Seduta
3, Studio Dr.Lecter. Ore 19:37
Rovisto
con la lingua in un angolo della bocca in cerca di un immaginario
pezzo di vetro scampato a diciassette lavaggi e altrettanti
risciacqui. Sento l'eco della risata sardonica di Klaus mentre la
notizia viaggia di bocca in bocca fino a New Orleans e penso 'Elena
Gilbert ha vinto anche stavolta'. “Quella puttanella”
sibilo. Lo psicanalista mi guarda con aria imperturbabile, sebbene
abbia udito la mia imprecazione. Ha tratti svedesi. E' troppo alto.
Troppo ben vestito. Non mi piace. “Non mi mostra i fogli con le
macchie?”
“Vuole
che gliele mostri?”
Ricordo
il fiotto di sangue misto a saliva che ho sputato sul linoleum rigato
del pavimento del liceo di Mystic Falls, quando mi sono svegliata
dolorante e affamata.
“Katherine?”
Voglio
tornare vampiro e voglio Elena Gilbert morta. Sollevo lo sguardo
sull'uomo. Non deve piacermi. Lo pago per ascoltarmi, non per
sollazzarmi la vista. Lo psicanalista comprime i polpastrelli fra
loro, sospira e tira su la gamba del pantalone.
“A
cosa sta pensando?”
Baltimora
sembrava una buona idea. Il suo nome in cima alla lista dei
migliori psichiatri del paese sembrava una buona idea. Ora mi chiedo
cosa ci faccio qui.
“Sto
pensando...”
La
voce si incrina, stringo le labbra e l'uomo non muove un muscolo. Ci
guardiamo per un lungo momento negli occhi. Non leggo niente.
Interesse, curiosità, impazienza. Niente. Non c'è
niente. Un altro guscio vuoto come...
“Katherine?”
“Katerina”
bisbiglio abbassando lo sguardo sulle sue mani. Dita lunghe e forti,
fatte apposta per strappare arti e cuori. “Mi chiamo Katerina
Petrova.”
Lo
psicanalista apre la cartellina su cui ha annotato in bella grafia
l'elenco dei pazienti. Cura maniacale dei dettagli. Mi piace sempre
meno.
“Katherine
Pierce è il suo nome americanizzato?”
Un
ricciolo scivola sulla guancia. Gli fisso il mento, le labbra ben
disegnate e il taglio di capelli perfetto. Cosa ha che mi disturba
tanto? Mi ricorda Elijah. Non hanno alcun tratto fisico in comune ma
sono entrambi compassati e freddi. Elijah mi ha messo in secondo
piano per correre dietro al fratello. Mi ha abbandonata.
Risucchio il labbro inferiore e lo lascio andare. “Quanto tempo
mi rimane?”
L'uomo
non guarda l'orologio che ha al polso, ma sembra conoscere
perfettamente l'ammontare di tempo passato fra un silenzio e l'altro.
Non ho parlato molto. Non ho risposto a nessuna domanda. La mia
espressione di dolore è eloquente. Lo sento da come si
contraggono i muscoli del viso. Lo psicanalista chiude la cartellina
e la posa accanto a se. Strofina il mento con l'indice e attende la
mia risposta.
“Preferisce
che le fissi un appuntamento con una collega?”
“Per
sentirmi più a mio agio?”
Carico
la domanda di sarcasmo, l'uomo sfiora di nuovo il labbro con il
polpastrello.
“E'
a disagio, Katerina?”
Solo
Elijah mi chiama Katerina. Dovevo dare un'occhiata anche a Craig's
List prima di scegliermi il padre confessore. “Sono
sospettosa di natura.”
“Lei
non è mai stata in psicanalisi.”
Ho
conosciuto un paio di tizi appassionati alla materia, nell'ultima
frazione di secolo. “Ho avuto una vita piena d'impegni, finora”
mormoro guardando a sinistra il vaso di fiori freschi. Questo posto è
enorme, aperto, ordinato. Il dottore fissa l'orologio volutamente.
