando le porte si aprirono sul Reparto Ferite
da Creature
Magiche.
Che
ipocrisia …
Era il reparto in cui
avevano ritenuto opportuno portare
Ben e Ted, in
quella notte febbrile, non aveva avuto la forza di combattere contro
quell’ennesimo, sciocco pregiudizio magico.
Se
è un Mannaro, va’ dove vengono trattati i Mannari.
Arrivò alla
stanza che per quei
cinque giorni era diventata una seconda casa e salutò con
cenno della testa la
magi-infermiera che vi era stata assegnata; a giudicare da come stava
uscendo
con un carrello ricco di bricchi e da cui si spandeva un delizioso
odore di
pane caldo doveva aver appena consegnato la colazione.
Ted sperò che
quel giorno fosse
partito con un piede diverso.
“Ha mangiato
qualcosa?”
Quella scosse la testa
dispiaciuta. “Mi dispiace Signor Lupin, non che non abbia
provato, ma temo …
temo che non capisca neppure ciò che dico.”
“Lo capisce.” Le assicurò
d’istinto, anche se da quel che ne sapeva poteva benissimo
esser vero il contrario. “È
solo…”
“Spaventata.”
Terminò per lui
con un sorriso simpatetico e Ted, ancora una volta, si trovò
nell’imbarazzante
posizione di doversi ricordare che
Ben era sì un nome da maschietto, ma apparentemente era
stato dato …
Ad
una bambina.
Scoprirlo era stata un
fulmine
a ciel sereno: quando l’aveva presa in braccio nella grotta,
sentendo tra le
dita i capelli corti, sporchi e arruffati aveva fatto due
più due … deducendo tre.
Solo dopo un viaggio a rotta
di collo verso il San Mungo e dopo una mezz’ora angosciante
in sala d’attesa,
dove James aveva dovuto minacciarlo un paio di volte di Impastoiarlo se
non si
fosse seduto, avevano scoperto la sconcertante verità.
“
… con le dovute cure si riprenderà nel giro di
una
settimana. La luna piena non ha reso le cose semplici …
è stata una fortuna, siete
arrivati in tempo.” Aveva spiegato il Guaritore.
“Completamente?”
Aveva chiesto sentendo la mano di
James posarsi sulla spalla. Avrebbe dovuto fargli una statua
d’oro come
cianciava nei suoi deliri d’onnipotenza, finita quella
storia. Sul serio.
“Completamente.” Gli era stato assicurato.
“Al di là della Licantropia è una
bambina sana.”
… eh?
James
aveva fatto un suono a metà tra l’esclamazione e
il pronunciare un’oscenità. Poi aveva parlato
lentamente, come faceva quando pensava
di non afferrar bene un concetto. “Non abbiamo capito bene
… cioè, io non ho
capito
bene … Ha detto bambina?”
Il
Guaritore era sembrato confuso.
“Sì…?”
“Ne è sicuro?” Gli aveva dato manforte e
agli occhi dell’uomo erano dovuti
sembrare due idioti, tutti occhi, bocche spalancate e nel suo caso,
anche
capelli arancioni. “Si chiama … si chiamerebbe
Ben.”
Il
mago aveva realizzato di colpo il punto della
faccenda, perché aveva sorriso divertito.
“Sarà anche … ma ragazzi, sono
sicuro, quella che ho curato è una bambina.”
Sorpresa…
I Mannari erano una
società a
base patriarcale, dove la nascita di un maschio era tenuta in maggiore
considerazione rispetto a quella di una femmina; forse Lunastorta le
aveva
tagliato i capelli e l’aveva vestita da maschietto nel
tentativo di farla accettare
dal branco.
Qualunque fosse il motivo
per cui
l’uomo aveva camuffato sua figlia ormai non aveva
più importanza.
L’importante
è cercare di farla parlare, di aiutarla a
farci capire da dove viene e se ha un posto in cui tornare.
…
È proprio questo il problema.
Perché Ben non
parlava.
Sentì un nodo
allo stomaco
quando entrò nella stanza, vuota di persone ad eccezione del
fagottino di
coperte nell’ultimo letto.
“Ciao
Ben.” Salutò gentilmente
avvicinandosi e prendendo la sedia su cui ormai aveva messo radici.
“Ho
incrociato l’infermiera e mi ha detto che non hai voluto far
colazione. È
vero?”
Nessuna risposta, ma non si
diede
per vinto. Posò invece i
gomiti sulle
ginocchia per avvicinarsi al letto. “Quella colazione aveva
un ottimo profumo e
scommetto anche un buon sapore … Sei proprio sicura di non
volerne mangiare un
boccone?”
Niente.
Sospirò,
passandosi una mano
trai capelli: la bambina, oltre lo shock e lo spaesamento, non si
fidava di
loro.
Non
si fida di me.
Faceva male, ma poteva
capirlo. Ben doveva aver vissuto sin dall’infanzia ai margini
di una società
che la discriminava, e che doveva aver trattato con disprezzo il padre
o
entrambi i genitori. Per quanto fosse piccola non poteva non essersi
già fatta un’idea
di come girava il mondo.
E
quell’idea non depone a favore di noi maghi…
“Lo so che questo
posto non ti
piace… ma ancora non stai bene e dovrai star qui per un
po’.” Le spiegò perché
sapeva che lo stava ascoltando e lo capiva. Doveva.
“C’è qualcuno che vorresti con te? La
tua mamma?”
Ormai ripeteva sempre le
stesse cose. Levò la mano per toccarle i capelli, un ammasso
arruffato che
nessuno era riuscito a toccare: l’unica volta in cui la
magi-infermiera aveva
provato a portarla a fare il bagno c’erano stati strilli e
pianti talmente
acuti che a detta della povera donna si erano sentiti fino al Quinto
Piano.
Hanno
dovuto farla addormentare per le spugnature…
Vedendo le spalle della
bambina irrigidirsi si ritrasse; come tutti i Mannari, percepiva
l’ambiente attorno
a sé con estrema precisione.
E
non vuole che la tocchi.
Si sentiva frustrato e
impotente. Neppure tutta la sua gentilezza e le sue parole rassicuranti
servivano a penetrare il bozzolo in cui si era rinchiusa la creaturina
che gli
stava affianco.
Si alzò in piedi
non riuscendo
a rimanere oltre senza aver voglia di prendere a calci qualcosa.
Qualcuno.
Chiunque. Se stesso. “Facciamo così…
Vado a prenderti un po’ di latte e
biscotti.” Propose. “Deciderai tu quando mangiarli,
okay?”
Allontanandosi lungo il
corridoio quasi non si accorse che qualcuno lo stava chiamando. Poi si
sentì
afferrare per il retro della camicia senza troppe cerimonie.
Ma
che…
“Buongiorno! Perso
nei tuoi
pensieri?”
Vedere la piccola e
pestifera
Lily, che aveva passato sette anni a sopportare l’uniforme,
indossare un camice
e un paio di zoccoli ortopedici come se fossero una seconda pelle era
sempre un
po’ straniante. “Ciao.” Salutò
impacciato. “Non ti avevo sentita arrivare.”
La ragazza, che teneva per
mano una donna che realizzò essere la madre di Neville,
scosse la testa con
aria dolente. “Fa sempre piacere essere invisibile ai propri
amici d’infanzia
ed ex-babysitter.”
“Scusami.” Sorrise capendo che la battuta voleva
esser distensiva. “Come mai al
Primo piano?”
“Io e Alice ci
stiamo facendo
una passeggiata.” Spiegò sorridendo alla donna,
occupatissima a giocherellare
con i lacci della propria vestaglia. “Siamo andate a
prenderci una fetta di
torta al quinto piano, ma poi non avevamo voglia di tornare subito,
vero?” Si
rivolse alla strega, che con sua sorpresa fissò lo sguardo
in quello della
ragazza e annuì.
