DODICESIMO
CAPITOLO
Sguazzare
nell'erba bagnata era una delle cose che odiava fare di più e
se non poteva chiamarsi amicizia quella,
non sapeva cos'altro avrebbe potuto definirsi tale. Era stata
costretta a legare i capelli, perché quel tempaccio umido li
avrebbe sicuramente ridotti ad una sorta di panettone natalizio, se
solo li avesse lasciarti liberi di cadere sulle spalle come al
solito. Il grigio scuro del suo trench invernale faceva coppia con lo
stesso colore dell'ombrello, che a sua volta si sposava perfettamente
con il cielo plumbeo che quel giorno dominava i cieli inglesi.
Ma
perché per arrivare alle serre bisogna per forza passare in
mezzo all'erba? Visto che c'è, Lake potrebbe anche mettersi a
costruire un maledetto sentiero di ciottoli o roba simile!
Ebbene
sì, quella mattina Morgana si era alzata con tutte le
intenzioni di andare a parlare con quello stoccafisso che era il
ragazzo di Gwen. Aveva voluto sempre farlo dal giorno
dell'esplosione, ma tra lo studio e Duirvir che la stalkerava, aveva
dovuto continuamente rimandare. Com'era ovvio che fosse, Gwen non
sapeva nulla di quell'iniziativa (non fosse mai che si potesse
pensare che Morgana stesse facendo qualcosa di carino per qualcuno)!
Voleva sapere fino a che punto l'instabilità mentale di
Lancelot fosse grave e se lo avesse ritenuto sin troppo pericoloso
per una come la riccia, avrebbe cercato il modo di farla ragionare e
spostare i suoi occhioni cioccolatosi su qualche altro partito;
cercare di far allontanare due persone non era forse tra i metodi più
ortodossi da adottare in amicizia, ma quello era il suo modo di
dimostrare che ci teneva: o lo si apprezzava, oppure no, con Morgana
vie di mezzo non ce n'erano.
Quando
vide la struttura semi distrutta delle serre farsi sempre più
vicina, controllò attorno che non vi fosse quella bestia
infernale di Attila. Non le piacevano i cani e dopo aver visto cosa
aveva rischiato il sedere di Lancelot per ben due volte di fila,
aveva deciso che ancor di più era quel
cane a non piacerle. Quando raggiunse l'ingresso delle serre, chiuse
l'ombrello e scavalcò i resti della porta, adocchiando il
pavimento cosparso di piccolissimi pezzi di vetro; era un miracolo
che Lancelot non se ne fosse ritrovato nessuno conficcato negli occhi
o nel cervello! Alcune povere piante avevano foglie e fiori
bruciacchiati, per non parlare del terriccio costellato di calcinacci
ed altre macerie.
Qui
dentro è successo l'Armageddon. E Lancelot crede di essere
sfigato? Se lo fosse stato sul serio sarebbe stato espulso oltre che
morto! Io dico che è maledettamente fortunato!
Il
rumore di un martello che batteva attirò la sua attenzione
oltre una fila di piante sempreverdi che le nascondevano alla vista
una buona porzione di spazio; facendo un cauto slalom tra i resti di
organismi viventi, semi viventi, morti o mai vissuti, si avvicinò
sino a sporgersi oltre le fronde: Lancelot stava inchiodando alcune
tavole di legno, reggendo dei chiodi tra le labbra. Dal modo in cui
fissava il martello, con la fronte corrugata, doveva trovarsi in una
fase di massima concentrazione.
Il
lato malvagio di Morgana iniziò a stuzzicarla.
Quasi
quasi gli faccio prendere un infarto mentre cala il martello.
La
sua coscienza rediviva cercò di farla ragionare.
Sei
qui per Gwen, potrai sempre fare la prepotente in un altro momento.
Con
un sospiro, attese che Lancelot ebbe dato un paio di colpi al chiodo
puntato sulla tavola, prima di attirare la sua attenzione con un
breve fischio. Lake alzò la testa e la osservò
sorpreso: era evidente che non l'avesse minimamente sentita entrare.
Mise giù il martello e tolse i chiodi dalla bocca.
"Ehi
Morgana" esclamò, abbozzando un sorriso, "Cosa ci
fai qui?"
Lei
si strinse nelle spalle e si guardò attorno con aria piuttosto
interessata, cercando di dare una valutazione approssimativa ai danni
che li circondavano.
"Passavo
per vedere come te la stavi cavando" commentò con
semplicità ed allungò la punta dell'ombrello per far
rotolare un sassolino poco distante.
Lancelot
abbassò le maniche della maglia che aveva tirato su fino ai
gomiti e la guardò con un certo smarrimento.
"Davvero?"
il suo tono trasudava scetticismo: lui non aveva mai avuto chissà
quale grande rapporto con Morgana; lei era semplicemente la
sorella di Arthur e
l'amica
di Gwen.
"Sì"
annuì lei, con un sorriso eccezionale, "Ed anche per
chiederti cosa diavolo ti passava per la testa quando hai deciso di
far saltare in aria questo posto"
Il
ragazzo non rispose subito, poiché fu letteralmente
ipnotizzato dal movimento sfarfallante che avevano le ciglia di
Pendragon Femmina; alla fine, lei fu costretta a schioccargli le dita
sotto al naso per riportarlo alla realtà.
"Eh?"
"La
serra"
"Eh"
"E'
esplosa!"
"Sì..."
"Perché?"
Grattando
la base del collo con un mano, Lancelot abbassò lo sguardo e
temporeggiò. A qualcuno voleva spiegare le sue motivazioni,
perché l'idea che lo considerassero tutti un pazzo esaltato
non è che lo facesse urlare dalla gioia.
"Volevo
fare... una cosa..."
"Sì,
questo l'avevo capito. Che cosa?"
"Una
cosa per Gwen..."
"Del
tipo farla morire di paura per quello che sarebbe potuto accaderti?"
Morgana
alzò l'ombrello e glielo puntò contro il petto come se
fosse un'arma; lo sguardo di Lancelot risalì su quello per
tutta la sua lunghezza, prima di fermarsi sul volto della sua
carnefice: un paio di occhi acquamarina lo fissavano come fosse stato
un esperimento da laboratorio.
"Voglio
sapere di cosa si tratta Lake e voglio saperlo adesso. Dimmelo!"
Quel
tono perentorio e la pressione della punta dell'ombrello sulla pelle,
gli fecero inumidire le labbra secche con la lingua e fare un gran
sospiro.
"Devo
chiederle di sposarmi!"
Morgana
restò di sasso. Sgranò gli occhi e schiuse la bocca,
completamente sbigottita! Almeno questo finché il cervello non
elaborò nello specifico la curiosa scelta di parole che
Lancelot aveva deciso di usare.
"Devi?"
"Sì!
No, cioè, voglio!"
"Vuoi?"
"Sì!"
"Allora
perché hai detto devo?"
"Perché..."
si bloccò, non sapendo bene come continuare. Avrebbe dovuto
raccontare tutte le vicende mostruosamente assurde che l'avevano
portato a prendere quella decisione? Morgana gli avrebbe creduto o
l'avrebbe semplicemente trapassato da parte a parte con l'ombrello? E
a proposito di ombrelli, quando il suo silenzio si prolungò un
po' troppo, la punta tornò a farsi sentire al centro del
petto.
"Allora?!"
lo incalzò Pendragon Femmina, riducendo gli occhi a due
diaboliche fessure.
"Ho
fatto un patto con suo padre. Gli ho promesso che l'avrei sposata
entro la fine dell'anno ed è quello che intendo fare! Sempre
se è ciò che vuole anche lei..."
Deve
volerlo. Io la amo, lei è il mio mondo! Se dovesse dirmi di no
mi lascerò divorare da Attila. Pezzo dopo pezzo. La mia vita
non avrebbe più senso! Non che ora ce l'abbia, certo.
"Hai
fatto un patto con quello psicopatico di suo padre? Ma allora non
fingi di avere problemi mentali, ce li hai sul serio!"
Lancelot
aprì la bocca per dire qualcosa in sua difesa, prima di capire
che sarebbe stato del tutto inutile. Quindi la richiuse.
"Così
è a questo che servivano i fuochi d'artificio!"
ricominciò Morgana, elaborando la situazione con tutti gli
elementi raccolti, "Volevi chiederglielo quella sera! Ma
qualcosa è andato storto, non è vero?"
Lancelot
emise uno sbuffo di risata "Come al solito" aggiunse,
facendo della nera ironia, oscura come la notte più profonda.
"E
quando intendi riprovarci?"
Tornando
a prendere chiodi e martello, Lake le fece segno di avvicinarsi.
"Hai
un po' di tempo da perdere? E' una cosa piuttosto lunga..."
"Ho
sempre tempo da perdere per questo genere di chicche"
L'informazione
è potere!
*
Era
diventato un chiodo fisso, da ore non riusciva che pensare a
nient'altro. Si stava forse ammalando? Aveva contratto qualche virus
virale? Ma sopratutto, esisteva una cura? Guardò ciò
che Emrys aveva dentro il piatto, senza vederlo realmente. Al
contrario di quello che potreste pensare, ciò che stava
martoriando il suo cervello da mattina a sera non era il profumo che
aveva sentito il giorno prima; il chiodo fisso che non riusciva a
scacciare, sedeva davanti a lui e si stava ingozzando di uova,
formaggio e toast alla marmellata.
Lo
accusano tutti di non mangiare abbastanza. Il fatto è che
quasi nessuno sa la verità. Mangia come un maledetto trita
rifiuti e non mette su un grammo. Ma io lo so.
In
realtà Arthur Pendragon si era casualmente accorto di sapere
un bel po' di cose sul conto di quel Merlin Emrys che il giorno prima
se l'era data a gambe levate e quel giorno stesso, quando l'aveva
incrociato per i corridoi, l'aveva invitato a fare colazione con lui.
Per esempio, Arthur sapeva che Merlin era geneticamente portato ad
essere un ritardatario cronico; sapeva che non gli piaceva poltrire
troppo a lungo e che pensava molto più di quel che diceva.
Arthur aveva scoperto che Merlin voleva riuscire in qualsiasi cosa
facesse e l'impegno che metteva nello studio, nell'amicizia, nella
vita, era pari a quello di pochissime altre persone. Arthur aveva
visto con i suoi occhi come Merlin non sapesse mai dire di no a
nessuno, pure se certe volte si faceva un po' pregare; aveva notato
come preferisse studiare all'aperto quando c'era il sole e come, a
mensa, evitasse qualsiasi tipo di carne e di pesce. Non poteva ancora
spiegarsi come facessero le sue enormi orecchie a sembrare così
appropriate su quella testa arruffata o come riuscissero a diventare
viola in diverse occasioni, ma era un evento che lo affascinava.
Aveva notato come Merlin preferisse passare inosservato, piuttosto
che essere al centro dell'attenzione; eppure gli piaceva stare in
compagnia delle altre persone, fare parte di un gruppo: voleva fare
l'uno dei tanti, non il leader. Ad Arthur questa cosa faceva venire
voglia di sorridere, perché con le qualità che
quell'idiota aveva, avrebbe potuto benissimo esserlo. Un leader, si
intende. Eppure con lui aveva sempre recitato la parte del
consigliere, dimostrandosi molto più saggio e lungimirante di
quanto lui fosse mai stato o avrebbe potuto essere. Emrys non l'aveva
mai trattato come 'Arthur Pendragon, il figlio di...' ma sempre e
solo come 'Arthur, l'asino imbecille'. Se prima sentirsi dare
dell'asino l'aveva irritato (perché non esisteva
giustificazione per quel comportamento irriverente nei suoi
riguardi), con il passare del tempo aveva visto cosa c'era dietro:
una persona che gli diceva ciò che si meritava. Solo sua
sorella si era presa tutte le libertà che Merlin si era preso
e questo all'inizio lo aveva disorientato. Arthur sapeva che Merlin
era un tipo piuttosto mattiniero e che aveva il sottile, sadico
piacere di rincoglionire la gente di chiacchiere già dalle
sette solo per puro diletto personale. Ma durante il resto della
giornata, quando le persone avevano il cervello decisamente più
attivo, Merlin smetteva di essere logorroico e spesso parlava solo se
interpellato. Arthur aveva notato anche come Merlin prestasse
interesse solo allo studio, agli amici e mai alle ragazze e si era
chiesto perché.
"Ne
vuoi?" domandò il diretto interessato, spingendo il
piatto con i toast verso di lui. Pendragon Maschio scosse la testa e
si rigirò tra le mani la tazza di caffè.
"Sicuro?
No perché li stai fissando da tipo dieci minuti"
"Mi
ero solo incantato..." si giustificò allora, mandando giù
un sorso della bevanda divenuta tiepida.
"Su
cosa?" domandò Merlin, cercando di ficcare almeno mezzo
toast tutto nella bocca. Arthur lo guardò con le sopracciglia
inarcate, non sapendo se cedere e mettersi a ridere oppure provare
sempre più inquietudine per la quantità assurda di cibo
che quell'essere riusciva ad ingurgitare.
E'
quasi peggio di Gwaine... Quasi, perché quello lì non
potrà mai essere superato in nessun modo. Non da altri esseri
umani per lo meno.
