MORE THAN RAIN
“It's more than rain
that falls on our parade tonight,
it's more than thunder,
it's more than thunder,
it's more than a swindle
this crooked card game,
it's more than sad
times, it's more than sad times...”
Asgard è fatta dell'oro dei raggi di mille soli,
è un luogo di luce con poche ombre.
Ma ci sono cose che restano annidate con feroce insistenza in quelle
ombre. I mortali li chiamano ricordi e spesso ne sono gelosi, a volte
spaventati. Gli dei, invece, guardano con diffidenza al proprio passato
perché non sanno mai bene come definirlo, cosa farsene: essi
sono fatti per resistere al cambiamento e il tempo li tocca sempre e
solo da lontano, li scalfisce con la lentezza del vento che erode una
montagna. I loro ricordi sono frammenti di polvere in una lama di
pulviscolo che filtra attraverso le tende di seta.
Eppure anche lì, nella Patria Eterna, sotto quel cielo color
ametista c'è qualcuno che teme ciò che si annida
nelle ombre, in un passato che si perde in così tante e
tante stagioni da stemperarsi verso un orizzonte indefinito.
Asgard è fatta dell'oro delle estati che tornano sempre
uguali, quell'oro che non sbiadisce e non si ossida, liscio da lasciar
scorrere via la pioggia. E rinnova le proprie certezze per ogni nuova
ombra che riesce a dissipare.
Loki, il principe caduto, il traditore, non è semplicemente
un'ombra, è il Buio. È l'oscurità
senza stelle della follia di chi ha smarrito ogni strada.
Sif apre il battente della porta che immette nella stanza, l'enorme
anta di legno sembra pesare in modo innaturale. Molti soldati sono
lontani a causa di disordini scoppiati ai confini del Regno e
così quella sera tocca a lei il turno di guardia.
L'odore della pioggia che sta flagellando la capitale non arriva fin
lì, e neppure si sente alcun suono di tempesta. Il silenzio
è così enorme da sembrare finto.
La giovane guerriera resta ferma sotto l'arco della porta, immobile
come una decorazione scolpita. È quasi certa che da
lì il prigioniero neppure possa vederla.
La prigione di vetro è illuminata, è sempre
illuminata. I mostri si annidano nel buio, crescono e si fortificano
dove non c'è luce, questo Sif lo sa, tutta Asgard lo sa:
glielo ha insegnato Loki.
Loki odia, odia con la solennità e la tenacia di un dio che
ha visto i secoli scorrere come polvere sotto un tappeto di stelle.
Sif conosce troppo bene la furia della guerra per essere davvero in
grado di comprendere l'odio. L'odio è il lento sgocciolio
del veleno che fluisce dalle zanne sottili della vipera. Il furore del
guerriero è un fiume in piena, e quando sfuma nel silenzio
dopo ogni battaglia non lascia crateri di vuoto, le cicatrici restano
solo sulla pelle e non dentro l'anima.
Sono le cose che non
comprendiamo quelle che maggiormente ci attraggono. Anche
questo glielo ha insegnato Loki.
Sif sposta il peso da una gamba all'altra, inclinandosi appena di lato.
Da quella prospettiva non c'è più la grande
colonna a impedirle la vista né a nasconderla agli occhi
dell'altra persona presente in quella stanza; ora può vedere
quella grande gabbia di vetro con la sua luce asettica che renderebbe
più piccolo e insignificante qualsiasi mostro.
In terra, Loki è steso di fianco, la schiena premuta contro
la parete di vetro, un braccio steso in avanti per appoggiarvi la
guancia. E non è solo la luce a farlo apparire
più piccolo, sono i vestiti che indossa: una casacca su un
paio di calzoni di tela, nessun orpello dorato, nessuna insegna del
proprio rango, nessuna armatura.
Tutto perduto, come il suo titolo di principe. Come molte altre cose...
Ha i capelli incolti, cresciuti nel disordine di onde scure –
un intreccio di buio, dentro e fuori la sua testa – lunghi
capelli corvini che ora assomigliano persino un po' ai suoi. Dopo tutto
quel tempo, Sif non riesce ancora a riderne, a trovare il lato ironico
come talvolta ha finto di fare. Ma mandare giù un boccone
amaro con una risata non ha mai reso più dolce
un'umiliazione.
