I
tuoi adorati peluche sono sparsi sul tappeto persiano che ti ha
regalato la nonna a Natale, una tacita testimonianza
dell’uragano che ha sconvolto la tua stanza, la tua vita, la
tua anima.
La
scatola di latta con le foto di Parigi, della vostra Parigi,
giace rovesciata sul copriletto rosa; una bocca spalancata che
rigurgita ricordi e lacrime e sorrisi amari.
Con
le unghie laccate di verde graffi con foga il muro dove hai scritto il
suo nome, tentando di strapparlo via dalla parete, così come
vorresti strapparlo via dal tuo cuore, ma sai bene che non è
possibile.
Non
funziona così, non è mai così semplice.
Le
lacrime continuano a scendere prepotenti, copiose, brucianti; mentre ti
abbracci puoi sentire la pelle sottile tesa sopra le costole. E allora
ti stringi forte, sempre più forte – troppo forte
– fino a farti male.
Ti
chiedi quando è cambiato tutto, senza che tu te ne
accorgessi. Ti chiedi dove hai sbagliato e quanto dolore riuscirai
ancora a sopportare.
Ma,
soprattutto, ti senti stordita. Pensi a come fare per non perdere del
tutto la testa, per tornare a respirare di nuovo e raccogliere i pezzi
di te che lui si
è lasciato dietro quando ha sbattuto la porta della tua
stanza.
Trovi
il cellulare quasi per caso, in mezzo alla confusione che regna
sovrana, e digiti veloce un numero che sai a memoria. Uno squillo, due
squilli, tre squilli.
-
Zelda! Non trovavo il telefono, come al solito – la voce di
Caterina è vivace e affannata, probabilmente stava facendo
jogging.
- Cat…
- la tua, di voce, è spenta, rotta.
Caterina
capisce subito che qualcosa non va. Ti conosce fin troppo bene.
-
Zelda, che succede? Hai litigato con Matteo, per caso?
Perché lo sai, vengo su e lo picchio a sangue…
-
Sì, cioè no. Se n’è andato
Cat, stavolta non torna più…
Scoppi
a piangere e ti odi. Ti odi perché ti credi debole e non
vuoi far vedere quanto tu stia male. Ma se non ne puoi parlare con lei,
allora che senso ha?
-
Senti, non me ne frega niente, prendo il primo treno stasera, ok? Mi
fermo da te qualche giorno, e non voglio sentire scuse, capito?
– Caterina è la persona più testarda
che tu abbia mai conosciuto, e le sei immensamente grata.
-
Ti vengo a prendere in stazione io, fammi sapere quando arrivi,
però – rispondi. Forse più sollevata,
forse un po’ meno rotta.
Torino.
Ancona. Che senso hanno tutti quei chilometri quando ci si vuole
così tanto bene?
-
Cat – prosegui – grazie. Davvero.
-
Ricordi? – senti la risata limpida di Caterina
dall’altro capo del telefono – Ti voglio bene,
sempre.
-
Anche io, sempre.
And
as the world comes to an end
I'll
be here to hold your hand
Cause
you're my king and I'm your lionheart.