Appena apre l'agenda, sento il respiro fuoriuscire e le spalle
abbassarsi. Mi guarda per un lungo attimo, ma non commenta.
“Martedì,
stessa ora?”
L'ultimo
appuntamento della giornata. Non ha una moglie che lo aspetta a casa?
Fisso la mano sinistra in cerca dell'anello, ma potrebbe essere uno
di quelli che nasconde il proprio status alle pazienti. Lo
guardo bene in viso. Lui attende con la penna in mano. Chiude di
nuovo l'agenda e aggiusta la giacca. Altra stilettata sotto il
diaframma. “Non è rimediabile.”
Il
guscio vuoto di fronte a me sembra animarsi di una scintilla di
curiosità. Lo fisso dritto negli occhi e le mie labbra si
muovono da sole. “Ha mai ucciso un uomo, dottore?”
“Ha
ucciso un uomo, Katerina?”
“Molti.”
Nessuno
conosce il numero esatto, neppure io. Non sono mai stata eclatante da
quel punto di vista. Non ho una stanza dei trofei come Stefan
e Klaus. “Le sto facendo perdere tempo” borbotto muovendo
un piede ben calzato. Punto le mani sul divano e quando mi alzo, mi
sento goffa, sgraziata, debole e inutile. Lo psicanalista mi
accompagna alla porta e nella camera d'attesa vuota, risuona il
rumore dei miei tacchi a spillo. “Il tempo è bastardo,
dottore” sussurro quando mi apre la porta. “Il tempo non
guarisce il senso di colpa, non lo attenua. Il tempo scorre per
ricordarci quella volta e quell'occasione persa.
Il tempo non da sicurezza, tiene aperte tutte le ferite”
sentenzio, fissando il suo fermacravatte d'acciaio. E' intelligente.
L'oro può intimorire. “Annulli le prossime sedute”
borbotto scivolando sul corridoio. Un uomo barbuto che sembra portare
sulle spalle il peso del mondo, mi viene incontro con lo sguardo
vacuo. Non sono l'ultimo appuntamento della sera, a quanto sembra.
L'ascensore mi riporta al pianterreno e quando finalmente abbandono
l'edificio, riprendo a respirare. Sento odore di morte, attorno a me.
Addosso a me. Mi volto verso la finestra illuminata dell'appartamento
dello psicanalista e in quel momento ronza il cellulare. Avevo
dimenticato di averlo e la batteria è quasi scarica. Numero
sconosciuto. Ci spero. Per tre secondi. “Sì?”
Il
cuore mi batte nel petto con una tale violenza che credo di cadere
svenuta da un momento all'altro. Il respiro. L'attesa.
Quell'attesa...
“Condoglianze,
dolcezza.”
Scaravento
il telefono a terra e il coperchio salta insieme alla batteria. La
voce di Klaus è stata come una frustata improvvisa ad un nervo
scoperto e infiammato. Me la sento nelle spalle e il formicolio
arriva alla punta delle dita. Chiudo le mani a scatto e le riapro.
Raccolgo i tre pezzi e li infilo nelle tasche del giubetto. Vorrei
disfarmene, ma quel numero è l'unica cosa che mi è
rimasta. L'unico contatto possibile fra me ed Elijah.
