Prima di iniziare valgono i
soliti DESCLAIMERS:
I Tokio Hotel non sono
di mia proprietà. Gli altri personaggi invece
sono frutto della mia
testolina, spero di averli resi interessanti…
Inoltre ciò che è
narrato in questa storia è frutto della mia fantasia. Ogni
riferimento a fatti realmente avvenuti, o a persone realmente esistenti
è puramente casuale (Tokio Hotel esclusi, visto che loro si
sa che esistono ^_^).
Buona lettura (spero!)
10 anni dopo: NUOVE VITE
“Le parti
contraenti accettano e stipulano quanto segue…”
Non mi toglievo il vizio
di borbottare quello che scrivevo a computer. Era un rituale che,
solitamente, mi permetteva di concentrarmi; quel giorno era inutile.
Andai alla finestra a
guardare gli uomini e le donne che si aggiravano indaffarati nella city
londinese.
Appoggiai una mano sul
vetro e, nel farlo, mi soffermai ad osservare la fedina che da dieci
anni stava sul mio dito medio.
Papà aveva
cercato tante volte di estorcermi informazioni sull’uomo
della chitarra, ma non mi ero mai sentita pronta per parlargliene;
così continuava ad essere “l’uomo della
chitarra”.
“E’
permesso?” chiese la mia segretaria, infilando la testa
nell’ufficio.
“Vieni Sally,
cosa ti serve?” le domandai, riscuotendomi dai miei pensieri.
“Solo un paio
di firme su questi documenti. Poi ha chiamato suo padre: chiedeva come
prosegue l’ acquisizione della scuderia, però non
ha voluto che la disturbassi.”
Firmai i documenti e
glieli restituii, congedandola.
Il padre di Frida era
entrato a far parte del magico modo della Formula1, grazie
all’ acquisizione di una scuderia; io mi ero occupata della
transazione che si sarebbe conclusa il mese successivo, nonostante il
campionato fosse già iniziato.
Chiamai mio padre per
ragguagliarlo, e lui mi rammentò l’appuntamento a
cena per la sera.
“Sai che tua
madre ci tiene: ora che non va più a tutte le sue feste e
serate di gala non le resta altro che sfogarsi su di noi!” mi
disse ridacchiando.
“Va bene
papà, e ricorda che verrà anche Allen;
è molto giù da quando…bhè,
lo sai.”
“Tranquilla!
Non vedo l’ora che siate qui! Ciao piccolina!”
“A
più tardi!” lo salutai e chiusi la conversazione.
Mi sedetti alla
scrivania, per riprendere la stesura della bozza di contratto cui stavo
lavorando da ore ormai, ma lo squillo del telefono mi interruppe
nuovamente.
“Che
c’è Sally?” chiesi, abbastanza scortese.
“Chiedo scusa,
so che non voleva essere disturbata, ma è una telefonata
importante.” Disse la mia segretaria, l’unica che
sapeva tenermi testa anche quando ero davvero arrabbiata.
“I
dettagli?” domandai secca.
“Ubriachezza
molesta: l’accusato è una star della musica.
Arrestato e rilasciato su cauzione. Al telefono
c’è il suo agente.”
Fantastico…da
quando il Sun mi aveva messo tra le 10 donne più influenti
del Regno il mio studio era diventato punto di riferimento di star ed
importanti imprenditori; anche se io continuavo ad accettare casi di
patrocinio gratuito: aiutare i meno fortunati era il motivo per cui
avevo studiato legge, ed essere tra i migliori Barristers della Gran
Bretagna non mi distoglieva dal mio obbiettivo.
“Passamelo”
mi arresi.
Dopo un attimo di attesa
udii un click…dovevo essere in collegamento con il
fantomatico agente.
“Studio
Associato Grosvenor & Michaels. Sono Sophie Grosvenor, cosa
posso fare per lei?”
“Non vorrei
discuterne per telefono. E’ possibile incontrarci in pausa
pranzo?”
“Potrebbe
andar bene, ma preferirei sapere con chi parlo.” Risposi
risoluta.
“La prego non
posso, va bene alle 13 nel suo ufficio?” fu la richiesta del
misterioso interlocutore.
“Va bene, alle
13 nel mio ufficio.”
Un secondo click mi
avvertì che la conversazione era stata chiusa.
Fantastico!
L’ennesima pausa pranzo in ufficio: avvisai Allen che il
nostro appuntamento per il pranzo era saltato, e lo pregai di passare
dall’ufficio prima di tornare a casa.
Erano le
11…la famosa bozza di contratto ora poteva avere la mia
attenzione.
Alle 12.50 rimasi da
sola in ufficio, e decisi di concedermi un caffè.
La mia pausa fu presto
interrotta: la porta d’ingresso era stata aperta; il mio
cliente misterioso doveva essere arrivato.
Mi guardai nello
specchio a parete che occupava un angolo della sala riunioni: il
tailleur grigio era a posto, e anche la camicia azzurra; ravvivai i
capelli, che ora portavo lunghi fino alle spalle e
lisci…impeccabile, come al solito.
Mi diressi verso
l’ingresso. Avrei dovuto accogliere il cliente da me, visto
che erano andati tutti a mangiare.
Quando lo vidi il mio
cuore esplose, poi perse un battito, in memoria dei tempi passati. Lo
studiai un attimo e, quando lui si accorse di me, non mi
riconobbe…in effetti in dieci anni ero cambiata non poco.
Mi avvicinai sorridendo,
e allora forse cominciò a sospettare qualcosa.
Quando fummo vicini i
nostri occhi si incatenarono e, a quel punto, meravigliato, disse in un
sussurrò “Sophie?”
“Tom!”
mormorai io, incredula.
Ci guardammo a lungo
prima che i nostri piedi decidessero di condurci una nelle braccia
dell’altro.
Mi staccai, cercando di
essere il più professionale possibile, e dissi
“quanto tempo! Vieni, andiamo nel mio studio.”
“Aspetta!”
disse lui prendendomi per un polso e fermandomi “Sta
arrivando anche Cristopher.”
“va bene, mi
farà piacere rivederlo.” Risposi io.
Tom non mi staccava gli
occhi di dosso e, ad un certo punto, disse “Sei cambiata, ma
sei ancora più bella di come ti ricordavo sai,
Angelo?”