Non fu la vanità a farla adirare quando scoprì la
burla di Loki e vide i suoi capelli ammassati in una nuvola d'oro e
rame sul pavimento accanto al suo letto. Si trattava di una ferita
assai più profonda, ma Sif sa che le ferite guariscono e
rimane solo la lezione da imparare celata dietro ad ogni colpo subito,
come nei duri anni del suo addestramento da guerriera.
I suoi capelli una volta biondi, sono ricresciuti scuri, come quelli
degli stranieri. Forse era destino che qualcosa nel suo aspetto finisse
per ricordarle che lei è sempre stata diversa. Forse c'era
persino una punta di consapevolezza nello sfregio di un giovane dio
dispettoso e vendicativo.
Quando i pensieri della guerriera asgardiana le permettono di tornare
al presente e i suoi occhi mettono nuovamente a fuoco lo spazio oltre
la colonna, Loki non c'è più e lei ha un
sussulto, scatta guardandosi attorno e lo trova solo qualche metro
più in là, dentro la sua gabbia di vetro.
È in piedi ora, appoggiato con le spalle contro la parete
trasparente, le braccia incrociate dietro la schiena e il volto
inclinato in avanti.
Quello che l'ha sempre colpita del più giovane tra i due
principi è la natura contrastante di molte cose che lo
caratterizzano: la sua stolida determinazione malgrado la sua
fragilità, ad esempio.
In passato erano i rari sorrisi, bei sorrisi in contrasto con il suo
carattere ombroso e i suoi occhi freddi.
Adesso è quell'espressione di gelida calma, quella posa
rigida che rende più tremendo il suo sguardo da belva pronta
ad azzannare.
Loki la sta osservando. Loki non guarda mai nulla senza osservare.
Sif rammenta di quando, giovanissimi, tiravano con l'arco nella
palestra del palazzo. Lui era quello che aveva la mira migliore di
tutti: l'occhio buono e la pazienza necessaria a una mano ferma. Una
volta Thor lo accusò di usare la magia, che era solo a causa
dei suoi
trucchi se
riusciva a fare quasi sempre centro. Loki non si dette la pena di
rispondere: il dio degli inganni non dice la verità neppure
quando è vera.
La subdola capacità di insinuare il dubbio è
sempre stata uno dei suoi divertimenti preferiti.
I suoi silenzi possono essere un tormento tanto quanto le sue parole. E
Sif conosce la forza di entrambe le opzioni, l'affilatura di entrambi i
lati della lama.
Non ci pensa, è una guerriera, è un'asgardiana.
Le sue ferite sono la sua armatura.
Pensa piuttosto a come faccia Loki a dormire lì dentro, con
tutta quella luce – ammesso che dorma. Pensa a quanto lui
possa trovare divertente la paura malcelata delle guardie che vengono a
portargli i pasti. Pensa, con uno scampolo di pena, a quanto lui debba
tremendamente annoiarsi.
Non pensa che soffra, non per la prigionia almeno, ma è
certa che il tedio lo stia sfinendo.
«Da compagna di scorribande del figlio di Odino a cane da
guardia. Quand'è che sei caduta in disgrazia,
Sif?» dice Loki. Il sorriso sulle sue labbra ancora tumefatte
si allarga come una ferita, quel genere di ferita che fa male e basta.
Fa male, ma non a lei.
«Oh, forse da quando il sospiroso ricordo della mortale ti ha
reso invisibile al cuore di Thor».
Fa male...
… ma non a me,
si dice Sif.
«I colpi che tenti di sferrare sono così
prevedibili che se questo fosse un combattimento, riuscirei a pararli
tutti» risponde. Sa che tentare di ignorarlo è
inutile. Sa che quella notte deve passare, in un modo o nell'altro.
«Può darsi, ma il solo limitarsi a parare colpi
può sfinire anche il più forte tra i
guerrieri».
Sif ignora le sue parole e pensa che era molto tempo che non sentiva la
sua voce. Una voce flautata, bassa e leggermente sibilante. Voce
gradevole, adatta alle menzogne.
Lei è certa che il ragno che tesse la ragnatela faccia un
verso assai simile.
