NDA: Niente da
dire riguardo questo capitolo, a parte che spero vi piaccia! Il titolo
l’ho
scelto perché l’incontro tra i due protagonisti
avviene in un modo che per noi
“umani” potrebbe sembrare piuttosto scontato, ma
per loro non lo è affatto. :°D
Un
avviso importante per la clientela (?): con
questa storia voglio cercare di fare i capitoli il più corti
possibile, al
massimo di cinque pagine (questo ad esempio è di tre pagine
scarse). Non so se
riuscirò in questo intento, visto che a me piace dilungarmi,
ma penso che per
chi legge sia meglio. Non voglio correre il rischio di stancare.
Or
dunque, buona lettura!
Capitolo 1
Un banale cliché
Al termine della
sessione di orientamento, i corridoi deserti si tramutarono nella
frazione di
un secondo in un fiume in piena.
L’Angelo
non si
era mai trovata in mezzo a così tante persone nella sua
breve e nuova vita.
Disorientata e affascinata al tempo stesso, rimase a fissare con occhi
sgranati
l’eccentrica cresta di uno studente che svettava tra la folla
per la sua
altezza allampanata. Poi la sua attenzione venne catturata dai lunghi
capelli
viola di un’alunna vestita di pizzi e merletti, dal dragone
cinese tatuato sul
braccio di un giovane di cui non riuscì a determinare il
sesso, e ancora da
ogni cosa nuova che vedeva, tanto che per poco un urto non le fece
cadere di
mano il quaderno sul quale aveva redatto diligentemente gli appunti
riguardanti
la lezione.
Si riscosse.
L’intenso
vociare degli studenti la stordiva. In mezzo alla stravaganza che
sembrava
incarnarsi in ogni singolo allievo di quella scuola, si sentiva persa.
E il
fatto che nessuno potesse notare la sua presenza non aiutava.
Con una punta di
esitazione, estrasse dal quaderno un tovagliolo contrassegnato a penna
che
aveva trovato poggiato di fronte a lei sul tavolino di un
caffè italiano.
Avrebbe potuto giurare su Dio che, prima di distogliere lo sguardo per
un
attimo solo, non c’era.
Accademia Artistica
Gordon, Tessalia, Principato di Verne
Non sapeva cosa
l’avesse spinta a recarsi in quel posto, ma dentro di
sé aveva sentito come una
sorta di richiamo che l’aveva attratta fin lì.
Ritrovando fiducia in quel piccolo
pezzo di carta, ripose il tovagliolo nel blocco e riprese a guardarsi
intorno,
cercando di non lasciarsi soggiogare nuovamente
dall’atmosfera estremamente...
artistica.
L’Accademia
era situata
in un vecchio edificio dalla struttura gotica, riammodernato in modo da
poter
ospitare le aule e i laboratori dei corsi di belle arti, di musica e di
recitazione. Ogni parete libera era stata ridipinta con illustrazioni,
murales,
e ogni sorta di forma di pittura, o presentava nicchie nelle quali
erano posti
busti e sculture. Volantini colorati affissi alle bacheche o
abbandonati per
terra svolazzavano per i corridoi, nei quali riecheggiavano debolmente,
sommersi dal chiacchiericcio, il canto e la melodia degli strumenti
suonati
nelle aule del Conservatorio. Gli studenti dei corsi più
avanzati avevano già
iniziato da un paio di ore le loro lezioni, mentre le matricole erano
state
appena accolte da un’assemblea, nella quale era avvenuto lo
smistamento nei
diversi corsi e l’assegnazione alle classi. Eppure, anche
solo trovandosi in
mezzo a quello che non doveva essere che un terzo dell’intero
corpo
studentesco, L’Angelo faticava a vedere oltre il mare di
gente che la
circondava, tanto che era costretta ad alzarsi in punta di piedi per
poter
ammirare ciò che le stava intorno. Impressionata, si chiese
quanti allievi
fosse in grado di ospitare quella scuola.
Un altro urto la
colse di sprovvista. La ragazza che l’aveva appena superata
senza dimostrare il
benché minimo segno di essersene accorta, aveva una tasca
dello zaino aperta. Il
più delicatamente possibile, l’Angelo le si
accostò e richiuse la cerniera.
Dentro di sé ancora non riusciva ad abituarsi al fatto che
gli esseri umani
avessero una percezione così alterata di lei, tanto da non
rendersi conto della
sua presenza se non quando era suo volere manifestarla, e quindi
ritrovava sé
stessa ad intervenire con accortezza anche quando non ce
n’era bisogno. Una
lieve risata imbarazzata che nessuno notò le
sfuggì dalle labbra.
Si
alzò
nuovamente sulle punte dei piedi, tendendo il collo. Non fece che
qualche
passo, sovrappensiero mentre cercava di decidere in quale classe
infilarsi, che
finì per scontrarsi con l’ennesimo studente, il quale
stava camminando risoluto
contro corrente.