Con
le guance gonfie come quelle dei criceti Merlin lo fissò,
masticando allegramente come fosse solo al primo boccone.
"Non
puoi pretendere di avere una conversazione con me se hai quella
faccia!" Arthur voltò la testa da un lato e Merlin non
capì perché sembrasse così a disagio.
"Quafe
faffia? Quefta è la mia faffia! Non ho affe faffe!"
"Non
parlare con la bocca piena, stai sputacchiando!"
"E
fu non mi offenfefe!"
"Che
cosa?! No, aspetta, non voglio saperlo! La vista di quello che stai
masticando mi è già bastata"
A
quel punto Merlin appoggiò i gomiti sul tavolo, sorresse il
mento con i palmi delle mani e lo fissò apertamente, con
un'insistenza imbarazzante; le dita lunghe racchiudevano le guance
gonfie di cibo e le palpebre si chiudevano a malapena.
E
ora che gli prende? Perché si è imbalsamato?!
Per
riflesso Arthur si tirò indietro con la schiena e lo guardò
di rimando con fare guardingo.
"Che
c'è?!"
"Non
lo fo, diffelo fu" rispose Merlin, prima di inghiottire parte
del malloppo e ritornare quindi ad avere una faccia un po' meno
deforme.
Pendragon
Maschio sentì l'impellente desiderio di ribaltare il tavolino,
afferrarlo per i capelli e scrollarlo come un lenzuolo.
Io
dovrei essere quello che dovrebbe dire cosa c'è che non va?
IO? Se vuol mettere alla prova la mia pazienza ci sta riuscendo!
Merlin
sembrò intuire i suoi pensieri solo guardandolo, perché
smise di masticare e fece finta di interessarsi alle mosche che
volavano fuori la finestra vicina. Purtroppo per lui, che per
l'ennesima volta si era scavato la fossa da solo, Pendragon Maschio
non era tipo da lasciar perdere le cose; se all'inizio lo aveva
fatto, aveva poi deciso che continuare con quella politica non gli
stava più bene. Arthur mise su un'espressione da gnorri totale
e ripagò il moro con la stessa moneta: iniziò a
fissarlo insistentemente, come cercasse di trapanargli il cervello.
Il suo sguardo divenne talmente intenso che Merlin iniziò ad
avvertire un leggero pizzicore all'altezza della tempia destra.
Cercando di risultare più casuale possibile, gli lanciò
un'occhiatina con la coda dell'occhio e ciò che vide sul volto
dell'altro gli creò un sacco di disagio. Quando tornò a
guardare le mosche fuori dalla finestra, si guadagnò un secco
e risentito calcio sotto il tavolo, che lo beccò dritto sullo
stinco. Merlin spalancò gli occhi e lo guardò con viva
indignazione.
"Ahio!"
esclamò scioccato, non credendo a quello che era appena
successo.
"Stai
prendendo la brutta abitudine di ignorarmi e la cosa non mi piace"
lo sovrastò allora Arthur, incrociando le braccia contro il
petto, "Nessuno può ignorarmi. Fino ad ora ho cercato di
essere gentile, mi sono limitato alle parole. Adesso, per ogni volta
che farai finta di niente quando ti chiederò qualcosa, verrai
maltrattato. A te la scelta, Merlin"
Se
possibile, gli occhi del moro divennero ancora più grandi ed
Arthur cercò di imitare la sua assurda espressione facciale,
tanto per rimarcare il fatto che no, non stava scherzando.
"Perché
te la stai prendendo con me ultimamente?" domandò allora,
massaggiando il punto che Pendragon Maschio aveva colpito.
"Perché
non vuoi dirmi il motivo che ti spinge ad avercela tanto con me"
replicò l'altro, come fosse la cosa più ovvia del
mondo, spalancando le braccia con eloquenza.
Merlin
raggrumò le labbra e schioccò la lingua sul palato:
"Fai così con tutti quelli che non vogliono essere tuoi
amici?"
Arthur
aprì la bocca per rispondere, poi si rese conto che non sapeva
cosa
rispondere, quindi la richiuse. Fissò il moro con
un'espressione piuttosto interdetta e sentì la ruota del
criceto che aveva nella testa al posto del cervello, iniziare a
cigolare.(1) Era mai stato così insistente con altre persone?
La risposta che gli balenò per prima, lo fece muovere a
disagio sulla sedia, come avesse le pulci.
"Merlin!"
Distolti
entrambi da quell'analisi clinico-psicologica appena improvvisata,
voltarono la testa per adocchiare una sorridente Gwen fare slalom in
mezzo ai tavoli per raggiungerli. Merlin alzò un mano
sventolandola in sua direzione e le sorrise, Arthur invece le fece un
cenno con il mento. Quando la ragazza si fermò accanto al loro
tavolo, li squadrò entrambi con aria un po' titubante. Portava
i capelli raccolti e qualche ricciolo sfuggiva all'acconciatura,
andandole ad accarezzare i lineamenti gentili del volto.
"Disturbo?"
esordì lei, afferrando la cinghia della borsa con entrambe le
mani.
"No
figurati" rispose Merlin, spostando immediatamente la sedia
all'indietro per evitare di ricevere altri calci da Pendragon
Maschio. Quando lo guardò infatti, incrociò un paio di
occhi minacciosi. Gwen corrugò le sopracciglia e restò
qualche attimo ad osservare quella battaglia silenziosa, prima di
schiarire la gola.
"Arthur,
avrei bisogno di parlare con Merlin, ti dispiace?"
Smamma,
sto lavorando anche per te! Sono qui in veste di ultimatum!
Il
biondo alzò la testa e scrollò le spalle "Certo
che no, fai pure!"
Quando
restò seduto, limitandosi ad indicarle la sedia vuota, Gwen
schiarì la gola ed incespicò un po' nelle parole.
"Emh...
intendevo da sola..."
"Ah..."
Merlin
iniziò a tamburellare le dita sul tavolo, fissando Arthur come
fosse improvvisamente diventato un elefante gigante e rosa. Pendragon
Maschio cercò di fare la parte del sostenuto, ma gli occhi
azzurri del moro non si scollavano da lui e gli stavano comunicando
con molto sentimento di andare a farsi una passeggiata. Una
passeggiata lunga. Dopo lunghi istanti di silenzio, durante i quali
Gwen pensò bene di non proferire parola (era piuttosto certa
che fossero nel bel mezzo di una comunicazione non verbale), alla
fine Arthur fece strusciare rumorosamente la sedia sul pavimento e si
alzò in piedi tutto impettito.
"Me
ne sto andando" si scollò dal palato, raccattando la
borsa con l'aria di un nobiluomo che era stato appena scartato in
favore di un plebeo.
"Scusami
Arthur, è una cosa piuttosto personale, non ti offendi vero?"
Lui
guardò il punto in cui la mano di Gwen gli aveva fatto una
carezza ed arricciando le labbra, completò l'opera di
indignazione: adesso sì che sembrava un bamboccio a cui era
stato appena tolto il giocattolo! Aprì bocca per rispondere
piuttosto falsamente, ma Merlin lo precedette.
"No
che non si offende, sono sicuro che Pendragon avrà un sacco di
cose da fare. Vero?"
Quando
Gwen spostò lo sguardo sul volto del suddetto interessato, lo
vide inspirare silenziosamente e a fondo.
Oddio
come vorrei saper parlare il non verbalese! Che cosa si stanno
dicendo?!
"Certo"
si risolse infine il giovin ciuchino, "Allora ci vediamo dopo
Emrys"
Chissà
perché a Gwen suonò un po' come una minacciosa
promessa. Quando si accomodò al tavolino, aspettò che
Arthur si fosse allontanato e solo a quel punto, alzò gli
occhi dalla gonna per scoprire che Merlin la stava già
osservando con malcelata curiosità. Il ragazzo stesso fece
altalenare per qualche volta gli occhi da lei ad Arthur, come stesse
valutando qualcosa.
"Deve
essere importante, se hai aspettato addirittura che fosse fuori
portata di orecchie" commentò ad un certo punto, quando
fu abbastanza sicuro delle sue supposizioni. L'amica gli indirizzò
un piccolo sorriso e si strinse nelle spalle.
"E'
perché si tratta di entrambi" rispose lei, forse
iniziando un po' timidamente, ma acquistando via via un acceso
coraggio. Merlin corrugò la fronte e la guardò con la
faccia a forma di punto interrogativo. In realtà Gwen aveva di
nuovo quella
espressione, la stessa che aveva la sera della prima festa, quella
che non gli piaceva e che ogni volta riusciva a farlo sudare freddo.
Sapessi
le domeniche d'agosto quanta neve che farà... Io lo so. Mi fa
sudare di un freddo certe volte che mi pare di essere al Polo.
"Definisci
entrambi,
per favore" il tono cauto che Merlin utilizzò, bastò
da solo a far apparire un'espressione greve sul volto della ragazza.
"Merlin,
se sono qui a dirti queste cose sappi che è perché sono
tua amica e ti voglio bene. Il fatto che tu potresti pensare il
contrario, non mi disturberà perché so che non lo
penserai davvero"
Ecco
la storia di come mi guadagnai un posto tra gli impiccati di Paint.
Spero di poterla raccontare ai miei figli un giorno...
Il
moro sentì di botto la gola seccarsi e una specie di vuoto al
posto dello stomaco, come una voragine abissale. Guardò Gwen
con occhi piuttosto penetranti, cercando come di trapanarle il
cervello per scoprire da solo cosa ci fosse dentro la sua testa.
Istintivamente strinse le mani attorno alle posate e restò
immobile come una statua di sale. Gwen lo fissò di rimando,
unendo le labbra in un'unica linea sottile. Sentiva il peso dello
sguardo di Merlin, peso che ad un certo punto la spinse di nuovo a
parlare o avrebbe perso coraggio e si sarebbe data alla macchia.
"Voglio
che confessi ad Arthur la verità"
Come
c'era da aspettarsi, Merlin scoppiò a riderle in faccia.
"Per
la miseria Gwen, ci avevo quasi creduto, ma che cavolo!" esclamò
infatti, non credendo ad una singola virgola di ciò che lei
aveva detto. Tuttavia, quando il ragazzo notò che l'amica non
rideva con lui e anzi, si era fatta se possibile ancora più
seria, i muscoli del sorriso gli si congelarono sulla faccia e restò
lì a fissarla come un cretino, le labbra ancora tirate e
plastificate nella stessa posizione, con le rughette ai lati degli
occhi. Sembrò passare un tempo infinito, durante il quale
Merlin rimase come uno stoccafisso a guardare Gwen e lei ebbe
l'impressione di stare osservando una fotografia fatta persona, tanta
era la sua perfetta immobilità.
Adesso
gli metto le dita sotto il naso per vedere se respira ancora...
"Merlin..."
iniziò ad un certo punto la poveretta, non potendo più
sopportare quella specie di teso silenzio che li aveva avvolti come
una spirale.
"Che
diavolo ti salta in testa?"
Poche
volte in vita sua Gwen aveva sentito Merlin sibilare... quel giorno,
era una di quelle. Lei lo guardò con decisione, cercando
intimamente di aggrapparsi a quella misera quantità di
coraggio che aveva racimolato per andare a parlargli. Drizzò
la schiena, volendosi dare una parvenza autoritaria e gli piantò
gli occhi addosso, con l'aria di qualcuno che non voleva essere
contraddetto.
"Hai
sentito benissimo Merlin. Confessa ad Arthur la verità!"
O
interverrò a modo mio!
"Tu
sei matta! Non l'ho fatto fino ad ora, cosa ti fa credere che lo
farei proprio adesso?!" sbottò lui, rintanatosi già
sulla difensiva. Aveva lasciato cadere le posate nel piatto vuoto e
si era allontanato dal tavolo, come a non volerlo nemmeno toccare.
"Perché
sai che i miei consigli sono giusti e saggi, sai che voglio solo il
tuo bene e che non hai un motivo reale per non farlo!"
"Ah,
non ce l'ho? Parli sul serio o almeno questo è uno scherzo?"
"Parlo
sul serio, stupido! Sono tua amica Merlin e non sopporto di vederti
stare male per uno addirittura più cretino di te!"
Merlin
strabuzzò gli occhi, sembrando esattamente come un Bambi
sorpreso dai fari di una macchina.
"Sei
venuta a parlarmi per offendermi?"
"No,
razza di idiota! Lo vedi che sei te a tirarmi fuori gli insulti?!
Sono venuta a parlarti per cercare di farti ragionare!"
E
per evitare di essere costretta a fare una cosa alle tue spalle.
"Fiato
sprecato Gwen" esclamò allora il moro, alzandosi dalla
sedia con risolutezza, "Non tornerò sulle mie decisioni.
Direi che ho già fatto abbastanza"
Quando
l'amica prese fiato per rispondere, lui le si allontanò senza
neanche aspettare di sentire che cosa aveva da dire. Lei richiuse la
bocca ed abbassò la testa con aria sconfitta, il tutto
accompagnato da un sospirone di quelli di natura esistenziale.
Bene
Gwen, direi che è andata egregiamente. Sei stata davvero molto
convincente, ti meriteresti un premio come migliore amica dell'anno.
