A love letter
A
Chiara,
che
di questa coppia
mi ha ispirato la dolcezza,
la
semplicità e la
tenerezza.
Per
essere l'altra
metà di un universo a parte,
di
scritti e di
maschere ma di
autentico
affetto.
Scrivere
è sempre nascondere qualche cosa in modo che poi venga
scoperto.
Italo
Calvino
Se
tu non mi ami, non importa, sono in grado di amare per tutti e due.
Ernest
Hemingway
Era
stata una sincera sorpresa, quando Nick Duval era stato interpellato
da un'insegnante: aveva avuto la sensazione che tutta la classe si
fosse fermata ad osservarlo, malgrado la lezione fosse terminata e
tutti stessero riordinando le borse per uscire dall'aula.
Ciò
dimostrava quanto l'evento fosse tutt'altro che ordinario tra le mura
della Dalton Academy ma, una volta radunato i propri oggetti, si
affrettò ad attraversare i corridoi e raggiungere l'aula
giusta.
Aveva
la fronte aggrottata per la confusione, evidentemente domandandosi
lui stesso il motivo di quel colloquio, quando si fermò di
fronte
alla porta. Bussò discretamente e, una volta ottenuto il
consenso ad
entrare, osservò l'insegnante.
Mrs
Michaels gli restituì lo sguardo.
“Buongiorno,
Nick: vieni, accomodati” gli aveva sorriso con quel suo
sguardo
gentile, gli occhi nocciola che scintillavano dietro le lenti rotonde
che indossava. Era vestita molto formalmente: un tailleur costituito
da camicetta e gonna a tubino, i capelli raccolti da una crocchia. Si
intuiva, anche dai gesti più insicuri, che fosse alle prime
armi ma
ciononostante aveva saputo accattivarsi l'attenzione degli studenti
che frequentavano il suo corso. Scrittura creativa.
Poco
contava, per un lettore accanito come Nick Duval, quali fossero le
referenze di curriculum del docente che presiedeva un qualsiasi
corso: la passione che l'animava nell'illustrare loro la dialettica o
la poetica di celebri personaggi, riusciva sempre a far breccia tra i
suoi pensieri. Non si poteva certo dire che, malgrado fosse una
persona silenziosa e pacata, la sua mente non fosse spesso impegnata
nelle riflessioni legate ad eventi particolari o sollecitate da
qualche recente lettura o dai dialoghi quotidiani. Ciò che
era più
difficile – e aveva una mezza idea del motivo della
convocazione –
era riuscire ad esprimersi, almeno nella misura che rendesse la sua
scrittura spontanea e naturale.
“Buongiorno”
aveva risposto al saluto e, seguendone l'indicazione, si era
avvicinato alla scrivania per poi accomodarsi sulla postazione di
fronte alla stessa.
La
donna si alzò e si appoggiò al tavolo: gli porse
un plico di fogli
che Nick prese, le sopracciglia inarcate e un vago sospiro nel
riconoscere l'ultimo elaborato che gli era stato richiesto. Ancora
prima che ella proferisse parola, Nick si passò una mano tra
i
capelli e apparve a disagio.
“Lo
so, il mio saggio non è stato abbastanza
introspettivo”.
Gli
aveva sorriso la docente e lo aveva osservato a lungo prima di
annuire: inclinò il viso di un lato.
“Nick,
tu sei un ragazzo molto – indugiò nel cercare la
qualifica che
potesse esprimere esattamente l'idea che si era fatta del giovane,
anche attraverso la scrittura probabilmente –
composto” concluse
con sguardo concentrato.
Nick
sorrise appena. “Immagino non sia un complimento”
aveva
arrischiato e la donna si era stretta nelle spalle, l'espressione
più
complice e giocosa.
“Umanamente
la ritengo una grande dote, un po' meno come aspirante
scrittore”
aveva commentato e Nick aveva annuito, rimirando il proprio operato e
leggicchiando qualche frase qua e là con le annotazioni
della
docente accanto.