Il quaderno che
poco prima era riuscita a trattenere per miracolo le scappò
di mano, cospargendo
sul pavimento di pietra tutte le fotocopie e i volantini che aveva
ricevuto
durante l’orientamento. Le impronte di numerose paia di
scarpe si stamparono
immediatamente sulla carta bianca e colorata che nessuno si
fermò per aiutarla
a raccogliere. Anche il tovagliolo era finito a terra. Con uno scatto,
si chinò
ad afferrarlo prima che potesse essere calpestato insieme a tutto il
resto. Ma
le sue dita non entrarono in contatto con la carta velina,
perché sotto la sua
mano se ne era posata un’altra, molto più veloce
nel prendere il tovagliolo e
coprire la scritta a penna come se si trattasse di un segreto da
nascondere.
L’Angelo
alzò
gli occhi, atterrita.
Lo studente che
l’aveva letteralmente investita ricambiò il suo
sguardo, mentre si rialzava,
sovrastandola con la sua altezza.
Il sangue le si
raggelò nelle vene.
Anfibi neri alti
fino a metà polpaccio, jeans scuri, sbiaditi sulle cosce e
strappati sulle
ginocchia, forse accidentalmente, forse per una questione di stile:
l’Angelo ne
sapeva talmente poco di moda da non avere pregiudizi di alcun genere
riguardo
il modo di vestire delle persone. Un teschio le sorrideva
minacciosamente,
risaltando sullo sfondo grigio della maglietta. Il nome di una band
parzialmente
coperto dal giubbotto di pelle catturò la sua attenzione:
aveva qualcosa a che
fare con pistole e rose.
Poi un gesto
della mano di lui la distrasse. Solo in quel momento, seguendo il suo
movimento, notò le sue corte unghie laccate di nero, ed
entrambi i polsi
fasciati da due polsini altrettanto neri. Lo osservò
scostarsi dei ciuffi scuri
dai riflessi ramati che gli ricadevano sul viso, e tirarseli dietro un
orecchio, su cui intravide l’anellino di un piercing. I
capelli lunghi e
spettinati gli ricadevano appena sopra le spalle, ed erano intrappolati
nel
bavero alzato della sua giacca. Mentre si rialzava a sua volta,
l’Angelo provò
l’innocente impulso di allungare una mano e sistemarglieli.
Ma fu solo un
attimo. Perché non appena tornò a posare lo
sguardo nel suo, lo vide ancora. E
questa volta non ebbe più nessun dubbio.
Nei suoi occhi
sfregiati da una lunga cicatrice brillava una sfumatura di rosso vivo.
Di rosso
fuoco. Di rosso sangue.
Qualcosa dentro
il Diavolo fremette. In una frazione di secondo, si era trovato a
fissare, divorare ogni curva del
suo corpo snello,
celato da un leggero vestito bianco, troppo lungo per risultare
volgare, troppo
corto per non alimentare l’immaginazione. Ogni cosa in lei
sembrava immacolata:
dalle basse ballerine senza un accenno di tacco, alle lunghe calze che
le
fasciavano le gambe fino alle cosce, alla sottile cintura che le
cingeva la
vita, al golfino che le copriva le spalle. Tutto in lei pareva
perfetto, anche
le sue unghie curate, il suo viso privo di trucco e i biondi capelli
lisci
raccolti per mezzo di due fermagli della stessa sfumatura di azzurro
dei suoi
occhi.
Già,
i suoi
occhi. Quanto di più chiaro e limpido avesse mai visto. Era
come se mai
un’ombra di malvagità li avesse offuscati. Avrebbe
potuto precipitare, dentro
quell’azzurro cielo. Fino a perdere sé stesso.
Seppe con
certezza che quello era il suo nome ancora prima di pronunciarlo con il
suo
tono suadente e profondo, mentre le porgeva il tovagliolo con aria
provocatoria.
« Luce. »
« Buio... », mormorò
l’Angelo in risposta,
stando attenta a non sfiorare la sua mano mentre lo riprendeva. La sua voce
cristallina riecheggiò nelle orecchie del Diavolo.
Poi il mondo
riprese a girare. Così come il brusio creato dagli studenti
a frastornarli, e la
pressione della folla a sospingerli verso le classi. La Custode e il
Tentatore
si scambiarono un ultimo sguardo, prima di superarsi l’un
l’altro e continuare
a camminare ognuno per la propria strada, il proprio dovere da
compiere, il
proprio destino. Nessuno dei due però poteva immaginare che
presto, troppo
presto, i loro destini si sarebbero intrecciati a formarne uno solo,
unico e
indissolubile.
Una cosa
però la
sapevano. Quella sicuramente non sarebbe stata l’ultima volta
in cui si
sarebbero incontrati.
Le labbra di
Reien si distorsero in un sorriso amaro.
Hikari si
strinse nelle spalle. Rabbrividì.
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