Aspettando
soltanto di racimolare i cocci dei propri buoni propositi dal
pavimento, si alzò in piedi e per istinto, indirizzò
gli occhi al di fuori di una finestra vicina; non appena lo fece,
vide scattare verso il basso una zazzera di capelli biondi. Restò
lì ferma in piedi un po' spiazzata e sbatacchiò le
palpebre, cercando di capire se avesse avuto un'allucinazione o meno.
Le bastò aspettare un altro po', per scoprire che ci vedeva
ancora bene per fortuna. Non appena Arthur notò che lei stava
ancora guardando verso la sua direzione, si rituffò verso il
basso, sperando che Gwen non si fosse veramente accorta di lui;
quando le ante della finestra si aprirono sopra la sua testa, seppe
che non gli era andata così bene come aveva sperato.
Ovviamente.
"Sul
serio, Pendragon?" sentì la voce di Gwen chiedere e si
vedeva come stesse trattenendo a stento le risa. Arthur alzò
il viso verso di lei, ancora accucciato per terra contro le mura
della scuola e la guardò come non avesse nessuna colpa.
"Sul
serio cosa?" domandò infatti, con una tale nonchalance
che ci sarebbe stato da iscriverlo all'accademia di arti drammatiche.
Lei appoggiò i gomiti sul davanzale e si sporse con un sorriso
un po' furbo.
"Ci
spiavi dalla finestra?"
"Spiarvi?
Io? Che? Cosa? No, io non- cosa? Ma che! Cioè!"
"Perché
ci spiavi?" rincarò la ragazza, ignorando bellamente le
sue farneticazioni. A quel punto Arthur si alzò in piedi
superandola in altezza (le finestre al pian terreno della scuola
erano davvero molto basse, quasi raso terra). Muovendo una gamba dopo
l'altra, scavalcò il davanzale dove era prima appoggiata Gwen
e si ritrovò di nuovo all'interno del bar. Non si accorse
della luce un po' inquietante che era apparsa all'improvviso negli
occhi scuri della ragazza, troppo impegnato a cercare una
giustificazione.
"Non
stavo spiando voi. Cioè, sì ma no. Nel senso, ho
bisogno di parlare con Emrys non appena possibile e stavo solo
controllato quand'è che avresti finito con lui, tutto qui"
si risolse a dire, finendo a schiarirsi per parecchie volte la gola.
La riccia iniziò a trafficare con la borsa e si stampò
sulla faccetta angelica un sorriso un po' saputo.
"Certo,
come vuoi" lo accontentò con una certa accondiscendenza,
considerando che al momento non le interessava battere chiodo su quel
discorso. Ad un certo punto prese Arthur a braccetto e gentilmente
diresse entrambi verso l'uscita del bar. Il biondo si lasciò
guidare senza fare storie, dal momento che Gwen intavolò
subito una conversazione.
"Spero
tu non ti sia offeso per prima, sai... E' che ultimamente parlare con
Merlin sembra essere diventata un'impresa! E' così
sfuggente..."
Il
biondo rise seccamente, scrollando la testa.
E
a me lo dici?!
"Tu
sai per quale motivo?" le chiese invece, approfittando di
quell'occasione per indagare attraverso altre fronti. Gwen raggrumò
con dispiacere le labbra e scosse i riccioli scuri in segno di
diniego. Prestando molta attenzione a ciò che faceva, fece
scivolare qualcosa all'interno della borsa di Arthur.
"Mi
duole ammetterlo ma da qualche tempo faccio fatica a farmi raccontare
le cose. Eppure vedo che con te passa un sacco di tempo. Non ti ha
detto niente?"
"Mh"
mugugnò l'altro, arricciando la punta del naso, "Mi
piacerebbe poterti dire di sì per tranquillizzarti, purtroppo
temo di essere messo peggio di te. Certo che a volte è
veramente difficile capire che gli passa per la testa, vero?"
A
quel punto Gwen rallentò il passo fino a far fermare entrambi
in mezzo al corridoio. Con un sorriso morbido sulla bocca gentile, si
posizionò davanti al biondo ed appoggiò con dolcezza le
mani sulle sue spalle.
"No
Arthur, non lo è. Basta saper guardare, sempre che tu voglia
farlo"
Nonostante
lo sguardo totalmente smarrito che ricevette come risposta, la
ragazza non aggiunse nient'altro e dopo aver lasciato una carezza sul
braccio di Pendragon, preferì continuare da sola verso la
prossima lezione, il sorriso che da gentile aveva assunto sfumature
di soddisfazione.
Fatto
il misfatto.
Arthur
restò lì, impalato in mezzo al corridoio, gli occhi
ancorati sulla schiena di Gwen che si allontanava. Sembrava che tutti
sapessero qualcosa che lui non sapeva, ma nessuno aveva intenzione di
dirgli cos'era.
Perché?
Cosa dovrei capire da solo?
L'argomento
principale era sempre Emrys. Forse la risposta si nascondeva già
tra le righe e lui era stato semplicemente poco attento. Corrugò
la fronte, ripensando piuttosto sommariamente a tutto il tempo che
aveva passato in compagnia dell'amico. Era certo di aver notato un
sacco di cose sul suo conto, cose che probabilmente non tutti
avrebbero colto. Era sicuro di essere stato attento, molto attento.
Cosa gli era sfuggito? L'aveva osservato con particolare interesse
sin dal primo giorno che l'aveva conosciuto, perché i suoi
modi di fare avevano destato in lui una certa curiosità.
"Fai
così con tutti quelli che non vogliono essere tuoi amici?"
La
domanda che Merlin gli aveva fatto qualche istante prima dell'arrivo
di Gwen, tornò a galla come un pugno nello stomaco. Arthur
compì qualche lento passo lungo il corridoio, quasi senza
accorgersene, troppo preso da un pensiero che via via andava
formandosi nelle nebbie di Avalon che gli avviluppavano il cervello
sin dalla nascita. Non era mai stato molto bravo a capire certe cose.
No,
dovette ammettere (e se davvero voleva giungere ad una conclusione,
la sincerità era essenziale), non
mi sono mai comportato così con nessuno.
Con
nessuno tranne Mithian.
Sì,
ma Mithian poi è diventata la mia ragazza.
Dovette
fermarsi in mezzo al corridoio di nuovo, perché la piega che
stavano prendendo le sue considerazioni avrebbe potuto portarlo a dei
risvolti che non aveva mai osato neanche immaginare. Mithian era
stata la sua ragazza durante i primi due anni di college. I loro
caratteri un po' troppo dominanti li avevano poi portati a rimanere
solo amici, ma all'inizio Arthur l'aveva letteralmente martoriata,
pur di indurla a stare con lui; l'aveva esasperata nello stesso
identico modo in cui stava facendo con Merlin.
All'improvviso
tutto il suo malessere, tutto il suo disappunto alla sola idea che
Emrys potesse ignorarlo, che potesse non voler avere più
niente a che fare con lui, acquisivano un senso.
La
risposta a come facesse quell'essere dalle orecchie enormi ad avere
tutta quell'influenza sul suo umore e sulle sue decisioni, si trovava
in una conclusione così stupida e logica che Arthur quasi si
diede dell'imbecille per non esserci arrivato prima.
Ma
se si fosse dato dell'imbecille sul
serio,
avrebbe quasi ammesso una cosa che non era vera.
E
Merlin era un ragazzo.
E
di certo non voglio che stia con me in quel senso...
Non
avrebbe mai potuto provare niente del genere per un altro uomo.
"Fai
così con tutti quelli che non vogliono essere tuoi amici?"
O
forse sì?
*
Morgana
era rimasta completamente stupefatta dalla mente machiavellica
dell'insospettabile Lancelot.
Si
era fatta raccontare per filo e per segno com'è che il ragazzo
intendesse proporsi nuovamente a Gwen e il piano strabiliante che
quel pazzo suicida aveva ideato, non avrebbe saputo attribuirlo
neanche ad una immaginazione romantica tanto quanto lo era stata
quella di Shakespeare. Lake era veramente cotto come una pera della
sua ragazza: ogni volta che parlava di lei i suoi occhi iniziavano a
luccicare e i suoi feromoni spargevano talmente tanto amore nell'aria
circostante, da renderla satura di positività (e metteva a
rischio di diabete chiunque si trovasse a vicinanza inferiore ai
cinque metri). In quel modo tuttavia, Morgana aveva ricevuto la
conferma che si era aspettata e cioè che Lancelot non avrebbe
mai fatto (intenzionalmente) del male alla sua pasticcina. Non che
andasse bene quando era lui a farsi del male, intendiamoci, ma ciò
che stava a cuore di Pendragon Femmina era l'incolumità della
riccia in primis.
Ritenendosi
piuttosto soddisfatta da ciò che era riuscita a spillare da
Lake, aveva lasciato le serre un po' più tranquilla e si era
diretta ai dormitori femminili di Albion per recuperare una cosa che
non le apparteneva.
Sì,
l'aveva fatto e no, quella non voleva essere un'ammissione di
interesse nei riguardi di Duirvir.
Aveva
lavato la sua stupida maglietta soltanto perché era stata lei
a sporcarla.
E
dato che sono una ragazza educata, ho ritenuto giusto rimediare al
danno che io stessa ho causato, tutto qui.
Seduta
sul letto, ripiegò con cura l'indumento e lo infilò in
una borsa; gettò uno sguardo fuori la finestra, notando nubi
sempre più scure gettare sul college un'atmosfera quasi
notturna. Si alzò in piedi allora e dall'armadio andò a
recuperare una giacca con il cappuccio, perché proprio non le
andava di portarsi dietro l'ombrello; sarebbe stata solo questione di
qualche minuto e dopo aver riconsegnato a quel demonio di Duirvir i
suoi averi, sarebbe tornata in camera a studiare. Tornando verso il
letto prese la borsa con dentro la maglia ed uscì dalla
stanza, già cercando dentro la tasca dei jeans il suo
cellulare. Per il corridoio incrociò un paio di ragazze con le
quali scambiò un criptico saluto e cercò in rubrica il
numero di quel demente. Non fu difficile trovarlo in realtà,
considerando la quantità assurda di messaggi con i quali le
aveva intasato il telefono; le labbra tentarono di arricciarsi verso
l'alto ma i denti le trattennero perché no, non era affatto
divertente. Quando appoggiò il cellulare all'orecchio in
attesa che Mordred rispondesse, iniziò a scendere le scale
saltellando. Un lampo illuminò all'improvviso la tromba delle
scale, seguito subito dopo da un roboante tuono, che non fece
presagire nulla di buono.
"Dai,
rispondi diamine!" borbottò lei a quel punto, ansiosa di
concludere in fretta la faccenda per evitare di beccarsi
un'acquazzone in piena regola. Quando la voce di Mordred pronunciò
un 'sul
serio sei te che chiami me?',
Morgana si limitò a dire "Era ora!"
Lo
sentì ridere tutto allegro e gaio; lei arrivò in fondo
alle scale, ritrovandosi nell'androne principale, che era una sorta
di saletta dove tutte le ragazze della confraternita potevano
riunirsi per fare due chiacchiere.
"A
cosa devo tale onore Banshee?"
"Alla
tua stupida maglietta pulita. Se la rivuoi, ci vediamo tra cinque
minuti in biblioteca. In ogni modo, se non sarai puntuale te la
lascerò lì, fai un po' te"
"Agli
ordini generale! Quanto sei dolce, l'hai lavata sul serio!"
"Cos'è
quel tono sorpreso? Sono educata, non dolce. Evita di utilizzare
certi termini sminuenti con me, per piacere"
"Preferiresti
Banshee o Fragolina?"
"Ma
quanto ti piace rischiare la vita da uno a dieci?"
Questa
volta i denti non fecero in tempo a bloccare le sue labbra, poiché
si incurvarono irrimediabilmente verso l'alto. Scosse la testa
raggiungendo la porta del dormitorio e nel momento in cui la aprì,
i lunghi capelli scuri vennero mescolati dal vento. Mordred tornò
a ridere allegramente e lei avvertì in sottofondo una porta
che si chiudeva.
"Che
dire, il brivido del rischio è un richiamo che non posso
ignorare!"
"Prima
o poi sarà anche la causa della tua rov-"
Morgana
non fece neanche due metri.
L'ultima
cosa che vide, fu un non so che di rosso scattare verso di lei, poi
tutto si spense e il cellulare cadde a terra.
Mordred
dall'altro lato, aveva udito un colpo secco nel momento stesso in cui
la ragazza si era zittita e anche lui a quel punto era diventato
silenzioso.
Duirvir
si fermò nel bel mezzo del parco, venendo preso in pieno sul
naso da una goccia grossa con un'unghia.
"Morgana?"
la chiamò, con una certa titubanza. Uno strano senso di
inquietudine accelerò i battiti del suo cuore; un'altra goccia
d'acqua cadde dal cielo e si insinuò nello scollo della
maglia, percorrendo la sua schiena. Mordred rabbrividì dal
freddo e strinse il cellulare per cercare di sentire qualcosa.
Cos'erano? Dei passi?
"Morgana!"
esclamò nuovamente, stavolta con tono di voce più alto.