Ricordava
bene l'ansia da foglio bianco quando si era posto di fronte alla
propria scrivania e il cursore lampeggiava come una sorta di minaccia
silenziosa, la sua mente sembrava galleggiare nel vuoto. In vero, non
aveva avuto difficoltà ad identificare l'ambito in cui
avrebbe
allocato l'oggetto della traccia: “un incontro
fatale”. Era stato
come, se per tutto il tempo, una presenza silenziosa avesse sostato
tra i suoi pensieri, tra una parola e l'altra, tanto da costringersi
a cancellare spesso e volentieri più parole di una sola
frase o
dimezzare un periodo, fino a togliere al paragrafo ogni implicazione
che aveva ritenuto fin troppo personale. In fondo, si era ammonito,
avrebbe dovuto proiettarsi nel personaggio fittizio, ma non avrebbe
voluto ch'egli fosse facilmente identificabile nell'alter ego del,
cosiddetto, posato Nick Duval. Immaginava fosse quello il
problema.
"Non
è che mi manchino idee” cercò di
intavolare una giustificazione
ma la donna gli pose la mano sulla spalla a rassicurarlo tacitamente.
“La
lettura ci permette di vivere altre esistenze, attraverso i
personaggi descritti. Ma è la scrittura che mette a nudo la
propria
anima: ci strappa ciò che è nostro e lo rende
visibile, seppur in
modo traslato” ancora una volta Nick si trovò
letteralmente
incantato di fronte all'evidente passione che la donna stava
imprimendo in quella spiegazione.
Ma
era proprio quello il punto: mettere a nudo la sua anima.
Ne
sarebbe stato facilmente disposto?
“Lo
scrittore non deve giustificare ciò che scrive e neppure
chiedere
perdono: proietta se stesso in una nuova realtà, in un nuovo
mondo,
e soltanto lui saprà quanto esattamente vi è di
se stesso. E' per
questo che la scrittura è libertà e, al contempo,
un modo di
conoscersi in modo oggettivo. Senza veli” rimuginò
su quelle
parole che, lo sapeva, avrebbero continuato a ronzare nella sua
mente, quando si fosse di nuovo concentrato sulla scrittura.
Ben
pensandoci, le premesse di Mrs Michaels non erano soltanto valide ma
persino incoraggianti e suggestive: un modo, lo aveva già
esperito,
di sentirsi esposto ma senza che, necessariamente, fosse
incriminante, se fosse riuscito a creare un contesto fittizio
particolareggiato. Un'impronta, probabilmente, ma non necessariamente
lo specchio della sua anima. Ma era basilare superasse la propria
ritrosia e riuscisse, semplicemente, a lasciarsi andare, senza timore
di giudizio, soprattutto il proprio.
“E'
questo che ti sto chiedendo: provaci ma non soltanto per qualche
credito, fallo per te stesso e, credimi, non te ne pentirai”
era
stato il sorridente invito e Nick si era rimesso in piedi con
espressione più pensierosa che mai. Ma sembrava anche
sollevato.
“Vuole
che riscriva sullo stesso argomento?” le chiese ma la donna
scosse
il capo.
“Tema
libero: consegna entro quattro giorni, intesi?”.
“La
ringrazio, Mrs Michaels: mi impegnerò a fondo” le
aveva promesso,
un nuovo sfolgorio delle iridi e, il suo saggio ancora tra le mani,
dopo averle rivolto un ultimo cenno di saluto, si diresse verso la
porta dell'aula.
Si
sentì richiamare quando aveva ormai appoggiato la mano sulla
maniglia della porta e si volse.
“Se
hai qualche cruccio o... un segreto,” seppur lo stesse
osservando
con simpatia, Nick si sentì arrossire, nonostante il sorriso
più
complice e sbarazzino della donna. “ personalmente comincerei
proprio da lì: buona scrittura!”.
Se
l'attimo prima aveva sorriso con una nuova sensazione di
tranquillità, era un'espressione ansiosa quella che era
apparsa sul
suo volto mentre si chiudeva la porta alle spalle.
Sapeva
esattamente di cosa
avrebbe dovuto parlare: la domanda, tuttavia, era ancora la stessa.
Si
fidava abbastanza del potere liberatorio della parola scritta
– e
di se stesso – da lasciarsi andare, così come gli
era stato
richiesto?
Una
sola certezza gli balenò in mente, mentre rientrava nella
propria
camera ed osservava il notebook abbandonato sulla scrivania, ci
avrebbe provato.