Credevo
fosse catatonica …
“Sì,
quando la Gazzetta parla
di progressi nella Psicomagia per una
volta non esagera.” Lo lesse Lily, sorridendo del
suo palpabile impaccio.
“Mi ritengo offesa, professore … dovrebbe
interessarsi della carriera di una
tua vecchia studentessa!”
“Lo sai che sono bravo solo con cose che strisciano negli
anfratti più oscuri
della foresta.”
“Mmh …
sexy.” Chiocciò allegra.
Poi occhieggiò alle sue spalle, verso la stanza di Ben.
“Come sta?”
“Stabile…”
“ …
sì, molto chiaro. Sarebbe?”
Ovviamente, una volta
calmate
le acque, era stato doveroso mettere a parte Il
Clan degli sviluppi di quella faccenda.
In
realtà è bastato che James dicesse a Ron il
motivo
per cui si era assentato dal lavoro.
Dopo l’iniziale
chiasso dovuto
alla notizia, li aveva pregati di aspettare dato che la situazione
familiare
della bambina non era ancora chiara: l’ultima cosa che voleva
per Ben, al
momento, era una massa di teste più o meno rosse pronta ad
intervenire con pareri,
consigli, idee e cibo.
E
fin’ora son stati bravissimi…
Ma data la presenza di Lily
e
il fatto che si fosse inventata una bugia poco credibile sulla sua
presenza al
piano, sembrava che la tregua fosse finita.
“Sarebbe che non
ci sono
novità.”
“Sai… potrei darti una mano.”
Ecco,
appunto.
Non che non apprezzasse
l’offerta, ma si sentiva in dovere di proteggere Ben dalla
curiosità altrui;
persino da quella ben intenzionata del clan che gli aveva fatto da
seconda
famiglia.
“Grazie,
ma…”
“Teddy.” Lo
fermò guardandolo come un
ragazzino un po’ tardo. Era stranamente convincente.
“Non mi voglio impicciare
nei tuoi affari … cioè, in realtà
sì.” Si corresse allegramente. “Ma lo
faccio perché
sono … o diventerò, comunque … una
Psicomaga. Posso aiutarti sul serio.”
Capitolò
perché aveva davvero
bisogno di una mano. Come zio di
Ben poteva tener lontani i servizi sociali del Ministero, ma non a
lungo, e se
non si fossero trovati altri congiunti le cose si sarebbe complicate.
“Non so cosa
fare.” Confessò
passandosi le dita trai capelli. “Non parla … Ci
vuole un incantesimo che la
sedi per farla mangiare.” Doveva evitare assolutamente che il
groppo alla gola
avesse la meglio, soprattutto davanti ad una ragazza che considerava
come una
sorellina minore. “Non si fida di nessuno, e non riusciamo a
trovare sua madre.”
“Wow.”
Mormorò Lily, e le fu
grato per non cercare di rassicurarlo. “Okay. Devo chiedere
un parere, ma …” Parve
riflettere per qualche instante poi annuì. “Penso
di poterti aiutare.”
****
America,
Boston. Ufficio SAGITTA.
Gli mancava Sören.
Non era una cosa virile da
ammettere, Rico se ne rendeva conto, tuttavia pensarlo non
era piagnucolarlo di fronte ad birra, quindi supponeva andasse
bene.
La scrivania di fronte a lui
era vuota e non vedere il collega riordinarla ogni giorno e guardare la
sua con
indignazione era straniante. Sì, gli mancava quel rigoroso
rompiscatole che
mangiava solo insalata e non capiva una battuta di spirito manco se gli
ballava
nuda davanti.
Era preoccupato; Prince gli
aveva scritto solo una volta da quando era partito, una cartolina, e
solo perché
gli aveva fatto promettere di spedirla.
Il
giorno della partenza sembrava aver voglia di
vomitarsi la colazione sulle scarpe.
Non era l’unico a
chiedersi
come se la stesse passando, però. Era accaduto
più di una volta che il Sergente
Gillespie – che sembrava detestare il crucco più
di chiunque altro in ufficio,
eccetto forse Murphy – venisse alla sua scrivania a
chiedergli notizie con la
scusa di strigliarlo per qualche infrazione.
Secondo
Milo, Ama lo detesta come una bambina di cinque
anni spingerebbe giù dall’altalena il ragazzino
che le piace.
Pensavo
fosse una cavolata, ma…
Dalla sera in cui aveva
visto
il collega riaccompagnare la ragazza a casa aveva cominciato a
chiedersi se il
biondo non avesse invece ragione.
Quando udì dei
passi avvicinarsi
si chinò rapido sulla macchina da scrivere, dove stava
finendo di redigere un
rapporto. Con sua enorme sorpresa vide il Capitano Gillespie incedere
tra le
scrivanie, seguita da nientemeno che Ethan Scott.
Non
è il bastardo che ha incastrato Prince nell’intera
faccenda inglese?
Era lui e aveva la solita,
insopportabile, aria compiaciuta stampata in faccia.
Perché
è qui?
…
Ovvio. Per parlare di Prince.
E a giudicare
dall’aria
tempestosa del proprio capo le notizie non dovevano essere buone.
Rico non ci mise che qualche
attimo per decidere il da farsi. Fu così che due minuti
d’orologio dopo aveva
l’orecchio incollato alla porta dell’ufficio del
proprio capitano con un
incantesimo SuperSensore in corso. Non poteva vedere attraverso le
veneziane
tirate ma poteva ascoltare. Tentò di concentrarsi e per poco
non strozzò quando
sentì una mano afferrarlo per il retro
dell’uniforme.
“Cosa diavolo credi di fare, Estevez?” Lo
apostrofò la voce polare di Ama
Gillespie.
Rico si sarebbe Maledetto da
solo: avrebbe dovuto controllare di non esser stato seguito prima di
attuare il
suo proposito. “Ehm…” Cercò
di radunare le idee e alla fine optò per la brutale
verità, sperando che Milo non si fosse sbagliato.
“Origlio il Capitano mentre
parla con l’uomo che ha spedito l’agente Prince in
Inghilterra?”
La ragazza lo fissò anodina, prima di spintonarlo di lato
senza troppe
cerimonie. Rico nascose un sorriso e si mise in ascolto.
“…
autorizzare un mio agente
ad essere trattato come una cavia!”
“Calmati Nora, non è quello che faranno al San
Mungo.”
“Leggo oltre i giri di parole sulla carta stampata, Ethan.
Sei stato tu ad autorizzare la
‘messa a
disposizione della bacchetta in possesso dell’agente
Prince’. La bacchetta è
parte di lui. Dovranno
operarlo. Sarà invasivo, e non gli è stato
neppure chiesto …”
“Cosa, il permesso? Sembra che tu sia scordata che
Sören è proprietà del
Ministero americano.”
Cosa?
Rico sgranò gli
occhi ed
intercettò lo sguardo di Ama che a sua differenza non
appariva sorpresa dalla
rivelazione.
Lo
sa? Beh, è il nostro sergente, ma…
“Che
significa?” Chiese
sottovoce, ma l’altra gli fece cenno di far silenzio.
“L’agente
Prince è una
persona, non un oggetto!”
“Certo.” La voce del funzionario ricordò
a Rico un serpente che danzava attorno
alla preda prima di colpirla a morte. “Peccato che ai fini
della sua
riabilitazione non faccia testo. Conosci gli accordi … non
può disporre di se
stesso come ogni onesto mago americano.”
“Non ancora.” Il tono del Capitano era sferzante e
Rico, oltre la confusione,
si trovò orgoglioso di servire una strega che non si tirava
indietro quando
doveva difendere i propri sottoposti. “Questo caso
proverà al Dipartimento che
ha il diritto ad esser considerato
un
membro della nostra società.”
