« Once Upon A Time »
Pictures presents...
Gemini Kanon & Wyvern
Rhadamantis in
« Barbablù »
C’era una volta, in un paese
tanto lontano, un uomo tanto ricco quanto strano.
Su di lui circolavano le dicerie
più disparate, ma nessuno osava denunciarle come si conviene, poiché lord
Rhadamantis era il reggente della contea, ed aveva sempre governato con
metodica moderatezza. Ciononostante, sul suo temperamento collerico – una leggenda,
stando ai tanti che avevano provato di persona i suoi modi impeccabili e glaciali
– correvano voci tanto bizzarre quanto inquietanti. Si era persino guadagnato
il soprannome di Barbablù, e tutti nel regno ormai si riferivano a lui in quel
modo, a mezza voce, tra un pettegolezzo e l’altro. Questo benché le chiome del
signore fossero biondo champagne ed egli si presentasse sì con un minaccioso,
cespuglioso, unico sopracciglio, ma di barba nemmeno l’ombra.
“Il signore non ha la barba blu”
consolava, il fratello, la sorellina singhiozzante, attento a non mostrarsi
troppo apprensivo, e continuò più dolcemente che poteva: “nemmeno un po’ blu.”
“Per forza non ce l’ha blu, non
ha né barba né baffi. Qualcuno te l’ha mai spiegato perché lo chiamano
Barbablù?” s’intromise un secondo ragazzo, che dell’altro pareva il riflesso
allo specchio. Entrambi giovani e atletici, della stessa età, gli stessi
lineamenti; il secondo che aveva parlato si dondolava, più disinteressato del
gemello, penzolando una gamba dall’albero su cui si era appollaiato.
“Non l’ho mai chiesto, Kanon.”
Saga accennò uno sguardo di
rimprovero ai rami che gli nascondevano il fratello, per tornare a carezzare i
capelli della sorella minore. Non si dava pace, la poveretta, da quando la
madre aveva dato loro l’annuncio che Barbablù aveva intenzione di presentarsi,
due giorni dopo, per chiedere la mano di una delle – era rinomato – bellissime
figlie della gran dama che viveva in città. L’una o l’altra, aveva precisato
per iscritto, non faceva la differenza; e l’altra sorella versava più o meno
nelle stesse condizioni, inorridita, solo che in quel momento giaceva a letto,
stremata per i troppi infusi di valeriana con cui avevano dovuto sedare le sue
crisi isteriche.
“Beh, io sì.” Un luccichio degli
occhi veloce, scaltro, aveva accompagnato quella ripresa subitanea del
discorso, con un sorrisetto fuori luogo. “E sai cosa? Non lo sa nessuno. Fanno
la faccia scura e distolgono lo sguardo, biascicando tu non lo vuoi sapere…”
La dolce, sensibile sorellina
scoppiò in sonori singhiozzi.
Saga lo fulminò.
“Beh…” si ritrasse, l’altro,
quasi offeso. “È per dire che in verità non lo sa nessuno! Fanno tutti finta,
ecco cosa!”
Ma ormai nessuno dei due lo
ascoltava più. La giovane tirava su col naso, disperata, sillabando a mezzo del
gran pianto: “Ma lo sape… te che… che fine hanno fatto le mo-mogli di Bar… di
Barbablù? Nessuno lo sa, nessuno!” mugolò qualcosa mentre si soffiava il naso
con il fazzoletto che Saga premurosamente le porgeva “…uno! Ecco! E io non lo
voglio non lo voglio non…” Un altro singhiozzo. “Voglio morire...!” rantolò,
buttandosi sulle ginocchia del fratello maggiore. Saga sospirò, sconsolato. La gran
dama loro madre non aveva intenzione di costringere nessuna delle due figlie a
tanto azzardate nozze, sebbene le ricchezze di Barbablù avrebbero reso
possibile alla famiglia una sistemazione economica migliore. Essa aveva anche
due figli maschi, ai quali voleva preparare l’avvenire, ed organizzare loro un
matrimonio come si deve.