~
Continuava
ad osservare il foglio bianco: il cursore lampeggiava inesorabilmente
e gli restituiva lo sguardo ma la sua mente sembrava piacevolmente
sguazzare in uno stato di totale apatia. Aveva già provato a
digitare qualche parola ma, mentre in tentativi precedenti era la
ritrosia a farlo ritrattare, in quel momento era la consapevolezza
che, malgrado le proprie intenzioni, stesse ancora inesorabilmente
imbrigliando le sue reali emozioni. La mano corse nuovamente a
tormentarsi i capelli che ne ricaddero sulla fronte come una fluente
cascata scura e si rizzò bruscamente in piedi ma
ignorò il libro
sul comodino accanto al letto, gli spartiti, i quaderni e gli appunti
di altri corsi. Vagò per la stanza quasi cercando di
regolarizzare
il suo respiro e prendere una qualsiasi risoluzione, fino a quando lo
sguardo non cadde sulla cornice di una fotografia appoggiata su una
delle mensole della libreria.
La
prese tra le dita, un sorriso ad incresparne le labbra: due giovani
vi erano raffigurati. Uno alto e slanciato, dai capelli biondissimi,
gli occhi marroni e il sorriso che ne rendeva le espressioni
più
puerili e sbarazzine, in quell'innesto di simpatia ed energia a cui
era davvero difficile riuscire a resistere. Lui si riconobbe nella
sua tipica posa da fotografia: in realtà non amava
particolarmente
stare sotto l'obiettivo quasi l'ancestrale dubbio di rivelare,
attraverso un fotogramma, tutto ciò che racchiudeva
gelosamente. Il
motivo stesso per cui avrebbe dovuto consegnare un nuovo compito.
Sospirò
ma, la cornice ancora tra le mani, si mosse nuovamente verso la
propria postazione: prese un bel respiro e avvicinò le dita
alla
tastiera. Osservò ancora una volta la cornice e, dopo aver
schiuso
gli occhi, prese semplicemente a digitare.
Non
era stata una mia scelta, e questa era la mia unica certezza. Ma
ciò
non rendeva il tutto più semplice da sopportare. Al
contrario,
quando l'effetto di quella pallida giustificazione sembrava essersi
placato, allora il mio tormento aveva di nuovo la meglio. Infido e
calcolatore, attendeva gli istanti in cui ero più
vulnerabile.
Quelli in cui, più sinceramente, avrei lasciato scorgere un
mio
riflesso.
Erano
i momenti a cui fuggivo costantemente,
probabilmente erano anche gli unici degni di una vita come la mia. La
vita di chi osserva senza esser visto, da un posto sicuro, laddove
può ammonire il suo segreto bisogno e la sua intenzione,
laddove
soltanto l'apparenza composta e pacata sarebbe servita da filtro e
avrebbe continuato a celare quei reali contorni.
Futile
ma sfibrante il desiderio di trattenerlo persino alla mia coscienza
perché avevo sempre paventato il potere immortalante della
parola,
da esso rifuggivo e in me stesso continuavo a soffocare ogni
scintilla. Fino al giorno in cui essa avrebbe appiccato quel fuoco
che mi avrebbe divorato senza pietà. Forse allora avrei
trovato
rifugio e tutto sarebbe stato più semplice.
O,
almeno, la gravosa verità mi avrebbe lasciato, finalmente,
respirare. Libero dal fardello e più che mai schiavo di una
sua
decisione.
Era
così concentrato alla conclusione di quella sorta di
introduzione
che non aveva sentito l'uscio della porta schiudersi: tanto meno i
passi a gattone del ragazzo che, la pistola ad acqua tra le mani e la
lingua che faceva capolino ad un angolo della bocca, si
fermò poco
distante dalla scrivania. Ne osservò il volto completamente
trasfigurato dalla concentrazione: il solco che si formava tra le
sopracciglia, lo sguardo velato e lontano come se, anche attraverso
lo schermo, potesse vedere ben al di là. Indugiò
sul modo in cui le
dita da pianista sfioravano i tasti: neppure si accorgeva di piegare
istintivamente il capo ora da un lato e ora da un altro, qualcosa che
avrebbe normalmente ritenuto buffo. Depositò la pistola ad
acqua e
si mise in piedi con espressione sorniona e giocosa, prima di
chinarsi ed appoggiare la mano accanto alla tastiera.
“Che
fai?” chiese in tono curioso e divertito, i ciuffi di capelli
biondi che quasi sfioravano la gota dell'altro ragazzo che era
sussultato visibilmente, strappandogli un sorriso divertito.
Si
era voltato in sua direzione, Nick, gli occhi sbarrati e le labbra
schiuse.