Dio come mi era mancato
quel soprannome…
“Tu invece sei
sempre quello, a parte i rasta.” Dissi cercando di non
lasciare trasparire l’emozione che provavo.
“Ho dovuto
tagliarli e rifarli…una vera seccatura.” Disse
sfiorando un dread: ora superavano di poco le spalle ed erano
più sottili di un tempo.
Gli sorrisi.
Erano passati molti anni
ma, in quel momento, mi sembrava di non essere mai partita da
Otterwisch…quante cose avrei voluto dirgli…
“Sophie!”
il grido mi distolse dall’oggetto dei miei pensieri: era
arrivato Cristopher.
“prima di
abbracciarti devo dirti che Charlotte ti saluta, e che Bill, Georg e
Gustav ti mandano un bacio. Ora tocca a me: bentrovata
Sophie!”
“Buongiorno
Cristopher! Sono felice di vederti.” Dissi tendendogli la
mano che lui strinse con vigore, prima di attirarmi a se e abbracciarmi.
“Toglimi una
curiosità: al telefono non eri tu, vero?” chiesi
al manager con tono inquisitorio.
“In effetti
no. Pensavo che mi avresti riconosciuto, e così ho fatto
chiamare un mio assistente” confessò lui.
Dopo i saluti ci
accomodammo nel mio studio, dove fui aggiornata sulla disavventura di
Tom.
Alla fine del racconto
di Cris notai che il chitarrista teneva lo sguardo basso: doveva essere
davvero imbarazzato.
“Fortunatamente,
a parte esserti messo a cantare a squarciagola, non hai fatto molto
altro. Secondo me l’ideale è patteggiare: scuse e
risarcimento dei danni. Non è conveniente andare in causa,
se le cose sono andate davvero come mi ha detto Cristopher.”
Fu il mio consiglio legale.
Tom annuì, ed
il manager mi chiese se accettavo formalmente il caso; acconsentii e,
dopo aver firmato le carte necessarie, chiamai il bar per ordinare
tramezzini e bibite.
Poi cominciammo a
parlare di quei dieci anni…
Cristopher e la zia
avevano adottato due bambini, ma questo lo sapevo perché ero
rimasta in contatto con zia Lotte.
Di Tom e della band,
invece, sapevo poco; così Tom mi spiegò che, dopo
l’Europa, si preparavano alla conquista degli Stati Uniti:
avrebbero aperto alcuni concerti dei Red Hot Chili Peppers.
“Ma
è splendido…i Red Hot…sai che li
adoro, vero? Sono i migliori, e sono felice che vi abbiano scelto.
Quindi hai coronato i tuoi sogni.” Dissi al bel chitarrista
che, durante la chiacchierata, aveva continuato a torturarsi il
piercing al labbro.
“Già,
e anche tu, vedo.” Osservò lui.
“Ragazzi io
purtroppo devo andare: ho delle faccende da sbrigare e non posso
trattenermi oltre. Tom, ci vediamo in albergo. Sophie, è
stato un piacere!” disse porgendomi la mano.
“Anche per me
Cristopher, a presto, spero!” risposi stringendogli la mano.
Chiamai la mia
segretaria, e le chiesi di accompagnare Cris.
Tom ed io, dopo tanto
tempo, eravamo di nuovo soli…era una cosa davvero strana.
Cercai di rompere il
giaccio che si era creato con l’uscita di Cristopher
“E gli altri come stanno? So che Bill e Frida si sono
lasciati, ma sono sempre in contatto; poi però non so
altro!”
Io e Frida avevamo
deciso di non toccare l’argomento Tokio Hotel:
all’inizio perché per me era davvero doloroso, e
poi perché le nostre vite erano diventate così
frenetiche che avevamo troppo da raccontarci e l’argomento
era passato in secondo piano.
Tom distese le labbra in
un dolce sorriso, e prese a raccontarmi.
“Gustav si
è fidanzato con Hanna, te la ricordi, vero?” me la
ricordavo bene: non avevamo più avuto modo di sentirci,
nonostante le promesse, e quindi non ne sapevo nulla.
Annuìì, e lui riprese “Dopo Colonia
hanno cominciato ad uscire insieme, poi lei si è laureata ed
è entrata nel nostro entourage. Ci segue da più
di cinque anni, ed è la nostra tour manager e traduttrice:
conosce 6 lingue alla perfezione. Inoltre due anni fa hanno convolato a
nozze.”
“Ma
dai?” commentai stupita…avevo contribuito a
formare una coppia di sposi! “E Georg?” lo incalzai
curiosa.
“Lui
è single. Ha avuto storie con un sacco di belle ragazze, ma
le ha mollate tutte. Lo stesso vale per Bill che passa da una modella
all’altra, ma poi si annoia perché nessuna
è come tua cugina. Frida è l’unica
donna che, in un modo o nell’altro, è nella sua
vita da 10 anni: si sentono e si vedono, ma sono entrambi troppo legati
alle loro rispettive vite…”
“Lo
so…E tu Tom?” chiesi guardandolo negli occhi.
“Io sono
sempre il solito: suono tutto il giorno e se non suono scrivo qualcosa.
Le donne non fanno più parte della mia vita da un
po’…dieci anni all’incirca.”
Rispose lui senza abbassare lo sguardo.
Rimasi stupita; pensavo
che dopo la mia partenza, prima o poi, avrebbe ricominciato la sua
vita. Invece aveva davvero deciso di cambiare
radicalmente…incredibile.
Dovette accorgersi,
dalla mia espressione, di quanto fossi rimasta colpita, così
aggiunse “Ammetto che qualche storia l’ho avuta, ma
erano tutte stelle cadenti; in più i giornali mi hanno
affibbiato almeno il doppio dei flirt che ho davvero avuto.”
“Tranquillo,
non leggo quei giornali.” Dissi ridendo.
“Ah, ecco
perché non sapevi nulla di noi. Da quando il nostro successo
in Europa è arrivato all’apice le nostre faccine
appaiono praticamente dovunque…”
commentò lui, tirando un sospiro di sollievo.
“Mi spiace, ma
con tutto quello che ho da fare riesco a malapena a leggere i
quotidiani. Però ho seguito la vostra carriera: ho tutti i
vostri cd, compreso il singolo di “Angel”, e a
volte mi capita di vedere qualcosa su MTV.”