“Mi sembra ovvio, dunque … è nel suo
interesse assecondare le richieste del San
Mungo.” Il tono prese una sfumatura divertita.
“Eseguiranno una banale biopsia
e un prelievo del sangue … Non lasciare che il tuo istinto
materno abbia la
meglio sulla ragione.”
Rico sentì un
tonfo provenire
dalla stanza ed immaginò che la strega si fosse alzata di
scatto dalla sedia.
Si scambiò un’occhiata sorpresa con il sergente;
il Capitano poteva essere una
donna passionale,
ma non impulsiva.
L’ha
fatta proprio uscire fuori dai gangheri!
“Scoprirò
cos’hai in mente,
Scott.” Stava mormorando ma Rico percepì quelle
parole come il ruggito di una
fiera. “Ma sappi questo. Se stai cercando di infangare uno
dei miei ragazzi dovrai
prima passare sul mio cadavere.”
“Nora, stai esagerando. Al di là delle nostre
schermaglie dovrai riconoscere
che serviamo la
stessa causa e gli
stessi ideali.”
“No, non credo.” Si sentì scostare una
sedia. “Fuori di qui.”
Credo
di essermi un po’ innamorato.
Si
sentì di nuovo afferrare per il
colletto dell’uniforme e tirare indietro; Ama lo fece
nascondere appena in
tempo, perché Ethan Scott aprì la porta e
uscì fuori. Neppure un momento dopo
udirono la voce della donna. “Sergente Gillespie, agente
Estevez … una parola.”
Ma come cavolo ha fatto?!
Ama assunse
un’aria tra
l’irritato e il bastonato che fece ricordare a Rico come, in
effetti, fossero
coetanei. Sembrava una bambina colta a divorare una torta di mele non
destinata
a lei.
Entrarono dentro con il
passo
di due scolari indisciplinati e furono accolti da un’aria
esasperata, ma non
furiosa.
Buon
segno?
“Prima
che possiate chiedermelo, non
occupo questo posto solo perché ho quasi il doppio dei
vostri anni. I vostri
incantesimi sono rumorosi come spari.”
“Capitano…”
Doveva chiederlo.
Sapeva che non erano affari suoi – anche se certo, si stava
parlando del
ragazzo che divideva la scrivania con lui - ma doveva togliersi quella
pulce
dall’orecchio. “… che significa che
l’agente Prince non è un mago libero?”
La strega fece un sospiro,
accomodandosi di nuovo dietro la scrivania. “È
un’informazione riservata,
agente … no, Rico.”
L’uso del suo
nome di battesimo lo stralunò. Gli venne sorriso.
“Ma immagino che questo non
vi fermerebbe dal farvi ulteriori domande.”
“Perché quel funzionario ce l’ha con
l’agente Prince?” Domandò Ama.
“È evidente
che ha un risentimento personale nei suoi confronti.”
“Non verso Sören, ma verso di me. Si può
dire che glielo abbia soffiato sotto
il naso. Ed Ethan Scott non ha mai saputo perdere.”
“Prince è stato incriminato?” La cosa
era sconcertante su un sacco di livelli
ma aveva senso: la riservatezza che lo contraddistingueva, il non
parlare mai
della sua vita nel vecchio continente e la mancanza totale di
informazioni o di
spiragli sul suo passato. Sören aveva fatto qualcosa in Europa
per cui ne
pagava tutt’ora le conseguenze.
Come
restrizioni alla libertà … Non può
manco decidere
cosa fare del proprio corpo e della propria bacchetta. Gente come Scott
decide
per lui.
Il capitano gli
scoccò
un’occhiata. “Finito questo caso l’agente
Prince tornerà.” Esordì pacata.
“E tornerete
a lavorare assieme. Siete una buona squadra e mi rincrescerebbe se le
cose
dovessero cambiare…” Lo fermò prima che
potesse obbiettare. “Voglio solo essere
sicura che tu sia in grado di giudicarlo per chi è adesso, e
non per chi è
stato in passato. Perché, come avete potuto ascoltare, non
tutti ci riescono.”
Rico notò come Ama si era tesa alla frase, ma decise di
glissare. Del resto gli
era appena stata fatta una domanda. “Per me non cambia niente
Capitano. Sören è
e rimane il mio partner.” Rispose senza esitazioni.
Il capitano gli sorrise.
“Bene. Perché nel SAGITTA non abbandoniamo i
nostri compagni.”
“Mai.”
Le fece eco Ama e fu
certo di non esserselo immaginato; negli occhi del sergente si era
appena
formata una decisione.
****
Londra,
Diagon Alley.
Laboratorio di Bacchette Stevens.
“Campione di
nucleo di
bacchetta per voi, Signor Apprendista!”
La voce di Albus lo sorprese quanto la manata leggera che diede al filo
delle
sue cuffie. Tom alzò lo sguardo e si trovò
davanti una boccetta delle
dimensioni di un mignolo con dentro un filo argentato che si avvolgeva
a
spirale attorno a sé stesso.
Eccola.
“Proviene dalla
bacchetta…”
“ … di Sören, sì.”
Confermò Al, che a quanto pare quel giorno provava diletto
nel
finire le frasi al posto suo.
Stevens, che doveva averlo fatto entrare, abbandonò il
lavoro per avvicinarsi.
“È il ragazzo la cui bacchetta dobbiamo studiare,
giusto?”
“Prince,
sì.” Confermò:
qualche giorno prima lui e l’Artigiano erano andati al San
Mungo di persona,
per quanto l’uomo poco gradisse avventurarsi fuori dal suo
laboratorio. La
curiosità verso quella faccenda era stata però
maggiore.
Quello
Smethwyck è sgradevole come racconta Al. Pareva
quasi ci facesse un favore, a chiederci un consulto.
Al passò la
provetta
all’artigiano e poi si sedette sul ciglio del tavolo da
lavoro, mordicchiandosi
il labbro. “Le analisi del sangue non hanno evidenziato nulla
… Così
stamattina l’abbiamo fatto tornare per
una biopsia al braccio. Bisogna capire in cosa è diversa la
sua bacchetta.
Perché le altre non hanno protetto i loro
padroni.” Ricordò qualcosa di colpo.
“Ah, e poi nei prossimi giorni dovrebbe arrivarvi un bel
po’ di pergamena
dall’America…” Si voltò verso
di lui. “Riguarda il braccialetto di controllo
magico che ha al polso.”
Fantastico.
Nuove invenzioni che avrò tutto il tempo di
studiare senza ficcanaso a chiedermi cosa sto facendo e
perché ritardo nelle
consegne.
È
per il bene comune, dopotutto.
Il suo entusiasmo si
rifletteva sul volto di Stevens. “Faremo il
possibile.”
E non vediamo l’ora.
“Ricordatevi anche di lavorare, tra una ricerca ed
un’altra … Non vorrei
davvero che Brooke vi soffiasse tutti i clienti.”
Sospirò Al lanciando loro
un’occhiata paziente.
Stevens, come lui, non parve
turbato dalla prospettiva. Non a caso era il suo mentore.
“Vado a prepararti un
the, Al.”
“Ti ringrazio Rupert, ma sto andando via.” Lo
fermò alzandosi. “Sono passato
solo per fare la consegna.”
Quando l’uomo se
ne fu andato
però non diede cenno di voler prendere la porta,
scivolandogli invece sulle
ginocchia e passandogli le braccia attorno al collo.
“Cosa?” Gli chiese
perplesso. “Avevi detto che dovevi andartene.”