Ciononostante…
“Ebbene, signore? Quale tra le
mie figlie preferite?”
Lord Rhadamantis aveva sorriso
serafico, scatenando il tremito convulso di entrambe le sorelle, e con lo
sguardo apparentemente cortese da serial killer decretò, con tutta l’aria di
chi sta facendo una semplice osservazione:
“Tra loro, le mie preferenze
vanno alla graziosa, radiosa fanciulla laggiù, dagli splendidi capelli dai
riflessi del colore delle onde del mare.”
Il ritmo cadenzato con cui aveva
parlato suonava come una garbata condanna a morte, comprese le metafore
formalmente impeccabili. E un breve silenzio fu d’obbligo, nei secondi seguenti.
“…prego, mio signore?”
“Lei. La fanciulla dagli
splendidi capelli dai riflessi del colore delle onde del mare” ripeté
pazientemente il nobiluomo. Con un tono che ammazzava qualsiasi possibile
replica in gola.
Saga e Kanon si erano voltati
l’uno verso l’altro.
Saga per primo, in verità.
Definirlo perplesso sarebbe un gradito eufemismo.
Stessa cosa doveva pensare la
madre, da come diede ingenuamente le spalle al proprio ospite per rivolgersi ai
due figli, che nemmeno sedevano sul divano, relegati in secondo piano. Passò con
sguardo ebete da uno all’altro. Effettivamente, il commento del conte poteva
benissimo riferirsi ad entrambi.
“No” chiosò con notevole
savoir-faire lord Rhadamantis, nemmeno avesse letto loro nel pensiero “quella
ha certamente splendidi capelli dai riflessi del colore del cielo notturno.
Sono invero molto simili. Ma non è lei la fanciulla di cui parlo. I suoi
capelli sono, invece, dai riflessi del colore delle onde del mare. Mi sembra
molto chiaro.”
La piccola dissertazione diede di
che riflettere a tutti gli astanti, per qualche secondo ancora.
La gran dama non si era preparata
psicologicamente a un risvolto del genere.
Una delle sorelle pensava in cuor
suo che l’appunto era molto pertinente.
L’altra che avevano davvero a che
fare con un pazzo maniaco.
Saga rimase in silenzio.
Kanon si grattò il naso.
“Ebbene, ho deciso che sarà lei
la mia sposa.”
“Ma… signore, siate ragionevole…
non vedete che…?”
“Le vostre figlie sono
indubbiamente le più belle della contea. La loro fama è meritata.”
“Vi ringrazio, mio signore, ma…!”
“E anche il tè che avete fatto
servire era discretamente apprezzabile.”
“Vi ringrazio, tuttavia…”
“Quale parte del mio discorso non
vi è chiaro, mia signora?”
Saga rimase in silenzio. Le due
sorelline si tenevano per mano, impietrite, sentendosi autorizzate a defilarsi
verso un angolo della stanza. La nobildonna, confusa, boccheggiava passando lo
sguardo dall’arcigno profilo del gigante che troneggiava sulla stanza allo
sbattere di palpebre del minore dei due gemelli; le sopracciglia discretamente
inarcate parevano l’unico segno estraneo alla riflessione in cui era
evidentemente immerso il ragazzo. Che, proprio mentre la dama pareva essere in
grado di riprendere a parlare – balbettava, in sottofondo, qualche residua
richiesta di delucidazioni – si riassettò i vestiti, si esibì in un modesto,
compito inchino, e dando prova di notevole eroismo accettò la sua sorte e si
congedò dal gruppo per andare di là a spazzolarsi i capelli.
La cerimonia si svolse in maniera
pacifica e discreta, senza troppi preamboli né fronzoli.
Kanon apprezzò modestamente e
rese grazie allo sposo. Dopotutto, non ardeva dalla voglia di presentarsi
velato in chiesa, con a seguito una barca di mocciosi a reggergli lo strascico.