“Ti
è piaciuta “Angel”?” chiese
lui, fissandomi negli occhi con aria seria e dolce allo stesso tempo.
“Piaciuta?”
presi un telecomando dal cassetto della scrivania, e feci partire lo
stereo che stava su un mobile, vicino all’ingresso del mio
ufficio. Nell’aria si diffusero le note di una splendida
ballad.
“And
everytime I look into your eyes I find your love, and that’s
what saves me from drowning into my everyday life. Hold me tight,
don’t let me go, and please Angel, help me jumping
now!”
Con lo sguardo perso nel
vuoto presi a spiegare “Ormai quel cd è consumato.
La ascolto in ogni momento perché sentire la tua voce
è come infilarmi in una vasca di acqua bollente piena di
schiuma: mi rilassa e mi tranquillizza ed è per questo che
la sento prima di ogni udienza.”
Era l’unica
canzone dei Tokio Hotel incisa con Tom alla voce; ne avevano fatto un
singolo, ma non avevano realizzato alcun video, e non era in nessun
album.
Non la eseguivano mai
durante i concerti e, durante un’intervista, avevano chiesto
a Tom il motivo. Lui aveva risposto che era troppo personale, e
l’avrebbe cantata solo se avesse scorto Angel tra la folla.
Il brano parlava di una
ragazza, Angel, e di un ragazzo al quale lei aveva cambiato la vita, ma
poi era andata via, per permettergli di godere della sua nuova vita. Si
concludeva con una bellissima preghiera:
“don’t throw
that ring away, Angel, ‘cause every time you touch it I feel
the wind on my face, and I know you’re nearby.”
“Sono
felice che ti sia piaciuta tanto.” Disse lui
“L’ho scritta…”
“L’ultimo
giorno che abbiamo passato insieme scommetto. La mattina della mia
partenza Cris mi ha detto che gli avevi consegnato una canzone la sera
prima.” Lo interruppi io, ricordando quel particolare.
Lui, stupito rispose
“Ci sei andata vicina, sai? In realtà
l’ho scritta sul camper…mentre tu dormivi. E sono
contento che tu mi abbia ascoltato: non te la sei mai tolta,
vero?” domandò, accennando alla fedina. Scossi la
testa…non l’avevo mai tolta dal medio della mano
destra.
“Perché
non mi parli di te Sophie? A parte il fatto che sei un brillante
avvocato e che, secondo il Sun, sei una delle donne più
influenti del Regno non so altro. Che hai fatto in questo
decennio?”
Gli raccontai
dell’ avventura londinese, delle nostre camere affittate nel
giro di una settimana a prezzi ben più alti delle nostre
aspettativa, e del mio lavoro. “Insomma, come hai notato
anche tu ho coronato il mio sogno; inoltre…”
Non riuscii a finire la
frase. La porta si spalancò, ed entrò un piccolo
tornado, inseguitola Sally ed Allen. “Mamma!”
Bloccai il piccolo
ciclone, e lo sgridai per aver disobbedito a Sally ed Allen, e alla
regola “mai entrare in ufficio, se la porta è
chiusa.”
Poi però non
riuscii a resistere e, quando mi guardò con i suoi occhioni
castani, chiedendomi scusa, gli posai un bacio sulla fronte,
scompigliandgli i biondi riccioli.
“Alexander,
questo è un amico della mamma. Si chiama Tom Kaulitz, e
suona la chitarra in un gruppo che la mamma ti fa ascoltare abbastanza
spesso.” Spiegai con pazienza al bambino che aveva guardato
Tom con aria curiosa e, allo stesso tempo stranita.
Si avvicinò
al musicista e, tendendogli la mano, disse “Cavoli, ma lei
è Tom dei Tokio Hotel. Piacere! Io sono Alex; sa che so
suonare alcune delle vostre canzoni? Mi ha insegnato il
nonno.”
Tom sorrise al bambino e
strinse la mano che, nella sua, sparì praticamente.
“Scusa Tom, ma
tornando da scuola, se sono in ufficio, si ferma a salutarmi. Mi spiace
per l’interruzione.” Dissi al chitarrista cercando
di scusarmi.
“Figurati
Sophie! E’ sempre un piacere conoscere un chitarrista in
erba. E dimmi, Alex, qual è la tua canzone
preferita?” chiese Tom al bambino con gentilezza.
Alex mi
guardò, come per chiedermi il permesso e, al mio cenno,
rispose “Break Away”!! Però non la so
ancora suonare perché è difficile.”
“Cavoli! Ma
sai che è la canzone che mi diverto di più a
suonare? Quando l’avrai imparata la suonereme insieme, ti
va?” propose Tom lasciando di stucco il bambino che,
ripresosi dopo qualche attimo, grido un “Siii!”
così forte che fummo costretti a tapparci le orecchie.
Alex corse ad
abbracciarmi, e poi fu la volta di Tom: gli si aggrappò al
collo e, quando riuscii a staccarglielo di dosso era così
agitato che lo mandai con Sally a bere dell’acqua.
Restammo soli io, Tom ed
Allen che si fece avanti tendendo la mano “Piacere di
conoscerti, Tom. Sophie parla spesso di te, sai? Io sono
Allen!”
Tom ricambiò
la stretta sorridendo, ma in evidente imbarazzo, poi ci disse
“Vostro figlio è molto simpatico,
complimenti!”
Io scoppiai a ridere, e
Allen fece altrettanto. Tom assunse un espressione stranita e, dopo
qualche minuto, Allen gli spiegò il motivo delle nostre
risate.
“Guarda che
Alex è figlio solo di Sophie. Io, lei e mia sorella Liz
viviamo a Londra tutti insieme; ma per il bambino posso essere al
massimo uno zio!”
“Uno
zio?” l’inglese di Tom, che era stato costretto a
parlare dopo l’arrivo di Alex e Allen, era migliorato, ma non
era perfetto. Forse temeva di non aver capito.
Allen allora
proseguì la sua spiegazione “Nel senso che aiuto
Sophie con Alex quando è troppo presa, ma per il
resto…non c’entro nulla!”
“Ah, ok.
Quindi non state insieme?” mi chiese Tom e io ripresi a
ridere; quindi Allen dovette correre in mio soccorso di nuovo.