“Sempre carino.” Mugugnò strofinandogli
il naso sulla guancia. “Forse ho cinque
minuti di margine e li voglio passare con te?” Quando Al
cercava il contatto
fisico a quell’ora, di fronte ad altri e senza dar
avvisaglie, di solito era
sintomo di qualche malessere interiore. Chiederglielo però
senza un’adeguata
mediazione l’avrebbe solo fatto irritare.
Non
posso non aver secondo fini Tom?
No.
Se lo strinse contro per
baciarlo a lungo, disciplinando la libido per non far sfociare la cosa
in altro, che comunque avevano
spettatori,
per quanto con sensi offuscati.
Ed
io ho del lavoro da fare.
Lottando contro
l’impazienza
si sforzò di essere gentile. “Al, che
succede?”
L’altro fece un
mugugno poco
contento. “È Sören …
L’ho incrociato quando hanno terminato gli esami. Non ti
preoccupa?”
“Dovrebbe?”
Strinse la presa
passandogli le dita lungo la spina dorsale finché non lo
sentì sciogliersi
contro rilassato. “Cos’ha fatto?”
“Niente in
realtà. È solo che
ha l’aria di una persona … beh, che non sta bene.
Credo che tutta questa
faccenda lo stia logorando.” Fece una pausa. “E
Lils non sapeva che sarebbe
venuto in ospedale.”
“O ve la sareste trovata trai piedi.”
“Già. Mi sa che hai ragione, la sta
evitando.”
E
questi sono affari nostri perché …?
Non
lo disse però. L’ultima cosa di
cui aveva voglia era di litigare con l’altro per via di
Prince. Avrebbe avuto
del ridicolo. “Avresti dato un braccio per questa
eventualità … e adesso vuoi
che interagiscano?” Obbiettò razionale.
“Non capisco.”
“Non voglio che
interagiscano.” Lo corresse poco convinto.
“È che mi dispiace.”
“Per
lui?” Domandò sorpreso.
Albus era una persona empatica, capace di soffrire terribilmente se le
persone
che amava avevano qualche cruccio.
Ma
per le persone che non considera non perde notti di
sonno. Da quanto si è affezionato a Prince?
“È che
siete più simili di
quanto pensi.” Disse staccandosi per guardarlo speculativo.
Non c’era niente da
fare, quando gli piantava addosso quei suoi enormi occhi verdi si
sentiva sempre
in dovere di provargli qualcosa.
Che
me lo merito, forse.
Patetico.
“In che
senso?” Capitolò. “A
parte avere i capelli neri.”
“Scemo…” Sorrise. Gli premette un dito
sullo sterno, nel punto che molti dei
suoi detrattori pensavano avesse vuoto. “Vi tenete dentro
tutto quello e
pensate che non si noti. Invece si nota, eccome.”
“Tu lo noti. Non
presupporre che
l’intero universo sia in grado di decifrarmi.”
Borbottò infastidito. “Altro?”
“Non avete un
briciolo di
auto-ironia e vi credete culturalmente migliori di metà
della popolazione
magica.”
“Ma io lo sono. E si dice culturalmente superiori.”
Al roteò gli occhi al cielo. “Giusto. Anche lui ha
il tuo stesso brutto vizio …
corregge le persone. Ha quasi mandato ai pazzi Jamie.”
“James
è una capra. Il
desiderio di correggere le bestialità che gli escono dalla
bocca è
comprensibile.”
Al gli rifilò uno
schiaffo
sulla spalla. “Sören rimane comunque
più educato e gentile di te.” Soggiunse tentando
di non ridere.
“Questa
rivelazione non mi
farà dormire la notte.” Lo pizzicò di
rimando sul fianco, facendolo sussultare
oltraggiato. “Non mi ami perché sono educato e
gentile.”
“No, proprio per
niente.”
Convenne massaggiandosi il punto dolorante. “Lo so, abbiamo
già fatto questo
discorso … ma vorrei che ci provassi sul serio, a parlargli.
A parte Lily, che
evita, e quel Magonò, non credo abbia degli amici
qui.”
Tom non poté fare a meno di guardarlo perplesso.
“E dovrebbe considerare me
suo amico? Solo perché siamo cugini?”
Sospirò. “Al, renditi conto
che…”
“Va bene.” Lo fermò spazientito
alzandosi dalle sue ginocchia. Era ridicolo, stavano
litigando per Sören Prince. “Sto
solo dicendo che ormai questa faccenda ci ha collegati tutti
… nel bene e nel
male. Forse … forse ho pensato che fosse
un’opportunità per avvicinarvi.
Nessuno di voi due brilla per avere una cerchia sociale
ampia.”
“E quindi? A me va benissimo così.”
Replicò stizzito. Non riusciva a capire
perché Al si fosse tanto impuntato sul far diventare lui e
Prince amici per la
pelle.
Non
quando non vuole che si avvicini a sua sorella.
Perché
due pesi e due misure?
Al si morse un labbro,
afferrando la tracolla e passandosela sopra la testa. “Ti
ricordi quando mi hai
detto che avresti potuto essere tu?” Chiosò
sibillino.
No, non se lo ricordava.
“Essere
io cosa?”
“Sören. Avresti potuto essere come lui. Se Coleridge
non ti avesse rapito e
portato qui in Inghilterra … se papà non ti
avesse trovato…” Buttò fuori e
quella rivelazione sembrava nuova anche alle sue stesse orecchie
perché lo
guardò incerto. “Avresti…”
“Sarei stato io il suo
braccio
destro.” Realizzò e la rivelazione lo
colpì come uno Schiantesimo infuriato.
Prince
ha preso il posto che avrebbe dovuto essere mio.
Von Hohenheim ha ripiegato su di lui perché credeva di
avermi perso. La
bacchetta avrebbe potuto essere nel mio
braccio.
Al esitò, forse
intuendo cosa
gli passava per la mente. “Non sto
dicendo…”
“Lo so che non è colpa mia quello che mio padre
gli ha fatto.” Tagliò corto,
frustrato. Non lo era, ma ormai una serie di obblighi irritanti si
stavano
formando nella sua testa. Non sarebbe servito a niente scacciarli o
tentare di
razionalizzarli. Sarebbero rimasti. “Comunque io
non sarei stato così manipolabile … A ruoli
invertiti, Lily non
avrebbe potuto fare granché per tirarmi dalla parte
giusta.”
“Che c’entra Lily?” Sorrise
l’altro, dandogli un calcetto sulla gamba. “Ci
avrei pensato io.”
Tom gli passò un
braccio
attorno alla vita e premette il viso contro la stoffa della sua
discutibile
maglietta dei Chudleys. “Certo che ci avresti pensato
tu…”
Il cuore di Al batteva calmo e regolare, metronomo stesso di ogni sua
notte,
mentre gli passava le dita trai capelli.
Metronomo
della mia vita.
“Ti ricordi dove
alloggia?” Se
ne sarebbe pentito, ne era sicuro. Non avrebbe saputo cosa dire e
avrebbe
finito per rinunciarvi.
Ciononostante,
doveva almeno provare.
We'd
never know what's wrong without the pain
Sometimes the hardest thing and the right thing
are just the same
****
San
Mungo, Pomeriggio.
James entrò nel
padiglione
Thickey con la speranza di trovarci sua sorella, ma a dirla tutta fu
sorpreso
quando ce la trovò davvero.
Non dovrebbe avere delle vacanze?
Albie quando era una matricola a Luglio se ne stava in giro per il
mondo a
studiare robe puzzolenti, non certo qui.
La sorella minore invece
stava
chiacchierando amabile con un tizio biondo con una vezzosa vestaglia a
fiori e
non sembrava aver voglia di partire per nessun luogo esotico.
Avvicinandosi
notò come stessero passandosi delle carte della grandezza di
tarocchi per
Divinazione, solo con figure come fiori o oggetti.
