Era un po’ che non scrivevo una Draco/Pansy. Questa volta ho
superato me stessa e ho scritto una bella one-shot di 18 pagine. Dedicata a
tutte quelle persone che me ne avranno tirato quattro leggendo le mie flash …
^^ Scherzo, ovviamente XD
Come tutte le storie sufficientemente lunghe che ho scritto,
anche questa mi ha richiesto più giorni per la stesura, l’elaborazione e il
così detto “labor limae”. Per la verità non ho avuto molto tempo per quest’ultimo,
quindi perdonatemi, e fatemelo notare, se troverete qualche imperfezione
grammaticale o qualche errore di battitura.
Ringrazio tutti quelli che leggeranno questa fic e tutti
quelli che decideranno di lasciare una piccola recensione J
Buona Lettura ^^ :D
La prima cosa che aveva fatto, uscita dalla doccia, era stata
prendere la sua bacchetta e asciugarsi i capelli.
La spugna della vestaglia assorbiva l’acqua sul suo corpo. Sentiva,
tuttavia, alcune gocce sfuggire ad essa e scivolare lungo la schiena, lungo le
gambe.
Quello poteva sopportarlo, quello sì. Ma avere i capelli
bagnati, privi di volume, privi di bellezza, uniti assieme in un’indistinta
massa nera appiccicata sulla pelle e sul capo, quello no. Quello non riusciva a
sopportalo.
Quindi ora, davanti allo specchio, scrollava la chioma scura
che ormai era cresciuta e arrivava a sfiorarle le spalle. Convincendosi sempre
più che, nonostante quelle punte sparate in tutte le direzioni, che la
scalatura metteva ancora più in evidenza, Pansy Parkinson stava decisamente
male con i capelli bagnati.
Sospirò e, passando una mano sullo specchio ancora
appannato, si osservò meglio. Osservò la pelle irritata che la vestaglia
lasciva intravedere lì nell’incavo tra i seni, sul collo e poi, abbassando gli
occhi, anche sulle braccia.
La sua pelle era lattea e poco ci era voluto perché si
arrossasse in quella maniera. Per segnarsi del suo tentativo disperato.
Sotto la doccia, sotto l’acqua che scrosciava e che
scivolava sul suo corpo, cercava, sfregando pelle con pelle, di mandare via la
sensazione delle sue mani sul suo corpo, delle sue labbra, del suo respiro.
Sotto quella doccia che aveva fatto dopo essersi risvegliata
da un sogno che aveva visto protagonisti i suoi ricordi. I ricordi di lui, di
quelle volte in cui ad Hogwarts erano stati insieme, in cui sotto il suo corpo
lei aveva trovato piacere, in cui l’ aveva sentito sospirare al suo orecchio.
Persa ancora una volta in quei ricordi, con gli occhi vitrei
a guardare la sua immagine riflessa allo specchio, voltò di scatto il capo,
chiudendo gli occhi.
No, non doveva più rivivere quei momenti. Doveva smetterla!
Si direbbe che non erano dei pensieri adatti ad una ragazza
di buona famiglia come lei. Ma non era questo il punto.
“Non devi mai più avere niente a che fare con Draco
Malfoy. Mi sono spiegato, Pansy?”
La voce di suo padre, il suo sguardo sin troppo serio nel
dettare quell’ordine… Questo era il problema.
Draco… Da quando era scomparso alla fine dell’anno ad
Hogwarts, in quella notte che era, la mattina dopo, sulle bocche di tutti, e
della quale gli stessi tutti ignoravano la verità dei fatti, lei compresa, non
l’aveva più visto.
Erano passati due mesi.
Probabilmente il prossimo settembre Hogwarts non avrebbe
riaperto. Con tutto quello che stava accadendo, con la guerra…
E così, anche la stupida e vana speranza di rincontralo per
il loro ultimo anno a scuola era stata spazzata via.
Più volte aveva avuto la tentazione di scrivergli, di
mandargli un gufo, di chiedergli come stava, che fine avesse fatto… Non l’aveva
mai fatto. Aveva paura di non ricevere risposta.
Sospirò e passò un'altra volta la mano sulla superficie
fredda dello specchio, creando questa volta un arco più lungo tra la condensa
opaca che lo copriva.
Qualunque cosa avesse fatto, Draco questa volta l’aveva
combinata grossa. Suo padre le aveva impedito di vederlo, di sentirlo… Forse
non sapeva che da mesi già questo non accadeva.
O forse sì, ma comunque, essendo cosciente in parte dei
sentimenti che lei provava per lui, dell’ammirazione e dell’attaccamento quasi
morboso che in quegli anni aveva sviluppato nei suoi confronti, il suo vecchio
voleva evitare eventuali incontri.
Cosa aveva fatto, tanto da infastidire il Signore Oscuro e i
suoi seguaci? Non era a lui che il Lord aveva affidato un compito importante?
Qualcosa non tornava… E non voleva credere che tutti gli
sforzi e i sacrifici che, nell’anno scolastico appena passato, avevano segnato
Draco nel corpo e nell’umore fossero stati vani, e che lui avesse fallito.
L’ultima immagine che aveva di Draco era quella di un
ragazzo, stanco morto, addormentato nel pieno della notte sul divano della
Sala Comune. I capelli scarmigliati, la divisa stropicciata, il fuoco che,
ormai sul punto di morire, illuminava il suo viso. La bocca semi aperta a
liberare il rumore di un legger russare, il respirare profondo, il sonno
pesante.
Era scesa in Sala Comune, quella notte, perché non riusciva
a prendere sonno. L’aveva trovato lì e gli si era avvicinata. Era restata ad
osservarlo e a sorridere pigramente nel farlo.
Non sapeva in quale affare losco fosse impegnato, non si era
spinto né con lei né con nessun altro nei dettagli del suo compito. Ma le
andava bene quando veniva da lei, magari stanco, magari frustato perchè le cose
non andavano nel migliore dei modi, e cercava un po’ di pace. Cercava di
rilassarsi, di ricrearsi.
Sorrise sorniona ripensando alla loro maniera di
ricrearsi.
Tuttavia non poteva non ricordare anche come, negli ultimi
mesi di scuola, nemmeno in quella maniera riusciva a stargli vicina. E intanto
Draco diveniva sempre più magro, le occhiaie sul suo viso pallido erano sempre
più evidenti, l’umore sempre pessimo, la resa scolastica sempre peggiore…
Pansy abbassò lo sguardo sul suo braccio, la sua pelle
iniziava a riprendere il suo candore normale. Si rese conto, tuttavia, che il
suo tentativo era stato inutile.
Non ci riusciva. Non riusciva a togliersi la sensazione
languida, il ricordo lusinghiero delle sue mani sulla sua pelle. Per quanto ci
avesse provato, per quanto ci avesse sperato…
Perché era terribile sentirlo, ricordarlo, ma non averlo e,
probabilmente, non poterlo più avere.
“Non devi mai più avere niente a che fare con Draco
Malfoy.”
In fondo suo padre non poteva controllare i suoi pensieri, e
le su emozioni. E finché fossero rimaste tali, non avrebbe avuto problemi…
Uscì dal bagno, si chiuse la porta alle spalle e rimase per
un po’ appoggiata ad essa. A fissare il suo grande letto a baldacchino.
“Sì, anch’io ci stavo pensando.”
Sussultò rumorosamente e il cuore sembrò fermarsi per la paura.
Per quella voce inaspettata che la fece voltare bruscamente, rimanendo tuttavia
appoggiata al legno della porta e, anzi, cercandovi istintivamente riparo.
La persona che sino a quel momento aveva occupato i suoi
pensieri, che l’aveva costretta ad una doccia terminata con un getto d’acqua
ghiacciata che l’aveva fatta quasi urlare, che poco tempo prima aveva avuto il
categorico rifiuto di poter vedere, ora era di fronte a lei. Come se si
trovassero ancora ad Hogwarts, quando compariva nella sua stanza, e quella si
svuotava nell’arco di pochi secondi. Come se nulla fosse cambiato.
Pansy non riuscì a dire nulla e questo sembrava divertire
molto il ragazzo che, appoggiato di spalle alla cassapanca poco più in là
addossata al muro, la guardava ghignando, con occhi che brillavano divertiti.
Aprì e richiuse la bocca senza proferir parola, lo osservò
da capo a piedi. La prima impressione che le fece fu migliore di quella avuta
negli ultimi tempi ad Hogwarts.