Non si accorge di aver fatto un passo avanti. Né riflette
sul fatto che dovrebbe rispondergli, altrimenti quella sua testa
infantile e stolta finirà per bearsi di aver segnato un
punto, come se quello fosse un gioco.
«C'è qualcosa che posso fare per te?»
finisce col domandargli. Crede di stupirlo, forse ci riesce.
Loki si stacca dalla parete di vetro e muove qualche passo in circolo,
allargando le braccia.
«Se entrasse qualche insetto ti chiederò di
aiutarmi a ucciderlo».
Sif incrocia le braccia sul petto, si sgranchisce il collo. Se Loki
è rimasto stupito, non l'ha dato a vedere.
Sarà una notte dannatamente lunga.
«Mi sembri angustiata, lady Sif. C'è qualche
cruccio che ti assilla?» dice lui dopo qualche minuto.
«Sei tornato ad aver paura del silenzio, Loki?».
Il silenzio per Loki è sempre stato ciò che per
lei erano le ferite: qualcosa da cui imparare a difendersi. E lui lo ha
imparato talmente tanto bene che è riuscito a farne
un'armatura.
Ma non è sempre stato così. Molte cose erano
diverse in passato, in quel tempo in cui loro due si somigliavano.
«Le Norne non vogliano che voi altri comprendiate
ciò di cui ho paura» replica lui. E stavolta la
sua voce perfetta, ammaestrata dalle menzogne, trema appena.
La sua voce. Sif torna a pensarci, che lei conosce ogni sfumatura di
quella voce, l'ha ascoltata ogni giorno della sua vita, da quando era
fanciulla. La conosce, come conosce quella di Thor o degli altri suoi
più cari compagni, ma la voce di Loki dice sempre molte
più cose di quante parole pronunci. E Sif ha dovuto imparare
a conoscerla dal giorno in cui ha cominciato ad avere paura di lui,
come la gazzella impara a riconoscere l'odore della fiera acquattata
tra le sterpaglie.
Non ricorda quand'è che è successo. Sa solo che
è avvenuto, sa solo che adesso lei e Loki sono ai due lati
opposti del limite segnato dalle pareti di una cella.
Lo sono da tanto tempo.
«Cosa è accaduto quando sei sparito?»
gli chiede.
Lo domanda anche se sa che i muri non si abbattono, che certi muri sono
stati eretti in un passato troppo lontano da far credere che ci siano
sempre stati.
Sif ha ricordi sbiaditi di quel passato, ma sono ricordi e non amnesie,
sono ciò che si annida nelle ombre che si lascia alle spalle
quando il sole tramonta e lei è sola con se stessa. Con
quella parte di sé che è ancora solo una donna e
non una guerriera.
«Thor non ti racconta più ogni cosa? Avevo ragione
allora sei proprio caduta in disgrazia...»
«Non voglio sentirlo da Thor!».
Loki fa dondolare impercettibilmente il capo, come se la sua voce
troppo alta lo abbia pizzicato alle guance. Quando si volta nuovamente
a guardarla, Sif capisce che lui non ha alcuna intenzione di
risponderle.
Loki il traditore ha scelto, tra il silenzio e le parole, quale
supplizio imporle.
E la notte è molto molto lontana dal finire.
Il silenzio dura a lungo, di certo può durare più
della notte. Sif non può fare altro che tornare nel cono
d'ombra accanto alla porta e fissare Loki.
Lei e Loki sono sempre stati un'anomalia all'interno del loro mondo: la
fanciulla guerriera e il principe che amava le ombre. La donna che
combatte e l'uomo che sceglie la codardia delle arti magiche.
Il destino spesso si è scomodato per molto meno. Ma il
destino con loro è stato...
… cosa?
Crudele?
Ridicolo.
La risposta forse è in quelle stesse ombre che Sif si
rifiuta di guardare. La risposta ha smesso di interessarle da molto,
moltissimo tempo.
A volte si è chiesta se anche lui abbia cercato quella
stessa risposta ed è giunta alla conclusione che al dio
degli inganni quasi certamente non è mai importata neppure
la domanda.