Lily sentendolo arrivare si
voltò e gli sorrise. “Ehi Jamie!” Si
rivolse poi al paziente. “Gilderoy, questo
è mio fratello James … mi pare di avertene
parlato qualche volta.”
Qualche volta?
“Ohi, guarda che
hai solo due
frate…” Iniziò ma fu tacitato da
un’occhiataccia dell’altra.
Cosa?
Capì
il sottointeso quando il mago
aggrottò la fronte pensieroso. “Temo, mia cara
… di non rico…” Balbettò
incerto, una persona opposta a quella che gli era sembrato
all’entrata.
“Rosso.”
Disse apparentemente
senza senso Lily, ma l’uomo parve trovarci qualcosa di
sensato perché si
illuminò.
“Rosso,
leone, Pluffa e alba!” Recitò come una
filastrocca. “Tuo
fratello James, è stato a Grifondoro, giocava come Cercatore
ed è un
Auror!” Concluse
trionfante.
Lily applaudì.
“Ottimo
Gilderoy!” Gli comunicò allegra, tendendosi oltre
il tavolo per stringergli le
mani. “Oltre Ogni Previsione!”
“Uh …
interrompo qualcosa?” Si
sentì in dovere di inserirsi. Dopotutto stavano parlando di
lui!
“No, abbiamo
finito …
Gilderoy, ti dispiace mettere a posto le carte e aspettarmi? James deve
parlarmi.”
Aagh, odio quando fa la LeNa!
Dopo che si furono
congedati, Lily
gli rifilò un sorrisetto saputello: era la sua adorata
sorellina, ma quando
faceva quella faccetta si sarebbe meritata uno scappellotto.
“Guarda che non
sto usando i miei poteri …” Cinguettò
compiaciuta. “Ti fai vedere qua, dopo
orario di lavoro e hai l’aria di uno che ha un gran bisogno
di una
chiacchierata. È semplice buonsenso.”
“Sei insopportabile lo stesso.” Sbuffò
facendola ridacchiare. Era la prima
volta che metteva piede nella sala ricreativa del padiglione e doveva
ammettere
che era accogliente, con tutti quei disegni infantili, fiori disposti
ovunque e
arredamento allegro e colorato. “C’è un
macello di roba.” Osservò prendendo in
mano quello che aveva tutta l’aria di essere
un’innaffiatoio, infilato in uno
scaffale insieme ad una serie di bambole e un vecchio giradischi.
“Beh, è un po’ il punto della faccenda.
Dovevi vedere com’era prima che
arrivasse la Patil, era tutto bianco.
Queste persone hanno bisogno di stimoli, non di una specie di
limbo.” Lily gli
fece cenno di seguirla, accomodandosi su un divano giallo canarino
dall’aria
sfondata e comodissima. “Hanno tutti aiutato a
decorare.”
“I disegni li hanno fatti loro?” James
staccò dal muro un foglio con una buona
dose di tempere e dita. “Non dei bambini?”
Lily scosse la testa.
“Alcuni
di loro praticamente lo sono.”
“Tipo i genitori
di Nev?”
“Tipo.” Il volto si aprì in un sorriso
entusiasta, come capitava quando parlava
dei suoi pazienti. “C’è questa terapia,
che viene usata interpretando delle
terapie neuro-cognitive Babbane … e funziona.
Sai, il cervello è diviso in aree, e incantesimi come la Cruciatus nella maggior parte dei casi
danneggiano solo il lobo
frontale, ma lasciano intatti i restanti. Se si
esercita…”
“Lils, non ci capisco un accidente … ma sembra
grandioso, sul serio.” Replicò
divertito: era strano sentirla parlare con tanta competenza di qualcosa
che non
fossero vestiti o scarpe.
Sarebbe
stato strano cinque anni fa.
Cioè,
è sempre stata un sacco sveglia, ma della roba da
cervelloni se n’è sempre fregata.
Sua
sorella era una persona diversa
adesso. Era bello e insieme un po’ triste constatarlo.
“Certo che
è grandioso.”
Constatò calciando via gli zoccoli ortopedici e
raggomitolandosi sul bracciolo;
quel posto la metteva a suo agio, lo si capiva da come ci si muoveva
dentro.
Come
se si sentisse … al sicuro.
Forse
è per questo che non vuole andare in vacanza?
Qualunque fosse il motivo
purtroppo non aveva il tempo di indagare. “Volevo parlarti di
quel che hai
detto a Teddy oggi…”
Lily annuì. “Che posso darvi una mano con Ben,
sì.” Prese una pausa, afferrando
un cuscino dietro la schiena e cominciando a sgranarne le frange. Gli
lanciò
un’occhiata e sbuffò. “Non io, ovvio
… sono una studentessa. Pensavo alla
Patil.”
“Ma lei si occupa…” Si morse il labbro
appena in tempo. “… di persone con danni
al cervello, no?”
“Non si occupa
solo dei matti.” Lo
freddò irritata. Assieme alla
McGrannit, la tizia era l’unica strega con cui Lily non
andasse in conflitto,
guai quindi ad insultarla. “È una Psicomaga, e gli
Psicomaghi lavorano anche con
chi ha subito traumi emotivi.”
“Okay, scusa.” Borbottò velocemente.
“È vero, non parla e non mangia.”
Ed era la cosa peggiore di
tutte, forse, perché significava che non voleva neanche provare a stabilire un contatto con
loro.
Teddy
ci sta da cani. Tonto com’è, penserà
che è colpa
sua …
“Pensi che non
abbia mai
imparato? Dico, a parlare.” Chiese, perché voleva
disperatamente avere qualcosa
su cui intervenire, da combattere invece
che fissare impotente un piccolo bozzolo di coperte ostile.
Lily esitò, poi
scosse la
testa. “Non lo so, Jamie … Però
presupponiamo che sia vissuta nella società
magica, anche se ai suoi margini. E suo padre sapeva parlare. I bambini
imparano dall’ambiente che li circonda … a meno
che non sia stata davvero cresciuta
dai lupi, credo
proprio ne sia capace.”
James tirò un
sospiro di
sollievo. Quella era una buona notizia. “Quando pensi che la
Patil possa venire
a darle un’occhiata?”
“Le
parlerò domani.” Rispose.
“Tiene un ciclo di seminari in Svizzera in questo periodo e
oggi non era a
Londra…” Fece un gesto vago della mano.
“Ha lasciato a noi studenti il solito
giro di visite.”
“Anche le
terapie?” Spiò con
naturalezza e l’altra ci cascò con tutte le scarpe.
“No, le terapie
oggi non erano
previ…” Si bloccò, guardandolo male.
“… Cosa?”
“Perché sei qui Lils? Il giro di visite
è la mattina.” Indicò Gilderoy che
stava finendo di mettere via le carte. “Scommetto che stasera
non dovevi
aiutarlo.”
L’altra si strinse
le braccia
al petto, in posa
difensiva. “E quindi? Sono
comunque cose che devo tenermi a mente anche se sono finiti gli esami.
La Patil
mi riempie di domande ogni giorno che Merlino mette in
terra!”
“Ehi, stavo solo chiedendo!” Si difese.
“È carino qui, non fraintendermi … ma
passare tutto il giorno a lavorare?” Le tirò una
ciocca di capelli dispettoso.
“Che ne hai fatto di mia sorella?”
Lily ridacchiò,
schiaffeggiandogli
via la mano. “Mi piace
stare qui.”
Gli assicurò. “Non è lo stesso per te
quando indossi l’uniforme?”
“Quando non devo seguire dei casi del cazzo come quello di
adesso, sicuro.”
Ma
io non ci pianto le tende nell’ufficio Auror.