Stava meglio, sì.
Draco sembrava essersi ripreso dalla voragine di depressione
che l’aveva inghiottito in quegli ultimi mesi, quando l’aveva visto. E a
conferma di ciò: i suoi occhi. Era parecchio che non li vedeva così: sereni. Felici,
avrebbe osato dire…
Una piacevole sensazione le avvolse il petto, scaldandoglielo.
Lui era felice di rivederla?
“Che ci fai qui?!”
In un attimo riprese coscienza della realtà, fu come
risvegliarsi dalla flusso di pensieri che il rivederlo le aveva procurato, e si
era precipitata verso la porta, per accertarsi che non ci fosse nessuno che
potesse sentirli, che avesse potuto vederlo.
“Ciao, Draco. Anch’io sono felice di vederti, come stai?
“Io me la cavo. Tu, Pansy?”
Sentì il suo tono canzonatorio, ma era troppo occupata a
sbirciare fuori dalla porta. Il cuore che batteva a mille.
Per suo padre e il suo divieto, per il rischio che stava
correndo… in realtà: per il ragazzo che si trovava nella sua stanza, e che ora
le aveva afferrato il polso facendola voltare.
Draco scosse la testa.
“Non mi ha visto nessuno. Mi ritieni così stupido?”
Esitò un attimo a rispondere.
“Come hai fatto? Come sei arrivato sin qui?”
“Avevo pensato di chiedere indicazioni ad un Elfo Domestico.
Mi stavo quasi perdendo tra tutti i corridoi e le decine di stanze dei piani
superiori… Ma, anche se sono venuto solo una volta a casa tua, ho saputo
ritrovare la tua stanza…Certo-”
“Draco!” strattonò il polso che ancora lui le teneva.
“Sul serio! Mio padre… se… se ti vedesse qui!” disse
bisbigliando.
Il ragazzo sospirò rivolgendo gli occhi al soffitto.
“Dunque anche Parkinson Senior, come tanti altri, non ha il
coraggio di farsi marchiare e unirsi ufficialmente ai Mangiamorte, però… non
esita a sostenere la loro causa, aiutandoli anche, probabilmente, se mi
trovasse qui… Sì, sì. Il piede in due scarpe…”
Decise di ignorare il “velato” insulto che Draco faceva, con
quelle parole, e suo padre e alla sua famiglia. Ma d’altronde era inutile
discutere, non ce ne era bisogno. Provenivano entrambi dallo stesso ambito, e
lo sapevano bene come funzionavano certe cose.
“Non mi sembra che tu, o tuo padre, siate nelle condizioni
di parlare, comunque…”
Tuttavia una frecciatina non potè esimersi dal farla.
“Hai ragione” disse lui semplicemente, tornando a guardarla
negli occhi e avvicinandosi ancora di più.
“Allora come hai fatto?” domandò, cercando di evitare quello
che stava per accadere, deviando con un discorso.
“Mi sono specializzato in porte, serrature, ante…”
Corrugò la fronte non capendo bene cosa volesse dire e,
intanto, cercava di ignorare la sua bocca sempre più vicina.
Trattenne il respiro sino a quando, dopo che labbra di Draco
avevano iniziato a torturare la sua pelle, giù per tutto il collo sino alla
spalla sinistra, esplose in un sospiro mozzato.
Appoggiò una mano sul suo petto e cercò di allontanarlo da
sé.
La sua protesta fu debole ma lui interruppe ciò che stava
facendo per guardarla negli occhi, porgendoli la muta domanda.
Voleva davvero che lui smettesse, che andasse via?
La risposta era chiara nei suoi occhi e così, non reggendo
più il suo sguardo, voltò il capo, mordendosi il labbro inferiore.
“Che hai fatto? Perché sei tutta rossa?”
Portò a sua volta lo sguardo sulla pelle ancora rossa, là
sull’incavo tra i seni, dove accigliato il ragazzo stava guardando.
Scosse il capo, pensando al suo tentativo inutile.
“Nulla.”
“Sei strana…”
Le alzò il viso e la guardò intensamente negli occhi. Fu
troppo tardi quando si rese conto di quello che stava avvenendo ma,
probabilmente, non avrebbe potuto fare nulla in ogni caso.
Non aveva mai praticato l’Occlumanzia.
Davanti ai suoi occhi l’aria sembrò tremare. Il suo sguardo
magnetico, grigio… era totalmente assorbita da esso e, se non fosse per il
pizzico di vergogna che stava provando, mostrando a lui il suo sogno di quel
pomeriggio, la sua doccia e il suo tentativo di dimenticare, poteva dire che fu
piacevole.
Quando la magia finì, sbattè gli occhi, e vide un ghigno soddisfatto
allargarsi sulle labbra sottili del ragazzo.
“Lieto di sapere che sono ancora nei tuoi ricordi, e che
ricordi…”
Si piegò a baciarla e lei decise di accettare. Non fosse
altro, e in realtà lo era, che per nascondere il rossore che si stava
diffondendo per tutte le sue guance.
Quando si accorse di poter assaporare di nuovo quella dolce
sensazione, quando si rese conto che stava avvenendo di nuovo, che aveva di
nuovo la sua bocca sulla propria approfondì quel contatto, subito
contraccambiata. Con passione, con bisogno… dopo una lunga astinenza.
La baciò ancora. Una mano, intanto, aveva sollevato la pesante spugna
della vestaglia a fiori che lei indossava.
Pansy portò le mani sulle spalle del ragazzo, massaggiò
quella nuca che così tanto le era mancato baciare e poi scese lungo la schiena.
Un pesante strato di stoffa le impediva di sentire la pelle di lui.
Capitava sempre così, in un modo o nell’altro, lei era
sempre quella a finire nuda per prima.
Slacciò velocemente il mantello Draco, sciogliendo il nodo
alla base del collo, e questo ricadde con un gran fruscio piedi ai loro piedi.
Piano, continuando a sfiorarsi, si spostarono verso il baldacchino
ad una piazza e mezza e lei ringraziò, quel giorno da piccolina in cui
assieme ai suoi arredò la propria camera, di aver optato per quel tipo di
materasso.
Era stesa sotto di lui, ora impegnato a slacciare il nodo
della sua vestaglia.
“Tu, non puoi fare così…” incominciò tra un sospiro e
l’altro.
“Non puoi comparire un giorno, usarmi e poi…”
“Povera, piccola Pansy…” la canzonò Draco, dandole piccoli e
leggeri baci sulle labbra.
Gli tirò un pugnetto in protesta sulle spalle a cui lui
ridacchiò.
Se anche questo era un sogno, non voleva più svegliarsi…
“Sto rischiando molto, se mio padre lo venisse a sapere”
continuò.
“Vuoi stare zitta una buona volta!”
La riprese velocemente, dedicandosi al suo ventre.
Non se la prese, il suo non era il tono di chi vuole
insultare o effettivamente dare ordini.
Sorrise leggermente, mettendosi seduta e portandolo con lei.
Iniziando così a sbottonare la camicia bianca che ormai solo li separava, mentre
il ragazzo si occupava di sbottonare i polsini.
Quando anche quell’indumento si mischiò tra le lenzuola, in
quel groviglio di cotone, la fece ristendere e, tornando sul suo ventre, Draco sussurrò
qualcosa che la fece sorridere ancora.
“Anch’io sto rischiando molto… ad essere qua.”
Subito dopo, senza preavviso, le strappò un gemito di
piacere, fin troppo alto e per il quale si portò immediatamente una mano alla
bocca.
Si guardò attorno, guardò sul suo comodino e si accorse di
aver lasciato la sua bacchetta in bagno. Sfilò allora quella di Draco dalla
tasca dei suoi pantaloni e, puntandolo verso la porta, sussurrò un “Insonosrus!”.
Poco dopo la bacchetta rotolava sul parquet della stanza...
Si sistemò tra le lenzuola, coprendosi meglio il ventre e le
gambe. Alzò i capelli, portandoli poi sul cuscino e sventolò in un gesto
inutile la mano vicino al collo.
In tutti quei movimenti la sentì allontanarsi da lui. Ancora
con gli occhi chiusi allungò un braccio e, prendendola per la vita, la
riavvicinò a sé.
Corpo contro corpo.
Nonostante il calore anche eccessivo, la fastidiosa
sensazione appiccicaticcia, aveva bisogno di quel contatto. Se era andato da
Pansy quella sera, in fondo, era anche per quello. Per quella sensazione che,
aveva dovuto ammettere a sé stesso, con un misto di fastidio e orgoglio ferito,
gli mancava.