Come dire, non faceva per lui. Ad ogni modo, ora era sposato con Barbablù.
Stava ancora metabolizzando per
bene il fatto, dondolando la testa ad ogni scossone della carrozza che li stava
conducendo allo splendido palazzo del conte. Lord Rhadamantis suo marito sedeva
di fonte a lui, le braccia incrociate e le gambe accavallate e lo guardava.
Sorridendo. Quando se ne accorse gli sorrise di rimando, imitando alla
perfezione quel ghigno beffardo, più scanzonato, e con aria innocente si
sistemò più comodamente sui morbidi sedili e stese per bene le gambe,
perfettamente a suo agio. Non si erano detti una parola per tutto il viaggio.
Gli occhi del signore brillarono di una strana luce fredda, quando lo vide
assumere quel blando ma palese atteggiamento di sfida. Kanon avrebbe azzardato
osservare che ne sembrava quasi compiaciuto. Non disse nulla. Aveva
salutato con una pacca sulla spalla il suo sconvolto fratello gemello, baciato
le sorelle, preso commiato da una madre con qualche capello bianco in più, tutto
senza riuscire a farsi strappare dai loro sguardi un qualsiasi commento sul
“fattaccio”. Ma la verità, per esser franchi, era che era discretamente curioso
di vedere come sarebbe andata a finire.
Per essere ancora più franchi,
moriva dalla voglia di cominciare a ficcare il naso in giro.
“Accadrà spesso che io debba
assentarmi per lavoro.”
La voce possente del padrone di
casa rimbombava, senza essere disturbata dall’eco, per gli alti corridoi. Kanon
si guardava in giro, la bocca schiusa, registrando svelto tutti i particolari.
Lo sfarzo della villa non le precludeva una distinta eleganza, di cui il
padrone di casa aveva ben di che essere orgoglioso. Le decorazioni, i mobili,
le tende, tutto riempiva il giovane di grande meraviglia. Contenne il suo
entusiasmo, ancora sul chi vive, ma lodò a voce alta i quadri appesi alle
pareti. La servitù, che era stata chiamata e disposta in due ordinate file
lungo i lati del corridoio perché potesse dare il benvenuto alla nuova padrona
di casa, vide Lord Rhadamantis sorridere dall’alto della sua signorilità,
evidentemente fiero della propria magione, nonché del buon gusto della moglie.
Perciò nessuno, malgrado lo scetticismo che accompagnava i passi baldanzosi del
giovanotto sconosciuto, osò protestare.
“Mi ascolti, Kanon?”
Il ragazzo trasalì, nel sentire il
suo nome scandito da quella voce profonda. Si fece avanti.
“Certo.”
“In mia assenza sarai tu a
custodire le chiavi del palazzo.” Estrasse dalla tasca un tintinnante mazzo di
chiavi. “Le lascio a te. Sono le chiavi di tutte le porte, tutti i forzieri,
tutti gli armadi. Potrai invitare tutti gli ospiti che gradirai, disporre a tuo
piacimento della dispensa, dell’argenteria, dei gioielli. Ora tutto ciò che è
in questa casa è tuo. Solo, per nessun motivo al mondo dovrai aprire la porta
che si trova in fondo alla galleria e che si apre con questa chiavetta d’oro.
Mai. È questa l’unica restrizione che ti pongo. Se entrerai in quello stanzino,
bada, sarà peggio per te: avrai di che pentirtene amaramente.”
Kanon, ovviamente, non si era
perso una sola parola. Sbatté gli occhi, assunse l’aria più innocente del suo
repertorio, e giurò all’amato sposo che mai e poi mai avrebbe trasgredito i
suoi ordini, eccetera eccetera. Si trattenne dallo stringere le chiavi in pugno
e ridere come uno psicopatico solo perché il marito non gliele aveva
effettivamente consegnate in mano. Tanto meglio. Stava già meditando, mentre
trotterellava diligentemente dietro al suo sposo, ad uno stratagemma per
appropriarsi di quel mazzo in un momento molto più inatteso che la banale
assenza per il classico viaggio di lavoro. Barbablù lo sottovalutava.