“Scusa,”
gli sorrise con lo stesso alone scherzoso. “in
realtà dovevo
prenderti di sorpresa e schizzarti ma eri così concentrato:
che stai
scrivendo?”.
Fu un
gesto rapido e secco quello con cui Nick abbassò lo schermo
del
notebook – doveva avere caldo visto come era rosso in volto e
sembrava agitarsi sulla sedia – ma, l'attimo dopo, sul suo
viso tornò quell'espressione che aveva imparato a conoscere.
Quel sorriso
più comprensivo e gentile, la testa inclinata di un lato
nello
scrutare il suo bazooka ad acqua.
“Sei
stato gentile a non bagnarmi”.
Si
strinse nelle spalle, Jeff, come a schermirsi per poi inclinare il
viso di un lato. “Sto morendo di fame: ti va di venire a cena
con
me?”.
“E'
già ora di cena?” ora sembrava veramente confuso,
qualcosa che non
era solito di Nick: lo osservò scoprire la manica della
divisa per
leggere l'ora sul suo orologio da polso e sussultare incredulo.
“Non
mi ero accorto fosse così tardi: è da due ore che
scrivo” adesso
sembrava di nuovo sorridere ma Jeff sentì le pareti del suo
stomaco
contrarsi.
“Andiamo?
Andiamo?” lo incalzò e Nick sorrise prima di
alzarsi e
stiracchiarsi.
“Andiamo”
confermò ma lo sguardo di Jeff era volto alla loro
fotografia che
osservò curiosamente, il viso inclinato di un lato e le
sopracciglia
sollevate.
“L'hai
spostata?”.
“Come?”
chiese Nick, sbattendo le palpebre.
“La
fotografia,” spiegò Jeff. “di solito la
tieni sulla mensola,
davanti ai tuoi libri preferiti”.
Era
parso ancora più confuso, Nick, l'attimo dopo aveva di nuovo
quel
colorito rosato sulle guance – magari avrebbe dovuto davvero
schizzarlo in viso visto quanto aveva caldo! - ma aveva annuito.
“Mi
piace fare ordine” rispose pacato ma, forse era solo
un'impressione
di Jeff, sembrò quasi poco soddisfatto di quella risposta.
Era
pensieroso, questo lo vedeva chiaramente: persino più del
solito ma,
come ogni altra volta che lo avesse visto in tale occasione, si era
detto che avrebbe soltanto dovuto attendere. Se poi Nick avesse
voluto parlarne, lo avrebbe ascoltato; altrimenti, si sarebbe
assicurato di farlo sorridere.
“Non
sei venuto in mensa, oggi: mi sei mancato” gli aveva detto e
fu nel
momento in cui ne scorse quel sorriso, dopo quel momento di sorpresa,
che si disse che valeva la pena attenderlo in sala mensa, tenendogli
un posto occupato. Anche quando poi si ritirava in camera per lo
studio, o anche quando lo osservava da lontano mentre sedeva accanto
a Trent e si domandava sempre perché gli sembrasse
così silenzioso.
“Anche
tu, Jeff, anche tu” aveva sussurrato con voce delicata ma
Jeff
aveva comunque percepito quel nuovo battito più rapido del
suo
cuore. E, ancora una volta, ebbe la consapevolezza che tutto fosse
perfetto: Nick aveva sorriso nuovamente e sentiva che il merito, in
fondo, era anche un po' suo. Quindi quel sorriso poteva essere
considerato il proprio, giusto?
~
Aveva
acconsentito a trascorrere il resto della serata con lui: avevano
affittato uno dei film preferiti di Jeff, “The
Avengers” ma il
ragazzo si era addormentato nel bel mezzo dell'intrigo. Le battute
del film si perdevano inascoltate ma Nick si era sollevato dalla
postazione: lo sguardo ricadde sulla figura addormentata e
quell'anelito fanciullesco anche nelle labbra schiuse e nel modo in
cui stringeva il cuscino, quasi alla ricerca di un appiglio o di una
protezione, anche quando ormai caduto nell'oblio. Un'immagine di tale
naturale dolcezza e di candore che un sorriso affiorò sulle
labbra
mentre estraeva una coperta dall'armadio per poterlo coprire.
Si
volse al notebook che sembrava ancora in attesa. Ne sollevò
cautamente lo schermo, aprì il documento salvato sul desktop
–
ancora senza un nome personalizzato – e rilasciò
il respiro.