Loki si siede in terra, il capo gettato all'indietro, contro il muro,
le braccia a penzoloni oltre le ginocchia. Il suo sguardo si fissa nel
vuoto e Sif lo vede volare via con la mente, concentrato su
chissà quale tetro pensiero; dev'esserci tanto tanto sangue
dietro le sue palpebre socchiuse. Le sue dita affusolate si muovono nel
vuoto, piegandosi e pizzicando l'aria, come quelle di un musico sulle
corde di uno strumento. Sif nota che anche la sua bocca si muove
appena, scandendo parole di una muta e disarticolata litania.
Qualcuno a palazzo dice che il principe sia impazzito. Sif crede che
Loki non abbia smarrito il senno, ma la sua mente si è
andata sfaldando a poco a poco, ferita dopo ferita.
Loki non è il genere di individuo che impara dai propri
errori.
Loki è stato un guerriero, un bravo guerriero, ma non ha mai
imparato come si porta una cicatrice.
Le mani del prigioniero smettono di pizzicare corde immaginarie e si
serrano a pugno. Poi lui lascia cadere le braccia in grembo e si guarda
attorno.
«Dimmi, Sif, che parte del giorno è
questa?» le chiede, dal nulla.
Per un attimo lei crede di aver capito male la domanda.
«Non lo sai?»
«Altrimenti non te lo avrei chiesto».
Certo, come potrebbe saperlo stando chiuso in una gabbia di vetro, in
una stanza senza finestre nell'ala più isolata e vetusta del
palazzo del re.
«Il sole è tramontato da parecchio» gli
dice.
«È notte».
Sif annuisce, ma non sa a che punto della notte si trovano. In quella
stanza le ombre non mutano. Non sa neppure se ha smesso di piovere.
«Non hai mai amato gli spazi chiusi» asserisce Loki
dopo qualche secondo.
Se volesse essere sincera e rispondergli con franchezza, dovrebbe
dirgli che non ama nulla di quella circostanza. Dovrebbe ammettere che
non ama neppure l'idea di vederlo dentro a quella gabbia.
All'inizio, quando quella follia aveva cominciato a prendere forma
sotto i loro occhi, Sif era stata furiosa con Loki, aveva intravisto
tra le sue dita lo scintillio della lama che avrebbe voluto calare alle
spalle di Thor. Aveva capito cosa stava succedendo dal momento in cui
l'aveva visto seduto su quel trono parlare a loro con aria di
sufficienza e con l'arroganza di chi si crede meritevole di una corona
senza essere degno di portare neppure una spada.
Aveva sentito un dolore quasi fisico quando era stata costretta a
inginocchiarsi di fronte a lui. Fandral aveva dovuto trattenerla per
evitare che si scagliasse contro il principe reggente che accampava
sciocche scuse per evitare il ritorno di Thor, il fratello maggiore, il
rivale, il beniamino del popolo. Il riflesso di ciò che Loki
aveva sempre desiderato senza essere capace di ottenerlo.
Si era sentita così disarmata e impotente, che avrebbe
distrutto a mani nude un'intera armata di Giganti.
Poi la follia si era tramutata in disgrazia. Con il Bifrost distrutto e
Thor a piangere più di una parte del suo cuore andato in
pezzi, Sif aveva dovuto ascoltare una verità che la rendeva
colpevole, come molti altri, di almeno una parte dell'accaduto.
Loki era sempre stato in errore nel suo modo di misurarsi con Thor. Ma
questa sua ostinazione nasceva da circostanze che il mondo attorno a
lui aveva fatto sorgere. Tutti loro ne erano responsabili in qualche
misura. Pochi di loro sono stati disposti ad ammetterlo e hanno
preferito indossare la maschera di un lutto ipocrita, aspettando
impazienti che il tempo trascorresse e lavasse via quell'alone dalla
loro bella città d'oro.
Sif vorrebbe essere saggia e sapere se i crimini di cui Loki si
è macchiato lo pongono al di là delle scuse che
meriterebbe per quegli errori che non sono suoi.
Ma lei è una guerriera, non lo conosce davvero il valore
delle scuse e non ne ha mai chieste in vita sua. Né
ricevute.
Livido dopo livido, taglio dopo taglio, Sif è diventata
ciò che è, ciò che voleva, forgiata
nel sangue e nel sudore, come un'arma, una bellissima arma. Non le
occorre essere altro.
E Loki, cosa voleva diventare lui? Cosa rimpiange quando quella luce
non gli dà neppure il conforto del buio?