E così, mentre si guardava
attorno, aggirandosi per le stanze senza preoccuparsi di celare la sua
camminata mascolina, gira che ti rigira aveva già un abbozzo di piano in testa.
Spostò lo sguardo dai tendaggi al marito, lo squadrò da capo a piedi, e via dal
marito ai tendaggi, e di nuovo su di lui dai piedi al capo. E sorrise. Non lo
ascoltava granché, lo avrebbe fatto con piacere, ma aveva altro a cui pensare.
Quella sera avrebbe dovuto prepararsi con un attimo d’anticipo. Dopotutto,
c’era da sedurre il grande Lord Rhadamantis.
Non che poi fosse stato tanto
difficile.
Esattamente come si era figurato,
Lord Rhadamantis non si era fatto grandi problemi.
Non era tipo che se ne faceva. Sull’apparente
equivoco della bella “fanciulla dai capelli color del mare” in realtà c’era ben
poco da dire, come si aspettava. Ma del resto, nemmeno Kanon era uno che si
faceva grandi problemi. Lui era un ragazzo troppo spiccio, e la semplicità
un’arma lungamente, ignominiosamente dimenticata. Dopo averci pensato a lungo,
immerso fino al mento nella bollente vasca da bagno profumata, e aver deciso di
tagliar corto, si era alzato, asciugato con cura, e presentato a letto con un
sorriso disarmante, pericolosamente mellifluo.
Non che poi fosse stato tanto
difficile.
Lord Rhadamantis dormiva, e lui
aveva in mano le chiavi. Il tutto in meno di dodici ore.
Kanon sgusciò a passi felpati
fuori dalla camera, poggiò i piedi nudi sulla fredda pietra del pavimento e poi
camminò quasi solo sui tappeti, complici nel loro silenzio.
Era diretto verso il fondo della
galleria.
Kanon si avviò verso la porticina
misteriosa, infilò la chiave dorata nella toppa, la girò con cautela, entrò e…
il suo volto fremette e si contorse per il disgusto.
All’interno di quello stanzino
non v’era nulla di misterioso, né raccapricciante, né da film horror di serie
B. Semplicemente, servizi da tè e porcellane da esposizione – tutte di
squisitissima fattura. Però vasellame rimaneva.
“Mi hai disobbedito, Kanon.”
Il ragazzo si voltò, colto
completamente di sorpresa. Era sicuro di averlo lasciato che dormiva
tranquillamente tra le lenzuola, eppure Lord Rhadamantis era lì, dietro di lui,
in vestaglia da camera, appoggiato allo stipite della porta con le braccia
incrociate al petto. Il suo cipiglio pareva più minaccioso che mai.
“Cos’è questa roba?” chiese di
rimando Kanon, piuttosto, indicando con enfasi l’eccellente collezione di
maioliche. L’altro sogghignò. Lui rabbrividì. Aveva sogghignato nello stesso
modo con cui aveva risposto al sorriso disarmante, pericolosamente mellifluo di
Kanon, quando pensava di essere lui quello che l’avrebbe beffato. Quel
sogghigno in quel momento aveva quella stessa luce negli occhi che l’aveva
sfiorato come una lama quel pomeriggio in carrozza, ma l’aveva fatto in un modo
che persino Kanon, per un attimo, aveva esitato. Ma il dado, come si suol dire,
era tratto. E non ci aveva pensato.
“Lo puoi vedere con i tuoi
occhi.”
“Va bene, ma…!”
“Coalport, Plymouth, Vauxhall, Liverpool, e, naturalmente, Worcester. Qualche pezzo è
addirittura un rinomato Wedgwood. Capisci bene perché necessitano di una stanza
a parte.”
“Beh…”
Lo sguardo del marito si fece più cupo. Kanon ci rifletté sopra attentamente.
“Sì, lo posso capire. Ma… perché
addirittura l’ingresso proibito?”