Sentì come se qualcuno avesse appena preso il cellulare della
ragazza.
La
chiamata terminò all'improvviso.
*
Voleva
piangere. Voleva piangere così forte e disperatamente che
tutta la sua angoscia avrebbe sicuramente potuto cambiare il corso
della sua inutile vita. Lancelot era sicuro, era certissimo di non
essere nato così sfigato. Aveva avuto un'infanzia piuttosto
normale, con genitori normali e amici normali. La sua vita era stata
costellata da alti e bassi pari a quelli di qualsiasi altra persona
sul pianeta e davvero, per quanto si sforzasse, non riusciva proprio
a ricordare quand'è che la sua esistenza avesse iniziato a
prendere una piega alla una
serie di sfortunati eventi(2).
Si sentiva il protagonista di un quiz televisivo dove l'obiettivo era
riuscire ad arrivare vivo fino al finale.
Con
un ringhio di frustrazione, iniziò a divincolarsi come un
grosso verme galleggiante ma per quanto si sbracciasse, la corda alla
quale era appeso oscillava pochissimo. Strizzò gli occhi scuri
e cercò di guardare in alto ma l'unica cosa che riusciva a
vedere, era il tetto danneggiato della serra, dal quale la pioggia si
infiltrava che una meraviglia.
Bene.
Non solo sono appeso in giù con la testa invasa dal sangue,
adesso si è messo anche a piovere. Ma porco...
Attila,
seduto poco distante da lui, lo guardava facendo penzolare
allegramente la lingua rosa e bavosa dalla bocca, con il respiro
pesante.
"Cos'è,
ti faccio troppa pena? E' per questo che non hai ancora provato a
staccarmi la faccia?" biascicò Lancelot, con un tono di
voce sconfitto e rassegnato. Chissà se qualcuno l'avrebbe mai
trovato prima che fosse morto per mancanza di sangue in tutte le
parti del corpo tranne che la testa... da quanto era appeso così?
Mezz'ora? Non aveva neanche lo straccio di un orologio e il cellulare
gli era scivolato dalla tasca quando era caduto giù dal tetto.
Anzi
quando ho avuto la brillante idea di legarmi ad una corda. A
quest'ora sarei spalmato sul pavimento in mezzo ai detriti,
probabilmente morto. Credo di aver raggiunto una sorta di record...
l'uomo che ha rischiato la vita il maggior numero di volte nel minor
tempo possibile. Che culo.
Sospirando
pesantemente, dopo lunghi attimi di completa immobilità,
iniziò a gridare come un ossesso e ricominciò a muovere
le braccia su e giù in maniera piuttosto ridicola. Attila
piegò il testone da un lato e lo guardò incuriosito,
leccandosi amabilmente la punta umida del naso.
"Non
mi arrenderò al mio destinoooooooo" gridò Lake, la
faccia sempre più rossa e le vene degli occhi sature di
sangue.
Attila
alzò il sedere da terra ed abbaiò con forza,
sovrastando i nomi di tutti i santi che il verme umano aveva iniziato
a scomodare dal calendario cristiano. Lancelot lo guardò con
un muto terrore negli occhi scuri, temendo che il momento in cui
quella bestia avrebbe tentato di mangiarsi la sua faccia, fosse
dunque arrivato. Si studiarono con una certa intensità
animalesca, forse nel tentativo di stabilire chi veramente tra i due
fosse il re della serra; dopo un'attenta analisi delle nulle capacità
di quell'imbecille (penzolante come un grosso e succulento salame)
quale era Lancelot, Attila girò su se stesso e trotterellò
tra le macerie sul pavimento, guadagnando in breve l'uscita della
serra. Lake non poté credere ai suoi occhi.
Sono
così sfigato che pure i cani ora mi voltano le spalle! MA
PERCHE'? PERCHE'?!
Abbandonato
al suo misero destino, il ragazzo allungò spasmodicamente le
braccia sino ad un tavolino vicino e con le dita cercò di
sfiorare la penna che aveva usato per abbozzare i progetti di
ripristino della serra. Dovette provare per un paio di minuti buoni
prima di riuscire a concludere qualcosa; poco a poco, riuscì a
far rotolare la penna sino ad avvicinarla abbastanza da poterla
afferrare.
"E'
arrivato il momento di guardare in faccia la realtà..."
biascicò con una serietà inconfutabile, che avrebbe
potuto far presagire il peggio. Tolse il tappo alla penna, si sfilò
la maglietta lasciandola cadere per terra ed iniziò a scrivere
le sue ultime volontà dalla pancia verso il petto. Tutti
avrebbero saputo quali erano state sin dall'inizio le sue nobili
intenzioni. Non poteva accettare di morire senza prima far sapere a
Gwen quanto l'avesse amata.
Io,
sottoscritto Lancelot Lake, approfittando dei miei ultimi attimi di
vita, mi accingo qui di seguito, circumnavigando l'ombelico ed il
pelo pubico, a rendere note le mie ultime volontà...
*
"Ti
ha dato completamente di volta il cervello?"
Merlin
non ce l'aveva proprio fatta a non sbottare. Il modo in cui Arthur
l'aveva letteralmente arpionato in mezzo al corridoio per trascinarlo
in un'aula vuota, non gli era affatto piaciuto.
Le
persone civili parlano, non si riducono a sequestrare la gente!
A
quel punto, fu inevitabile domandarsi quanto a fondo Pendragon
Maschio potesse essere considerato un individuo dalle civili
attitudini; vista la completa assenza di rimorso che il suddetto
interessato aveva sulla faccia, Merlin avrebbe potuto classificarlo
nella categoria degli scarsamente civili.
"Pendragon,
questa storia deve finire. Non puoi continuare a pedinarmi come se-"
"Sì,
per una volta sono d'accordo" lo interruppe l'altro, con
cipiglio tutt'altro che cordiale, "Questa storia deve finire e
c'è solo un modo per mettere il punto. Pretendo che me lo dici
Emrys, pretendo di sapere perché tutto ad un tratto a stento
sopporti di stare con me!"
Merlin
assottigliò le palpebre, riducendo gli occhi a due fessure.
"E
se non te lo dico che cosa succede?" lo provocò, senza il
minimo tentennamento. Se Arthur pensava di poter fare il prepotente
con lui, aveva proprio sbagliato persona; Merlin era innamorato, non
per questo era diventato un idiota (almeno, non completamente).
"Succede
che peggiorerai soltanto la situazione, perché stamattina se
non mi sbaglio sei stato tu quello ad invitarmi a colazione,
nonostante ieri te la sia data a gambe levate! Invece di capire la
situazione mi porti a farmi fare sempre più domande e non
puoi, ti dico che non
puoi pretendere
che faccia finta di niente soltanto perché a te gira di voler
fare il sostenuto!" nel parlare a poco a poco la sua voce si era
alzata sempre di più, sino a far affiorare completamente tutto
il nervosismo e la rabbia che durante quei giorni aveva accumulato.
Merlin lo guardò in silenzio, con i sensi di colpa che di
minuto in minuto aumentavano sempre più la loro presa sul suo
stomaco.
Forse
l'incivile tra loro due, era lui.
Arthur
aveva ragione, aveva completamente cambiato atteggiamento nei suoi
confronti da un giorno all'altro, senza nessuna motivazione
apparente.
Fossi
stato al posto suo probabilmente anche io avrei cercato di fare di
tutto per scoprire qualcosa che potesse mettermi l'anima in pace.
Con
un sospiro distolse lo sguardo, indirizzandolo verso una delle
finestre. Pendragon Maschio non l'avrebbe lasciato uscire da lì
dentro sino a quando non gli avesse dato una spiegazione decente e
nonostante tutti i suoi buoni propositi, nonostante Merlin si
sentisse soffocare dal modo irragionevole in cui egli stesso si stava
comportando... quel senso di terrore su come avrebbe potuto reagire
il biondo nello scoprire la verità, si rivelò essere
più forte di qualsiasi cosa avesse mai provato. Era lui a
comandare i suoi pensieri, le sue azioni e le sue parole, Merlin non
poteva farci niente; aveva provato a contrastarla, a vincerla, ma
quel genere di paura era difficile da controllare. Era sempre stato
un ragazzo che aveva affrontato qualsiasi situazione con un coraggio
fuori dal comune... finché non si trattava di doversi
scoprire. Quando era lui ad essere messo in gioco, Merlin diventava
un codardo.
Quella
volta non fece nessuna differenza.
"Mi
ha dato fastidio vederti baciare la ragazza che mi piace" se ne
uscì ad un certo punto, sembrando completamente tranquillo di
quell'ammissione. Arthur inarcò le sopracciglia con aria
completamente basita e non rispose, perché non sapeva davvero
che cosa dire. Merlin schioccò la lingua contro il palato e
tornò a guardarlo, cercando di sembrare infastidito ed insieme
dispiaciuto.
"Avrei
voluto dirtelo prima ma penso che sia davvero da scemi prendersela
per una cosa del genere. Non siamo più in quinta elementare,
quindi ho preferito lasciar correre. Evidentemente ha avuto più
importanza di quanta gliene ho attribuita..."
Quando
Arthur iniziò a ridere, dopo averlo fissato a lungo, Merlin si
sentì vagamente offeso.
Cioè,
gli dico che ha baciato la ragazza che mi piace ed invece di
chiedermi scusa... si mette a ridere? Lo ammazzo, giuro che lo
ammazzo.
Il
moro strinse i denti irrigidendo la mascella ed incrociò le
braccia, lasciando che Pendragon Maschio continuasse a ridere di lui
e del suo cervello contorto. Francamente non credeva di aver detto
una cosa così divertente, ma Arthur sembrava essere di
tutt'altro avviso, tant'è che Merlin dovette aspettare un bel
po' prima di vederlo iniziare a darsi una calmata. Più il suo
divertimento durava, più a Merlin le palle giravano ad elica.
Ok, aveva detto una bugia, non c'era motivo di prenderla così
sul personale, ma se fosse stato vero? Con quale coraggio quell'asino
imbecille gli rideva in faccia senza avere nemmeno la decenza di
fingere un minimo (una caccola proprio) di dispiacere?
"Beh
Pendragon, adesso capisci perché non te l'ho detto e perché
non voglio essere amico tuo. Sei un idiota!"
Scuotendo
la testa con sarcasmo, l'interessato appoggiò le mani sui
fianchi e lo guardò con l'aria di qualcuno che la sapeva molto
lunga al riguardo; le sue labbra erano ancora piegate in un sorriso,
che si portava dietro lo strascico delle risa che l'avevano
preceduto. L'occhiata che Merlin ricevette, oltre la frangia bionda e
scomposta, provocò una fitta dritta dritta al basso ventre.
Maledetti
ormoni che scavalcavano allegramente il suo altissimo grado di
incazzatura!
"Merlin...
sul serio?" domandò Arthur, con una faccia piuttosto
eloquente.
"Certo
che sono serio!" si sentì replicare, il che non fece
altro che farlo annuire con una inspiegabile consapevolezza. Merlin
credeva di aver perso il filo della discussione.
"Merlin,
sul
serio pensi
che io me la beva?"
Quando
Arthur lo vide aprire e chiudere la bocca più volte come un
pesce fuor d'acqua, avvertì l'irrefrenabile bisogno di
rimettersi a ridere. Aveva già detto di aver notato molte cose
sul conto di Emrys? Tra quelle, c'era anche come capire quando diceva
una bugia e quando invece no.
"E'
la verità!" replicò quello, al momento
completamente sprovvisto di argomentazioni valide più forti di
continuare
a negare, negare fino alla morte.
"Non
lo è" Pendragon Maschio fu piuttosto deciso, "Mi
stai mentendo di nuovo, sei incredibile!"
"Non
credi che dovresti mostrare un po' più di riguardo per quello
che ti ho detto?"
"Sì,
se fosse stata una cosa vera l'avrei sicuramente fatto!"
"Ah,
quindi se ti dico che sono offeso dal tuo atteggiamento starei
dicendo un'altra bugia!"
"No,
cosa c'entra?! Sono stato io il primo a chiederti se ti avessi offeso
per qualcosa, ma di certo non è a causa di quello che mi hai
appena detto!"
"Cosa
te lo farebbe credere?!"
"Il
fatto che capisco quando mi dici una balla Merlin, si vede lontano un
chilometro!"
"Ah-ah,
certo, infatti è per questo che hai capito che c'era qualcosa
che non andava solo quando io
ho deciso di fartelo capire!"
"Scusa?!
Che cosa ti ho fatto notare quando ci siamo conosciuti? Che sembravi
avercela con me per qualcosa! E sì, era abbastanza palese, ma
pensavo che avessimo superato quella fase! Credevo ti comportassi
così perché non mi conoscevi sul serio!"
"E'
inutile che fai quella faccia da oh
mio Dio non posso crederci!
Per conto tuo credi un sacco di cose, ma il parere degli altri ogni
tanto lo chiedi? Non sei stato tu a dirmi che ti dispiaceva avermi
coinvolto ma non abbastanza
da
lasciarmene fuori?"