Nella
mente, le immagini di quel pomeriggio: la sequenza di fotogrammi
mentre ne osservava la concentrazione nelle diverse
attività. Dalla
furbizia e dal sorriso giocoso nella sfida contro Thad imperversando
tra i corridoi della Dalton, incuranti degli aspri rimbrotti di
Hunter e del sorrisetto divertito di Sebastian nel vedere i suoi vani
tentativi di imporre la sua presunta autorità; fino al modo
in cui –
lo sguardo incollato sullo schermo, ripetendo lui stesso le frasi dei
suoi eroi preferiti – immergeva le mani nella ciotola di poc
corn a
raccoglierne una manciata e portarsela alle labbra.
Il
file si aprì e Nick rilesse rapidamente le ultime righe
scritte
prima di lasciare, ancora una volta, che le parole affiorassero,
attento a non produrre troppo rumore con le dita, ascoltando il
respiro di Jeff in sottofondo.
Fin
troppo presto, riuscii a dare un nome al mio turbamento: ma come
poteva una semplice parola racchiudere sfumature molteplici che io
stesso scoprivo giorno per giorno? Lasciandomi da esse avvolgere e
imparando nuovamente a scoprire me stesso, non più
un'esistenza
vana, alla ricerca di quei significati che riempissero una vita e le
dessero motivo di ritenersi sacra. Non ero più lo stesso
uomo che
avevo imparato a conoscere fino a quel momento: un nuovo volto che
quel sentimento aveva forgiato per me, prendendosi ogni mio respiro e
promettendomi una delizia struggente che mi avrebbe elevato oltre il
conoscibile per poi lasciarmi cadere sui frammenti di una
determinazione che, giorno dopo giorno, diveniva sempre più
flebile.
Impotente.
Ad
ogni sorriso, ogni parola pronunciata da quelle labbra, nello
scintillio di quello sguardo che mi spogliava di ogni
volontà e non
chiedeva altro che lasciarmi soggiogare. In suo nome e per la mia
dolce agonia.
Ma
una nuova consapevolezza andava a formarsi, l'ennesima sfida da porre
a me stesso, l'ennesimo respiro trattenuto e...
Un
colpo di tosse da parte di Jeff e Nick si riscosse: si volse ad
osservarlo. Si era mosso nel sonno, Jeff, il sorriso ancora placido
e, per un lungo istante, carezzò quell'immagine prima di
tornare a
guardare lo schermo. Continuò a digitare ininterrottamente:
adesso
che l'argine era stato eluso, le parole scorrevano l'una dopo
l'altra, ansiose di trovare loro realizzazione seppur traslate in
un'altra forma.
Si
interruppe soltanto quando sentì gli occhi bruciare e
fissò
sbigottito l'ora. Si sollevò dalla poltroncina, dopo aver
salvato le
modifiche e aver abbassato lo schermo del computer.
Osservò
il giovane ancora abbandonato al proprio riposo ma non lo
spostò: si
tolse la giacca della divisa e raccolse qualche coperta per una
comoda sistemazione sul divano della stanza. Cadde in un piacevole
torpore, la consapevolezza di non esser mai stato così
sincero.
Jeff
dormiva ancora quando si alzò dal divano: si
stiracchiò con una
vaga smorfia per la contrazione del braccio durante la notte.
Cercò
di rotearlo in qualche movimento prima di avvicinarsi al proprio
letto: fu indeciso per un istante se svegliarlo o meno.
Mancava
ancora un'ora all'inizio delle lezioni, constatò, ed
uscì dalla
stanza: niente di meglio per svegliare Jeff Sterling se non qualche
dolcetto servito su un vassoio e una bella tazza di caffè
zuccherato.
Sorrideva
quando entrò nuovamente nella sua camera ma
sgranò gli occhi nel
vedere Jeff già in piedi: quest'ultimo sembrò
sussultare.
“Buongiorno,
ho portato la colazione” gli sorrise ma il ragazzo, il cui
viso
sembrava più pallido del consueto, non sembrava ascoltarlo:
si era
goffamente rimesso la giacca della divisa ma non lo stava guardando.
“Stai
bene, Jeff?” gli chiese confusamente, appoggiando il vassoio
sulla
scrivania.
Solo
in quel momento notò che lo schermo del computer era stato
sollevato
e il file sembrava lampeggiare maligno, nel silenzio sospeso tra
loro.