Draco sospirò, inclinando il viso verso il collo di lei,
abbandonando la fronte contro la sua pelle.
Pansy aveva invece gli occhi aperti, faceva vagare lo
sguardo per il soffitto della stanza. Tamburellava con le dita sul
materasso e, non sapeva se stesse sorridendo ma, di certo, qualcuno, vedendola
in quel momento, poteva dirle che lo stava facendo con gli occhi.
Si sentiva felice.
Restarono dieci minuti in silenzio. Si chiese se per caso
non si fosse addormentato quando, un leggero movimento, anticipò le sue parole.
Basse, come se non avesse la forza di gridare.
“Pansy, devo chiederti un favore.”
Eccolo. Lo stava aspettando. Ne era certa.
Da quando l’aveva visto appoggiato a quella cassapanca,
sapeva che era venuto da lei per una seria motivazione che, il più delle volte,
era “un favore”.
L’avrebbe messa nei guai. Più di quanto già non fosse,
ovvio.
Non se la prese, non ci restò male. Anzi, allargò di più il
suo sorriso.
Perché, era vero, era venuto per “un favore”. Ma avrebbe
potuto chiederglielo e andarsene, sapendo che lei l’avrebbe aiutato. E invece
era stato con lei, rischiando… Perché, glielo aveva detto, anche lui
rischiava molto rimanendo là. E lei sapeva che diceva il vero.
“Avanti. Dimmi, Draco.”
Mettendosi a sedere prese ad accarezzargli i capelli, come
amava tanto fare e come sapeva che anche a lui piaceva molto.
“Ho bisogno che tu nasconda una cosa…”
Draco aveva ancora gli occhi chiusi, la fronte leggermente
corrugata nel tentativo di non farsi distrarre dalle su carezze.
“Sei sicuro che sia la persona adatta?
“L’hai detto anche tu, mio padre…”
Lui annuì. Aprì gli occhi e si mise a sedere, interrompendo
i gesti morbidi della sua mano.
“Noi due non ci siamo più visti dopo Hogwarts. Siamo stati
compagni di Casa, forse anche più intimi…ma nulla di diverso.”
Lei annuì piano. Era questo quello che tutti avrebbero
dovuto sapere.
“Poi, ricorda… Le cose più evidenti sono sempre le meglio
nascoste.”
Detto questo Draco tornò a stendersi. Questa volta gli occhi
guardavano il soffitto e di tanto in tanto lei che, pensierosa, non aveva più
detto una parola.
“E’ qualcosa di molto importante, vero?”
Lui annuì.
“Ho preso io il compito di nasconderlo. Deve restare segreto
sino a quando questa guerra sarà finita, dopo quel documento non avrà più alcun
valore.
“Non ti preoccupare. Non è nulla che potrà mettere in
pericolo la tua famiglia. Facendo questo non collabori alla vincita di una o
dell’altra parte, è solo qualcosa che i Mangiamorte non devono trovare e che
l’Ordine vuole tenere al sicuro…”
Si morse le lingua quando si accorse di aver detto qualcosa
di troppo.
Era tutta colpa di quella ragazza! Lo metteva a suo agio,
parlare con lei era facile, e così si ritrovava a dire cose che non avrebbe
dovuto…
Pansy non si scompose, riprese ad accarezzargli i capelli,
ancora pensierosa.
Così lui si chiese se per caso non avesse sentito, se non
avesse badato troppo alle sue parole. Le lanciò uno sguardo, indeciso su cosa
pensare, e quando lei si voltò a guardarlo Draco si ricordò che Pansy Parkinson
non era una stupida e che, dunque, aveva sentito e capito tutto.
Un piccolo ghigno le si dipinse sulle sue labbra, mentre leggeva
l’incertezza nei suoi occhi grigi e quasi sentiva le maledizioni che si stava
tirando addosso.
“Non mi ha rivelato nulla di chè, Draco. Hai soltanto
dato conferma a ciò che pensavo. Poi… perché quella faccia, se non ti
fidassi di me, non saresti venuto qui, questa sera.”
Sospirò, tornando a guadare il soffitto. Dopo poco,
sporgendosi dall’letto, recuperò il suo mantello, che si erano trascinati
dietro nel tragitto porta-letto e, frugando tra le tasche interne, estrasse una
pergamena sigillata con cera nera.
Il foglio di pesante papiro era immacolato, non recava
alcuna scritta sull’esterno e, guardandola un’ultima volta, scoprendo qualche
piega che prima non c’era, la porse a Pansy.
Si chiese che cosa avrebbero detto Potter e quegli altri
imbecilli dei suoi amici se avessero visto come aveva trattato un documento di
tale importanza, affidatogli con tanta diffidenza. Ghignò, pensando alla
loro reazione se avessero saputo di cosa quella pergamena era stata testimone.
Pansy osservò il rotolo, rigirandolo più volte tra le mani.
Indugiò qualche secondo di più sul sigillo nero.
“Non tentare di aprirla, è stregata.”
“Certo, lo so. Non sono stupida.”
Riprese la bacchetta di Draco finita a terra, allungandosi
verso il pavimento, e la puntò verso la pergamena. Il ragazzo la guardò
indeciso se bloccarla o meno, non capendo quali fossero le sue intenzioni.
Preoccupato e confuso.
Lei lo zittì con uno sguardo, portando la bacchetta alle
labbra in un gesto eloquente.
Mosse poi il polso in una circonferenza di 360° gradi
attorno all’oggetto, dandogli infine una steccata leggera ma decisa a metà
aria.
La pergamena fu trasfigurata in un grazioso portacipria con
specchietto, che andò a finire nel cassetto del comodino accanto aletto.
Draco sbattè le palpebre.
“Resterà sempre lì?”
“Credo di sì.”
Soddisfatto, ribadì a sé stesso di aver fatto la scelta
migliore con Pansy.
“Le cose più evidenti sono sempre le meglio nascoste,
vero?”
“Esattamente.”
Guardò fuori dalla finestra. Nel cielo scuro nemmeno
la luce della luna calante brillava più. Era notte fonda e doveva andarsene.
Fece per scendere dal letto ma si sentì afferrare per il
polso. Si voltò e vide Pansy che lo guardava chiedendogli “se proprio doveva”.
“Solo un altro po’…”
Si avvicinò a lui, dandogli un leggero bacio a fior di
labbra.
“Ti prego, solo un altro po’.
“Ad Hogwarts non te ne andavi mai prima della mattina…”
“Non siamo più ad Hogwarts.”
“Ma come un tempo, sei venuto da me per… ricrearti.”
Sorrise pensando al “loro termine”. E anche lui accennò ad un
sorriso.
“Resta un altro po’, per ricrearti meglio.”
“Per ricrearmi meglio…”
Gli cinse le spalle in un abbraccio e sentì la sua resa in
un sospiro.
Quando fosse andato via, non l’avrebbe più rivisto, per
davvero questa volta.
Perché loro non si erano mai visti dopo Hogwarts. Erano
stati compagni di Casa, forse più intimi… ma nulla di diverso.
Ed era proprio quel desiderio di averlo ancora accanto, di
sentire ancora un altro po’ il calore del suo corpo. Quel desiderio che lui non
rifiutava ma condivideva… Era proprio quello che, qualche ora dopo, avrebbero
pagato a caro prezzo.
Il suo risveglio fu brusco, caratterizzato da un violento
rumore e dalla visione della lampada poggiata sul suo comodino che andava in
frantumi. Quei pochi secondi, in cui tutto avvenne, bastarono per avvertire il
suo inconscio della “situazione di pericolo” in cui si trovava. E così Pansy fece
appena in tempo a portare un braccio davanti al viso, per difendersi dalle
schegge impazzite che le arrivarono addosso.
Si voltò e rabbrividendo vide suo padre. Era di in piedi, la
bacchetta tesa in avanti puntata poco più in là alla sua destra. Si voltò verso
Draco, era seduto accanto a lei. Immobile, con ogni muscolo del corpo teso, che
ricambiava lo sguardo di suo padre.
Un sollievo la colse nel vedere che stava bene, ancora…
Tornò a guadare il suo vecchio, tremava leggermente, aveva
le narici dilatate per la rabbia.
Deglutì, incapace di proferir parola. Era paralizzata dalla
paura. Per quanto più volte le era capitato di vederlo infuriato, mai l’aveva
visto in quello stato.