"Cos'è,
è la giornata dei rinfacci? Vogliamo fare questo gioco? Va
bene allora! Non eri tu quello che ha fatto sì che continuassi
a cercare quella ragazza? Non sei mai stato felice di questa cosa, è
ovvio, ma hai fatto più di quanto ti era stato chiesto! Questo
non è strano?"
"Strano?
Strano? La vera stranezza è andare in giro a baciare qualsiasi
essere di sesso femminile sperando di essere colpito in piena fronte
da un'illuminazione divina!"
"Eppure
non mi sembrava lo considerassi tanto strano quando mi dicevi di fare
quel che mi sentivo di fare! Quella era un'altra bugia?!"
"Cosa
diavolo avrei dovuto dirti con tua sorella che mi ricatta?!"
"Ah,
quindi ora la colpa è di mia sorella! Hai soltanto finto che
ti importasse qualcosa! E tu vorresti che io mostrassi comprensione
per i tuoi sentimenti? Ti ci hanno mai mandato a quel paese Merlin?
E' bello sai, c'è un sacco di gente come te!"
"Si
chiama vaffanculo e sono io a mandarci te, perché tutto questo
non me lo merito, per la miseria, non me lo merito per niente! Non
dopo ciò che ho fatto e sopportato!"
"Non
mi puntare addosso quel tuo dito da stecchino Emrys e scusa tanto se
ti ho costretto a stare in mia presenza elemosinando la tua preziosa
amicizia! E' l'unica cosa che ti ho chiesto per davvero e mi sembra
di aver dimostrato la sincerità delle mie intenzioni, dopo
tutte le cose che ti ho detto in questi giorni! Mi hai fatto passare
per un cretino!"
"Ti
punto addosso quel che diavolo mi pare e tu sei un asino oltre che
cretino, è differente! Avevo ragione quando ti ho detto che
non avresti mai potuto capire!"
"Ancora
con questa storia! Dimmelo tu allora cos'è che non capisco,
invece di lamentarti e basta per il fatto che non ci arrivo! Sei una
piaga! Sono stato sincero con te e guarda che cosa ricevo in cambio!
E piantala di punzecchiarmi, è l'ultima volta che te lo dico!"
"No,
sei tu a dovermi dire perché, perché
ti
devi accanire tanto! Ti importa più di quanto sia normale e
sono io quello che inizia a farsi delle domande! C'è qualcosa
che vorresti dirmi Pendragon? Hai cambiato sponda? Se non fossi certo
e stracerto
delle tue attitudini, penserei che ti sia preso una cotta per-"
Del
resto, Arthur l'aveva avvisato di smetterla di punzecchiarlo con quel
dito ossuto. Quel modo di fare così sprezzante ed irriverente
l'aveva fatto talmente tanto innervosire che dopo aver afferrato
l'indice incriminato, l'aveva strattonato in avanti.
Anche
se il tutto avvenne piuttosto velocemente, a Merlin sembrò di
assistere ad una scena che non lo riguardava, in modalità
rallentatore: il dito stretto e dolorante nella mano di Arthur, i
piedi che incespicarono presi alla sprovvista, il pugno chiuso che si
appoggiò vicino la clavicola del biondo per riflesso
incondizionato (evitare di spiaccicarglisi addosso nel bel mezzo di
una lite era una necessità primaria)... Merlin avrebbe
ricordato ogni cosa, in tutta sincerità.
Neanche
il momento in cui aveva baciato Pendragon Maschio la sera della prima
festa, gli risultava così nitido; non sarebbe mai stato chiaro
come quando avvertì all'improvviso le dita di Arthur tra i
capelli e la sua bocca sulla sua. Non sarebbe mai stato chiaro come
quel sentimento di rabbia e inconsapevolezza che sentì fluire
dal suo tocco prepotente, di chi voleva affrontare i problemi faccia
a faccia, senza evitarli. Merlin era sempre fuggito dal problema,
invece Pendragon aveva preferito aggredirlo.
Se
gli avessero detto che un giorno sarebbe finito per essere baciato da
Arthur Pendragon, probabilmente si sarebbe messo a ridere; era una di
quelle cose su cui non avrebbe scommesso mai nemmeno quell'orribile
cd di Gaius' & Sons che gli era stato regalato da Gwen per
Natale.
Eppure
Arthur lo stava baciando e non l'aveva allontanato, quando si era
deciso a baciarlo a sua volta, dopo essersi svegliato come da una
profonda trance.
Qualcosa
di radicalmente maschile ruggì a gran voce dentro Merlin: un
senso di soddisfazione, di gloria e conquista. Era un ragazzo ed
aveva ottenuto ciò che aveva sempre voluto, a prescindere da
cosa sarebbe successo dopo; si ritrovò senza sapere come con
le mani libere e non ci pensò neanche due secondi, prima di
far incastrare le dita nei capelli biondi di Arthur, con tutta la
possessione che quel gesto avrebbe saputo esprimere. Pendragon si
tese verso di lui facendolo quasi indietreggiare, difficile stabilire
chi fosse a prevalere sull'altro.
Merlin
aveva mani da uomo ed un corpo da uomo, ma ad Arthur questo non
dispiaceva.
Merlin
aveva anche le labbra morbide ed una bocca calda, che sembrava
volerti dire baciami
ancora.
Merlin
era più forte di quanto potesse sembrare, ma il modo in cui
gli teneva testa lo intrigava.
Merlin
aveva lo stesso identico odore che aveva sentito su di lei
la sera della prima festa e baciava nello stesso identico modo in cui
lei
lo aveva baciato.
Sotto
un tremendo cappello verde a tesa larga, decorato da alcuni fiori
dalla discutibile bellezza, Arthur vide apparire un paio di occhi, di
un azzurro intenso.
Realizzò
in quel momento di aver appena concluso la sua ricerca.
*
Aveva
un mal di testa bestiale, come non ne aveva mai avuti. Cercò
di aprire gli occhi, ma sentiva le palpebre pesanti, come fossero
diventate due macigni.
Dove
si trovava?
Beh,
di qualsiasi posto dovesse trattarsi, faceva un freddo cane.
Dato
che gli occhi non volevano saperne di obbedire, cercò di
muovere le dita e solo in quel momento capì di essere
sdraiata.
Sdraiata
dove?
Un
pavimento duro come il marmo fu tutto ciò che riuscì a
scoprire. Mano a mano che la coscienza di sé tornava, iniziò
a sentire dei rumori. C'era un brusio da qualche parte, ma non
avrebbe saputo dire quanto distante fosse. Qualcuno parlava ad alta
voce o forse gridava, ma perché?
Stavolta,
lo stato catatonico regalatole dalla lunga incoscienza, fu scosso da
una scarica di paura. In un velocissimo flash, ricordò
vagamente di aver visto qualcosa di rosso, poi un dolore acuto.
Impegnandosi maggiormente, tentò di nuovo di aprire gli occhi
ma non appena le palpebre si schiusero, una lama di luce fortissima
le ferì le pupille, costringendola a tornare in uno stato di
oscurità forzata. Avrebbe dovuto aspettare un po', prima di
poter riprovare a fare una cosa del genere e nel frattempo cercò
di concentrarsi sul distinguere quel brusio che diventava più
forte di minuto in minuto.
La
mia testa... la mia testa sta per esplodere... qualcuno mi uccida!
"Non
mi interessa!" gridò di nuovo quella voce e stavolta
Morgana riuscì a capire cosa stesse dicendo, "Sono stato
io a chiamare voi e i soccorsi! Non la sposterò di un
centimetro ma dovete lasciarmi passare! Non avevate il diritto di
allontanarmi da lei!"
Credeva
di aver già sentito quella voce da qualche parte... anzi, ne
era certa! Morgana focalizzò la sua attenzione sul ritmo del
respiro, facendone di belli profondi in modo da rimanere calma e
poter avere controllo almeno su se stessa. Sulle voci che le
confondevano le idee, dopo un po' si sovrappose il suono di una
sirena in avvicinamento; come le fosse stato tolto un tappo dalla
testa, tutto intorno a lei si fece improvvisamente più chiaro.
C'era una persona che si trovava vicino a lei, poteva avvertire la
sua presenza e delle mani che le spostavano i capelli dal viso.
Morgana sapeva che quella persona era sempre stata lì accanto,
ma non se ne era accorta prima di quel momento, prima che la
percezione del mondo circostante tornasse ad essere più o meno
normale. Tentò ti aprire di nuovo gli occhi e stavolta la luce
provocò meno dolore; strizzò le palpebre, mentre la
voce di un uomo le giungeva ora forte e chiara, come provenisse
soltanto da qualche metro di distanza.
"Si
fermi, non può passare ho detto!"
Morgana
cercò di spostare la testa per vedere cosa diavolo stesse
succedendo, ma fu l'errore più grosso della sua vita. Non
appena mosse il collo, una fitta acuta e penetrante le fece di nuovo
notare di avere un mal di testa martellante, di quelli che ti
costringevano a chiudere gli occhi a causa del dolore. Mugolò
con sofferenza e la persona che le era vicino (una donna sulla
quarantina, le parve di riconoscere) cercò subito di
tranquillizzarla.
"Non
si muova signorina, sta arrivando l'ambulanza. Cerchi di stare ferma"
le disse con gentilezza, mettendole una mano sulla fronte; la sua
divisa blu fu poco dopo oscurata da un'ombra.
Gli
occhi di Morgana incontrarono il volto pallido e tirato di Mordred,
talmente bianco che quella chiazza di sangue che aveva sulla faccia
spiccava con un contrasto quasi violento; il ragazzo si era
inginocchiato vicino a lei e con un po' di prepotenza, si era fatto
spazio accanto alla poliziotta. Quando Duirvir notò che gli
occhi di Morgana erano aperti, sembrò avere una sorta di
crollo mentale e con l'angoscia che gli segnava ancora la faccia si
piegò in avanti, appoggiando la fronte sullo stomaco della
ragazza. Non la toccò, perché aveva giurato di non
farlo, ma rimase in quella posizione molto a lungo, cercando di
assimilare la notizia che Morgana era viva ed aveva aperto gli occhi.
Nonostante
si sentisse la bocca asciutta e la gola secca, Morgana provò a
dire qualcosa. Doveva sapere perché Mordred sembrasse così
preoccupato... cos'era successo?
Poco
più in là, l'ufficiale che aveva cercato di impedire a
Duirvir di avvicinarlesi, si trovò impegnato a tentare di
tenere lontani altri studenti che erano accorsi incuriositi, aiutato
da un rigidissimo Agravaine, il quale doveva ancora capire bene qual
era stata la dinamica della situazione.
Nel
momento in cui Mordred sollevò la fronte dal suo stomaco per
guardarla, Morgana capì di aver pensato a voce alta.; il
ragazzo corrugò la fronte e con evidente titubanza si azzardò
a sfiorarle una guancia con le nocche.
"Non
ricordi niente?" domandò, lasciando intravedere una sorta
di incertezza; la poliziotta lì accanto lo esortò a
cercare di non sforzare la memoria della ragazza, ma Morgana la
ignorò come neanche esistesse. Non avrebbe avuto pace finché
qualcuno non le avesse spiegato perché si trovava sdraiata
nella palestra (sì, quel soffitto mal stuccato e chiazzato di
umido avrebbe saputo riconoscerlo ovunque), con un mal di testa
record e con Mordred che aveva la faccia sporca di sangue.
"Dimmelo
Mordred" biascicò e le parole le raschiarono
fastidiosamente le corde vocali.
Ad
un certo punto l'ufficiale che insieme al Rettore stava tentando di
tenere a bada una folla sempre più numerosa di studenti,
richiamò la donna che si stava occupando di Morgana,
esortandola a raggiungerlo per dare man forte; a quel punto, lei e
Mordred rimasero soli.
Lui
le prese una mano con gentilezza e con il pollice ne sfiorò il
dorso.
"E'
stato Valiant, Morgana. Ti ha aspettata fuori dal dormitorio finché
non sei uscita. Avremmo dovuto prendere più sul serio le sue
minacce..."
"Perché
sei sporco di sangue?"
La
sirena che lei aveva sentito arrivare in lontananza, si era spenta.
L'ambulanza aveva raggiunto la sua destinazione.
"Non
è mio" biascicò lui, abbassando lo sguardo come a
voler celare qualcosa. Morgana rimase tranquilla, era come se quel
dolore lancinante alla testa riuscisse a darle una sorta di lucidità
davvero incoerente con le sue condizioni fisiche.
"E'
mio?" domandò e quando alzò la mano libera per
toccare il punto in cui la testa le faceva male, si chiese perché
mai non l'avesse fatto prima. Ritirò le dita, scoprendo senza
sorpresa di trovarle sporche di sangue; eppure non era spaventata.
"No"
le rispose il ragazzo, che si era improvvisamente irrigidito. Lei
notò come Duirvir cercasse di mantenere una sorta di calma
apparente, ma se avesse continuato a stringere ancora così i
denti probabilmente avrebbe finito per spaccarsene qualcuno. Sentì
Mordred stringerle di più la mano in un riflesso
incondizionato, che trasmetteva rabbia; dopo brevi secondi di
silenzio, Morgana esalò una risatina. Il ragazzo la guardò
dapprima stupito, come non si aspettasse niente del genere...
insomma, ridere dopo essere state aggredite, con un probabile trauma
cranico in corso, non era proprio da tutti. Eppure Mordred cedette ed
alla fine, si ritrovò a ridacchiare insieme a lei.