Nick
boccheggiò ma ricercò lo sguardo di Jeff che, una
mano a correre
tra i capelli, aveva biascicato una scusa.
“Jeff”
quasi non riconobbe la sua voce più stridula e ansiosa.
“Scusa,
Nick, devo andare: ci vediamo” gli aveva sorriso ma non c'era
la
stessa sbarazzina allegria o quell'alone complice nello sguardo.
Sembrava molto più compunto e serio di come lo avesse mai
scorto
fino a quel momento.
Non
riuscì ad articolare parola, Nick, lo osservò
semplicemente
lasciare la camera. C'era un silenzio gravoso che seguì la
sua
dipartita e lo sguardo corse al monitor.
Non
rilessi quella lettera: la inserii in una bottiglia e lasciai che
fosse l'oceano ad averla. Avevo finalmente affrontato la mia
verità
e, seppur inascoltata, sapevo che non avrei più dovuto
temerla. Essa
mi aveva già forgiato e con essa avrei convissuto.
Che
l'oceano disperdesse ogni singola parola, io l'avrei recitata in ogni
respiro da qui alla fine dei miei giorni.
Non
ti chiederò mai di amarmi, ma non farmelo più
temere. Di questo
amore ho imparato a vivere.
E
in tuo nome lo celerò in me, così che tu non
debba scoprirti
attraverso i miei occhi. Ma purché di esso ancora possa
intingere me
stesso.
Con
tutto il mio amore e sempre tuo, qualunque cosa accada.
“Qualunque
cosa accada” ripeté Nick tra sé e
sé, la vista appannata nel
rileggere il suo scritto ma fu con un gesto quasi risoluto che
premette il pulsante per stampare il documento.
~
Quel
weekend sembrò trascorrere con insolita lentezza: era come
se avesse
esaurito tutte le proprie energie e aveva vagabondato tra i vari
locali della Dalton senza riuscirsi realmente a concentrare in
qualunque attività. Neppure la tensione per il responso del
compito
consegnato entro la scadenza, sembrava riuscire a distogliere la sua
mente dalle ultime immagini che la sua stessa stanza serbava: lo
sguardo sconvolto di Jeff e quella rapida fuga.
Aveva
saputo da Thad che aveva già in programma da tempo di
tornare dalla
famiglia in occasione dell'anniversario dei genitori ma non poteva
fare a meno di domandarsi se gli ultimi eventi ne avessero
condizionato l'allontanamento tanto brusco.
Più
volte aveva osservato il proprio cellulare e persino composto il
numero per poi sospendere la telefonata prima che potesse
palesarglisi, erano state ore interminabili quelle che lo avevano
visto stravaccato sul proprio letto a rimirare il soffitto.
Non
poteva fare a meno di chiedersi cosa sarebbe accaduto se non avesse
mai acconsentito a riportare il tutto nero su bianco: sarebbe
riuscito realmente a trattenere quei sentimenti in silenzio o, forse,
in un modo o nell'altro sarebbero comunque sgorgati? L'unica
consolazione era poter supporre che non fosse stata la
modalità di
espressione ad averne causato quella reazione.
Non
che questo fosse molto più lenitivo ma aveva da sempre
saputo,
persino prima di quell'avventura letteraria, che quel finale
più
amaro sarebbe stato contemplabile; restava da comprendere se Jeff
potesse persino decidere di escluderlo dalla propria vita. Una
prospettiva, quella, che lo riempiva di angoscia ma che cercava di
ignorare, dicendosi che avrebbe saputo tutto quando lo avrebbe
nuovamente visto e allora avrebbe saputo come agire o si sarebbe
limitato a riprendere i cocci della propria esistenza e improvvisare
una nuova vita.
Senza
di lui.
Malgrado
volesse proclamare a se stesso di sentirsi completamente svuotato,
una parte di sé non riusciva a pentirsi di aver permesso
alle
proprie emozioni di dipingersi in una forma allegorica. Se anche
fosse stato l'ultimo atto, aveva promesso a se stesso che avrebbe
accettato qualunque esito. Ed avrebbe improvvisato ancora un sorriso,
fin quando ne fosse stato capace.
Quasi
non mosse ciglio quando Mrs Michaels depositò il suo compito
sul suo
banco: appena un'incrinatura delle labbra nello scorgere il massimo
punteggio e la donna gli appoggiò la mano sulla spalla.