Si voltò a guardarla, senza preavviso, e avvertì un brivido
salirle lungo la schiena.
Le labbra piegate in una piega amara, di disgusto. L’aveva
guardata come si guarda un insetto, un essere immondo. Da capo a piedi, per poi
fermarsi sui suoi occhi.
Si vedeva che gli costava parlare, gli costava il
controllarsi, e Pansy ebbe seriamente paura che da un momento all’altro avrebbe
puntato la bacchetta anche contro di lei, per colpire.
“Ti avevo ordinato di non avere più niente a che fare… con
Draco Malfoy…”
La sua voce era un grugnito, basso. Pericoloso.
“E tu… hai osato disobbedirmi… andandoci a letto!”
Aveva finito la sua accusa con un urlo. Gli occhi neri come
i suoi, ora, ridotti a fessure.
“Non sapevo… di avere come figlia una puttana.”
Assaporò tutta la volgarità e il dolore per quel disgusto,
che si sentiva sputato addosso, rimanendo in silenzio.
Parkinson Senior tornò a guadare Draco. Intanto Pansy, accanto
a sé, non gli aveva sentito fare nemmeno il minimo movimento. E capì anche
presto il perché.
Sgranò leggermente gli occhi quando vide suo padre stringere
nella mano sinistra la bacchetta del ragazzo.
“Tu…”
Parlò con disgusto, con rabbia. Ancora di più, se era
possibile, di come aveva fatto con lei.
Tese di più il braccio con il quale impugnava la bacchetta,
dalla estremità della quale scoppiettarono scintille rosse.
Sentì Draco trattenere il fiato.
Lei fece altrettanto, ma fece anche altro. Perché quando
vide la bocca di suo padre schiudersi per formulare chissà quale maledizione,
coprì il ragazzo con il suo corpo.
“No, padre!”
Aveva le mani strette sulle spalle di Draco, che la guardava
sorpreso, gli occhi chiusi e il capo chino.
Sentiva la sua schiena quasi totalmente nuda, a fare da
scudo al petto di lui, coperta dal lenzuolo bianco in un arco che andava dalla
sua spalla sinistra sino a poco più giù del fianco destro.
Non aveva il coraggio di voltarsi guardare l’espressione di
suo padre. Nel silenzio carico di tensione che seguì, dal quale non sapeva cosa
aspettarsi, strinse più forte la presa attorno alle spalle del ragazzo. Poi la
voce di quest’ultimo, bassa. Come i suoi occhi grigi in quel momento.
“Mi dia qualche secondo per rivestirmi… e sarò da lei.”
Alzò il viso e riaprì gli occhi a quelle parole, mentre
Draco l’allontanava da sé.
Vide suo padre annuire, teso. Poi guardò lei.
“Fuori con me, subito!”
Era seduta per terra, avvolta di nuovo solo dal suo
accappatoio, la prima cosa che aveva trovato scendendo da quel letto, a
torturarsi su cosa suo padre avesse potuto fare a Draco.
Era passata quasi mezz’ora da quando l’aveva mandata nella
camera da letto degli ospiti, con l’ordine di non abbandonare quella stanza.
Ordine accompagnato, questa volta, dalla minaccia negli occhi nel qual caso
l’avesse disubbidito, ancora.
Prima di andare via, inoltre, il suo vecchio ci aveva
tenuto a precisare che con lei avrebbe fatto i conti più tardi e poi, pochi
minuti dopo, aveva sentito la porta della sua camera sbattere e dei passi
allontanarsi giù per le scale.
Inclinò la testa all’indietro. La voglia di piangere era
tanta in quel momento.
“Il padrone vuole della Polvere Volante, presto presto!”
La voce squillante di un Elfo Domestico raggiunse le sue
orecchie. Si avvicinò di più alla porta, origliando per capire meglio.
Un'altra voce stridula e terrorizzata rispose alla prima,
veloci passi intanto accompagnavano quel interessante conversazione a cui stava
assistendo.
“Dove è ora il padrone?”
“Nel suo ufficio, non perdere tempo! E’ molto nervoso!”
Il secondo Elfo si lasciò andare ad un gridolio strozzato.
“La signora mi ha ordinato il thè, dove sono Elvy e Hoggar?”
“Loro sono stati mandati giù dal padrone, nei sotterranei!
Su fa presto! Presto!”
Quando anche la voce degli Elfi fu lontana, Pansy aprì di
scatto la porta e, facendo il più silenziosamente possibile, si precipitò in
camera sua.
Una volta recuperata la bacchetta, che quel pomeriggio aveva
lasciata in bagno, si avviò correndo, scalza e silenziosa, vero i sotterranei.
Era lì che suo padre teneva Draco, in attesta che i
Mangiamorte che stava chiamando venissero a prenderlo.
Gli Elfi come guardia non sarebbero stati un problema.
Scese le strette e umide scale dei sotterranei di corsa, arrivando
alla fine di queste con il fiatone. Poco più in là, dove il corto corridoio
iniziale svoltava a sinistra, vedeva la luce fioca di una torcia.
Si appostò nell’angolo dove il primo corridoio finiva e,
sbirciando oltre la svolta, vide due Elfi guardarsi intorno spaventati e
guardigni.
C’era agitazione tra gli Elfi in casa.
Sorrise quasi per la loro stupidità. Puntò la bacchetta
contro quelle cretaurine verdi e, formulando un incantesimo soporifero, li vide
afflosciarsi a terra.
Arrivata con passi svelti davanti a quella pesante porta in
ferro tentò di aprirla con un normale “Alohomora”, ma era
chiaro che non sarebbe bastato.
Decise allora che doveva ricorrere a qualcosa di più
drastico.
“Foris Effringo!”
Con un formula imparata un giorno leggendo uno dei tanti
libri proibiti, fece letteralmente saltare la serratura. Il rimbombo di tale
atto di violenza rimbalzò con un forte eco per le pareti tetre di quei
sotterranei e salì per le scale, diffondendosi poi per tutta la casa.
Trattenne il fiato, dandosi della stupida per non aver
pensato a quella controindicazione.
“Cos’è stato questo rumore?!”
La voce di suo padre, che arrivava lontana dal suo studio ai
piani superiori, le provocò una scarica di adrenalina tale da pensare di star
per morire. Ma, per fortuna, una vocetta squillante e impaurita impedì al suo
cuore di fermarsi.
“M-mi scusi Signore! Ho rotto un piatto!”
Sorrise. La cucina si trovava esattamente sopra la sua
testa.
Senza perdere altro tempo entrò nella stanza, piccola e
scura.
Vide Draco nel tentativo di rialzarsi, poggiato alla parete
e si precipitò verso di lui.
“Cosa…?”
Lo aiutò a sorreggersi, respirava a fatica.
“Tuo padre… non ha gradito che mi sia intrufolato in casa
sua… e che abbia messo le mani su sua figlia…”
“Draco, sta chiamando i Mangiamorte!”
Una fitta, non sapeva se dovuta alle sue parole o alle
Cruciatus subite, lo costrinse a chinarsi su sé stesso.
“Devi andare via di qui!”
Iniziò a trascinarlo fuori da quella stanza.
“Non mi reggo in piedi… come pensi che potrei raggiungere
l’uscita di questa casa… enorme… tra l’altro…”
Appena superata la porta gli ficcò la sua bacchetta nella
mano e si allontanò da lui, respirando anche lei con affanno.
Lo vide reggersi in piedi a fatica.
“Pochi lo sanno.
In questi corridoi ci si può smaterializzare.”
Lo vide alzare lo sguardo, nei suoi occhi sofferenti la
sorpresa e la nuova stupenda consapevolezza di poter uscire vivo da quel posto.
In un ultimo sforzo si mantenne in piedi.
Le rivolse un ultimo sguardo, significativo, e poi sussurrò
un sincero grazie prima di raccogliere le ultime energie e smaterializzarsi,
lasciando alle sue spalle un sonoro schiocco.
Pansy rimase qualche secondo a fissare il punto in cui era
sparito, riprendendo a respirare regolarmente.
Il suo ultimo guardo, chiedeva solo una cosa: “non mi
tradire”.
Il suo pensiero andò al nuovo portacipria che era andato ad
aggiungersi alla sua collezione, nel suo cassetto accanto al letto.
No, non l’avrebbe fatto.
Senza perdere altro tempo si voltò e corse via.