Dio
li fa e poi li accoppia.
"L'hai
pestato, non è vero?" domandò allora, nel momento
in cui nel suo campo visivo entrarono alcuni uomini ed una
portantina, "Quel sangue è il suo"
Prima
di farsi da parte per permettere al personale medico di occuparsi di
lei, l'espressione sul viso di Mordred si fece mortalmente seria.
Strinse di nuovo la sua mano e annuì con determinazione.
"Sì
Banshee. Ti assicuro che non ti darà più fastidio"
Quando
la ragazza fu adagiata sulla portantina e sollevata da terra, Mordred
fece per liberarle la mano ma lei artigliò le sue dita con una
forza davvero sbalorditiva.
"Non
mi lasciare" gli mormorò, causando ai battiti di Duirvir
una specie di asincronia. Il ragazzo scambiò uno sguardo
interrogativo con i medici, che sembrarono star valutando
sommariamente la situazione.
"Va
bene ragazzo" pronunciò uno di loro, in maniera piuttosto
spiccia, "Puoi salire sull'ambulanza ed accompagnarla in
ospedale con noi"
Mordred
sentì un sollievo esagerato renderlo leggero come una piuma e
restò incollato alla portantina e alla mano di Morgana come se
il destino del mondo intero dipendesse solo da quello. Avrebbero
dovuto sedarlo o picchiarlo, per riuscire ad allontanarlo da lei.
*
Attila
si fece spazio tra i detriti, lasciando dietro di sé una scia
di bava luccicante; con il respiro pesante che si condensava in
nuvolette di vapore caldo, strizzò gli occhi e scosse tutto il
pelo del corpo, sparando goccioline di pioggia in ogni dove. Quando
fu abbastanza soddisfatto di se stesso, voltò il capoccione
verso l'entrata ed abbaiò un paio di volte, leccando tutto il
muso con la lingua ruvida e rosa; attese fermo come una statua, sino
a quando la ragazza non entrò senza troppi problemi
nell'edificio semi distrutto e poi ricominciò a trotterellare
con sicurezza, dando a vedere di sapere esattamente dove stesse
andando.
"Ehi,
aspetta!" esclamò Gwen, che indossava una giacchetta e
dei pantaloni dai lembi morsicati.
Attila
starnutì all'improvviso e dalle sue fauci, volò fuori
un pezzo di stoffa di jeans che era appartenuto a quelli che
indossava la riccia in quel momento; il cane l'aveva colta in
corridoio ed aveva iniziato letteralmente a trascinarla in giro sino
a convincerla a seguirlo di sua spontanea volontà.
Ad
un certo punto il simpatico animaletto si fermò nel bel mezzo
di alcune piante e iniziò a girare su se stesso, cercando di
acchiapparsi la coda. Gwen lo raggiunse e lo guardò con aria
un po' interdetta, ma Attila non se ne curò: gli umani non
avrebbero mai saputo cosa volesse dire essere seguito ventiquattro
ore su ventiquattro da qualcosa che non potevi afferrare. Era un
incubo, avevi sempre la sensazione di essere osservato, neanche i
bisogni potevi mai fare in santa pace; uscendo sconfitto da quella
ennesima battaglia (perché la guerra era ancora in corso),
come niente fosse il cane ricominciò a zigzagare tra i
detriti, abbaiando verso la ragazza per attirare la sua attenzione.
Dopo un paio di svolte, la condusse nell'esatto punto in cui il
bipede dall'odore succulento stava ancora appeso come un cretino.
Attila tornò ad abbaiare, stavolta verso di lui, come per dire
ehi
amico, guarda un po' chi ti ho portato. Ti ho appena salvato il culo.
Quando
il ragazzo mosse la testa per guardare entrambi, il cane zampettò
un poco più in là e lasciò cadere pesantemente
il sederone su una foglia bruciacchiata. I suoi occhioni scuri videro
Gwen avvicinarsi velocemente al bipede con aria piuttosto preoccupata
e poi piegò il testone di lato, sembrando incuriosito da tutti
i segni strani che ricoprivano interamente la pancia, lo stomaco ed
il petto di Lancelot: era piuttosto sicuro che prima non ci fossero!
Lasciandoli discutere su come diavolo era potuto succedere che il
ragazzo fosse finito a penzolare a testa in giù in quel modo,
Attila andò a raccattare la maglia che Lancelot aveva tolto e
portandosela in un posticino più sicuro, iniziò a
mordicchiarla con un certo gusto... anche quella aveva lo stesso
odore succulento che aveva il bipede dalle chiappe tenere.
Il
passatempo che aveva appena trovato tuttavia non gli impedì di
interessarsi alla scena con la stessa indiscrezione che avrebbe
mostrato una pettegola (con l'unica differenza che la curiosità
di un cane non avrebbe mai dato nell'occhio).
"Gwen
devo dirti una cosa" se ne uscì ad un certo punto il
wrustel umano, con una tale gravità nel tono di voce che
Attila smise di masticare la maglietta, lasciando colare tutta la
bava lungo la stoffa, dove una chiazza più scura aveva già
fatto la sua comparsa. Doveva ammettere che quei due erano meglio
delle telenovelas messicane che Gaius (suo padrone e guardiano della
scuola), era solito guardare durante e dopo la cena. Ora che ci
faceva caso, Lancelot assomigliava un po' ad uno dei protagonisti e
solitamente tutti gli attori interpretavano dei medici (Gaius aveva
sempre avuto una fissa per i medici in realtà).
Un
lampo all'improvviso illuminò l'interno della serra, donando
ai profili delle povere piante rovinate un'aria decisamente
spettrale; Gwen sembrava in ansia ed aveva l'aria di qualcuno che
stava aspettando di sentire un'orribile notizia. Ricominciando a
masticare ciò che aveva nelle fauci, coinvolto nel pathos del
momento, Attila non si sentì di biasimare quella povera bipede
femmina: considerato il soggetto che aveva davanti, non è che
ci fosse da essere ottimisti.
"Dopo
oggi ho capito che è inutile stare a pianificare, a rimandare,
a perfezionare... qualsiasi cosa farò andrà storta, c'è
poco da fare. Morgana sa come avrei voluto dirtelo, ma sai una cosa?
Perché non farlo adesso? Non so neanche se domani sarò
ancora vivo!"
Gwen
scosse i riccioli scuri e sembrò giustamente confusa. Sembrava
una specie di dichiarazione suicida o una cosa del genere! E che
c'entrava Morgana? Allungò le mani per accarezzare tutti gli
scarabocchi che Lancelot si era fatto sulla pancia.
"Lance
se stai cercando di spaventarmi ci stai riuscendo..." biascicò
con delle rughe a solcarle la fronte naturalmente scura. Il ragazzo
scosse la testa, sospirando pesantemente.
"Gwen...
non sto cercando di spaventarti... sto cercando di chiederti se vuoi
sposarmi...?"
Lake
allargò le braccia penzolanti con eloquenza e le lasciò
ricadere giù, oltre la sua testa. Il suo corpo oscillò
dolcemente nel rumore della pioggia che cadeva anche dentro la serra
e in quello del respiro pesante di Attila, che ora li fissava come
una fangirl seriale avrebbe fatto durante la scena della sua otp(3)
preferita.
Dopo
un silenzio che parve lungo anni luce, Gwen emise un gridolino di
euforia e dimenticando la precaria situazione in cui il suo ragazzo
attualmente si trovava gli saltò addosso, aggrappandosi su di
lui come un koala su di un albero. La corda che teneva appeso
Lancelot emise un rumore tremendo, prima di cedere a tutto quel peso
con un terribile strap
di rottura. I due bipedi caddero rovinosamente al suolo in mezzo ai
detriti, alzando un polverone che solo una mandria di cavalli nel
deserto sarebbe riuscita a sollevare.
Attila
alzò il sederone da terra e zampettò verso il groviglio
lamentoso di gambe e braccia che stava spalmato sul pavimento.
Ciondolò il testone da una parte all'altra, spargendo bava sui
volti di entrambi gli interessati e poi, con la lingua ruvida e
penzolante, iniziò a leccarli ovunque (in qualche modo doveva
pur porre le sue felicitazioni!).
"Era
un sì quello?" biascicò Lancelot, tutto dolorante,
cercando di capire come liberare la gamba da non sapeva nemmeno cosa.
Gwen mugugnò infastidita, strattonando il braccio per
sgombrarlo dal peso del suo ragazzo e con fatica si mise a sedere.
"Certo
che lo era, stupido! Devo ammettere che non avrei mai creduto di
ricevere una proposta di matrimonio in un contesto del genere, ma con
te tutto sembra avere un'eccezione..." rispose con il tremolio
di un sorriso tra le parole, asciugandosi con la stoffa della giacca
dalla bava di Attila. Il quadrupede abbaiò festoso, appestando
l'aria di fiato canino (una cosa davvero micidiale).
Lancelot
si alzò su di un gomito e la guardò come fosse
terrorizzato da qualcosa; Attila avvicinò il muso verso di lui
e iniziò a leccargli l'orecchio (anche quello sapeva di
tacchino e francamente non avrebbe saputo dire quale Dio canino gli
stava impedendo di morderlo e mangiarselo).
"Non
è che poi ci ripensi?" sputò fuori con una certa
angoscia, piegando la testa senza nemmeno accorgersene, come per
aiutare Attila a leccare meglio l'orecchio.
Gwen
lo guardò con aria stupita, cercando di capire se stesse
facendo sul serio; trattandosi di Lake, ovviamente
stava facendo sul serio. Roteò gli occhi scuri verso il
soffitto e sbuffò sonoramente: l'unica cosa che restava da
fare in quei casi, era togliere a quello scemo qualsiasi forma di
facoltà verbale con una sana pomiciata ed è proprio
quello che avrebbe fatto! Quando si chinò su di lui per
baciarlo, lo porto alla resa nel giro di un paio di secondi.
Erano
sempre le ragazze a comandare, c'era poco da fare.
*
Morgana
riuscì a liberarsi dalle grinfie dei dottori che l'ora di cena
era già passata. La notizia di Valiant che l'aveva aggredita
si era sparsa per la scuola come una macchia d'olio e quando era
stata portata al pronto soccorso per un controllo approfondito
insieme a Mordred, nel giro di mezz'ora si era trovata sommersa da
diverse persone, tra le quali vale la pena citare suo fratello e
Merlin (con delle espressioni talmente allucinate da farli sembrare
provenienti da un altro pianeta), Gwen e Lancelot cosparsi da varie
inspiegabili e misteriose contusioni e suo padre, miracolosamente
venuto in soccorso della sua pupilla nonostante fosse ancora orario
di lavoro quando era giunto al suo capezzale.
Dopo
una sequela di minacce rivolte nei confronti dell'aggressore (Uther
aveva proposto di scrivere una lettera alla Regina di Inghilterra per
richiedere il ripristino della gogna, Arthur aveva espresso il
desiderio di recidergli gli attributi, Gwen si era battuta per
deporre in tribunale a testimonianza del suo innegabile viscidume), i
medici di comune accordo avevano ritenuto di poter lasciare che
Morgana tornasse nei propri alloggi universitari, a patto che avesse
osservato una settimana di completo riposo e che qualcuno l'avesse
svegliata ogni ora (almeno per la prima notte) per tenere sotto
controllo la bella botta che aveva ricevuto sulla testa; alla fine,
tutto il sangue che le aveva macchiato il volto, era fuoriuscito da
un graffio neanche troppo profondo, al quale erano stati applicati
giusto un paio di punti.
Tutti
insieme appassionatamente erano tornati al college e c'era stata
un'ennesima guerra su chi avesse dovuto avere il diritto di stare in
compagnia di Morgana per l'intera notte; secondo Uther la soluzione
più logica era portarsela a casa per tenerla sotto stretto
controllo, Arthur pretendeva di poter avere il permesso di stare con
lei nel dormitorio delle ragazze, Merlin aveva cercato di farlo
ragionare dicendogli chiaro e tondo che sarebbe stato più
logico mandarci Gwen e quando il brusio di voci giunse ad un livello
davvero insopportabile per la povera testa martoriata di Morgana, la
ragazza attirò l'attenzione di tutti con un fischio da pastore
di pecore e ristabilì sia l'ordine che il silenzio.
"Resterà
Mordred con me, non voglio nessun altro"
Quando
Arthur aprì la bocca per fare la parte del fratello geloso con
le palle girate, Morgana lo gelò con uno sguardo
agghiacciante.
Non
mettetemi alla prova gente, non oggi, perché il mio umore è
più nero del solito, ve lo posso assicurare.
"La
mia non è una richiesta, le vostre opinioni non mi
interessano. Mordred resterà con me. E' grazie al suo
intervento se sono ancora viva e se Valiant ora si trova agli
arresti, pretendo che mostriate un po' di gratitudine"
"Alla
faccia della sincerità" biascicò Gwen.
"Morgana..."
la richiamò Uther Pendragon.
"Papà,
sto bene!"