“Ottimo
lavoro, finalmente ho conosciuto il tuo vero volto: sii fiero di
te”
aveva sussurrato ma Nick non aveva potuto che sospirare in risposta.
Si
domandò ancora una volta se per raggiungere quello scopo,
valesse la
pena rischiare tutto.
Aveva
camminato nel percorso verso la propria camera ansiosamente: lo
sguardo aveva saettato tra le stesse divise ma volti diversi a
cercare soltanto degli specifici lineamenti per poi entrare nella
propria camera con espressione mesta. Si era appoggiato alla porta e
si era passato una mano tra i capelli: era insolito non vederlo
saltellare nei corridoi per raggiungerlo e andare insieme in
refettorio.
Qualunque
fosse stata la decisione di Jeff l'avrebbe accettata, si era detto e
ciononostante non avrebbe atteso oltre per conoscerla:
occhieggiò il
cellulare. Lo avrebbe chiamato e gli avrebbe chiesto esplicitamente
di parlare.
Si
riscosse quando il suo piede calpestò qualcosa. Fu allora
che
abbassò lo sguardo e scorse una busta azzurra con sopra
impresso il
suo nome: il suo cuore accelerò i battiti nel riconoscere la
calligrafia di Jeff. Con quella sorta di tachicardia, si
avvicinò al
proprio letto e vi si lasciò appoggiare: scartò
la busta fino a
scorgere un biglietto che dischiuse.
I
suoi occhi sgranarono nello scorgere quel ritratto: il suo volto
sembrava esser stato scolpito come una fotografia che ne riproduceva
perfettamente i lineamenti. Ma non solo: vi era una particolare luce
nel suo sguardo o forse era la piega delle labbra; non era un esperto
nell'arte grafica e ciononostante avrebbe potuto affermare di non
aver mai visto un riflesso più fedele di se stesso. Era come
guardarsi ad uno specchio per scoprire un nuovo profilo che egli
conosceva persino più di se stesso.
Dispiegò
il biglietto contenente la lettera vera e propria che passò
a
leggere con sguardo che scorreva tra le righe impresse con quella
calligrafia rapida: quasi la sua stessa inesauribile energia potesse
canalizzarsi nella biro ed essere poi impressa su carta.
Non
sono bravo a scrivere temi o quello che sento: a volte non riesco
neppure a trovare le parole e non voglio rovinare tutto. Non sarei
mai capace di farlo come solo tu riesci (sì, ho letto il tuo
compito, scusami: so che non avrei dovuto ma quando ho iniziato, non
sono riuscito a fermarmi Perdonami.) ma posso sempre provare a
disegnarlo.
Apri
il disegno e guardati: dicono che un bravo fotografo deve catturare
l'anima di chi fotografa e io ci provo con le matite.
Quello
sei tu, Nick. Ogni volta che mi guardi e mi sorridi: volevo lo
sapessi. E' il mio disegno migliore e non lo avrei mai dato via se
non a te.
Non
smettere di guardarmi così, se puoi.
Un
sorriso era affiorato sulle labbra di Nick, nello stesso istante in
cui la porta si schiuse e scorse l'alta figura di Jeff sulla soglia
della stessa. Si rimise subito in piedi, Nick, la lettera tra le mani
e il biondino l'osservò con le guance più rosate
e lo sguardo
evidentemente teso.
“Nick,
io,” esordì confusamente. “scusami, so
che non avrei mai
dovuto-” non gli diede tempo di terminare, Nick,
perché superò
rapidamente quella distanza e scosse il capo, invitandolo
così
silenziosamente a tacere.
Ciò
sembrò ulteriormente innervosire Jeff.
“Ti
prego, scusami” era stata una supplica accorata ma Nick non
aveva
pronunciato motto: aveva affondato il volto contro la sua spalla e le
sue braccia ne avevano cinto il collo in quella mera ricerca di
calore e del contatto con il suo corpo. Aveva socchiuso gli occhi,
quasi disperando che quel momento non dovesse sfumare senza
lasciargli altro che l'amaro disincanto; ricordò quante
volte avesse
desiderato di trattenerlo semplicemente ed impedirgli di allontanarsi
o di scostarsi. L'attimo dopo, un sorriso e lo sguardo lucido,
sentì
le braccia di Jeff stringerlo: sembrò trattenerlo a sua
volta e, al
contempo, rassicurarlo.