Non glielo fece notare
però: sua
sorella sapeva che se avesse avuto
bisogno di un orecchio avrebbe sempre avuto il suo. Si
alzò in piedi. “Okay.” Disse in tono
definitivo. “È tutto … grazie per
avermi fatto approfittare di te.”
“Ehi, sfruttare le rispettive conoscenze è
retaggio Potter.” Ghignò facendolo
ridere. “Senti…” Il sorriso le si spense
sulle labbra intuì che era una domanda
seria. “ … come sta Ren?”
Eccerto.
Non è una vera chiacchierata con Lils se quel
Prince non spunta fuori.
“Come vuoi che
stia? È il
solito rompicoglioni.” Mentì con una scrollata di
spalle. Il pipistrello poteva
non andargli a genio, ma non avrebbe spifferato i suoi problemi.
“Non siete
culo e camicia? Perché non glielo chiedi di
persona?”
Lily lo guardò a
lungo, sembrò
accorgersi di qualcosa – che aveva mentito? Diavolo, era
sicuro – e sospirò.
“Sì.” Aveva l’aria un filino
inquietante quando serrò le labbra e fissò il
cuscino che aveva in grembo. Con uno sguardo simile avrebbe potuto
tranquillamente fargli prendere fuoco. Erano maghi: non era scontato
che non
succedesse. “Lo farò.”
****
Diagon
Alley, Paiolo Magico.
Ora di Cena.
Prendere in prestito Sally
da
Albus, indossare uno dei suoi vestiti più carini e
appuntarsi i capelli per non
farli svolazzare ovunque erano tre cose in apparenza banali, ma sommate
assieme
davano il piano perfetto; Lily
parcheggiò il motorino di fronte all’entrata del
Paiolo Magico e dopo essersi
sfilata il casco senza che i capelli accusassero il colpo –
adorava
l’incantesimo PiegaPerfetta – premette i giusti
mattoni ed aspettò che
l’entrata le si palesasse davanti.
Vengo
a prenderti, Ren.
All’interno
intercettò Milo,
seduto al bancone mentre chiacchierava con il proprietario.
“Zenzero!” La
salutò. Da come stava mettendo dell’arrosto e un
boccale di birra su un vassoio
doveva stare per servire la cena a Sören. “Qual buon
vento ti porta in questo
angusto quarto di mondo?”
“Indovina.”
Ironizzò. “Il tuo
amico si è scordato come si usa un cellulare
Babbano?”
“Non ha mai
imparato, è negato.”
Si strinse nelle spalle. “Dai, che ha combinato?”
“A parte
inventarsi scuse
patetiche su improbabili impegni serali?” Replicò
facendolo ridacchiare: come
si aspettava, il biondo era perfettamente a conoscenza
dell’intera faccenda.
E a
quanto pare, tifa per me.
“È di
sopra. La cena gliela
porti tu?” Chiese infatti porgendogliela. “Sei una
cameriera molto più carina
del sottoscritto.” Si guardò e sbuffò.
“Nah, scherzavo. Sono più bello io.”
“No, non credo.” Gli rispose per le rime e si
sorrisero.
Tra
simili ci si riconosce.
“Sicuro che non
disturbo?”
Chiese, perché un intervento forzato come quello aveva comunque bisogno di qualche
rassicurazione.
Milo alzò le
spalle. “Disturbi
solo l’eterno rimuginare di un Goethe con la bacchetta. Ti
prego, salvami dal
trascorrerci una serata assieme!”
Lily sbuffò
divertita,
dandogli una pacchetta sul braccio solido.
“Grazie.” Alla sua aria perplessa
aggiunse. “Per prenderti cura di lui. Stai facendo un gran
lavoro.”
Qualcuno
dovrebbe riconoscerglielo.
Poté quasi
calcolare la
testardaggine con cui l’altro si impose di non arrossire.
“È solo un lavoro.” Ribatté
un po’ fiaccamente. Prima che potesse andarsene
però la richiamò. “Zenzero,
ehi.” E il tono era serio, come l’accento
più denso segnalava disagio. “Vacci
piano con lui, okay?”
Si sentì in
dovere di
rispondere con altrettanta serietà. “Sto facendo
del mio meglio.”
Salì le scale
sentendosi il
cuore in gola e quando bussò era ormai convinta di aver
fatto mortale cazzata.
Ma
ehi, altrimenti non sarei io.
Non ebbe neanche il tempo di
ripensarci, che Sören aprì la porta. Senza
maglietta.
Oh,
addominali.
Distogliendo riluttante lo
sguardo dal fisico asciutto e definito che aveva davanti – e
chiedendo perdono
a Scott un paio di volte – gli rivolse un sorriso a trentadue
denti. “Servizio
in camera!” Trillò con tutta l’allegria
di cui era capace. “Anche se lasciatelo
dire, la cucina qui lascia piuttosto a desiderare.”
“Lilian…”
Non stava aiutando
il fatto che la stesse squadrando come un Babbano avrebbe guardato ad
un
fantasma.
Decise di andarci
già pesante
per scuoterlo dal torpore. “Apri sempre senza maglietta?
Perché adesso capisco
perché ho dovuto fare a botte con tre cameriere per prendere
questo vassoio.”
Prevedibilmente, timido com’era, Sören
avvampò fino alla radice dei capelli e incrociò
le braccia al petto.
Come
se avesse qualcosa da nascondere … Certo, dovrebbe
mettere un po’ di carne, oltre che muscoli su quelle ossa,
direbbe nonna…
Ma io non sono mia nonna.
Non riusciva a prenderlo in
giro quando aveva quell’aria così sconvolta.
“Ren, rilassati, stavo
scherzando.” Gli mise il vassoio in mano. “Volevo
farti una sorpresa.”
“Ci sei riuscita.” Disse brusco, contemplando
l’arrosto come se potesse
contenervi la formula per l’Elisir di lunga vita.
“Che ci fai qui?”
Wow.
Complimenti per il tatto.
Si rifiutò di
sentirsi ferita,
perché sapeva che quando veniva preso all’angolo,
si irrigidiva e diventava
piuttosto antipatico. “Avevo voglia di vederti.” Si
strinse nelle spalle. “E
per inciso, sei un bugiardo.”
“Lily,
non…”
“Straordinari al lavoro? Per favore.”
Tenere la collera a bada non era facile quando molte delle ferite che
l’altro
gli aveva inflitto erano ancora in via di guarigione. “Se non
ti va di vedermi basta
dirlo.”
“Mi va di vederti!” Esclamò e sembrava
arrabbiato quanto lei. “Non è questo!”
“Allora
cos’è?”
Un muro di silenzio accolse
la
sua risposta. Poi Sören sospirò, facendole cenno di
aspettare mentre andava a
mettere via la cena. Quando ritornò aveva indossato una
camicia ma sembrava ancora
sulle spine. “Vuoi entrare?” Le chiese.
“No, voglio farti
uscire.”
Replicò. “Sei a Londra da quanto, un mese? Quanto
hai visto della città …
dell’Inghilterra? Quest’estate pare quasi vera, il
tempo è decente! E tu non
esci.” Non aspettò che ribattesse.
“Rinchiuderti dentro una stanza polverosa
non ti aiuterà a star meglio.”
“Non sto male.”
“Raccontalo a qualcun altro.” Magari stava calcando
troppo la mano e stava
esagerando. Ma non era la sua terapeuta.
Sono
sua amica. Non sono tenuta ad attenermi alle
regole.
“Mi hai detto che
volevi che
diventassimo amici non solo su carta.” Cercò il
suo sguardo, ma non riuscì a
trovarlo dato che lo teneva piantato a terra. “Lo intendevi
sul serio o…” Cercò
di mantenere il tono fermo, ma le uscì tremolante.
“… o stavi soltanto cercando
di spegnere i sensi di colpa?”