“Stare insieme? Noi due? Saranno dieci anni che nessuno ce lo
chiede più! Comunque no, anche perché io ho
altri…gusti. Anzi, hai impegni per stasera?”
chiese al bel chitarrista che diventò paonazzo.
“Allen!”
lo rimproverai io. “Tom è etero, e non puoi
provarci con lui, nel mio ufficio poi! Senti ora vai a casa, e affida
Alex alla tata. Ci vediamo a cena dai miei: alle sette e mezza al
cottage.”
“Va bene! Ciao
Sophie e, Tom, è stato un piacere conoscerti, scusa se ti ho
messo in imbarazzo.” Si congedò e io restai di
nuovo da sola col bel chitarrista.
Ci accomodammo di nuovo
e lui mi chiese “Quanti anni ha Alex?”
Il momento della
verità, Sophie, pensai dentro di me. I segreti non possono
essere tenuti per sempre: prima o poi la verità viene a
galla.
Abbassai lo sguardo e
gli dissi “Alex ha quasi dieci anni.”
Sentivo lo sguardo di
Tom su di me, anche se non lo stavo guardano. Probabilmente anche lui
stentava a credere alle idee che stavano prendendo forma nella sua
testa; poi si decise a chiedermelo.
“E il
padre?”
Chiusi gli occhi e,
pregando che non si arrabbiasse, risposi “E’ un
chitarrista tedesco che mi ha fatto passare un week-end
indimenticabile, e l’arrivo di Alexnder Thomas l’ha
reso ancor più indelebile.”
Silenzio.
Silenzio.
Dopo qualche minuto
aprii gli occhi e quello che vidi mi fermò il cuore. Tom mi
sorrideva e…piangeva.
Mi rilassai un poco, ma
quando lui si alzò il mio cuore accelerò il
battito.
Oltrepassò la
scrivania e posò una mano sul bracciolo della mia poltrona,
e l’altra sulla scrivania, inchiodandomi allo schienale.
Si abbassò
sul mio volto e, in un soffio, disse “Stai cercando di dirmi
che quel piccolo è il mio Angioletto?”
Non so dove trovai il
coraggio di non abbassare mai lo sguardo e di rispondergli
“Ufficialmente è solo mio ma, ufficiosamente,
è…nostro.”
Mi fece alzare dalla
poltrona e mi abbracciò con foga: erano dieci anni che
aspettavo quell’ abbbraccio e, in quel momento, ero quasi
scioccata.
Dopo qualche attimo mi
ripresi e risposi alla sua stretta.
Abbassando il volto
cercò il mio orecchio e mi sussurrò
“Ora pensi che sia possibile stare insieme? Dieci anni fa
avevamo un motivo per separarci, e tu hai cresciuto da sola questo
bambino per permettermi di vivere il mio sogno. Ora Sophie ti chiedo:
vedi un motivo per cui dovremmo separarci di nuovo?”
Non sapevo cosa
rispondergli: in tutti quegli anni passati a fare l’avvocato
avevo imparato che la via giusta, di solito, è quella della
ragione, non quella del cuore. In quel momento però, col
cervello completamente scollegato, non sapevo cosa fare. Decisi di
seguire il suggerimento di quello che, nella nostra storia, mi aveva
permesso di avere gli attimi migliori: il cuore.
“No, vedo solo
mille motivi per stare insieme, finalmente.”
E dopo una lunga
separazione le nostre labbra si ricongiunsero in un bacio nuovo,
diverso. Era molto più maturo, consapevole e non
c’erano incertezze.
Quando ci separammo le
mie guance erano rigate di lacrime, e Tom non riusciva a smettere di
sorridere e baciarmi il volto e le mani.
Due adulti, ma
sembravamo due adolescenti rimbambiti, alle prese col loro primo amore.
Dopo qualche minuto, in
cui riscoprimmo il piacere di stare di nuovo vicini, dissi a Tom
“Vorrei che venissi a cena con me dai miei stasera, ma prima
desidererei dire ad Alex la verità.”
“Vuoi che ci
parliamo insieme con lui?” propose il chitarrista. Annuii e
lui mi strinse ancora più forte.
“Ora abbiamo
un nuovo sogno, ed è un sogno comune. Non trovi che sia
splendido, Angelo?”
“E’
semplicemente meraviglioso, Tom.”
Ci salutammo, dandoci
appuntamento alle sei e mezza alla mia casa di Londra. Uscii presto
dall’ufficio: avevo la tata altrove e non sarei stata in
grado di combinare altro che disastri.
Non sentii nemmeno la
mia segretari che mi chiamò e mi inseguì fino
all’ascensore gridando il mio nome…
“Mamma!
C’è il signor Tom!” urlò Alex
dall’ingresso.
“Arrivo
subito. Fallo sedere in biblioteca, per favore.”
Liz mi posò
una mano sulla spalla: era stata con me tutto il pomeriggio, e aveva
condiviso con me la gioia di quel fortunato giorno.
“Ora vai , e
stai calma Sophie. Io scappo oppure Leonard mi strozza!”
disse uscendo dalla mia stanza.
“Stai uscendo
ancora con lui?” chiesi stupita.
“Un record,
vero?” disse lei voltandosi.
“Decisamente.
Trattalo bene perché è uno dei miei migliori
avvocati e non voglio che cada in depressione per colpa tua!”
la minaccia, mentre finivo di truccarmi.
“Tranquilla,
questo non lo mollo!” gridò lei, dal corridoi.
“Grande
giornata dell’amore oggi!” commenti parlando da
sola.
Dopo qualche minuto
raggiunsi la biblioteca e, quello che vidi mi scaldò il
cuor: Alex teneva in mano la chitarra, e Tom gli mostrava come mettere
le dita sulla tastiera dello strumento.
“Vedi
“Break Away” è difficile
perchè devi essere veloce a cambiare la posizione delle
dita. Se imparerai tutti gli accordi per bene poi sarà solo
questione di allenamento.” Spiegò Tom con pazienza
al bambino che annuì vigorosamente.
Sembravano
già sulla stessa lunghezza d’onda, ora non mi
restava che sperare che Alex prendesse abbastanza bene la notizia che
stavamo per dargli.