***
L'idea
è difficile da attuare. Non conosco questa città e non
sono in grado di rilevare la presenza di un vampiro. Tornare come
prima è in cima alle priorità, ma devo anche
mangiare e dormire. Un'infanzia difficile - al limite della miseria -
mi ha insegnato a risparmiare: ho un discreto conto in banca che mi
assicura una copertura totale. Non ho alcuna voglia di trovare lavoro
come cameriera in una tavola calda. Sono sempre stata una di alto
livello e gli uomini staccano sostanziosi assegni per un servizio
di alto livello. Poso l'hamburger che sto mangiando e fisso l'uomo di
fronte a me. Fa finta di leggere la rivista ma ho sentito i suoi
occhi addosso per buona parte della serata. Non smetto di guardarlo e
quando non ne può più, abbassa il giornale e ricambia
l'occhiata. Analizzo i dettagli. L'orologio che porta al polso, le
scarpe che indossa, la fattura dei vestiti. La mia mente risuona come
una cassa automatica e mostra un prezzo troppo basso, per renderlo
interessante. Finisco il grasso pasto e mentre torno a casa, odo un
miagolio inconfondibile che mi fa sospirare. Mi fermo di fronte alla
gelateria e alzo gli occhi al cielo. Devo accontentare la bambina
interiore... e cominciare a mettermi a dieta. Sono qui da tre
settimane e la bilancia digitale segna un peso diverso ogni giorno.
Pago il gelato alla frutta e torno a passeggiare in direzione della
villetta che ho preso in affitto. Mi piacciono anche gli open
space, ma quando devi guardarti le spalle, tendi a preferire i
luoghi raccolti e invisibili. Una goccia di gelato alla menta scivola
sulla nocca, la lecco via e mentre frugo nella borsetta in cerca
delle chiavi – con qualche difficoltà – inclino
troppo il cono e la massa fruttata si schianta a terra. Osservo la
poltiglia colorata e mugolo fra i denti. Ora mi tocca anche pulire.
Entro in casa, accendo tutte le luci – altra vecchia abitudine
– vado un cucina e strappo un paio di fogli di carta assorbente
dal rotolone. Mi piace mangiare ma non so cucinare. Ho comprato un
manuale e rifornito il frigo. Non ho idea di quanto durerà
quella roba o di quanto impiegherà a marcire. Torno sul
pianerottolo e mentre sono chinata a raccogliere la poltiglia che sta
squagliandosi, non mi accorgo della presenza, del buco nero
dell'universo. Non lo vedo finché non si avvicina, allora
riconosco la misura delle scarpe e comincio a iperventilare.
“Sempre
difficile da rintracciare, Katerina.”
Ingoio
la saliva, il cuore mi esce dalle orecchie e quando sollevo lo
sguardo su di lui, le mani sporche di gelato e strette attorno alla
carta assorbente, mi chiedo se è lì per ridere di me o
per completare ciò che ha iniziato cinquecento anni fa. Ci
fissiamo per un lungo istante negli occhi e il vecchio istinto di
sopravvivenza mi fa arretrare dentro casa. Klaus osserva l'arco
all'entrata e sospira. “Stai bene?”
“Sono
stata meglio” ammetto facendo un altro passo indietro. Vado in
cucina e getto tutto nella spazzatura. Spio l'entrata. È
ancora lì, con lo sguardo perso nel vuoto. “Sei passato
per un saluto?”
Klaus
muove la mandibola e stringe i denti, nervoso. “E' bella,
questa città? Ti trovi bene?”
“Sì
e sì, paparino.”
Frecciata.
Non ho potuto farne a meno. Klaus mormora qualcosa, pinzando la
radice del naso e passando una mano sul viso. “Mi fai entrare?”
Vorrei
dire no ma come spesso accade, in sua presenza, sento la
volontà indebolirsi. Devo raccontarlo allo psicanalista, alla
prossima seduta? “Se prometti di fare una cosa per me.”
“Te
ne devo una, comunque...” sospira socchiudendo gli occhi,
esausto. “Che vuoi, spara!”
“Voglio
tornare come prima.”
Klaus
mi scruta a lungo, in silenzio. “Si può fare.”
“Si
può fare ora?”
Note dell'Autore:
Sequel di 'Meet EM at 2:00 pm' + Stagione 4, puntate 4x20 e 4x24.
Personaggi di 'Hannibal' che compariranno nella storia: Will Graham, Bedelia Du Maurier, Hannibal Lecter.
Personaggi di 'The Vampire Diaries' che compariranno nella storia: Klaus Mikealson, Katherine Pierce.
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