«Il tempo» dice all'improvviso il prigioniero. E
sembra quasi una risposta alla domanda che lei si stava ponendo tra
sé e sé. «Il tempo è una
cosa di cui non mi ero mai preoccupato prima. È la nostra
più grande ingenuità, non trovi? Al di
là della nostra casa, interi mondi nascono e muoiono e noi
non lo sappiamo. Quante occasioni sprecate. Nessuno ci pensa
mai».
Sif non capisce – neppure vuole capire, pensandoci bene.
Forse quelli che dicono che Loki è impazzito hanno ragione.
Ad ogni modo, lui non sembra avere intenzione di voler tacere.
«Prendi Thor e la sua mortale» continua, fissando
il vuoto davanti a sé.
Pensa davvero di poterla tormentare con questa storia?
«Prendi loro... il tempo li separerà per sempre,
lui è un dio, lei no... la grandezza del nostro tempo
è la misura della nostra infelicità».
No, non sta tormentando lei, sta tormentando se stesso. E in qualche
modo Sif sente una rabbia che credeva sopita salirle dal cuore in
battiti sempre più serrati.
«Pensavo che era quello che ti stesse a cuore:
l'infelicità di Thor». Lo dice e subito se ne
pente: se quello fosse un duello, Sif avrebbe appena fatto la sua prima
mossa falsa.
«Ciò che pensi è sempre così
lineare...»
«Tuo fratello...»
«NON È MIO FRATELLO!». Loki lo urla con
una disperazione che dice fin troppo ma finisce col fare più
paura che male. Soprattutto adesso che ha fatto un balzo in avanti, con
le mani a picchiare sul vetro.
Sif lo guarda con occhi sbarrati; il viso contratto, i palmi premuti
contro la superficie trasparente. È più magro,
sottile, più spigoloso, ma sembra proiettare un'ombra
immensa. E quello che c'è dentro quell'ombra è
vertigine, la totale incapacità di resistere al vuoto mentre
si è sull'orlo del precipizio.
È ciò che una volta Sif ha amato. Non l'ha mai
detto neppure a se stessa, ma lo ha saputo e scordato e poi ricordato e
messo da parte, in quel buio dove stanno le cose che non si vuol
più vedere.
Sciocchi e vanesi sono i guerrieri che nascono le proprie cicatrici
invece che mostrarle al mondo, ma non tutte le cicatrici sono fatte per
essere mostrate.
Loki, stranamente, non sembra provare alcuna soddisfazione per averla
spaventata. Ma non sembra neppure pentirsene, né voler
abbandonare quella posa minacciosa, e in qualche modo sembra aver
capito a cosa lei sta pensando.
Sif capisce di aver fatto la sua seconda mossa falsa.
I palmi delle mani premuti contro il vetro sono bianchi come spettri...
fantasmi di carezze che la guerriera non ha mai avuto il tempo di
imparare a rimpiangere. Le carezze maldestre di una gioventù
spaventata e affamata.
Bianco, bianco come il riflesso del sole sulla spiaggia di rena candida
in riva al lago, forte da togliere la vista e i loro respiri che
emergevano da dentro quell'eccesso di luce. E dentro quel cercare
inutilmente lo stesso ritmo con la foga e l'incertezza del primo sesso,
riuscivano a sbiadire tutte le parole di scherno, tutte le insinuazioni
di chi credeva che una fanciulla non potesse essere una guerriera e di
chi pensava che un guerriero non dovesse conoscere la magia. Nel dolore
bruciante dell'innocenza che si lasciava violare, Sif si era immaginata
più simile a una donna che ad un'arma, aveva capito che
poteva essere entrambe le cose e si era sentita finalmente completa, si
era detta che non avrebbe mai avuto alcuna paura.
Un ricordo così traboccante di luce è difficile
da tenere confinato dentro le ombre.
Quando Sif torna a guardare Loki, non capisce a chi tocchi sferrare il
colpo, adesso.
Lui appoggia la fronte contro il vetro e sospira. Abbassa la guardia o
forse è solo una finta.
«Gli dei non sono fatti per essere felici»
dichiara, infine. «È questo che ci spinge a
lottare, credo, è per questo che se si accende della rabbia
o dell'amore nel nostro cuore, non si può spegnere fino a
quando non ci avrà consumato».