Uther
guardò la figlia con profonda preoccupazione dipinta sul volto
e lei mantenne il suo sguardo con una certa determinazione, perché
non voleva che si preoccupasse più del necessario.
"Hai
sentito cosa mi hanno detto in ospedale. E' stata solo una botta, non
c'è nient'altro. Basterà che Mordred mi svegli ogni ora
e domani mattina ti chiamerò presto, d'accordo?"
Evidentemente
Uther non è che fosse molto d'accordo, perché non disse
niente, ma restò fermo lì a fissarla come fosse
indeciso sul da farsi. Morgana sospirò in silenzio e
accennando un debole sorriso, si avvicinò a lui per baciarlo
sulla guancia. Appoggiò le mani sulle spalle di suo padre e lo
guardò con quello che chiunque avrebbe potuto definire
orgoglioso affetto.
"Fidati
di me papà" mormorò con delicatezza, "Starò
bene e insieme gliela faremo pagare a quel verme, te lo prometto"
Sentendo
il bisogno fisico di controllare egli stesso che sua figlia fosse
ancora tutta intera la abbracciò; nella sua visuale inquadrò
anche Arthur poco distante, che li osservava con un sorriso mite sul
volto oscurato dalla rabbia. Quando il biondo aveva saputo cosa era
successo alla sorella, per i primi dieci minuti aveva visto tutto
nero; imbestialito come un drago, si era diretto verso la centrale
della polizia portando con sé l'arco e le frecce, pretendendo
di farsi giustizia da solo. Se non ci fosse stato Merlin a corrergli
dietro passo dopo passo, dandogli dell'asino imbecille pazzo
esaltato, probabilmente in quel momento si sarebbe trovato a sua
volta dietro delle sbarre; per l'ennesima volta aveva lasciato che il
ragazzo influenzasse le sue decisioni (per fortuna) e dopo aver
ripreso una certa lucidità, insieme si erano diretti in
ospedale, fingendo di aver messo momentaneamente da parte ciò
che era successo tra loro solo qualche minuto prima (questione di
priorità). Quando fu sicuro di avere sua figlia accanto a lui,
Uther la lasciò andare con un sospiro e un'espressione severa.
"Posso
fare qualcosa per farti cambiare idea?"
A
quella domanda Arthur si mise a ridere (rendendosi perfettamente
conto della sua inutilità), infatti Morgana scosse il capo e
si strinse nelle spalle. Rimasto ai margini del gruppo fino a quel
momento, Mordred compì qualche passo in avanti e si affiancò
alla ragazza, attirando così l'attenzione di Pendragon Padre.
"Non
si preoccupi Signore, mi assumo tutte le responsabilità"
esclamò il ragazzo sembrando davvero tranquillo; si lasciò
esaminare dallo sguardo da falco con il quale Uther era solito
sezionare qualsiasi essere umano e straordinariamente riuscì a
non battere ciglio.
"Ci
credo bene ragazzo" commentò ad un certo punto l'uomo in
giacca e cravatta, alzando bandiera bianca; "Ricordati: so chi
sei e so anche dove abiti. Questo vale nel male, ma anche nel bene.
Quello che hai fatto per mia figlia non lo dimenticherò e in
qualche modo, te ne accorgerai"
Mordred
alzò il mento; "Non l'ho fatto per ricevere qualcosa in
cambio" replicò immediatamente e avvertì quasi
come fosse solido, lo sguardo di Morgana su di lui.
"Non
importa" specificò a quel punto Uther, con un tono di chi
stava per chiudere la questione, "La mia famiglia ha un debito
nei tuoi confronti e un Pendragon paga sempre i suoi debiti"
A
Duirvir fu decisamente chiaro di non dover ribattere oltre, se non
voleva far incazzare quell'uomo (e qualcosa gli suggeriva che uno
spettacolo del genere non gli sarebbe piaciuto... quello che aveva
visto in ospedale probabilmente era solo un assaggio di quanto
potesse diventare pericoloso Uther Pendragon se provocato).
Abbastanza
vicino da poter sentire comodamente tutto quanto, Merlin corrugò
la fronte con aria un po' interdetta.
Un
Pendragon paga sempre i suoi debiti? Ma quelli non erano i
Lannister(4)? Mi sa che Uther qui ha le idee un po' confuse...
Dopo
gli ultimi accertamenti e l'ennesima (esasperata) rassicurazione,
Morgana disse di essere stanca e afferrando Mordred per un braccio,
se lo portò dietro verso di dormitori.
"Se
solo oserai allungare le mani ti ammazzo" lo avvisò lei,
dopo che entrambi furono al riparo da orecchie indiscrete. Il ragazzo
si lasciò trascinare con aria piuttosto pacifica e le sorrise
innocentemente.
"Ti
sembro il tipo da poter fare una cosa del genere?"
"Devo
risponderti?"
Mordred
arcuò le sopracciglia, continuando a sorridere in quel suo
modo abitualmente odioso.
"Sotto
sotto ci speri Banshee, l'ho capito che ti piaccio, è solo
questione di ammetterlo oramai"
Morgana
si fermò in prossimità dei dormitori femminili e con
aria battagliera, gli piantò un dito sul petto. Mordred aveva
sempre avuto un'aria sicura di sé e quel momento non faceva
eccezione; quello che lei non poteva sapere era che dietro la
sicurezza, si celava una sorta di euforia irrazionale.
"Mettiamo
in chiaro un paio di cose, Duirvir" esclamò determinata,
nonostante la testa le fosse attraversata da fitte dolorose e
indescrivibili, "Tra la supposizione e il dato di fatto ci
passano dieci oceani. Non riuscirai mai a farmelo ammettere. E con
mai, intendo mai"
Lui
le afferrò il polso e si chinò su di lei, rubandole un
bacio sul naso, guidato appunto da quell'improvvisa gioia selvaggia.
"Ah,
però mi hai appena detto che qualcosa da ammettere ce
l'avresti. Se non ti infastidisco ora che sei fatta di antidolorifici
e di botte in testa, perderei un'occasione d'oro!"
Morgana
restò imbambolata forse un po' troppo a lungo, perché
ad un certo punto Mordred iniziò a ridere di lei; sfarfallò
le ciglia con aria confusa, rendendosi conto di aver compromesso se
stessa. E aveva fatto tutto da sola.
Sì
ma non vale. Non sono in me! Voglio il time out da questa guerra,
almeno sino a quando non riavrò il controllo completo dei miei
pensieri e delle mie parole, dannazione!
"Questo
va oltre le regole stabilite!" disse infatti, perché non
poteva lasciargliela vinta così, non senza combattere!
"Ah,
avevamo stabilito delle regole?"
"Adesso
non fingere di non averle sempre conosciute!"
"Deve
essere stato durante una sorta di comunicazione non verbale, una
delle tante intendo... forse è per questo che qualche concetto
fondamentale mi è sfuggito..."
"L'ho
capito sai che ti piace prenderti gioco di me, ma se sei un uomo
d'onore non prenderai in considerazione tutto ciò che dirò
fino a quando non sarò guarita del tutto!"
"Uomo
d'onore? Credo tu mi stia confondendo con qualcun altro... la botta
deve essere stata bella forte... fa' un po' vedere!"
"Cos-?
Sto bene, sto bene! Metti giù le mani! Stai approfittando
spudoratamente di questa situazione!"
"Lo
vedi? Sei abbastanza lucida da averlo capito da sola... io non lo
chiamerei approfittare allora. Voglio dire, l'hai detto tu no? Stai
benone!"
Ficcando
le mani nelle tasche dei jeans, Mordred si avviò verso
l'entrata del dormitorio.
"Che
fai vieni?"
Meno
indifferente di quanto avrebbe voluto apparire in realtà,
Morgana ingoiò tutte le rispostacce che avrebbe voluto
lanciargli dietro ed a passo di marcia, lo precedette verso la sua
stanza.
*
Alla
fine erano rimasti da soli.
Di
nuovo.
Gwen
e Lancelot, dopo aver dato loro la bella notizia, avevano deciso di
andare a festeggiare in privata sede; a quel punto Merlin si era
tappato le orecchie e aveva cominciato ad intonare l'intro delle
tartarughe ninja pur di impedire all'amica di approfondire il
discorso in quel
senso
(tanto lo sapeva che lei adorava contornare i suoi discorsetti con un
sacco di dettagli irrilevanti). Pendragon Maschio l'aveva guardato
come fosse improvvisamente impazzito ma Gwen l'aveva subito
rassicurato, dicendo che era perfettamente nella norma (me
lo aspettavo!,
testuali parole). Dopo averli salutati in uno sventolio di mani, un
silenzio imbarazzante e pesante come un macigno era calato su di
loro. Anche i cricri
notturni dei grilli avevano smesso di colorare l'aria. Spostando il
peso del corpo da un piede all'altro, ad un certo punto Merlin decise
che non ne poteva più.
"Senti-"
"Ascolta-"
Si
guardarono con facce piuttosto babbee, avendo deciso di cominciare a
parlare nello stesso esatto momento. Arthur passò una mano tra
i capelli già incasinati e calciò via un sassolino
dalle dimensioni ridicole. Quando aprì bocca, Merlin lo
precedette di qualche secondo.
"Arthur,
scordatelo"
Il
tono di voce così perentorio costrinse Pendragon Maschio ad
alzare gli occhi da terra e tornare a guardarlo. Dovette mostrare una
faccia davvero disorientata, perché Merlin roteò gli
occhi verso l'alto e scosse la testa come fosse quasi ferito.
"Non
puoi baciare la gente e poi pretendere che questa faccia finta di
niente, perché io non lo farò, mi capisci?"
No,
evidentemente non capisce,
pensò dopo qualche istante il moro, notando che nessun
cambiamento era avvenuto nell'espressione da pesce lesso di Arthur,
forse
devo trovare parole più semplici.
"Magari
sarai anche abituato al fatto che solitamente la gente fa quello che
tu gli dici di fare, ma io-"
"Si
può sapere di che diavolo stai parlando?!"
Merlin
non si era aspettato di sentirlo arrabbiato, in verità; forse
doveva ancora sbollire tutto il nervoso che aveva accumulato per
colpa di quel verme di Valiant.
Restò
in silenzio tuttavia, avvertendo la sensazione di aver detto qualcosa
che forse non era necessario.
"Non
lo so... tu di cosa vuoi che parli?"
Arthur
finse egregiamente di pensarci su ed anzi, il suo atteggiamento
passivo-aggressivo non prometteva nulla di buono.
"Non
saprei, forse del perché tu non mi abbia detto sin da subito
che sei tu
la ragazza dal vestito verde?"
Mayday
Mayday Houston, abbiamo un problema. Torre di controllo mi ricevete?
Il
cervello di Merlin però, in quel momento non stava ricevendo
proprio un accidente. Se qualcuno fosse penetrato nella sua mente,
avrebbe sentito come sottofondo un simpatico jingle natalizio e nulla
di più. Con lo stomaco che gli era arrivato all'altezza delle
ginocchia, il moro provò ad articolare qualcosa, ma solo delle
vocali strozzate fecero intendere ad Arthur quanto fosse riuscito a
prenderlo contropiede; Pendragon Maschio puntò i pugni sui
fianchi e lo fissò con l'aria di qualcuno che era proprio
curioso di sentire cosa l'altro avesse da dire. Non provò
nemmeno ad aiutarlo a dire qualcosa.
Stavolta
te la cavi da solo Emrys e se non mi dirai qualcosa che mi soddisferà
ti posso giurare che ti ritroverai a farmi da bersaglio al campo da
tiro senza nemmeno che tu te ne accorga.
"Che...
che ti salta in mente?"
Un
tentativo di ripresa in calcio d'angolo Arthur se l'era aspettato e
si impose di non mostrare il minimo barlume di dubbio. Lui era sicuro
che si trattasse di Merlin, lo sapeva.
E aveva bisogno che anche Merlin stesso sapesse
che lui sapeva.
"No,
la domanda giusta è cosa salta in mente a te!" replicò
allora, risultando più duro di quanto si sentisse in realtà,
"Come dovrei sentirmi?! Mi hai assecondato, mi hai guardato
andare in giro a rincorrere le ragazze, mi sono fatto picchiare
da loro e tu hai lasciato che accadesse! Voglio sapere per quale
ragione Emrys e non ti aspettare che ti lasci andare via come hai
sempre fatto, stavolta non te la caverai così!" nel
parlare, il suo tono di voce si fece via via sempre più alto,
"Ho cercato te
dannazione,
per tutto questo tempo ho sempre e solo cercato
te
e
tu ti sei fatto beffe di me!"
Sinceramente
non avrebbe mai voluto che andasse a finire così, ma la rabbia
che provava era diventata improvvisamente più forte, come se
una sorta di diga si fosse improvvisamente rotta dentro di lui e per
quello, istintivamente centrò il volto di Merlin con un pugno
ben assestato. A quel pugno si aggiunse una spinta, perché la
rabbia e l'umiliazione che avvertiva erano una cosa davvero troppo
intensa da sopportare in silenzio.