Su per le scale. Attraversando il soggiorno e iniziando,
sempre con passo felpato, a percorrere l’altra rampa di scalini che l’avrebbe
riportata al secondo piano.
“Parkinson!”
Una voce rude aveva urlato dai sotterranei. I Mangiamorte
erano già lì, ma avevano avuto una brutta sorpresa…
Ghignò, ma fu assalita nuovamente dalla panico quando sentì
la sedia nell’ufficio di suo padre, non molto distante da lì, scivolare sul pavimento.
Finì le scale, saltando tre gradini alla volta.
Sentiva i passi svelti sempre più vicini. Con il cuore che
batteva forte aprì una porta a caso e vi si infilò dentro.
Dopo pochi secondi sentì il suo vecchio passare davanti a
quella porta e proseguire oltre.
Pansy adorava la sua grande casa...
Uscì da quel salottino decorato con tanta cura da sua madre
e continuò la sua corsa, con l’intenzione di raggiungere il più velocemente
possibile la stanza dove era stata relegata. Peccato che suo padre non avesse
ritenuto necessario chiuderla a chiave, con la magia… Forse semplicemente, tra
la rabbia e la fretta, non ci aveva pensato…
Correva scalza con un insensato sorriso che le si allargava
sulle sua labbra.
Era incredibile quello che era riuscita a fare! E, ancora di
più, era incredibile che tutto sembrava essere andato per il verso giusto.
Si bloccò davanti ad una porta lasciata, frettolosamente,
spalancata. Sulla scrivania all’interno di quell’ufficio vi era abbandonata la
bacchetta di Draco.
Entrò nella stanza e la prese. Se la rigirò tra le mani e
questa volta, mentre la portava via con sé, un sorriso triste increspava le sue
labbra…
Tornò a Grimmuald Place. Aveva ancora il fiatone, sentiva il
corpo indolenzito e la testa gli faceva male.
La tentazione di stendersi lì, a terra, appena il cancello
cigolante era apparso sgomitando tra le altre case era stata forte, ma aveva
fatto qualche altro passo e si era abbandonato contro la vecchia porta in
legno. Questa si era aperta e, andando velocemente a sbattere contro la parete
interna dell’abitazione, a causa del suo peso, aveva dato luogo a un sonoro
tonfo che aveva attirato l’attenzione degli abitanti della casa.
Seduto a terra, Draco chiuse gli occhi. Una mano sullo
stomaco.
“Malfoy!”
Passi veloci e la voce di Potter vicina, sgradevole e dura
come un rimprovero.
Si voltò d’improvviso di lato e vomitò, non seppe bene lui
nemmeno cosa.
Harry si accucciò accanto a lui, lo sguardo diffidente e la
bocca storta in una smorfia disgustata.
“Stami lontano, Potter. Mi fai vomitare.”
Quella mezz’oretta con Parkinson Senior l’aveva seriamente
scombussolato… e fatto a pezzi… e atterrito.
In un gesto veloce, con il dorso della mano si asciugò le
labbra e, quando con le dita toccò la guancia, sentì qualcosa di liquido contro
la sua pelle e un leggero pizzicore là dove si era appena sfiorato.
Rosso sangue sporcava la sua mano. La guardò e maledisse
quell’uomo che, con rabbia furente, aveva deciso di scontarsela con lui, prima
di chiamare chi lo avrebbe succeduto in quel compito dal piacere perverso.
“Cosa è successo?”
La Granger era sopraggiunta, agitata nell' essere spettatrice
di tale scena.
Draco decise di ignorare tutti, ma non potè non voltarsi
verso l’uomo che silenziosamente era arrivato in quella stanza e che ora lo
stava sollevando, aiutandolo a sorreggersi.
Remus Lupin gli lanciò uno sguardo serio, freddo. Poi,
facendosi strada tra quelli che erano sopraggiunti all’ingresso di Grimmual
Place, attirati dal forte rumore del suo arrivo, lo condusse verso la cucina.
Lo fece sedere su di una sedia, accomodandosi anche lui su
una delle tante altre.
Ora Draco iniziava a sentirsi meglio. Il respiro era
regolare, la testa girava meno, anche se doleva sempre terribilmente, e il
dolore disseminato per tutto il suo corpo sembrava iniziare a scemare.
Il gruppetto che l’aveva accolto era intanto diventato un
folto gruppo. Li guardò tutti quanti un attimo, giusto il tempo per convincersi
ancora di più che in quella casa nessuno sapeva farsi i fatti propri.
D’altronde, erano, ed erano stati, tutti quanti irrecuperabili Grifondoro.
Lupin aspettava in silenzio, guardandolo. Pensava
probabilmente che sarebbe stato lui a iniziare a parlare, peccato non ne avesse
la minima intenzione… Quindi, chi sarebbe stato il primo a rompere quel
silenzio?
“Dov’è la pergamena, Malfoy? Che è successo?”
Potter, ovviamente!
“Tranquillo, Sfregiato. Quel documento è in un posto
sicuro.”
Sentì i presenti lasciarsi andare, più o meno evidentemente,
a un sospiro di sollievo.
Ecco perché tanta premura.
“Al sicuro?” richiese lo stesso, scandendo bene le
parole.
“Al sicuro” rispose lui, fronteggiando l’altro con lo
sguardo.
Al sicuro, certo! Cosa c’era di più sicuro di un cassetto
dei trucchi di una donna?
“Chi ti ha ridotto in questo stato?”
Si girò verso la sua interlocutrice.
“Non ti interessa, Sanguesporco!”
La Granger gli schioccò uno sguardo avvelenato. Invece, come
da copione, i suoi cavalier serventi, assottigliando gli occhi, avevano fatto
un passo avanti, minacciosi.
Questa volta a reagire furono anche i due gemelli Weasley e
la sorellina più piccola, che si era fatta più vicina a Hermione, sussurrando.
“E’ odioso! Che te ne importa? Lascia che lo ammazzino.”
“Devo insistere ribadendo la domanda già fatta da Hermione,
che d’ora in poi ti pregherei non insultassi più in quella maniera.”
“Non capisco perché la verità dovrebbe risultare un insulto,
potrete dirmi che fa male…” disse ghignando.
“Hai ragione, Malfoy. Sei un figlio di due Mangiamorte, uno
rinchiuso meritatamente a marcire ad Azkaban, l’altro ancora, purtroppo, a
piede libero.”
Uno dei gemelli Weasley aveva parlato, seguito a ruota
subito dall’altro.
“Probabilmente nella sua grande villa, costruita con denaro
sporco, a elemosinare pietà a Lord Voldemort per i fallimenti di quell’incapace
di suo marito e di suo figlio...”
Pur nella stanchezza che lo spossava riuscì ad estrarre la
bacchetta e puntarla contro quei due.
“E’la verità, perché dovrebbe risultare un insulto?” disse
qualcuno acidamente.
Era stata la piccola Weasley a intervenire impudentemente.
Sapeva di non rappresentare un reale pericolo così conciato,
e lo sapevano anche tutti quanti loro, tanto che non ebbero la minima reazione.
Ma quando la sua bacchetta iniziò a emanare scintille impazzite, li vide
arretrare in gruppo.
Guardò egli stesso sorpreso la bacchetta e, vedendola, si
ricordò che non era la sua.
Doveva ancora prendere confidenza con la bacchetta di
Pansy.
Ringraziò intimamente, di nuovo, quella ragazza. Era merito
suo se aveva potuto godere di quelle facce impaurite e di colpo impallidite.
Lupin allungò un braccio e, posandolo sul suo, fece
pressione perché abbassasse l’arma.
“Adesso basta litigare. Non potete beccarvi ogni volta che
vi vedete. Così sta diventando impossibile la convivenza!”
Arthur Weasley, che sino a quel momento, Draco non se ne era
accorto, assisteva alla scena dallo stipite della porta, aveva fatto il suo
ingresso nella cucina.
Guardò quell’uomo con sufficienza, ma non lo degnò di altra
considerazione.
“Mandatelo via, allora.”
Qualcuno aveva parlato, probabilmente la Donnola, ma non ci fece tanto caso.
Convivenza. Se solo ci pensava, gli venivano i
brividi. Babbanofili, Mezzosangue, Auror… Dove era finito…
Si fece forza pensando che lo faceva per un buon motivo. Per
la protezione che era stata data a sua madre, a lui stesso, e per quella data
anche a suo padre. Ancora però, purtroppo, o forse per fortuna, ad Azkaban.