La guerriera lo guarda stringendo le labbra. Sente da lontano il
desiderio di appoggiare la fronte in direzione della sua fino a quando
i loro respiri non prendano lo stesso ritmo per dirgli, senza bisogno
di parole, che loro due non sono poi così diversi come lei
ha desiderato tanto ardentemente credere.
«Non esiste l'infelicità, esistono solo modi
sbagliati di cercare la felicità» ribatte la
giovane asgardiana.
Loki ride sommessamente. «Non illuderti di essere diventata
saggia solo perché hai imparato a ignorare il dolore del tuo
cuore spezzato». C'è un velo della consueta,
maliziosa cattiveria in quelle parole e nella sua espressione, quel
sottinteso di compiacimento che Loki ha sempre provato nel prendere
atto dei problemi e dei crucci altrui.
«Forse sei tu che sei sempre stato infelice»
suggerisce Sif, riuscendo a ostentare noncuranza. «E ti
gratifica pensare che anche gli altri lo sono e lo saranno
sempre».
«Io sono sempre stato uno con l'attitudine alla speranza, mia
cara. E stagione dopo stagione ho visto morire le mie speranze come
fiori sotto la neve. E solo quando non è rimasto altro che
gelo ho deciso che io non sarei morto con loro»
«E sei soddisfatto?»
«Verrà il giorno in cui lo
sarò».
Quella minaccia ha odore di ruggine e terreno, come il sangue, come il
vento su un campo di battaglia. Sif guarda Loki negli occhi e vede una
piana con un esercito schierato, vessilli neri che ondeggiano nel vento
e nubi fitte in un cielo irriconoscibile. E questa visione non le
provoca il brivido piacevole che la scuote all'inizio di ogni
battaglia, lei non ha alcun desiderio di ritrovarsi in quella mischia.
Ma è una guerra che giungerà un giorno, in un
modo o nell'altro, è una guerra che è
già cominciata anche se non assomiglia a quelle che Sif ha
combattuto in passato.
Le ombre si addensano dentro la sua mente, adesso. Vorrebbe dire a Loki
che, comunque sia, lei capisce. Che una parte di lei persino lo
rispetta in quanto nemico.
Vorrebbe dirgli che lei ha sempre compreso, ma questa sarebbe una
menzogna.
Se avesse capito da sempre, se avesse saputo ogni cosa, ora le ombre
non potrebbero farle alcun male e i ricordi sarebbero solchi
sull'argento dell'armatura che ogni fabbro potrebbe riparare.
«E il giorno dopo quel giorno, Loki, cosa te ne farai di te
stesso e della tua solitudine?» gli chiede. Non sa se
è un colpo sferrato o una semplice domanda.
Lui apre la bocca come per rispondere, lo sguardo acceso dall'ennesima
furbizia da tramutare in parole, ma poi inciampa nella sua stessa
esitazione e il lampo del suo genio si spegne. C'è qualcosa
sotto la maschera del dio degli inganni, dietro le ragnatele e dietro
ciò che si ostina a sembrare ciò che non
è.
Ed è quell'esitazione, un frammento di silenzio
più sincero di tutte le parole di ogni uomo giusto. Era la
curva dei suoi sorrisi da ragazzo e la mano che cercava quella di lei
sotto al tavolo dei banchetti o alla fine della loro prima battaglia.
«C'è sempre un prezzo da pagare» dice
infine.
Questo lo sa anche lei, ma sa che non sempre il prezzo vale la pena di
essere pagato. È su questo che la fanciulla e Loki sono
sempre stati tanto distanti.
Quando erano giovani lui era disposto a sopportare le punizioni di suo
padre o i rimproveri di sua madre, era capace di sopportare il malanimo
della corte, ma non avrebbe mai rinunciato ai suoi scherzi e al mettere
alla prova il suo talento di ingannatore.
In questo sono sempre stati così profondamente diversi: lei
non riusciva ad essere ciò che gli altri volevano; a lui non
importava affatto di esserlo.
Sif non sa quale delle scelte sia più vicina alla sconfitta.
Forse sono entrambe una vittoria, a loro modo. Quel tipo di vittoria
che non è degna di essere celebrata: nessuna vittoria merita
canzoni quando il nemico siamo noi stessi.