Entrai nella stanza,
salutandoli. Tom fece per alzarsi, ma gli feci cenno di restare
lì, accanto ad Alex.
Presi una sedia,
l’avvicinai al divano dove erano accomodati e mi sistemai di
fronte a mio figlio. Lo guardai negli occhi e restai stupita dalla sua
sensibilità quando mi chiese “Mamma,
c’è qualcosa che non va?”.
Appoggiai una mano sulla
sua gamba, per rassicurarlo e, sorridendo, gli risposi “No,
però c’è qualcosa di cui io e Tom
vorremmo parlarti.”
Il bambino
spostò lo sguardo su Tom che gli disse
“esatto…ci sono alcune cose che la tua mamma ed io
vorremmo dirti.”
Il mio angioletto
tornò a fissarmi con quegli occhi così dolci,
ereditati dal padre, e io presi a spiegargli “Vedi, ti ho
sempre detto che il tuo papà era dovuto andare via
perché aveva una importante missione da svolgere.”
Alex annuì, e io continuai “Bene. Devi sapere che
il tuo papà è riuscito a raggiungere il suo
obbiettivo, ed ora vorrebbe tornare da te e da me. Sei
d’accordo, Alexander?”
Mi guardò
corrucciato, poi fissò gli occhi in quelli, identici, di Tom
e disse “Quindi il mio papà…”
Tom gli sorrise
rassicurante e spiegò “sono io, Alex. E, se lo
vorrai, tu, io e la mamma potremo stare insieme, d’ora in
avanti.”
Alex lo
scrutò qualche attimo e rispose “Prometti che non
andrai mai più via?”
“Mai
più.” Gli assicurò Tom.
“E mi
insegnerai a suonare la chitarra?” aggiunse il bambino, le
cui labbra cominciavano a piegarsi in un dolcissimo sorriso.
“La mamma e il
nonno sono stati ottimi insegnanti e la chitarra la sai già
suonare. Però, se vorrai, ti insegnerò a suonare
Break Away!”
A quel punto Alex gli
saltò letteralmente in braccio gridando “sono
contento che tu sia tornato, papà!” Tom,
sollevato, guardò oltre le spalle del bambino, fino ad
incrociare i miei occhi pieni di lacrime. Ero davvero felice: il primo
passo era stato fatto e, visto che mio padre sosteneva che il lavoro
dei genitori sia rendere felici i propri figli, sembravamo a buon punto.
Mandai Alex a cambiarsi
per la cena, e gli chiesi di avvertire anche Allen, così
restai sola con Tom.
Lo osservai. Era
cresciuto, non solo fisicamente, ma anche dentro. Era maturo, e sarebbe
stato un ottimo padre per Alex. Quella sera indossava un completo blu
leggero, ed una camicia a righe azzurre…era magnifico.
“dove sono
finiti i tuo abiti xxxl?” gli chiesi sorridente.
“Ormai non
sono più un ragazzino…ho 28 anni e
l’abbigliamento da rapper lo riservo per il palco e le
esibizioni…normalmente vesto in modo un po’
diverso ora. Tu invece…” osservò,
soffermandosi sull’abito di seta cotta a maniche lunghe che
indossavo, “Sei sempre elegante. Sei così bella
che mi togli il fiato: dieci anni fa eri splendida, ma
ora…non ho parole.”
Arrossii e sorrisi
felice; lui invece continuò a parlare “domani sera
faremo un concerto alla Wembley Arena. Questi sono pass per la zona
v.i.p.. sono otto, ma per me è importante che ci siate tu,
Alex e i tuoi genitori.” Disse porgendomi una busta bianca.
Io la presi e la posai
sulla scrivania, rivolgendogli poi un radioso sorriso “Ci
saremo tutti. Dopo tanti anni ho proprio voglia di sentirvi dal vivo.
Ti confesso che, ogni volta che siate stai in Inghilterra per un
concerto, ho avuto la tentazione di venirvi a sentire. Poi
però ho desistito: non volevo forzare la mano al destino
perché ci eravamo fatti una promessa. Ma ora sono stata
premiata!”
Sfiorai le sue labbra
dolcemente e mi staccai giusto in tempo: dopo un attimo Alex ed Allen
irruppero in biblioteca pronti per la cena e affamati come due lupi.
“E non dire ai
nonni di Tom, ci penso io!” raccomandai ad Alex,
rassettandogli il colletto della camicia. Poi fu la volta del colletto
di Tom, ed Allen suonò il campanello, ridendo.
Ci aprì una
cameriera, dietro la quale comparvero subito i miei, che furono
prontamente stritolati da un abbraccio del loro amato nipotino.
“Che cosa
succede, Alexander?” chiese mia madre al bambino che per lei
era stato inatteso, ma che non aveva esitato ad adorare sin dal primo
istante. Grazie a lui avevamo ricucito i rapporti, ed eravamo tornati
ad essere una famiglia.
Quando era nato Alex io
dovevo ancora finire gli studi, e così mia mamma aveva
pensato a tutto: mi aveva trovato una splendida tata e spesso veniva a
trovarmi, per darmi una mano.
Mio padre, come al
solito, mi aveva dimostrato da subito pieno appoggio, felicissimo
all’idea di diventare nonno.
Alex si fece da parte, e
fu il turno di Allen che salutò i miei con affetto; il padre
non l’aveva ancora riammesso in famiglia, ma lui non si era
dato per vinto. Era diventato uno degli architetti più
stimati di Londra ed era stato accolto nella mia famiglia quasi come un
secondo figlio.
Infine toccò
a me…”Ciao papà, mamma. Tutto
bene?”
“Ciao
piccolina!” rispose mio padre abbracciandomi; mia madre,
invece mi salutò con un sorriso ed un bacio sulla guancia.
“Vorrei
presentarvi una persona” dissi loro spostandomi per
permettergli di vedere Tom, che era rimasto dietro di me.
“Lui è Tom Kaulitz.”; poi, rivolgendomi
al chitarrista dissi “Tom, loro sono i miei genitori: Lady
Rose-Mary, e Sir Paul Grosvenor.”
Lui fece un elegante
baciamano a mia madre e strinse la mano di mio padre,inchinando
rispettosamente il capo; poi aggiunse “Lieto di fare la
vostra conoscenza.”