A risvegliarlo dai suoi pensieri fu un rumoroso sussulto.
Alzò lo sguardo: quella terribile donna era sulla soglia
della porta e lo guardava come se avesse fatto qualcosa di assolutamente
sbagliato.
“Oh Merlino!”
Molly Weasley attraversò a grandi falcate la cucina,
arrivando al tavolo dove Draco Malfoy si guardava intorno cercando una via di
fuga.
E quella era la rivincita più grande che il gruppo,
ghignante, di fronte al ragazzo potesse avere in quel momento.
Draco si sentì afferrare il mento e, con un energico gesto, alzare
il viso. I grandi occhi, dell’altrettanto grande donna che gli era di fronte,
guardavano il suo graffio con attenzione.
“Dove hai fatto questo?”
Si scostò bruscamente, ritraendosi al tocco prepotente.
“Mi lasci stare. Non mi tocchi!”
Aveva assottigliato gli occhi, ma fu totalmente ignorato.
“Remus?”
La signora Weasley chiese spiegazioni, posando gli occhi su
tutti i presenti.
“Non sappiamo nulla, per ora.”
Lupin si voltò verso di lui.
“Vai a riposare. Fatti curare da Molly quella ferita e le
eventuali altre. Ne parliamo più tardi.”
Lanciò uno sguardo all’orologio: appena le sette del
mattino.
“A un orario più decente, magari...”
Draco indurì lo sguardo, restando comunque zitto. Nel
frattempo si sentì prendere sotto braccio dalla forza fuori dal normale della
madre di tutte quelle piaghe umane che erano i Weasley, e così trascinato via.
Pur contro la sua volontà.
Era passato un mese e mezzo da quando era andato a trovare
Pansy, da quando era tornato i condizioni non ottimali a Grimmual Place e da
quando si era guadagnato un briciolo di fiducia, reale, basata sui fatti e non
solo sulla buona fede, da parte dei membri dell’Ordine.
Poteva dire che ora si sentiva osservato con meno sospetto,
e che questo gli rendesse meno nevrotico e sofferto il suo soggiorno in quella
casa.
Avevano insistito tutto il giorno, dopo quella mattinata,
per sapere cosa fosse successo.
“Essendo ormai parte dell’Ordine…”
E già a queste parole aveva sentito lo stomaco contrarsi.
Perché, era vero, scegliendo di essere un Mangiamorte e di ricevere il Marchio
Nero, non aveva realizzato a pieno la grandezza di quello in cui si era andato
ad immischiare. L’enormità del gesto che aveva compiuto. Ma, ad essere sinceri,
anche quella volta aveva l’impressione di essere ricaduto nello stesso
tranello.
Questa volta, però, era quasi sicuro, che la sua scelta
l’avrebbe portato alla salvezza, e non alla morte.
E quindi, facendo parte di un'organizzazione, le regole:
“…non puoi esimerti dal dirci cosa sia successo ieri
notte e chi ti abbia ridotto così. Anche per la protezione che, tu sai, noi
abbiamo il dovere di fornirti.”
Aveva guardato negli occhi Moody, nascondendo la soggezione
che quel suo Occhio Magico gli procurava, e aveva parlato con voce chiara,
ferma. Come se stesse spiegando un piano complicato che a tutti doveva far
comprendere.
Inutile dire che a colpire più di tutto fu la sicurezza e
anche la sincerità con cui spiegò che, se avesse rivelato loro in quale
occasione fosse stato attaccato e ferito, essendo quest’episodio strettamente
legato al compito affidatogli, cioè quello di mettere a sicuro il contratto
stipulato tra le forze dell’Ordine e le creature magiche come i Vampiri e i
Giganti, allora il suo operato sarebbe stato noto a tutti. E questo sapevano
bene che non poteva accadere. Perché il pericolo di una fuga di informazioni
era direttamente proporzionale al numero delle persone che sapevano, dunque sarebbero
davvero aumentate a dismisura, dato che l’Ordine contava più di dieci membri.
Era stato scelto di proposito un solo membro, che avrebbe dovuto
svolgere questo delicato compito. E, per privare di ogni possibilità la
fazione avversaria di recuperare quel documento, la quale così avrebbe avuto la
prova e la certezza del doppio gioco operato dai Vampiri, fu scelto il membro
meno probabile a cui l’Ordine avrebbe mai affidato un’operazione di tale
importanza.
L’ultimo arrivato (dalla schiera nemica, per giunta), il più
sospettabile di tradimento, il più ermetico e scuro nelle intenzioni: Draco
Malfoy, appunto.
Dopo le sue parole, più nessuno aveva avuto nulla da dire.
Solo segni di consenso e sguardi carichi di speranza. La speranza di aver
riposto bene la propria fiducia.
Rischiare per ottenere.
E l’Ordine aveva ottenuto. Perché se Draco Malfoy avesse
voluto tradirli, fingendo nella più infima maniera l’attacco subito, allora
nell’arco di pochi giorni i Vampiri sarebbero stati uccisi e non starebbero, invece,
continuando a fornire informazioni di massima utilità dimostrando la loro
fedeltà.
Quindi con i Weasley, con Potter, con la Granger, non aveva più litigato.
E, ammesse le frecciatine che era impossibile debellare dal loro
modo di rapportarsi, si poteva stare, come in quel momento, tutti in una
stanza.
In quel salotto dalle dimensioni equivalenti a tre quarti
del piano di sotto della Tana, Ronald Weasley era stravaccato su di una delle
due poltrone in velluto bordeaux che facevano completo con uno dei tre divani
presenti in quella stanza.
Guardandosi intorno si chiedeva se non fosse una vera e
propria esagerazione e non esitò a rendere noti i suoi pensieri.
“E’ enorme. Per me è un’esagerazione. Un vero spreco! A cosa
potrebbe mai servire un salotto così grande! La metà basterebbe… e avanzerebbe
pure!”
Tutti si voltarono a guardarlo. Harry stava per dargli, con
non molta cura, ragione. Quando, una voce strascicata e pungente, proveniente
dalle vicinanze del grande camino acceso, arrivò alle loro orecchie.
“E secondo te, Re dell’intelligenza, dove staremmo
ora tutti quanti noi…?”
Draco Malfoy, in contro luce, accomodato su di una poltrona
di fronte al caminetto, ghignò soddisfatto e divertito quando tutte le persone
presenti in quella stanza si voltarono a guadare Ron che, lentamente,era
arrossito come un peperone.
Ron vide Hermione scuotere lentamente la testa e poi tornare al
suo libro, vide Harry fare finta di niente e tornare a concentrarsi sui suoi pensieri,
cercando di trattenere il sorriso per la sua, ennesima, guff.
Effettivamente avrebbe potuto guardarsi intorno prima di
parlare. Non c’era un singolo puff o una sola poltrona che fosse libera in
quell’enorme salotto. Vi era l’Ordine della Fenice al gran completo, in un raro
momento di riposo dopo una delle tante riunioni, la famiglia Weasley nella
maggior parte dei suoi rappresentanti, i suoi amici e Malfoy.
Sospirò e affondò nuovamente nella sua poltrona.
No, adesso che ci pensava l’Ordine non era al completo.
Remus non c’era. Era andato via dopo la riunione perché chiamato dal ministero,
dicendo che sarebbe tornato più tardi.
Dove si sarebbe seduto?
Si guardò nuovamente intorno. Aveva visto bene, non era
rimasto un solo posto libero. Sarebbe stato un problema se fosse tornato in
quel momento...
Ron si corrucciò, un po’ per il pensiero che il povero
Remus, stanco, sarebbe rimasto in piedi, un pò rendendosi conto che la noia
portava davvero alla follia…
La porta dell’ingresso sbattè, dopo poco l’ultimo membro
dell’Ordine che mancava all’appello si affacciò alla porta. Sorrise nel
vederli tutti insieme a scaldarsi davanti al camino, a scambiare qualche camino, a scambiare quattro parola…
Si avvicinò a Ninfadora, dandole un leggero bacio sulla
guancia, e quest’ultima, puntando la bacchetta verso il pavimento fece apparire
una piccola poltroncina.
Ecco come avrebbe fatto…
Ron distolse definitivamente lo sguardo, decidendo che era
decisamente troppo.
Remus, sedutosi stancamente sulla poltrona appena
materializzatasi, con un corto lancio gettò sul tavolino che era al centro
della stanza una modesta risma di fogli.