Emrys
aveva incassato il colpo senza il minimo tentativo di difesa e dopo
essere barcollato all'indietro, cadde col sedere a terra solamente
sotto la spinta di Arthur; il biondo ansimava e aveva cominciato a
camminare avanti e indietro, con le mani nei capelli, come volesse
cercare nel solco che stava scavando a terra una calma
misericordiosa.
Merlin
doveva ancora capire bene cos'era successo esattamente e come in uno
stato di trance appoggiò la mano sulla guancia già
gonfia, senza spostare un attimo gli occhi da quello che ora sembrava
un leone nella sua gabbia.
"Sai
cos'è che mi fa più incazzare?" sputò ad un
certo punto Arthur, fermandosi nel bel mezzo del parco e gesticolando
come un ossesso, "Il fatto di essermi fidato di te, di averti
offerto la mia amicizia e la mia onestà! Non mi hai mai
ricambiato,
né hai mai avuto intenzione di farlo! Hai mentito, sin
dall'inizio mi hai sempre guardato in faccia con la presunzione di
avere la coscienza pulita! Mi guardavi
e
mi mentivi
Merlin!"
Espirò
pesantemente, aprendo e chiudendo le dita più volte, come
avesse voglia di picchiarlo ancora. Con la gola secca e il cuore che
a mille gli rimbombava nelle orecchie, Merlin si alzò in piedi
e cercò di ignorare il dolore pulsante che dalla guancia si
protendeva per tutta la sua faccia. Non sapeva che cosa dire, era
come se le sue labbra fossero incollate; osservava Pendragon con il
rimorso dipinto sul viso, ma non spiccicava parola: era il silenzio
del colpevole.
"Dì
qualcosa!" sbraitò Arthur, che stavolta non avrebbe
accettato un silenzio come risposta, neanche se l'avesse implorato.
Rimasero
a guardarsi ad una certa distanza l'uno dall'altro: dopo la spinta
ricevuta, Merlin non si era azzardato a compiere un passo di troppo.
"Secondo
te perché l'ho fatto Pendragon? Perché posso aver
scelto di non dirti niente?"
Il
moro inghiottì il magone di angoscia che gli si era incastrato
in mezzo alla gola, ma sapeva che Arthur non avrebbe risposto al
posto suo; sapeva che era arrivato al punto di pretendere di sentirsi
dire le cose dagli altri, non di supporle e basta. Merlin non poteva
biasimarlo, ma non poteva biasimare nemmeno se stesso.
"Ti
sei mai visto, Arthur? Hai visto le persone che frequenti, lo stile
di vita che hai? Cosa posso aver mai pensato di strano? Che forse,
dirti di essere stato baciato da un ragazzo ti avrebbe messo in
difficoltà... Che ti avrebbe posto in una situazione scomoda,
che avrebbe potuto disgustarti la sola idea, che avresti potuto non
credermi... perché mai avrei dovuto dirtelo? Per sentirmi dire
in faccia che non sono il tuo tipo? Appena avessi voltato le spalle
ti saresti messo anche a ridere, magari. Dammi una sola buona ragione
per la quale avrei dovuto espormi così"
La
parte razionale di Arthur capiva i pensieri di Merlin. Infondo era
vero... all'inizio aveva completamente rifiutato l'eventualità
che si fosse trattato di un ragazzo; poi la curiosità aveva
prevalso sui suoi pregiudizi e aveva continuato a cercare. La sua
parte irrazionale invece, quella che più di tutte faceva di
lui quel che era, pretese qualcosa che Merlin non gli aveva dato.
"Hai
davvero una pessima considerazione di me Emrys, se pensi che ti avrei
riso in faccia e poi voltato le spalle. Certo, avresti rischiato di
sentirmi dire che non potevo ricambiare il tuo interesse, ma credi
davvero che ti avrei tolto addirittura il saluto? Guardami in faccia
e dimmi che è così"
Merlin
in effetti lo guardò. Il coraggio di dire che era
così
però, all'ultimo venne meno. Se c'era qualcuno che conosceva
il carattere di Arthur, quello era proprio lui. Per lunghissimo tempo
l'aveva osservato, aveva imparato le sue abitudini e il suo modo di
fare. Infondo sapeva che Arthur non sarebbe mai stato il tipo da
ignorare una persona semplicemente per una cosa del genere. Eppure
Merlin aveva avuto paura delle conseguenze e aveva lasciato che la
paura vincesse su tutte le certezze che aveva sull'altro.
"Vuoi
una buona ragione per la quale avresti dovuto esporti? Te ne do anche
più di una: la prima sono
io ed
è la più importante perché da qui si diramano
anche le altre buone ragioni. Io mi sono esposto per primo con te, ti
ho reso partecipe dei miei pensieri e della mia vita. Ti ho detto
cose che... che cazzo, Merlin, non vado a dire di certo a tutti! E tu
lo
sai,
lo so che lo sai, mi conosci
anche se al momento cerchi di fingere che non sia così perché
ti fa comodo! E' così da pazzi sapere che sì, mi
aspettavo da te lo stesso trattamento?"
La
sua coscienza cominciava ad essere troppo pesante e quel peso
trascinò il suo sguardo verso terra. Merlin si sentiva
divorare dai sensi di colpa, ma non avrebbe lasciato che la
situazione tra di loro si chiudesse così miseramente; aveva
bisogno di sapere che Arthur capisse
perché si era comportato così. Quando alzò
nuovamente gli occhi su di lui, lo trovò più vicino di
dove l'aveva lasciato qualche istante prima. Arthur non aveva mai
smesso di guardarlo in realtà, e una sorta di delusione si era
fatta strada sulla sua rabbia.
"Senti
Arthur, che vuoi che ti dica? Hai ragione. Hai tutte le ragioni di
questo mondo. Vuoi che sia sincero con te? L'unica cosa che posso
fare è prometterti che lo sarò... da oggi in poi. Ma
tornassi indietro, sai anche tu che farei di nuovo la stessa scelta,
perché... perché sì. Perché io ragiono in
modo diverso da te e anche se può essere difficile da
accettare, devi capire che non ho mai voluto prendermi gioco di te o
della tua amicizia. Se sono rimasto zitto è perché ho
creduto fosse la cosa migliore da fare, non prenderla sul personale.
E' stata una mia scelta e non è dipesa da te. Ci... ci tengo
alla tua amicizia e mi dispiacerebbe buttare tutto all'aria solo
perché sono uno stupido. Però me lo meriterei, quindi
qualsiasi cosa tu voglia fare, ti giuro che la accetterò"
Davvero,
più di quello non poteva fare. Merlin allargò le
braccia con eloquenza, prima di lasciarle ricadere contro i fianchi;
sentiva la guancia pulsare ad intervalli regolari e la pelle gonfia
lo costrinse a socchiudere l'occhio.
Arthur
sembrò valutare attentamente le sue parole, per un tempo
piuttosto lungo; ad un certo punto dovette arrivare ad una
conclusione davvero divertente, perché di punto in bianco si
mise a ridere dapprima con discrezione, poi sempre più
apertamente. Merlin lo guardò interdetto ed arcuò un
sopracciglio scuro.
Cosa
c'è di così divertente adesso? E' la seconda volta oggi
che scoppia a ridermi in faccia. Alla terza gli mollo un destro su
quella stupida faccia da asino.
"La
tua faccia" esalò Arthur, quasi avesse sentito la sua
domanda, "Dovresti vedere la tua faccia! Sembri avere una
pallina da golf nascosta dentro la bocca ahaha!"
Merlin
puntò le mani sui fianchi e Arthur si piegò sulle
ginocchia, incapace di fermarsi.
Come
ci erano arrivati a quel punto?
Quel
pomeriggio era stato baciato dall'imbecille, il suo segreto era stato
scoperto, si era lasciato picchiare ed ora veniva anche deriso (di
nuovo)!
Nella
mia vita precedente devo essere stata davvero una cattiva persona se
sto ancora pagando per dei mali che in questa vita non ho mai
compiuto.
"No
ma tranquillo. Fai con calma. Prenditi tutto il tempo che vuoi..."
biascicò senza troppa convinzione e scoprì così
di avere una certa difficoltà nell'articolare bene le parole.
Se possibile, quell'accento strano che gli era uscito, aumentò
ancora di più le risate di Arthur che tra un respiro e l'altro
continuava a ripetere di non
potercela fare.
Merlin dovette aspettare un po' prima di ritornare ad avere la sua
completa attenzione (e grazie tante).
"Hai
finito?" la stizza fu vagamente percepibile.
Arthur
schiarì la gola, ma le labbra non volevano saperne di far
sparire quel sorriso di chi era fiero di ciò che aveva causato
(ed Emrys se l'era meritato, non si sarebbe mai sentito in colpa per
quello).
"Per
il momento sì" lo graziò il biondo, piegando la
testa da un lato. Continuava a guardarlo come se nella sua testa
stessero passando un sacco di pensieri strani e pericolosi.
"Hai
detto che accetterai qualsiasi
cosa vorrò
fare, giusto?"
Merlin
non seppe il perché, ma intravedendo uno strano luccichio in
fondo agli occhi azzurri di Arthur, d'istinto arretrò di un
passo.
"Beh...
sì ma non intendevo che-"
"Hai
detto qualsiasi,
sì o no?"
"E'
una cosa che metterà a rischio la mia vita?"
"Forse
non hai capito come funziona, te lo rispiego. Io faccio le domande,
tu rispondi. Sì o no?"
Il
moro strinse le labbra in un'unica linea sottile e titubò
talmente tanto che Arthur fu costretto a raggrumare le labbra per non
mettersi a ridere di nuovo; arcuò le sopracciglia e lo guardò
come per dire quindi?
"Sì
l'ho detto" fu costretto a sputare alla fine, arricciando la
punta del naso controvoglia.
Pendragon
Maschio schioccò con soddisfazione la lingua contro il palato
e lo guardò in un modo che lo fece sentire fregato.
"Bene
Emrys, ti ci è voluto! Quello che voglio è che tu esca
con me"
Merlin
aprì e richiuse la bocca più di una volta, prima di
rispondere.
"Ma
usciamo già... insieme. Nel senso-"
"Nel
senso sbagliato. Intendo una serie di appuntamenti. Sai, di quelli
dove due persone si vedono per stare insieme in un interesse
reciproco. Pensi di potercela fare? Te lo sto chiedendo solo per
cortesia, non perché mi interessi davvero la risposta. Perché,
come tu hai già detto, accetterai qualsiasi
cosa
vorrò fare. Dopo tutte le cazzate che mi hai raccontato, direi
che me lo devi, non credi?"
Oh
Dio, è appena diventato Morgana la vendetta!
Il
moro non poté fare a meno di notare l'incredibile somiglianza
despota che caratterizzava entrambi i fratelli Pendragon, chi più
chi meno. Corrugò la fronte, piuttosto confuso su come l'asino
Pendragon fosse riuscito a rigirarlo come un calzino e l'unica cosa
che poté fare, fu biascicare un misero
sì.
Non
è che non fosse felice, intendiamoci.
Il
fatto era che non era abituato ad essere il protagonista di palesi
botte di fortuna.
Quella
era una botta
di fortuna
ed era capitata a lui.
Quando
Arthur gli passò un braccio intorno alle spalle con
sorprendente agio e condusse entrambi verso i loro dormitori
maschili, Merlin pensò che forse, forse
i
telefilm melensi come Once Upon a Time che Gwen era solita vedere
ogni sacrosanta settimana, non raccontassero storie così prive
di senso.
La
fantasia da qualche parte doveva pur prendere spunto dalla realtà,
no?
NOTE
DELL'AUTORE: Pensate
di aver aspettato tanto per questo capitolo? Io vi consiglierei di
NON pensarlo perché credo che per il tredicesimo attenderete
anche di più XD spero abbiate notato la lunghezza bestiale del
dodicesimo... voglio dire, posso anche essere perdonata insomma ù_ù
Grazie a Ryta
Holmes che
beta la storia, grazie a tutte voi che recensite, grazie a chi legge
solamente ed a chi fa queste cose fantastiche (una Mimiwitch)
a caso:
Poooi,
volevo approfittare per chiedervi in qualità di fan merliniane
di partecipare a questo progetto: http://www.moremerlin.com/
Si
tratta di un gruppo di persone che stanno cercando di far riprendere
la serie di Merlin o per lo meno farne un film che giustifichi
l'orribile ultima puntata. Più saremo, meglio sarà!
Oggi
mi sento di buon umore perché ho partecipato ad un
fantasmagorico rito wiccan, quindi non vi ammorberò con le mie
solite chiacchiere e passo direttamente alle note:
(1)
http://www.youtube.com/watch?v=faQSs6UBDok&feature=related
(2)
Una serie di sfortunati eventi è un film bellissimo che tutti
dovreste vedere u.u
(3)
OTP: "One True Pairing" ovvero L'unica vera coppia, è
un'espressione che viene usata da alcuni gruppi di persone per
sottolineare la convinzione che l'amore/amicizia tra due personaggi
(di un telefilm o di un fumetto o di qualcosa di simile) sia l'unico
accoppiamento possibile ed allo stesso tempo veritiero
(4)
Famiglia appartenente al fandom del Trono di Spade, il cui motto è
'Un Lannister paga sempre i propri debiti'.
Namaste!
)O(
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