«Hai scelto di pagare un prezzo troppo alto» dice,
incapace di trattenersi.
«Mi pare un prezzo equo, anzi per certi versi persino
esiguo».
La giovane pensa che questa sia una menzogna, la riconosce con
chiarezza. Deve esserlo. Non può esistere un individuo
così privo di cuore, e se anche esistesse, non sarebbe Loki.
Perché Loki odia, e per odiare bisogna avere un cuore che ha
conosciuto l'amore.
«È solo quello che dici a te stesso per
consolarti».
Le sembra appropriato: il dio degli inganni vittima delle sue stesse
bugie. Non ci si può rotolare nel fango senza sporcarsi. E
un guerriero che non si sporca le mani non è un vero
guerriero.
«Da quando sei diventata così sentimentale, Sif? E
da quando ti sta a cuore la mia consolazione?».
Loki si volta e torna ad appoggiare la testa al vetro, ma stavolta
è di schiena e lei può vedere le sue spalle
sollevarsi e abbassarsi, scosse da una risatina odiosa.
Non gli fa rabbia il pensiero di ciò che poteva diventare se
non fosse stato così accecato dalla rivalità con
Thor? Non si accorge di quanto sbagliata sia la strada che ha scelto?
«Meritavi di meglio che questo. Se solo fossi stato capace di
apprezzarlo...» si lascia sfuggire la guerriera, ed
è un pensiero ad alta voce così superfluo da
farla sentire ridicola.
La verità è che da quando Loki si è
lasciato cadere nel buio dopo la distruzione del Bifrost, portandosi
dietro un pezzo del cuore di Thor, lei ha visto il suo mondo andare in
rovina poco alla volta. Non ci sono stati crolli di castelli in aria,
né pianti, né strilli. C'è stato solo
un velo di polvere che ha cominciato ad accumularsi, strato dopo
strato, su tutto ciò in cui Sif aveva sempre preferito
sperare, e lei ha lasciato quelle speranze a ricoprirsi di polvere,
desideri in disuso divenuti colonne di pietra fredda capaci di
proiettare ombre.
Asgard si è risollevata con fin troppa facilità
dalla perdita del principe cadetto e dalle paure che lui era riuscito a
far entrare nei loro cuori, quella consapevolezza che nessuno
è davvero al sicuro da nessuno, che un fratello
può rivoltarsi contro un altro fratello, che un figlio
può armarsi contro il proprio padre.
Asgard ha lavato via le macchie dalla sua veste di stelle e di oro, ha
riposizionato con stolida pazienza le luci nel posto giusto, una fiamma
per ogni ombra, un fuoco per ogni ricordo da trasformare in leggenda e
lasciar sfumare in qualcosa che tramonto dopo tramonto si è
sempre più allontanato dalla verità.
Loki non è un vero asgardiano, eppure Asgard gli assomiglia;
eppure in qualche modo lui è riuscito a darle il suo volto.
Ad un'anima meno nera e meno tormentata, questa apparirebbe
giù una conquista.
Non importa. Non più.
La parola
nemico
pesa come piombo nella mente della giovane guerriera, è una
parola asciutta di sangue e sudore, è come un'incisione su
una lapide.
Sif guarda le spalle di Loki contro il vetro, i capelli incolti, i
fianchi troppo magri. Sembra una porta chiusa, sbarrata per sempre.
Forse il suo buio è privo di ricordi e le uniche luci che
riesce a vedere sono quelle di un destino avverso dal quale si
lascerà spogliare fino all'ultimo brandello di cuore.
E la sua voce di ragno e di uomo spezza il silenzio, proprio quando
ormai tutte le parole sembravano dette.
«Sei in errore, Sif» mormora, voltandosi a
guardarla. «Sei in errore se credi che non ci sia niente che
abbia apprezzato nella mia vita in questo posto o se pensi che io creda
di aver avuto meno di quanto meritassi. Non è
così, non è sempre stato tutto
così».
Il fendente va a fondo, un colpo pulito e preciso. Sif sente i suoi
pensieri sanguinare, un dolore acuto strisciare dal buio e dalle ombre
e grattare via la superficie dell'armatura. Dietro al suo scudo da
guerriera c'è una donna, una donna sciocca come tutte le
altre donne.