Mio padre, in tedesco,
gli rispose “Lo siamo anche noi, Signor Kaulitz. Gradirei
conversare con lei in tedesco, ma abbiamo ospiti che non lo
comprendono, e sarebbe scortese.”
“La ringrazio,
ma parlare inglese, vista la mia pronuncia pessima, non può
farmi che bene, Sir.” Rispose Tom, sorridendo.
Mia madre lo guardava
affascinata; quando si riscosse mi prese sottobraccio e mi
trascinò letteralmente in cucina, comunicando agli ospiti
“Vogliate scusarci, ma la cucina ci reclama; mio marito
farà gli onori di casa.”
Arrivate nel locale mi
lasciò il braccio e, ignorando la presenza di Pauline, la
cuoca, che disponeva arrosto e patate su un piatto da portata, mi
chiese “Da dove salta fuori questo qui?”
“E’
un amico che ho conosciuto in Germania, e che è in
Inghilterra per qualche giorno.” Risposi, restando sul vago.
“Sophie,
andiamo, sono tua madre: non penserai che ti possa credere! E comunque
è molto educato e parla decentemente inglese, solo quei
capelli…” osservò lei.
“Mamma quei
capelli sono parte di lui; ad ogni modo sono felice di sapere che ti
piace…” risposi maliziosa.
“Non
è quello che ho detto” provò a
contraddirmi, ma ormai sapevo tenerle testa “mamma, andiamo,
sono tua figlia: non penserai che ti possa credere!” dissi
uscendo dalla cucina.
Gli uomini stavano
prendendo un aperitivo nel salone; Tom sembrava a suo agio: parlava con
mio padre, ovviamente di chitarre, e Alex li ascoltava rapito.
Notai che
c’era un altro ospite: un uomo sulla trentina, coi capelli
biondi dal lungo ciuffo, che gli nascondeva un occhio, ed un simpatico
pizzetto. Allen mi fece cenno di raggiungerli, e mi presentò
Paul.
“Paul
è un grafico, e sta curando una campagna pubblicitaria per
tuo padre. Me l’ha presentato perché pensa che
vada bene per il lancio della mia nuova collezione di sedie.”
Mi spiegò Al.
Quando poi Paul si
allontanò per prendermi un Martini Al mi confidò
“credo che sia gay: tuo padre è davvero
mitico!”
Tirai un sospiro di
sollievo e dissi “Meno male! Per un attimo ho temuto che
fosse una della proposte “un marito per Sophie” di
Lady Grosvenor!”
La voce di mia madre che
ci richiamava per la cena interruppe la conversazione.
Dopo il dessert mio
padre propose un brindisi “a questa splendida serata, alla
collaborazione tra Allen e Paul, e all’uomo della chitarra
che ho finalmente potuto conoscere.”
Fortunatamente non avevo
ancora bevuto, altrimenti avrei fatto una doccia ad Al, che mi stava di
fronte. Mi chiesi come potesse aver capito; poi mi ritrovai a pensare
che, dopotutto, era pur sempre mio padre…
“Papà,
mamma, c’è una cosa che vorrei dirvi”
iniziai. Poi, notando gli sguardi imbarazzati di Allen e Paul, feci
loro segno di stare pure seduti e ripresi “Vi ho sempre
promesso che, a tempo debito, mio figlio e voi avreste conosciuto
l’identità dl padre di Alex. Alexander lo sa
già, e ne è entusiasta, e spero che anche voi
sarete felici di sapere che, il padre di mio figlio è Tom.
Abbiamo deciso che dieci anni dedicati ai nostri sogni possono
bastare.” Mio padre e mia madre erano basiti e Tom,
approfittando del silenzio aggiunse “Ora vorremmo dedicarci
ad un sogno comune: stare insieme ed essere una famiglia. Gradiremmo
avere il vostro appoggio.”
Mia madre prese a
singhiozzare, mentre mio padre, dopo avermi guardata negli occhi a
lungo rispose “So che anni fa l’hai resa felice;
scegliere di separarvi allora e stata una scelta giusta,
così come lo è quella di stare insieme che state
facendo oggi. Benvenuto nella nostra famiglia, Tom.”
“Di qua
mamma!! Dai, corri! Nonno, nonna sbrigatevi, e anche voi datevi una
mossa!” urlò uno scatenato Alex che guidava il
gruppo verso la Wembley Arena. Non stava più nella pelle:
era il suo primo concerto e non vedeva l’ora di sentire il
padre suonare.
“Ti calmi per
favore? Siamo in anticipo di un’ora” gli disse Liz,
che si trascinava dietro uno stranito Leonard: avevamo scoperto che era
un fan della band, e si era dimostrato sconvolto dall’idea di
lavorare per la compagna del chitarrista dei Tokio.
Allen aveva invitato
Paul al concerto. Il loro primo appuntamento…
Mia madre e mio padre
erano buffissimi; da secoli non li vedevo più in jaens e
scarpe da ginnastica.
Arrivammo
all’ingresso v.i.p. dove, esaminati i nostri pass, ci
scortarono ai posti che ci erano stati riservati: dirimpetto al palco,
sopra la tribuna stampa.
“Non ci posso
credere! Guarda chi c’è!”
gridò mia madre; seguendo il suo dito notai che mi indicava
qualcuno, nel nostro stesso settore: zia Lotte e Frida, con due
bambini, più o meno dell’età di Alex.
Corsi incontro a quelle
due pazze e le abbracciai, sull’orlo delle lacrime, urlando
“Sono così felice di vedervi! Non sapevo di
trovarvi qui!”
“Nemmeno noi,
scusa, ma come…” iniziò Frida che fu
prontamente interrotta da zia Lotte. Cris le aveva spiegato la storia,
in parte, e così ragguagliammo l’ignara Frida.
La zia
presentò Hans e Marie ai miei, che non conoscevano i bambini
che aveva adottato con Cristopher; io invece avevo già avuto
modo di incontrarli.
“Lui invece
chi è?” chiesero Frida e la zia, indicando
Alex…risposi a bassa voce e velocemente, sperando che non mi
sentissero “Lui è Alexander, il figlio mio e di
Tom.”
“Che
cosa?!” mi investirono le voci di entrambe. Mi sedetti e
cominciai a spiegare la storia.