L’altro
alzò gli occhi di
scatto e fu il solito, discreto, pugno allo stomaco. Non si sarebbe mai
abituata. “Non è senso di colpa, non è mai
stato un senso di colpa.” C’erano così
tante emozioni che stava trattenendo che
per lei sarebbe stato semplicissimo entrare.
Non
si sta neanche Occludendo.
…
No.
Il suo potere non era
qualcosa
a cui potesse ricorrere ogni qual volta le cose si facevano confuse.
“Parlami.”
Gli afferrò una
mano e gliela strinse. “Non posso e non voglio frugarti
dentro la testa.” Alla
sua espressione sorpresa, sorrise. “Non è
così che funziona quando ci si fida
di qualcuno. Ed io mi fido di te. Non tagliarmi fuori, per
favore.”
Gioca
la carta dell’onestà, Lily. Vediamo se non torna
indietro a morderti il sedere.
Sören le strinse di
colpo la
mano, con forza, senza dosare. Le fece un po’ male, ma lo
ignorò perché era una
risposta. Era un sì.“Non
usi il tuo
potere su di me … per questo?”
Lo guardò
sorpresa. “Per
cos’altro? Non voglio scoprire cose di te che non vuoi dirmi.
Di nessuno in
realtà. Hai idea di che disastro sarebbe? È un
po’ la regola aurea di ogni
Legimante Naturale.”
Sören le sorrise.
Avrebbe
dovuto farlo di più, perché era la sua
espressione migliore. “Non accetterai un
no come risposta, immagino.”
“Immagini bene.”
“Mi dai un paio di minuti? Non credo di essere
presentabile.”
“Con
quest’aria stropicciata
sei sexy, ma lungi da me darti consigli sul look.”
Motteggiò godendosi
l’ennesimo, tenerissimo, rossore. Forse era sbagliato, ma
imbarazzarlo era terribilmente
divertente. “Anche se quella giacca di pelle da cattivo
ragazzo che hai
indossato al compleanno di Sy…”
“Lily, vai.” E il fatto che stesse sbuffando era un
segno distensivo. Lily si
sarebbe battuta un cinque da sola, ma non aveva più quindici
anni.
Però
ho vinto. Ah!
“Ti aspetto
giù!”
Scese le scale molto
più
leggera di quando le aveva salite.
Non aveva potuto dire di no.
Non era riuscito a dire di no
perché
Lily era Lilian, la sua Lilian e non aveva mai tentato di leggerlo
perché si
fidava di lui. Si era fatto delle paranoie inutili: Lily non aveva
scoperto
niente su cosa provasse davvero perché voleva comportarsi
semplicemente come
una persona normale, una persona che a domanda riceveva risposta. Non
lo aveva
letto per riguardo, non perché non voleva saperne niente di
lui.
Sei
un idiota.
Un idiota perdutamente
innamorato, gli ricordò la sua sadica coscienza mentre
scendeva le scale con lo
stupido giubbotto di pelle e con i capelli che gli finivano sugli occhi.
“Oh, guarda un
po’ chi ha un
appuntamento stasera.” Gli fece Milo, seduto al bancone con
la consueta pinta
di birra da un lato e uno spinello acceso tra le dita. “E mi
hai dato
finalmente retta su quella tua orrida leccata di mucca! Alziamo dunque
i lieti
calici e libiamo!”
“Non ho un
appuntamento.” Dovette
ricordargli per ricordarsene lui stesso. “Lilian vuole solo
farmi vedere Londra
di notte.”
“I capelli ti
stanno bene,
smettila di torturarli con le dita.” Fu la risposta.
“Vedi amico mio?” Fece un
cenno al barista che annuì comprensivo, come il ruolo
imponeva. “Il bambino
diventa grande.”
“Sei un idiota.” Lo salutò prima di
imboccare l’uscita.
Lily lo stava aspettando ed
era bellissima, con i capelli raccolti e le gambe affusolate racchiuse
nella
stoffa colorata di un vestito estivo. Era seduta sopra quello che
riconobbe
come essere il motorino di Albus: se lo ricordava da una foto.
“Ren, ci metto
meno tempo io a prepararmi!” Motteggiò porgendogli
il casco. “Andiamo, che la
notte è giovane!”
Lo indossò, scavalcando il sellino e sedendosi dietro
obbediente quando gli
venne fatto cenno.
“Hai la
patente?”
“Mago di poca
fede.” Replicò voltandosi
per abbassargli la visiera. “Noi Potter abbiamo la guida
sicura e spericolata
nel sangue!”
“Sicura e spericolata non dovrebbero stare nella stessa
frase, in teoria…”
“Tu dici?” Il sorriso maniacale con Lily lo
inquietò un poco. Molto. Ma allo
stesso tempo la testa leggera gli impediva di preoccuparsi.
Era proprio un cretino. Ma
aveva sentito dire che gli stupidi vivevano felici e per ora gli
bastava
questo: non erano briciole quelle che gli dava Lily, mai. Era la sua
amicizia.
E bastava.
Almeno
per una sera.
Aveva fatto bene a portar
fuori Sören.
Il motorino di Al era sfrecciato ligio sull’asfalto della City, in un caos multicolore di suoni,
luci e notte e l’amico vi
si era rilassato: occhieggiando lo specchietto
retrovisore l’aveva visto bersi ogni sua spiegazione sui
luoghi che aveva
visto, vissuto e visitato appena uscita da Hogwarts con la
libertà che le
scorreva nelle vene.
Goditela
un po’ anche tu, Ren.
La prova era il fatto che
dall’afferrare distaccato le maniglie ai lati del sellino,
aveva finito per
tenerle le mani sui fianchi. Le aveva sempre calde.
“Ehi, qua. Qui
è perfetto!” Lily
si sedette sul pontile di cemento e sassi del Camden’s Lock;
da sotto il grande
salice accanto alla chiusa si aveva una visuale suggestiva delle luci
sul
canale, mentre la marea vitale e rigurgitante del quartiere si muoveva
senza
per questo disturbare i pensieri. “Tagliava
la vita come una lama e al tempo stesso ne rimaneva al di fuori,
spettatrice.”
Recitò indicando l’ambiente attorno a loro.
“Camden mi fa sempre venire in
mente questa frase, ma morissi se mi ricordo di chi
è…”
“È di Virgina Woolf.” Le rispose pronto.
“Giusto! La Signora Dalloway!”
“La Signora Dalloway disse che i
fiori
sarebbe andati a comprarli lei…”
Recitò Sören divertito. Lui e Scott erano
gli unici con cui potesse parlare di libri senza sentirsi un cagnetto
che
compiva un gioco di prestigio.
Le si sedette poi accanto,
stringendo tra le dita il bicchiere di plastica pieno di lager
che aveva preso ad un vicino chiosco per non lasciarle bere
da sola. In quel momento sembrava un ventenne qualunque, con la frangia
spettinata dal vento e la sigaretta accesa tra le labbra.
Ho
vinto. Di nuovo.
Era una bella vittoria,
perché
faceva vincere anche l’altro. “Allora …
Londra di notte.” Esordì giocherellando
con l’ombrellino che ornava il suo bicchiere. “Cosa
ne pensi?”
“È
bella.” Si voltò per
guardarla. “Ti si addice.”
Immaginava che essere lusingata fosse del tutto naturale.
Cercò di non darlo
troppo a vedere. Quello, e il rossore che le era salito al viso.
“Stupido
perdersela per un mese, eh?”
“Molto.”
Lily avrebbe voluto fermarsi
lì. Quella era la serata di Sören, non la sua o dei
suoi problemi. Ma non ci
riusciva. L’atmosfera rilassata le fece uscire le parole di
bocca senza che
potesse frenarle.
“Continuo ad avere
quegli
incubi.”