La scrittura impersonale, nera, della stampa, creava quella
che sembrava una lista infinta, ogni tanto interrotta da nuove intestazioni,
per poi ricominciare.
Minerva McGraniit si alzò dal divano, lo sguardo e
l’espressione composta, come tutta la sua persona. I capelli tenuti legati da
una crocchia severa, gli occhiali da vista appena riposti nella tasca della
larga gonna del vestito verde scuro che portava.
Sospirò e parlò a bassa voce, un tono non prepotente ma che
tuttavia richiedeva attenzione.
“Io vado. Ho tante cose da sbrigare per Hogwarts…”
“Ma la scuola non riaprirà, vero, Minerva?”
Fu Ninfadora a parlare, voltandosi a guardarla. L’anziana
donna scosse la testa.
“Dopo la morte di Albus…”
Si interruppe di colpo. Rendendosi conto dell’errore fatto
nel tirare fuori quell’argomento.
Vide Harry muoversi sulla sua poltrona e guardare istintivamente
Malfoy. Non era tuttavia l’unico a guadare quel ragazzo che, con espressione di
marmo guardava il fuoco. Se non fosse per quella mano che si era stretta
attorno al bracciolo della poltrona su cui sedeva…
“Insomma, con la guerra i genitori dei ragazzi non si
fidano. Alcuni sì, ma sono in minoranza. E forse tuttavia è meglio così, in
questa maniera avrò più tempo per dedicarmi all’Ordine.”
Prese il mantello che aveva deposto sul divano e se lo gettò
sulle spalle.
“Comunque, cara Ninfadora, da fare c’è sempre. Devo incontrarmi
con il consiglio. Dobbiamo decidere dei ragazzi che quest’anno hanno sostenuto
i G.U.F.O e i M.A.G.O, per non parlare di quelli che l’anno prossimo non
potranno invece farlo…”
Lanciò uno sguardo ad Hermione Granger che vide mordersi il
labbro e quando la donna incontrò o suoi occhi vi lesse tanta delusione e
tristezza.
Fece vagare lo sguardo anche sugli altri tre ragazzi, che
tuttavia non sembravano turbati più di tanto da tale notizia. Anzi…
Draco Malfoy, dalla sua postazione, appariva d’un tratto rallegrato,
il viso disteso e l’angolo della bocca tirato su. Ron Weasley si era lasciato
andare a quella che voleva essere una silenziosa esclamazione di felicità,
aveva poi stretto il pungo e a mò di vittoria sventolandolo all’altezza del
viso. Harry Potter, con un gran sorriso, aveva riposto all’esclamazione del sua
amico, a sua volta alzando un pugno per aria.
Minerva McGraniit, scoccando a quei tre un'occhiata di
rimprovero, indossò il classico capello da strega, verde come il mantello, e
poi si avviò verso il tavolino al centro del salotto.
“Cosa sono, Remus?”
“La lista aggiornata dei Mangiamorte e degli eventuali
collaboratori di Lord Voldemort. Con anche tutti quelli che sono
ancora da catturare.”
Draco si voltò verso quei fogli, interessato.
“Bene, se non vi dispiace li porto con me e ci do un'occhiata.”
Un oggetto non più piccolo di un boccino schizzò da un luogo
non precisato della stanza e andò a colpire i fogli che in quel momento Minerva
McGraniit stava sollevando. Questi le sfuggirono di mano e caddero a terra,
aprendosi a ventaglio, e non invece sparpagliandosi per tutta la stanza, grazie
al ferretto che li univa.
“Opss!”
Tutti si voltarono verso i gemelli Weasley, che seduti su di
un divanetto biposto a confabulare qualcosa, avevano d’improvviso smesso di
parlare.
“Fred, George! Quante volte ve lo devo dire di non provare a
casa le vostre invenzioni! Siete grandi ormai… e sembrate ancora due bambini!”
Tuonò Molly Weasley.
“Scusa, mamma.”
Disse uno dei due fratelli, alzandosi dal divano e
canzonando la madre assumendo il tono infantile di un bambinetto sgridato.
Fred, essendo arrivato vicino al “luogo del misfatto”, chinandosi
per raccogliere quello che sembrava un comune tappo di spumante, guardò di
sottecchi la McGraniit, che lo osservava con aria di rimprovero.
“Ah! Certe cose non cambiano mai…!”
Detto questo la donna si chinò a raccogliere i fogli e,
guardando proprio quelli, Draco, riuscendo a sbirciare qualche nome dai lunghi
elenchi vide una cosa che, senza nemmeno accorgersene, lo fece alzare in piedi.
La McGraniit si girò per andar via e lui fece un passo
avanti, attirando lo sguardo dei più curiosi.
“Scusi, potrei vedere un attimo?” chiese con una sfumatura
incerta, che tuttavia voleva cancellare.
Lui doveva vedere quei nomi.
Ora l’attenzione di tutti era per lui. La donna si girò e,
aggrottando la fronte, annuì incerta. Porgendogli quei fogli.
Iniziò a sfogliare febbrilmente le pagine: i Mangiamorte
catturati, quelli condannati, quelli giustiziati. Le persone accusate di collaborazione
con i Mangiamorte… Tutto era predisposto in ordine alfabetico.
Girò il primo foglio, dalla “A” alla “I”. Il secondo, dalla
“L”alla “O”. Il terzo, “P” alla “Z”.
Guardò tra i primi nomi, e lo vide. Non si era sbagliato,
non era stata solo un'impressione.
Pansy Parkinson. Età: 17.
Rimase immobile a fissare quel nome, boccheggiando.
Non era possibile.
Semplicemente non lo era.
Alzò lo sguardo spaesato, cercando risposte in quello della
professoressa che lo osservava, in quello di Remus Lupin.
“Si può sapere per cosa… Precisamente… di cosa sono
accusati?”
La sua voce era flebile. Ora decisamente qualcuno stava
morendo dalla voglia di sapere cosa fosse preso a Draco Malfoy, quale nome
avesse letto su quella lista.
Il pensiero di Harry andò a sua madre. Ma si corresse
subito, era impossibile. Narcissa Malfoy aveva la protezione dell’Ordine.
“Perché lo vuoi sapere?”
Draco riportò lo sguardo sulla professoressa.
“Io-io non credo che…”
Iniziò a ridere.
“No, no… C’è un errore…”
Remus corrugò la fronte.
“E’ impossibile.”
“No, no. Questo, questo è impossibile!”
Ancora parlava con un tono di ilarità, di incredulità.
Dopo poco però: la rabbia.
Strinse forte quei fogli.
L’aveva ingannato? Lei era una Mangiamorte?
No, non aveva il marchio. La sua pelle era liscia, lo
ricordava bene.
Lei era nella lista, accusata di collaborazione con i Mangiamorte.
Quindi era successo in quel mese?
In quel mese l’aveva tradito?
Rabbia, delusione, tristezza…
“Oh!”
Remus Lupin si era alzato in piedi e fu come se avesse avuto
un'improvvisa rivelazione, un improvviso ricordo.
“Pansy Parkinson?”
Draco lo guardò.
“Sì, ho letto.
Ho saputo che la sua bacchetta, durante una perquisizione
degli Auror a casa sua, ad un Prior Incantatio ha rivelato l’uso di
Maledizioni Senza Perdono e di altri incantesimi di Magia Oscura. Dato i
sospetti che vi erano sul padre…”
La bacchetta.
Fece qualche passo indietro e si sedette sul bracciolo della
sua poltrona. Quei fogli ancora tra le mani, gli occhi vacui a guadare il
pregiato tappeto persiano.
“Strano.”
Aveva esordito Ninfadora.
“Se suo padre era sospettato e ha fatto in modo che la sua
bacchetta risultasse pulita. Perché non ha pensato di farlo anche con la
figlia?”
Draco scosse la testa.
“La bacchetta… Era la mia.”
“Cosa?”
Minerva McGraniit aveva alzato il tono della voce.
“Da quanto ha la tua bacchetta?”
“Un po’.. Da Hogwarts!” mentì.
Per il bel discorso che aveva fatto precedentemente
all’Ordine, doveva eliminare ogni traccia del suo incontro con Pansy.
“E perché non l’avrebbe detto?”
Era stato Potter ad intervenire.
Si voltò a guardarlo, sudando freddo. Come l’avrebbe
spiegato quello strano comportamento non tanto da Serpeverde.
Non l’aveva tradito.
“Forse l’ha fatto ma non le hanno creduto.”