Prova a dirsi che non deve prestar fede a quelle parole, ma non ci
riesce.
Prova a cercare qualcosa da dire, pensa che il duello sia ancora in
corso e lei non ha mai perso una battaglia in vita sua.
«No, non è sempre stato tutto
così». È tutto quello che ha da dire,
una verità che trascende i loro ruoli in quel nuovo scenario
di guerra. Una verità che persino il dio dell'inganno
può riconoscere e sostenere.
Loki lascia cadere le braccia lungo i fianchi e sembra quasi un gesto
di resa, come se in quello strano duello avesse finalmente deciso di
abbassare la guardia e lasciarsi colpire, anche se il colpo vincente
era stato lui a sferrarlo. Forse perché dentro di
sé ha lame che lo tormentano più di ogni parola e
di ogni ricordo.
Forse sta solo fingendo per indurla a deporre le armi a sua volta.
Oppure è stanco.
Sif allunga una mano a toccare il vetro della cella, non sa
perché, è un gesto che le viene automatico.
Poi, anche nel silenzio di quell'ala dimenticata del palazzo arriva il
rombo del tuono a far tremare le pareti, e la guerriera ha un sussulto.
«Il figlio di Odino è tornato» dice
Loki, gettando un'occhiata di scherno alla mano di Sif rimasta a
mezz'aria, a qualche centimetro dalla parete della cella.
E il suo sguardo è di nuovo quello feroce di una belva in
trappola. Fa di nuovo solo paura.
Ciò che poteva essere è andato perduto tanto
tempo prima, le ombre se lo sono preso e ne hanno fatto rimpianto. Il
tempo ha preso il rimpianto e ne ha fatto buio.
Buio: assenza di luce.
Assenza.
Sif non sente la porta aprirsi, ma sente la voce di una delle guardie
che chiama il suo nome.
«Lady Sif, è l'alba. Sono giunto per darvi il
cambio».
La guerriera allontana con un battito di ciglia ogni ombra dal suo
sguardo e torna a calarsi nel proprio ruolo.
Forse Loki le ha insegnato più cose di quanto è
disposta ad ammettere. Di certo, le ha insegnato a scegliere da che
parte stare e prestar fede a quella decisione. E dopo questa notte, le
ha insegnato anche che ogni prezzo da pagare è solo una
questione di punti di vista.
«Il principe Thor è tornato?»
«Sì, lady Sif»
«Sta bene?»
«È illeso, my lady».
La guerriera dondola il capo in un cenno di assenso e fa per dirigersi
verso la porta e lasciare la stanza.
Sente lo sguardo di Loki su di sé, quasi pungerle la pelle.
Mentre ascolta l'eco dei propri passi contro il pavimento della grande
sala adibita a prigione, Sif si chiede se ci voglia più
coraggio a voltarsi verso di lui un'ultima volta o a continuare a
camminare senza guardarlo.
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Note:
Non.Ha.Nessn.Tipo.Di.Senso. I know!
L'ambientazione è un ovvio riferimento a quanto ci
è stato mostrato nel trailer di The Dark World.
Sif è un personaggio a cui voglio molto bene e guardando il
film su Thor ho sempre avuto l'impressione che tra lei e Loki ci fosse
qualcosa di personale e irrisolto, al di là della cattiva
reputazione di cui il dio degli inganni gode agli occhi degli altri
asgardiani e del fatto che a quel punto della storia lei corra dietro a
Thor, e da qui è nata la convinzione che nel loro passato ci
sia stata una sorta di relazione finita male. Del resto, ho sempre
trovato Sif e Loki accomunati dal fatto di essere dei
“diversi” nel contesto di Asgard, ognuno a modo
proprio, e nella mia testa c'è tutto un mondo su loro due
come “coppia” (virgolette grosse come pentapalmi,
si intende).
Ecco perché questa storia. Ecco perché mi piace
scrivere di loro e perché spero di farlo ancora, se
la fatina bizzosa dell'ispirazione sarà d'accordo.
Titolo e citazione iniziale trafugati da una canzone di Tom
Waits.
Ringrazio chiunque abbia letto.
Pareri, commenti e critiche sono sempre ben accetti.
Per domande o curiosità:
Profilo Ask.
Al prossimo giro di penna ^^
Alkimia