“So che mi
odierete, ma non potevo dirvelo e rischiare che Tom lo venisse a sapere
prima del tempo. Avevamo un patto: solo il destino avrebbe potuto
riportarci insieme. Così, visto i vostri frequenti contatti
coi ragazzi ho preferito nascondervelo. Ora però vogliamo
stare insieme; Tom è felice di essere padre e Alex lo adora;
idem i miei!”
“Sono felice
per te!” disse zia Lotte, e anche Frida si
dimostrò d’accordo.
Richiamai Alex e gli
presentai Frida, Charlotte, Hans e Marie; alla fine lui
sbalordì tutti esclamando “Allora tu sei la zia
Frida!! La mamma dice che sei mitica, e io volevo tanto conoscerti! E
poi mi parla sempre anche di te, zia Lotte…dice che senza di
te non sarei mai nato!!”
Il concerto e
l’urlo della folla interruppero le nostre chiacchiere.
Ci alzammo tutti in
piedi per vedere meglio e, quando attaccarono, proprio con
“Break Away”, Alex impazzì letteralmente.
L’esibizione
prosegui a ritmo frenetico per più di un’ ora e
mezza. Bill era come al solito magnetico; Gustav aveva fatto passi da
gigante, e anche Georg era diventato un impeccabile bassista.
Tom…erano indescrivibili le emozioni che mi scatenava
dentro, con la sua Les Paul.
Dopo una breve pausa Tom
tornò sul palco, da solo, e attaccò a suonare.
“Angel…”
sussurrai io, incredibilmente felice e commossa.
Il pubblico
andò in estasi: sapevano perché non la suonava
mai e, probabilmente, si stavano chiedendo tutti che cosa, proprio
quella sera, lo spingesse ad eseguire quel pezzo.
Io non riuscivo a
smettere di sorridere e piangere allo stesso tempo. Terminata la
canzone Tom prese il microfono e spiegò “Sapete
tutti perché non suono mai “Angel”.
Questa sera però l’ho fatto, e spero che non mi
biasimerete se userò questo momento per una cosa un
po’ personale. Dieci anni fa, in Germania, quando il nostro
successo cominciava ad uscire dai confini di casa nostra, conobbi una
persona che ebbe il coraggio di spronarmi a seguire i miei sogni,
nonostante significasse separarci. Ora l’ho ritrovata e
c’è una cosa che vorrei dirle, e spero che voi
sarete felici per me.” Fece una breve pausa durante la quale
mi cercò e, quando mi trovò, fissò gli
occhi nei miei: non era vicino, ma potevo sentire quello sguardo. Poi
riprese a parlare “Sophie, Angelo, dopo dieci anni di
lontananza ci siamo ritrovati e, anche se non ce lo siamo ancora detti,
sappiamo di amarci ancora come allora, per cui ti
chiedo…vuoi sposarmi?”
Mi aspettavo fischi e
cori poco gradevoli; invece le fan cominciarono ad applaudire, e ad
urlare il suo nome, come per incoraggiarlo e sostenerlo.
“Idea
originale!” commentò mia madre, ma io non riuscivo
a staccare gli occhi da quell’uomo magnifico che si era
persino inginocchiato sul palco.
A quel punto, da dietro
le quinte, una voce, che sembrava proprio quella di Bill,
cominciò ad intonare un “Sophie, Sophie,
Sophie…” cui ben presto si unì tutta
l’Arena.
Affidai Alex a Frida e
cominciai a scendere le scale, raggiungendo la platea. Mi spostai,
camminando il più possibile vicino alle transenne, e
raggiunsi il palco. Sullo schermo c’era ancora Tom
inginocchiato, e il pubblico continuava ad urlare il mio nome.
La guardai di sicurezza
mi chiese se fossi io…domanda retorica: chi altri poteva
chiedere di salire sul palco, se non la legittima destinataria di
quella richiesta? Tutte avrebbero voluto essere chieste in moglie da
Tom, ma chi avrebbe avuto la faccia tosta risalire sul palco per
sentirsi dire dal chitarrista “non sei tu!”?
“Si, sono
Sophie!” dissi alla guardia che mi sollevò di peso
appoggiandomi poi davanti alle scale che permettevano di accedere al
palco.
Salii e mi avvicinai a
Tom: il silenzio calò sul’Arena, e il rasta parve
ridestarsi.
Mi vide, ed un sorriso
smagliante comparve sul suo volto.
Mi porse una scatolina,
aperta: era un anello, vero, questa volta.
La mia risposta non
tardò a venire “Si, Tom Kaulitz, ti
sposo.”
Mi mise
l’anello e mi sollevò da terra, facendomi roteare
per aria. Il pubblico riprese ad applaudire, ma a noi sembrava di
essere soli in quel posto.
Io, lui, e il nostro
nuovo sogno. Questo era tutto ciò che mi interessava.
Sul palco ci raggiunsero
anche gli altri componenti della band che si congratularono con noi.
Poi Bill prese il
microfono e scherzò col pubblico “Un altro membro
del gruppo felicemente sposato. Niente paura però: io e
Georg restiamo sempre disponibili!” Ci fu un boato,
dopodiché chiesi il microfono a Bill.
“Vi rubo solo
un secondo. Innanzitutto grazie per essere stati così
gentili. Prometto che lo tratterò coi guanti, e lo
spronerò a suonare sempre; perché la musica e i
fan sono parte integrante della sua vita. Ora però godetevi
il resto del concerto.” Salutai i ragazzi e diedi un lungo
bacio a Tom; poi fui scortata al mio posto, dove tutti si dimostrarono
felici per noi.
Cris, a fine concerto,
ci accompagnò nei camerini, dove era stato allestito un
buffet per i ragazzi.
Alex, Hans e Marie
attaccarono il cibo; io presentai Allen, Paul, Liz e Leonard alla band,
e fui felice di riabbracciare Hanna.
Ora era la moglie di
Gustav, ma restava la ragazza semplice e gentile che avevo conosciuto
quando ero ancora piccola; a giudicare da quanto vedevo doveva essere
incinta.
Gustav me lo
confermò, felicissimo, mentre abbracciava la moglie.
“Oggi
è proprio una giornata di sorprese, a quanto pare”
commentai, congratulandomi con Hanna.
“Direi di
si!” rispose Gustav, aggiungendo poi “sono davvero
felice per te e Tom, sai?”