Per quanto fastidiosa… la Granger, ogni tanto, serviva anche lei.
“Draco, stai dicendo la verità?”
Annuì vigorosamente alla domanda della McGraniit.
“Bene in ogni caso sarà facile controllare. Dimmi dove hai
comparto la bacchetta, richiederemo i registri dal negozio.”
“Da Olivander.”
“Se la bacchetta è quella, coinciderà con le carte che i
tuoi genitori hanno firmato al momento dell’acquisto.
Remus, per favore, occupati tu di questo.”
L’uomo annuì.
“Alastor…”
In fondo alla stanza, nella parte più buia, il rumore di una
sedia che veniva spostata.
“Sì, sì. Mi reco ad Azkaban…”
Il tono annoiato.
La McGraniit annuì, poi si voltò ancora verso Draco.
“Potrei sapere per quale ragione quella ragazza ha la tua
bacchetta?”
Lo guardò con sospetto.
La deformazione professionale che prepotentemente entrava
nella sua vita. Il parlare come se stesse tenendo una sua lezione, nella sua
aula ad Hogwarts.
“La bacchetta è una cosa molto personale. Come credo tutti
sappiate ogni mago acquista la sua bacchetta in base alle proprie
caratteristiche e potenzialità… Potrebbe risultare molto difficile, un vero
disastro, maneggiare una bacchetta altrui. E si potrebbe rivelare un’azione
pericolosa per sé e per gli altri.”
“Non ho grandi problemi con la sua. Devo solo un po’
adattarmi al modo di usarla…”
La sua fu più che altro una riflessione ad alta voce.
Quello strano scambio di bacchette non fu chiaro a nessuno.
I tre Grifondoro lo guardavano con cipiglio. Quell’ultimo anno, a scuola, ne
aveva combinate di cose strane.
“Un gioco!” esclamò.
“Per un gioco!”
“Un gioco…” ripeté alzando gli occhi al cielo l’anziana
professoressa di Trasfigurazione.
“Vai con Alastor ad Azkaban.”
Per un secondo Draco pensò che lo stesse mandando per
restarci. Se Pansy era in prigione, capo d’accusa la bacchetta, ora che aveva confessato
che quella era la sua… Se uno più uno fa due…
“Credo sia arrivata l’ora che queste bacchette tornino ai
legittimi proprietari… Non corri pericoli, tu. In quanto membro dell’Ordine, non
è legale, ma è lecito fare uso di certe Maledizioni.”
Lo guardò dall’alto della sua statura. Come a dirgli che non
ci teneva a sapere cosa quella bacchetta avesse rivelato. Ed era meglio così…
Raggiunse Malocchio Moody che lo aspettava sulla soglia
della porta stringendo la sua bacchetta, ancora nella tasca dei
pantaloni.
Non l’avrebbe mostrato a nessuno ma, coperto dal suo
mantello, appena fuori da Grimmual Place, sorrise.
Si sentiva stranamente felice. Eppure, stava andando ad
Azkaban…
Quando si trovò davanti a quella monumentale costruzione, su
quell’isola sperduta, ricoperta dalla coltre di fitta nebbia e dal gelo (fenomeni
non solo causati dallo sbattere furioso del mare contro le scogliere…) decise
di aspettare là fuori l’Auror. Non ci teneva a fare l’ingresso in quel castello
spaventoso che, minaccioso più di Hogwarts, si ergeva verso il cielo. L’aveva
già fatto una volta, l’unica in cui fosse andato a trovare suo padre, con sua
madre, e non ci teneva a rifarlo. Forse perché il divieto di Lucius di
ritornare in quel posto ancora risuonava nelle sue orecchie.
“Draco, non tornare mai più in questo posto. La prossima
volta che ci vedremo sarà a casa.”
Alzò gli occhi al cielo, le mani intasca, sospirando appena.
Pensando che quello era successo già un anno fa, e da allora non aveva più
rivisto suo padre.
Quando riportò gli occhi sul grande portone in legno
massiccio, vide una figura magra, coperta da un mantello nero come al suo,
avanzare tra la nebbia.
Deglutì, man mano che questa si avvicinava, fermandosi poi
ad un metro da lui.
Draco guardò la bacchetta che Pansy stringeva nella mano
destra, fece scorrere lo sguardo sul suo abbigliamento malconcio che di tanto
in tanto mostrava qualche strappo, impolverato qua e là.
L’ultima cosa che volle guardare furono i suoi occhi, aveva
paura di leggerci rabbia e odio. Ma, quando alzò lo sguardo, non vi lesse nulla
di tutto questo.
Pansy lo guardava senza espressione, atona.
Si avvicinò a lei, non sapeva cosa dire. Prese la bacchetta
e gliela porse, titubante. Lei la guardò qualche secondo, poi, rendendogli la
sua la mise nella tasca del mantello.
La voce di Moody che parlava alle soglie del grande portone con
un altro Auror arrivarono alle loro orecchie. Pansy si voltò in quella
direzione, poi, guardandolo lo invitò a seguirla. Si appartarono un po’ più in
là, coperti da un muro diroccato che un tempo era probabilmente una costruzione
ausiliare della prigione di Azkaban.
La ragazza si appoggiò ad esso, lui le si mise accanto e,
nel silenzio che nessuno dei due aveva osato rompere, la vide estrarre qualcosa
dalla tasca e portarsela all’altezza del viso.
Con disinvoltura aprì quello che era un portacipria non più
grande della sua mano. Si specchiò, inclinando e voltando il capo di tanto in
tanto, per poterlo fare da tutte le angolature.
Draco sgranò leggermente gli occhi.
“Non ti preoccupare…”
Gli lanciò uno sguardo e poi continuò a specchiarsi,
lasciandosi andare di tanto in tanto a smorfie di disapprovazione.
“Non sono così stupida da averlo portato con me ad
Azkaban.”
“Veramente, mi stupivo del fatto che ti sia portata
un portacipria… Ad Azkaban” disse con una sfumatura divertita nella voce.
Lei alzò il naso all’in su, scrollando leggermente le
spalle. Non accettava che la prendesse in giro per quello.
“Ne ho sempre uno dietro, dovunque vada…”
Chiuse il portacipria e lo ripose nella tasca, poi si voltò
verso di lui, guardava di fronte a sé, un sorrisino divertito gli incurvava le
labbra.
Draco si sorprese, e non lo nascose, quando sentì con
slancio le braccia di Pansy cingergli le spalle e le sue labbra donargli un
bacio.
Rispose a quel bacio, posando le mani sulla sua vita e
avvicinandola di più a lui.
Restarono ancora vicini, quando quel lungo bacio finì.
“Hai dubitato di me?”
“Ho dubitato di te.”
“Non ti nascondo che c’è stato un momento, là dentro, in cui
non sapevo cosa fare… Ma, ho accettato di farti questo favore, e lo porterò a
termine fino in fondo.”
Lui annuì piano, poi la baciò di nuovo.
“Ehi! Ragazzo?! Dove sei finito?!”
La voce di Malocchio Moody arrivò prepotente alle loro
orecchie.
“Verrò a riprenderlo quando la guerra sarà finita.”
Si allontanò da lei, la guardò un’ultima volta, un cenno di saluto con il capo, e poi si
voltò per andar via.
Pansy era rimasta appoggiata stancamente con le spalle al
muro.
Quando la guerra sarà finita…
Le guerre duravano mesi, anni…
Sapeva di avere avuto solo una proroga del momento in cui si
sarebbe dovuta definitivamente staccare da lui.
In quella disgrazia, la fortuna… Non tutto il male viene per
nuocere, così si direbbe. E’ così era. Perché: gli Auror a casa sua, la sua
prigionia. Tutto quello aveva permesso a lei di rivederlo, una volta ancora.
Ma ora…
Quando la guerra sarà finita…
Lo guardò, stava per sparire oltre l’angolo di quel vecchio
muro che li aveva accolti.
“Draco!”
Cercava di mantenere la voce ferma, ma fu impossibile con
quel peso che le opprimeva il petto, con quelle lacrime che volevano uscire, e
che avevano fatto diventare gonfi i suoi occhi.
“Cerca… cerca di non ricrearti con nessun altra…”
Abbassò il viso e pianse.
Draco, che si era voltato per ascoltarla, incurvò labbra in
un sorriso triste. E riprese a camminare, non rispondendo a quella che, sapeva
anche lei, e per questo piangeva, era una richiesta impossibile…