“La curiosità è il brutto vizio
delle donne.” Assieme allo sguardo s’incupì la voce, che andava in calando.
“Non una delle mie mogli ha resistito alla tentazione di infilarsi in questa
stanza nonostante il divieto. E ognuna di loro, affascinata da questi pregiati
artefatti, ha voluto prendere in mano qualcosa, e immancabilmente combinare
qualche danno. Ho perso due magnifici ornamenti in porcellana di Chelsea –
ahimé, tristemente nota in effetti per la sua scarsa resistenza. La curiosità è
donna.” Lo fulminò nuovamente, con lo sguardo, il terribile Barbablù. “E le
donne non vi sanno resistere.”
Kanon sollevò le sopracciglia,
perplesso. Scorse lo sguardo dal marito alle porcellane, non riuscendo a
percepire dentro di sé la benché minima voglia di mettervi le mani sopra. Alla
fine spostò di nuovo lo sguardo sul suo sposo.
“Rhadamantis… sono un uomo.”
Rhadamantis sorrise di nuovo con
quella strana luce negli occhi che ben tre volte in una giornata Kanon aveva
acceso. Non si era sbagliato. L’aveva intuito dal primo sguardo.
Aveva finalmente trovato l’anima
gemella.
E così, il misterioso stanzino
venne cerimoniosamente richiuso.
Kanon invitò a palazzo diverse
volte i suoi amici, organizzando numerose cene, e inorgogliendosi di casa
propria. Venne la madre, le sorelle, il fratello, venne persino Ikki – un
ragazzino del circondario con cui Kanon aveva stretto solida amicizia dopo
essere stato bulleggiato senza pietà da lui – che aveva spalancato bocca e
occhi e, scettico, aveva commentato “roba da matti”, e si era rifiutato di
prestargli l’ennesima consulenza in questioni di cuore. Disse che non gli
importava niente se Kanon si era innamorato e se ne andò, ma fu comunque
piacevole. Invitò anche un paio di volte, per cortesia, le ex-mogli del suo signore.
Effettivamente, avevano fatto una brutta fine: erano state costrette a
risarcirgli ogni piccolo pezzo della sua collezione che avevano danneggiato. Ci
avevano speso una fortuna.
Durante ogni festa, il giovane
sposo aveva interi servizi di stoviglie pregiate da adoperare, e mai si curò
delle amate porcellane del consorte. Quando si annoiava della vita di corte,
pretendeva di andare in avanscoperta, quando era periodo di guerra, assieme al
valoroso conte. Lord Rhadamantis smentì la propria fama di Barbablù – di cui
aveva sempre peraltro ignorato l’esistenza – e vissero assieme per sempre
felici e contenti.
And they
all lived happily ever after. ~
{
Ever after
}
Mi
dedico alla ripubblicazione di questa fan fiction dopo un anno e mezzo abbondante
dalla sua comparsa sull’EFP, con un triliardo di scuse nei confronti di quanti
la stavano seguendo. Che poi, chissà se ci sono ancora? *C* *DAAAAAAAN*
Riprendo
con le favole perché dai, oggettivamente, quand’è che mi ricapiterà di scrivere
qualcosa di altrettanto demenziale? E Rhadamantis, nel senso, l’avete visto? È
Barbablù. Ma com’è che mi è venuto in mente? No, sinceramente, nel senso…
vabbè. In un paio di giorni ho rispolverato questi raccontini, li ho un po’
ricorretti, e mi accingo a riprenderli in mano. Se vi capiterà di rileggere,
noterete che ho migliorato la formattazione (scrivevo in Verdana, per Athena) e
anche qualche cosetta di forma qua e là, ma pressoché impercettibile. Con mia
grande sorpresa, non ho dovuto correggere più di tanto, quindi il tutto si è
ridotto ad una sorta di betaggio in più. Che male non fa.
Grazie
per avermi seguita sin qui, quindi, e rimbarchiamoci per condurre queste storie
alla loro fine.