L’amico distolse
lo sguardo da
una coppia al di là del fiume, intenta a chiacchierare e
seduta sulle sponde
come loro. “Quanto spesso?” Il tono era tranquillo,
ma da come fece Evanescere
la sigaretta capì che il momento distensivo era appena
finito.
Scusami.
Scusami tanto.
“Tutti i giorni?
No, in realtà
non sempre … ma spesso.” Si girò il
bicchiere tra le dita, ascoltando distratta
le note di una canzone provenire dalle porte aperte di un pub poco
distante. “Sto
vedendo la Patil, di nuovo … aiuta, però
… non lo so.”
Well I
woke up to the sound of silence and cries were cutting like knives in a
fist
fight
And I found you with a bottle of wine
Your
head in the curtains and heart like the Fourth of July
Sono
una stupida … Perché ho rovinato le cose?
Quella serata avrebbe dovuto
essere priva di problemi, solo risate e compagnia, ma se Sören
aveva bisogno di
lei per staccare la spina …
Io
ho bisogno di lui. Solo lui può capirmi.
“Pensavo di essere
andata
oltre.” Rivolse lo sguardo sotto di sé, alle acque
scure e piene di riflessi di
luci del Regent’s Canal. Sentendo freddo – era un
estate quasi mediterranea ma
erano comunque in Inghilterra
– si strinse
le braccia al petto.“A quanto pare mi sbagliavo.”
Sören non disse
niente per un
bel pezzo, poi lo sentì muoversi accanto a lei. Non fu
sorpresa – era così da Ren
- quando le fece scivolare il suo
giubbotto sulle spalle. Conservava parte del suo calore e dovette
frenare i
lucciconi.
Queste
cose mi commuovono a morte.
“Lilian, mi
occuperò di questo.
Te lo prometto.”
Aveva
un’espressione
determinata, come un soldato con un obbiettivo. La stessa espressione
di suo
padre nelle foto che lo ritraevano adolescente, quando ancora Voldemort
era una
minaccia.
Sorrise appena.
“Lo so che lo
farai … Sei un tipo tosto.”
“Non credo.”
“Lo sei.” Ribadì. “Guardati
… Cinque anni fa ti saresti mai immaginato
così?”
Qualcosa di indecifrabile
–
argh, lei e la sua stupida promessa di non guardargli dentro!
– passò negli
occhi dell’altro. “No.” Rispose piano.
“No, non direi.”
Si stava chiudendo di nuovo
in
sé stesso. Era quindi il momento di mettere in atto
l’ultima parte del suo
piano. Magari era un’idea stupida, ingenua, ma se avesse
funzionato…
Se
funziona, se mi dà retta … Potremo davvero
aiutarci
a vicenda. Non saranno solo chiacchiere.
“Come fai a non
avere paura?”
Gli chiese. “Come fai a controllare questa cosa?”
Sören si strinse nelle spalle con un sorrisetto amaro.
“Mi alleno. Mi stanco finché
non ho più un filo di energia in corpo. Tengo la mente
occupata.”
“Potresti
insegnarmelo?”
Se un Ippogrifo si fosse
messo
a danzare il tip-tap di fronte a loro l’altro non sarebbe
sembrato così
sconvolto. “Cosa, ad allenarti?”
Lily frenò una
risatina trai
denti. “Non quella roba massacrante che fai tu …
Penso non arriverei viva al
giorno dopo. Vai spesso all’Accademia di Duello
però. Me l’ha detto Dion.”
Aggrottò le
sopracciglia. “Vuoi
che ti insegni a duellare?”
Lily si strinse nelle
spalle.
“Forse.” Ammise. “A difendermi.
Perché se qualcuno mi prendesse alle
spalle…”
Come
ha fatto John Doe.
“… non saprei da che parte
iniziare per salvarmi
la vita. Anche con una bacchetta in mano. E ci ho pensato …
questo mi
spaventa.” Inspirò perché non era mai
semplice dire la verità. “Quando ero al
San Mungo e l’agente Flannery è entrato
… se non foste arrivati voi ragazzi, se
tu non l’avessi Schiantato via da me … Ero
paralizzata, Ren. Avevo una
bacchetta e potevo…”
“Avresti potuto esser contagiata.”
“Non è questo il punto, e lo sai.”
Sören annuì e gli fu grata quando non chiese altre
spiegazioni. Era quello che
avrebbero fatto molti, forse tutti. Non Ren, che rimase in silenzio per
quasi
un minuto intero, prima di parlare. “Va bene.”
Sembrava essersi convinto perché
l’intera postura si rilassò. “Posso
insegnartelo.”
Lily sorrise: come aveva
immaginato quello era il metodo migliore per prendere la Pluffa e
trovarsi
anche il Boccino tra le mani.
Se
mi fossi offerta di aiutarlo non avrei risolto
nulla. Deve essere lui ad
aiutare me.
È questo che lo fa stare meglio.
Non essere aiutato … ma aiutare.
Non era la prima ad averlo
capito; Nora Gillespie le aveva dato l’idea.
L’aveva reso un agente perché
aveva capito il desiderio più intimo, profondo di un ragazzo
che dopo aver
visto e fatto tanto male voleva disperatamente fare del bene.
È
com’è fatto Ren.
Gli posò la testa
sulla
spalla. “Grazie.”
Le lanciò
un’occhiata di
traverso e un lieve sorriso ironico gli increspò le labbra.
“Aspetta a
ringraziarmi. Sarò un insegnante inflessibile.”
“Persino con
un’allieva carina
come me?”
“Soprattutto.”
Finirono quello che restava
delle loro consumazioni guardando in silenzio lo scorrere tumultuoso di
vita e
risate attorno a loro. Ma era un silenzio buono, di quelli che non
andavano
riempiti con le parole.
Non aveva mai avuto nessuno
come Sören nella sua vita, e ora che stavano ingranando di
nuovo non ci sarebbe
voluto molto prima che qualcuno le chiedesse la definizione di quel
rapporto.
La sua famiglia, Scott, i suoi amici…
Io
stessa finirò per chiederlo.
Ma per il momento andava
bene
così.
If
you're lost and alone or you're sinking like a stone
May your past be the sound of your feet upon
the ground
Carry on…
****
Note:
Devo far qualcosa per ridurre i capitoli. Me ne rendo conto. Argh.
(No, sul serio, diecimila
parole a botta NO.)
Ren e Lily … beh,
si
muoveranno. Baby steps. Anche se
nel
loro caso sono i passi di una giraffa ubriaca.
Questa
la canzone capitolo. Trovo questo gruppo esageratamente tenero.
Questa
invece è tutta colpa della scena Al e Tom, perché
i The Fray sono la loro
colonna sonora
– no, Tom, non metterò nessun gruppo deprimente e
non i Joy Division, capisci i
bisogni del tuo ragazzo.
Questa
invece non può che essere la canzone finale. La volevo usare
da eoni. Chiunque
abbia tirato fino a tardi con un buon gruppo di amici sa che colonna
sonora
perfetta è.
Camden: si
intende Camden Town, zona situata nel Nord di Londra. Spesso viene
chiamata
semplicemente "Camden", ma non per questo va confusa con l'intero
quartiere. Camden Town famosa per
l'affollato mercato e come centro di vita degli alternativi. L'area
è popolare
tra gli studenti, inclusi quelli che vengono da oltremare.
Camden Lock (foto)è
una tradizionale doppia chiusa attivabile manualmente, che opera fra
due
livelli ben separati. Un buon numero di mercati del fine settimana si
sono
insediati lì attorno fin dagli anni '70. Il Regent’s
Canal è invece una via d'acqua che origina dal
Paddington Basin e si fa
strada attraverso Regent’s Park e verso Camden, prima di
piegare a sud per
unirsi al Tamigi.
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