“Ti ringrazio
davvero, Gustav. Io invece sono felice di avervi fatti
conoscere!”
“Non ti
ringrazierò mai abbastanza” disse il biondo,
poggiandomi una mano sulla spalla “e sappi che io ho fatto il
bravo, come mi hai raccomandato. L’ho perfino sposata prima
di metterla incinta!”
Si prese uno schiaffetto
affettuoso dalla moglie e tutti e tre cominciammo a ridere. Erano
davvero felici, e Gustav era così dolce con
lei…sarebbero stati una bella famiglia.
In lontananza notai Tom
che mostrava le sue chitarre ad Alex che lo seguiva come un cagnolino.
Georg interruppe i miei
pensieri, salutandomi con un bacio sulla guancia, e dicendo
“Sono felice per voi, Sophie. Vi meritate una bellissima vita
insieme. Io ho cercato di tenerlo allegro, sai? Però il
sorriso che ha ora…erano dieci anni che non lo
vedevo.”
“Grazie Georg.
So di averti affidato un compito non da poco, e so anche che ti sei
dato da fare per tenermelo allegro.” Dissi guardando verso il
mio bel chitarrista.
Bill ci raggiunse e mi
salutò scherzosamente strepitando
“Cognatina!!”
Io e Georg scoppiammo a
ridere e lui serio aggiunse “Guarda che è un
colpo, sai? Trovarsi con un nipote e con una quasi cognata nel giro di
2 giorni! Però è una cosa bellissima. Tuo figlio,
poi…è una forza. Se fossi in te non lo lascerei
tanto con suo padre…rischi che lo travi!”
Sorrisi a Bill, mentre
Georg ci salutò per raggiungere Cris e i bambini che
dovevano adorarlo, considerate le feste che gli fecero Marie e Hans.
Rimasi sola col cantante
che, serio, mi disse “Ti sono debitore, Sophie. Ti devo una
parte del nostro successo perché, se Tom non ti avesse
conosciuta, certe canzoni non le avrebbe mai scritte; e ti devo anche
parte della mia felicità: il consiglio che hai dato a Frida
di non legarci in modo fisso ci ha permesso di vivere ogni attimo
insieme al massimo, senza recriminazioni, e senza aspettative per il
futuro che avremmo rischiato di deludere. Sei davvero preziosa per me e
anche per tutti noi.”
Lo abbracciai,
profondamente grata per le parole che mi aveva detto, e risposi
“Anche io però devo ringraziarti per aver aiutato
Tom, e per aver portato la band fino in Inghilterra,
cosicché io potessi riabbracciare tuo fratello.”
Passammo
un’allegra serata insieme, e andammo via così
tardi che i bambini si erano ormai addormentati davanti alla
PlayStation con Georg.
Tom mi
accompagnò a Londra, e fu la nostra prima notte insieme,
dopo la lunga separazione.
“Perfetta,
come me la ricordavo”
“Cosa?”
chiesi a Tom, sfinita, appoggiando la testa sulla sua spalla.
“La nostra
sintonia.” Disse lui, contro le mie labbra, mentre mi baciava
con l’infinita dolcezza che lo aveva sempre contraddistinto.
“Ti amo
Tom.”
“Anche io,
Sophie.”
N.d.A.
Sono arrivata
alla fine…come avrete notato non ho potuto cedere al fascino
dell’happy ending! Spero che vi sia piaciuta la storia che ho
scritto; io mi sono divertita molto a scrivere di Tom, Sophie, Liz,
Frida, Bill,…
Vi avverto che mi sono
così tanto presa a cuore la storia che ho aggiunto una
specie di “conclusione” che però
posterò come storia a parte; il titolo sarà: IMPARANDO
A VOLARE: ARIA DI FESTA! (fantasioso, vero?).
Sperò che avrete voglia di leggere ancora qualche avventura
di questo strampalato gruppo!
Ringrazio tutti quelli
che, nel corso della storia, hanno lasciato una recensione (anche chi
ne ha lasciata una sola…sono state tutte piacevoli da
leggere, e mi hanno dato l’incoraggiamento giusto.), e tutti
quelli che hanno aggiunto "imparando a volare" tra i preferita. In
particolare ringrazio chi ha recensito l’ultimo capitolo:
Frehieit489:
E come poteva mancare una tua recensione? Spero che la tristezza
lasciata dal capitolo precedente sia stata spazzata via con questo
capitolo! Sono felice di aver reso l’idea del legame forte
che c’è tra i due, nonostante il poco tempo che
hanno avuto…Per le situazioni familiari…la
verità è che io sono orrendamente precisa,
quindi, prima di scrivere, ho creato una specie di story board che mi
ha aiutato a non perdere per strada le cose…Non
mancherò di continuare a leggere e recensire la tua fiction,
prometto. Grazie per gli auguri, anche se il mio anno è
iniziato con la febbre…spero continuerà meglio!!
A presto!!
GodFather:
ecco pronto il prologo! Sono contenta che tu abbia compreso le
“scelte” di Sophie…in effetti non potevo
lasciare in sospeso le cose a Londra! Mi fa piacere che anche i
personaggi di mia invenzione, oltre a quelli già
(fortunatamente) esistenti, abbiano avuto successo, almeno per te. Come
puoi notare qua si parla di un concerto…un piccolo preludio
del concerto di Torino, che ci vedrà
tipo…schiantate sotto il palco? :D In bocca al lupo per
tutto, e spero di ritrovarti per “aria di
festa”…ammetto che ho fatto troppa fatica ad
abbandonare questa fiction, e ho dovuto scrivere questa
“cosa” in più! Grazie per tutti i
commenti!
Spero che mi concederete
qualche riga anche per
ringraziare i personaggi reali che mi hanno ispirato questa fiction:
Mia Madre:
l’esatto opposto di quella di Sophie; il suo carattere
è servito a creare la fantastica zia Lotte. Sperando che
trovi anche lei un po’ di serenità!
Le mie Fride e la mia Liz:
le migliori che esistano…vi adoro.
Le Martha Harris, i Tristan e gli
Hermann: tutti quelli che ho conosciuto nella mia vita e
che ho incontrato alle feste di beneficenza…facessero
beneficenza al mondo diventando persone serie forse sarebbe meglio!
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