Nick
si abbandonò a quel momento. Non sapeva quanto a lungo
sarebbe
durato ma non lo avrebbe lasciato scorrere senza che potesse
realmente marchiarne la realtà: si era scostato dalla sua
spalla pur
non sciogliendo la pressione delle sue braccia ed era stato un
momento di pura vita quello in cui i loro sguardi si erano fusi.
Era
stato come contemplarsi per la prima volta e probabilmente era stato
proprio così: non avrebbe mai saputo dire quando avesse mai
scorto
simile intensità nello sguardo di Jeff o quando si fosse
sentito
così incredibilmente vicino ad un baratro ma senza timore,
quando
fosse stato consapevole di essere completamente visibile senza,
tuttavia, desiderare qualcosa di diverso.
E
quando la mano di Jeff si adagiò sul suo volto e ne
percepì il
calore, quando la sua pelle sembrò intirizzirsi e
percepì quel
guizzo all'altezza del petto, non poté che sorridere. Un
sorriso
sulle sue labbra morbide mentre i ciuffi biondi ne solleticavano il
viso, mentre le sue braccia lo serravano con maggior determinazione e
quando lui stesso ne sfiorò i lineamenti a saperlo realmente
lì.
In
quel momento. Dove avrebbe sempre dovuto essere.
Aveva
le guance ancora arrossate quando si scostò, Jeff, eppure
sorrideva,
di quel sorriso puerile ed entusiasta prima di guardarlo, il viso
inclinato di un lato. Sembrò riflettere perché
aggrottò appena le
sopracciglia.
“Quindi...
è tutto apposto?” aveva chiesto, una risatina
nervosa ma lo
sguardo nuovamente emozionato.
Reclinò
appena il capo, Nick, sorrise nuovamente ed annuì.
“Non
potrebbe andare meglio” aveva sussurrato, sollevando appena
il
disegno. “Hai ragione: è il migliore che tu abbia
mai fatto, non
mi sono mai visto così” aveva ammesso, la voce
appena più rauca
ma Jeff aveva sorriso in risposta.
“Non
ti sei mai visto come ti vedo io” fu la pacata e semplice
spiegazione. “Ma è solo il primo, ne avrai
altri” aveva sorriso
nuovamente e Nick aveva lasciato che le sue labbra imprimessero quel
momento di autentica serenità, sollevandosi sulle punte.
“Io
parlavo dei disegni” fu la puerile risposta di Jeff che gli
strappò
una risata divertita prima che sembrasse ripensarci. “O forse
no”
aggiunse in una perfetta imitazione del tono più suadente e
allusivo
di Sebastian. O almeno tale avrebbe dovuto essere l'obiettivo ma
dubitava di poterne imitar le espressioni sornione e maliziose del
compagno di stanza.
Ma
era anche per questo che Nick non avrebbe potuto che amarlo sempre
più.
“Mi
piacerebbe leggere qualcos'altro di tuo” gli aveva confessato
e
Nick aveva annuito pensosamente prima di sorridergli rassicurante.
“Scriveremo
e disegneremo insieme d'ora in poi” fu la sua solenne
promessa e
seppe, nell'istante stesso in cui la pronunciò, che
probabilmente
avrebbe impiegato un'intera vita ad imprimere su carta quelle
emozioni. Ma fin quando lo avesse avuto accanto e Jeff avesse
continuato a sorridere di quella serenità, non avrebbe mai
smesso di
provarci.
Ammetto
di essere una profana della coppia ma non ho potuto resistere al
fascino di quest'accostamento e l'idea mi ha solleticato la scorsa
settimana. Avevo appena schiuso gli occhi che ho dovuto prendere
qualche appunto per una bozza dello scritto di Nick. Sì,
credo di
potermi perfettamente identificare, per certi versi, al suo trovare
nella scrittura un modo di far sentire la sua voce. Che poi credo sia
il motivo per cui ci ritroviamo tra le pagine di questo sito: far
sentire la propria voce e ascoltarne altre.
Questo
è un piccolo omaggio a @therentgirl:
mi spiace non fosse pronto per coronare degnamente il successo
accademico ma un modo di ricordarci di essere sulla stessa lunghezza
d'onda seppur nella nostra quotidianità.
Un
saluto a tutte le Niff(ers ?) e a chiunque leggerà.
Kiki87
|